Ingeborg Bachmann, Klagenfurt, Austria 25/6/1926 – Roma 17/10/1973
Discorso ed epilogo
Non varcare le nostre labbra,
parola che semini il drago.
È vero, l’aria è soffocante,
luce schiuma di acidi e fermenti,
sulla palude nereggia un velo di zanzare.
Ama le bicchierate la cicuta.
È in mostra una pelle di gatto:
la serpe s’avventa soffiando,
lo scorpione inizia la danza.
Non raggiungere le nostre orecchie,
fama dell’altrui colpa:
parola, muori nella palude
da cui la pozzanghera sgorga.
Parola, stai al nostro fianco
tenera di pazienza
e d’impazienza.
Bisogna che questa semina abbia fine!
Non domerà la bestia
colui che ne imita il verso.
chi rivela segreti d’alcova,
rinunzia per sempre all’amore.
La parola bastarda serve al frizzo per immolare uno stolto.
Chi ti richiede un giudizio su questo straniero?
Se non richiesto lo formuli,
prosegui tu il suo cammino
da una nottata all’altra
con le sue pieghe ai piedi: va’!
e non ritornare.
Parola, sii nostra, libera, chiara, bella.
Certo dovrà avere fine ogni cautela.
(Il gambero si ritrae,
la talpa dorme troppo,
l’acqua dolce dissolve la calce,
che pietre ha filato).
Viene, benevolenza fatta di voci e d’aliti,
questa bocca fortifica
quando la nostra fralezza
ci inorridisce e inceppa.
Vieni e non ti negare,
poiché in conflitto siamo con tanto male.
Prima che sangue di drago protegga l’avversario
questa mano cadrà dentro il fuoco.
O mia parola, salvami!
(Trad.: M.T. Mandalari)
INGEBORG BACHMANN E PAUL CELAN
Paese di nebbia.
D’inverno sta la mia donna
tra gli animali del bosco.
Che all’alba io debbo tornare,
lo sa la volpe e ne ride.
Come tremano le nuvole! E cade
sul mio colletto di neve friabile
una lastra di ghiaccio…
D’inverno sta la mia donna
albero tra gli alberi,
e invita tra i suoi magnifici rami
cornacchie infelici. Sapendo
che il vento, alle luci dell’alba
solleva il suo vestito da sera
rigido e ricoperto di brina,
cacciandomi a casa…
D’inverno sta la mia donna
tra i pesci e senza parole.
Schiavo delle acque,
agitate dalle sue pinne,
sto a riva e contemplo,
come vira e si tuffa
finché il ghiaccio mi allontana…
E ancora colpito dal grido di caccia dell’uccello
che distende le sue ali, sopra di me,
stramazzo sul campo aperto:
lei sfila le penne al pollame
e mi lancia una bianca clavicola.
L’appendo al collo,
allontanadomi tra piume amare..
Infedele è la mia donna,lo so,
talvolta si libra alta sui tacchi in città,
bacia nei bar con la cannuccia
profondamente la bocca dei bicchieri
e trova parole per tutti.
Ma io non capisco questa lingua…
Paese di nebbia ho veduto,
cuore di nebbia ho mangiato.
di Ingeborg Bachmann
(Traduzione di Luigi Reitani)
INGEBORG BACHMANN
Al sole
Più bello della pregevole luna con la sua nobile luce,
Più bello delle stelle, illustri decorazioni della notte,
Molto più bello dell’infocato apparire di una cometa
E a cose assai più belle di tutti gli astri designato,
Poiché da lui ogni giorno la vita tua e la mia dipende, è il sole.
Bel sole, che sorge e non ha dimenticata né ultimata
L’opera sua, bellissimo d’estate, quando la giornata
Evapora dai litorali e le vele pendule a specchio dei tuoi occhi
Trascorrono, finché tu stanco ne dimezzi l’ultima.
Priva di sole, riprende il velo anche l’arte:
Tu non mi appari più, e il mare e la sabbia,
Flagellati dalle ombre, mi fuggono sotto le palpebre.
Bella luce, che dona calore e custodisce e meravigliosa
Provvede a ridonarmi la vista, a ridarmi la vista di te!
Cosa più bella sotto il sole non v’è che star sotto il sole…
Guardare il palo nell’acqua e, sopra, l’uccello
Che medita il volo, e sotto, i pesci a schiere,
Variopinti, ben fatti, venuti al mondo con una missione di luce;
E guardarsi intorno: il quadrato di un campo, il frastagliato
profilo del mio paese,
E l’abito che hai indossato. Il tuo abito, azzurro, a campana!
Il bell’azzurro, dove i pavoni passeggiano facendo riverenze,
Azzurro delle lontananze, delle regioni felici con i baleni
propizi al mio estro,
Azzurra incognita dell’orizzonte! E i miei occhi entusiasti,
Di nuovo si slargano e brillano, e perdutamente riardono.
Bel sole, cui la polvere deve l’ammirazione più alta,
Non per la luna né per le stelle, né perché la notte
Vogliosa di beffarmi sfoggia comete, ma per amore
Di te, all’infinito, e per null’altro al mondo, io farò
Lamento su l’ineluttabile perdita dei miei occhi.
INGERBORG BACHMANN
Malina
Ingeborg Bachmann
“Malina” è la storia di un abnorme triangolo amoroso e di un abnorme assassinio. Leggibile sui più diversi piani, immediato e insieme carico di riferimenti nascosti, quasi temerario nel toccare anche l’attualità più intrattabile o la più proibita realtà dei sentimenti, questo romanzo narra una storia che ha la massima concretezza, facendola però coincidere con un delirio segreto che appartiene a un’altra realtà, con una favola nera che un mondo visibile potrebbe difficilmente ospitare.
REPUBBLICA DEL 26 APRILE 2004
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/04/26/ingeborg-bachmann-le-nere-parole-di-un.html
Ingeborg bachmann e le nere parole di un mondo solitario
Ancora una volta Ingeborg Bachmann, la poetessa e scrittrice austriaca morta a Roma prematuramente nel 1973 e divenuta in breve un mito dei nostri tempi, ci sorprende con un’ opera per noi inedita, forse la più suggestiva, proveniente dalla raccolta di manoscritti conservata alla Nationalbibliothek di Vienna.
Si tratta di un centinaio di poesie, o meglio di abbozzi di poesie – «abbozzi di puro tempo», come scrive la Bachmann – , di un susseguirsi di schizzi, di frammenti che s’ interrompono bruscamente e che non di rado riprendono con varianti frasi e immagini usate in precedenza, ma che mostrano, al pari delle raccolte di versi più celebri, tutta la straordinaria, originalissima forza inventiva di questo «intelletto lirico» del Novecento.
Sono versi che l’ autrice compose tra il 1962 e il 1964; non erano destinati alla pubblicazione, ma, a distanza di quarant’ anni, si sono rivelati così intensi e così attuali da convincere gli stessi fratelli della Bachmann a darli alle stampe. Non conosco mondo migliore è una sorta di diario intimo sconvolgente in cui le passioni e l’ angoscia della solitudine trovano libero sfogo. C’ è tutta la Bachmann in queste liriche che hanno il fascino del non finito. C’ è la sua vena polemica e provocatoria e la condanna senza appello della società di oggi, che esplodono in composizioni come Ingresso nel partito («… Il comunismo rinuncia. / Il capitale di una crudeltà fruttifera / si contrappone al capitale di un dolore / in perdita… «) o in quella che descrive una città nel periodo natalizio «quando i pacchetti dei regali / cominciano a tremare / perché la mancanza d’ amore / se ne va per il mondo assieme all’ impazienza…». C’ è la paura di amare, il delirio di donna abbandonata che si strugge e si distrugge «piano e soavemente» – due avverbi che ritornano più volte in questa raccolta come temi musicali. C’ è l’ amara constatazione che «l’ ultima razione di felicità è esaurita» e che le parole sono ormai inadeguate a esprimere la nostra condizione di esseri umani. C’ è soprattutto, in questi versi postumi, la morte che domina incontrastata, leitmotiv della raccolta. Morte paventata e corteggiata, che si insinua insistentemente nei sogni e nei pensieri. «Continuare a morire, continuare a vivere»: questo è stato il dramma di una donna eccezionale che presentì il tragico epilogo della sua vita.
Ingeborg Bachmann – Non conosco mondo migliore – Guanda
pagg. 300 Euro 18,00
PAOLA SORGE
26 aprile 2004 sez.