Noi siamo il nostro cervello. Come pensiamo, soffriamo e amiamo
Dick ‘Ferdinand’ Swaab (born 17 December 1944) è un medico neurobiologo olandese (ricerca sul cervello ), professore all’università di Amsterdam
NEL 1980–FOTO
https://en.wikipedia.org/wiki/Dick_Swaab
REPUBBLICA.IT / IL VENERDI’ DEL 17 GENNAIO 2018
https://rep.repubblica.it/pwa/venerdi/2018/01/17/news/il_geniale_segreto_del_cervello-186665635/
il venerdì Scienza
Il geniale segreto del cervello
Dick Swaab, neurobiologo olandese nemico del politically correct, ora parla di creatività: frutto anzitutto del corredo genetico e dello sviluppo nell’utero, dice. Poi, si può fare poco
Noi siamo la mera manifestazione del nostro cervello. È la posizione di Dick Swaab, professore emerito di Neurobiologia all’Università di Amsterdam e al Max-Planck-Institut di Monaco e fondatore della Banca olandese del cervello, che dal 1985 raccoglie tessuti cerebrali per la ricerca clinica e neuropatologica. Lavoratore infaticabile, e per quasi trent’anni direttore dell’Istituto olandese di ricerca sul cervello, il neurobiologo è anche un inveterato polemista e un nemico del politically correct.
Nel suo bestseller Noi siamo il nostro cervello – tradotto in quindici Paesi, tra cui l’Italia (dove è uscito per Elliot nel 2011) – affermava che la depressione e l’impulsività possono essere determinate dalla vita che ha condotto nostra madre quando eravamo nell’utero, e che molte differenze di genere non dipendono dalla cultura ma da un cervello sessualmente differenziato, il che gli ha procurato la critica di “neurosessismo”. E non solo quella. Swaab, infatti, è solito trattare temi delicati come questi senza giri di parole, ma anche – e questo ha suscitato scalpore – senza citare gli studi di riferimento. Per qualcuno un azzardo. Per altri una scelta divulgativa del tutto legittima per chi ha alle spalle cinquant’anni di onorata carriera.
Il cervello creativo. Come l’uomo e il mondo si plasmano a vecenda
Il tempo di far calmare le acque e Swaab è tornato a colpire con un nuovo libro, Il cervello creativo (Castelvecchi), titolo con cui si riferisce non solo al cervello degli individui di talento, ma al cervello tout court, che dà agli esseri umani un’eccezionale capacità di plasmare l’ambiente, di adattarlo ai propri bisogni, di renderlo stimolante per sé e i propri simili. “Quante volte mi sono sentito dire: deve esserci qualcosa di più del cervello” racconta Swaab riferendosi alle polemiche sul suo libro precedente. “Ma se con questo si intende l’ambiente, ogni neuroscienziato sa che le funzioni cerebrali sono in costante interazione con l’ambiente, per cui questa critica non ha senso. L’uomo è esposto a due flussi di informazioni: uno proviene dal mondo esterno e l’altro dal cervello. Creare nuove combinazioni con il materiale fornito da questi due flussi è l’essenza della creatività. Ed è proprio questo immenso potere creativo del nostro cervello ad aver forgiato l’ambiente culturale in cui viviamo. Per cui è vero che l’ambiente influenza il cervello, ma è comunque il cervello il punto di partenza”.
Scopo del libro è chiarire meglio questa interazione, tenendo conto di una prima, fondamentale precisazione: l’ambiente non è solo quello sociale, ma anche e prima di tutto quello “chimico” che incontriamo nell’utero. Qui, attraverso lo scambio tra il cervello in formazione e sostanze di varia natura (nutritive, ormonali, chimiche) verrebbero fissati tratti determinanti della persona. Il livello di aggressività, lo schema corporeo (l’immagine che abbiamo del nostro corpo e della sua posizione nello spazio), persino l’identità di genere (la sensazione di essere uomo o donna). “Anche l’orientamento sessuale” sostiene Swaab “viene fissato in modo permanente nelle strutture cerebrali prima della nascita. Durante questo periodo, oltre ai geni, possono svolgere un ruolo anche fattori ambientali, come un forte stress della donna durante la gravidanza, e le sostanze chimiche, come il fumo”. L’ambiente sociale, invece, non avrebbe alcun peso (l’insistenza su questo punto ha reso Swaab una sorta di icona dei diritti gay).
Rispetto ad altre caratteristiche dell’individuo Swaab attribuisce invece un ruolo centrale ai geni. Il quoziente intellettivo di un adulto, per esempio, sarebbe determinato geneticamente per oltre l’80 per cento e questa percentuale risulterebbe più evidente con l’età, probabilmente perché all’inizio della vita risulta più forte il peso delle esperienze cognitive stimolanti esterne, ma poi queste vengono selezionate dall’individuo stesso, lasciando emergere il suo retroterra genetico nelle abilità d’apprendimento.
E la creatività, quella vera? Sul suo proverbiale rapporto con la vulnerabilità psichiatrica secondo Swaab c’è ancora molto da indagare. “Se si studiano le persone creative come gruppo a parte” dice “quelle più dotate corrono in effetti maggiori rischi di sviluppare una malattia psichiatrica. Se però si osserva l’intera popolazione, i creativi godono di una salute mentale migliore rispetto agli altri”. Dagli studi emergerebbe inoltre che gli scienziati geniali sono quelli che presentano meno psicopatologie, i filosofi quelli che ne hanno di più, mentre i compositori si collocano tra i due gruppi. La creatività artistica si associa più spesso a disturbi dell’umore di tipo maniacale ed euforico, quella scientifica al tipo depressivo.
Quanto alla relazione con l’intelligenza, secondo Swaab gli studi dicono che la creatività, pur non esaurendosi con il QI, richiede comunque un quoziente intellettivo elevato, pari a circa 120. L’esercizio invece non servirebbe a granché: Swaab cita in proposito una recente meta-analisi effettuata su un campione di undicimila persone da cui è risultato che, nelle prestazioni professionali, l’esercizio spiegava meno dell’uno per cento delle differenze tra i soggetti. Il talento, quindi, dipenderebbe soprattutto dalla dotazione genetica e dallo sviluppo cerebrale iniziale; la pratica poi farebbe sì che la struttura del cervello si adatti all’attività esercitata. Per alcune professioni, come quella del matematico, sembrerebbe valere quasi esclusivamente il talento. In altre, come il medico e l’architetto, l’esperienza avrebbe molta più importanza. La conclusione che si può trarre dalle ricerche sulla creatività, dice il neurobiologo, “è che si può esercitare con piacere la propria professione solo se si è scelto un campo che si accorda al modo in cui si è sviluppato il nostro cervello e in seguito lo si adatta ulteriormente al proprio lavoro”. Insomma se si segue la vocazione del proprio cervello creativo.