repubblica del 28 luglio 2019 —pag. 15
IL REPORTAGE
Nella Berlino fortezza arcobaleno “La nostra battaglia è anche per voi”
dalla nostra corrispondente Tonia Mastrobuoni
BERLINO — Ormai è come la festa di un santo patrono, un San Gennaro con i wurstel, i kebab, la paccottiglia arcobaleno e la birra che scorre a fiumi. Il mondo Lgbtqi non ha mai avuto santi, ma icone; e i cartelli arrabbiati di una volta, gli slogan indignati sono quasi spariti dal Pride di Berlino.
I palloncini hanno la forma di unicorni e di cuori, le parrucche sono maestose e le cotonature altissime oscillano pericolosamente al ritmo degli Abba. Un ragazzo coreano dispiega le sue enormi ali bianche intonando Love me tender , poi urla «Happy pride!».
Benvenuti nel Paese che ha mandato a Bruxelles un presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che da conservatrice ha votato serenamente la legge per i matrimoni gay, come quasi tutto il Parlamento.
Berlino è arcobaleno. E quest’anno al Pride si sono festeggiati gli albori del movimento, i 50 anni della rivolta newyorkese della Christopher Street, dei trans contro le violentissime scorribande della polizia nei locali gay.
Il Pride non è il suo carnevale perché la prussiana Berlino odia il carnevale, e perché non c’è più rovesciamento: non c’è nulla di arrabbiato nell’infinito serpentone umano che si snoda ballando e cantando lungo le vie principali.
Nessun orgoglio in un pianeta morto
L’unico brivido è quando passa il carro russo, i ragazzi cantano spensierati, ma chi abbia trucidato a Mosca, solo pochi giorni fa, una loro militante, Elena Grigorieva, resta un mistero. «Certo che abbiamo paura», dice Igor, stringendosi nelle spalle.
Ha una t-shirt arcobaleno con una scritta in cirillico, si tiene per mano con il suo compagno; «E preferisco non dirle il mio cognome».
Del resto, la lista degli attivisti Lgbtqi da ammazzare pubblicata dal sito omofobo “Saw” li cita ancora per nome, cognome e indirizzo: Igor non ci vuole finire dentro.
Tuttavia, a centinaia di chilometri dalla capitale, al festival wagneriano di Bayreuth, è scoppiato in questi giorni proprio un caso russo.
La prima, presente come ogni anno Angela Merkel, ha fatto discutere. Il Tannhaeuser è stato affidato al direttore d’orchestra russo Valery Gergiev.
E il tabloid più popolare, Bild , ha dedicato un indignato editoriale alla scelta di invitarlo nel tempio sacro della musica tedesca: Gergiev è amico di Vladimir Putin ed è noto per le sue posizioni omofobe.
Al momento degli applausi, il ministro della Salute tedesco Jens Spahn e suo marito sono rimasti con le mani in grembo. E il titolo della Bild era inequivocabile: «La cultura è dignità».
La Germania non ha mai dimenticato la lezione di Mephisto di Klaus Mann, la storia di un attore celebre degli anni ’20 che continuò a recitare Goethe anche sotto Hitler in nome della presunta neutralità della cultura.
Ma se la Russia sembra lontana, l’assedio dei Paesi che cercano di buttare a mare decenni di conquiste degli omosessuali sta diventando allarmante. In Italia, un assessore può dire pubblicamente che li vorrebbe tutti morti.
E la vicenda di Bibbiano si è parzialmente trasformata in una martellante campagna omofoba.
Non bisogna andare troppo lontani per sapere che la spensieratezza berlinese è meno diffusa anche in Europa.
Intanto, a Berlino, «il futuro è colorato», «abbasso il patriarcato », «l’amore è l’amore» sono gli slogan più visti mentre il corteo sfila accanto all’angelo di Wim Wenders.
Certo, c’è chi come la sedicenne Dagmar viene dalla provincia della Sassonia e non ha la fortuna di vivere in una delle città più tolleranti al mondo: «Sono qui con la mia compagna ma ho fatto coming out da poco», racconta.
E alla processione, che secondo stime prudenti ha visto sfilare un milione di donne, vecchi e bambini accanto ai trans, alle lesbiche o ai gay, c’erano le istituzioni e le grandi aziende, alcune avevano persino affittato dei carri come Siemens o le Ferrovie.
Nessun momento di tensione, niente esaltati che pregano con le croci tenute come spade ai bordi del corteo, come accade altrove, niente provocatori di destra.
Solo qualche malumore proprio per la presenza dei brand. Un cartello recita addirittura: «Il Pride è una protesta: celebriamo la comunità, non le multinazionali».
Ma se Commerzbank o Volkswagen sentono l’esigenza di esibire l’arcobaleno, l’accettazione è arrivata al centro della società. E forse è un traguardo, non un tradimento.
QUASI TUTTE LE FOTO CHE ABBIAMO PUBBLICATO SONO DELLA REUTERS E DI AXEL SCHMIDT
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L’unico che non sembra entusiasta è il cagnolino, forse perché non ha ancora capito che il Pride è la festa di tutte le minoranze oppresse, compresa quella degli animali.