CORRIERE DEL 28 NOVEMBRE 2020
CONTROLLI
Ristori, i truffatori che puntavano ai contributi del Covid: scovate irregolarità per oltre 240 milioni
Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini
ROMA Finora l’Agenzia delle Entrate, guidata da Ernesto Maria Ruffini, ha pagato 8,2 miliardi di euro di «ristori», cioè di contributi a fondo perduto, a 2,4 milioni di partite Iva. In media, 3.416 euro a testa, da un minimo di mille a un massimo di 150mila euro in base alla perdita di fatturato. Si tratta degli indennizzi previsti dal decreto legge Rilancio del 19 maggio e dal dl Ristori 1 del 28 ottobre, cui seguiranno i contributi dei dl Ristori 2 e 3 all’esame del Senato. Provvedimenti necessari, anche se spesso insufficienti, ad aiutare piccole imprese e lavoratori autonomi messi in ginocchio dalla pandemia. E nonostante l’Agenzia vanti di aver inviato i soldi sui conti correnti entro 2 settimane dalla domanda, non sono pochi coloro che lamentano ritardi o addirittura di non aver ricevuto nulla.
Il fatto è che ci sono circa 82 mila indennizzi bloccati, per un valore di 243 milioni, perché i controlli preventivi che l’Agenzia ha fatto su tutte le domande hanno portato alla luce irregolarità varie, dagli errori materiali alla mancanza dei requisiti, e purtroppo anche veri e propri sciacalli del bonus, come l’amministratore di condomini di una grande città del Nord che, nonostante fosse tra i «forfettari», cioè quelli che dichiarano meno di 65mila euro l’anno e godono della flat tax del 15%, ha avuto la sfrontatezza di dichiarare che ad aprile 2019 (il mese rispetto al quale si calcola la perdita ad aprile 2020) aveva fatturato più di un milione di euro, manco avesse gestito gli immobili di tutta la città, tentando di ottenere così l’indennizzo massimo di 150 mila euro. Ovviamente è stato bloccato. Ma non è l’unico “pentito della flat tax”.
I forfettari che si sono scoperti improvvisamente ricchi ad aprile 2019 sono «una delle casistiche ricorrenti» che ha fatto accendere il semaforo rosso nelle verifiche. Finora, sono 217 i casi di tentata frode scoperti incrociando i dati. Una minoranza, per fortuna, grazie soprattutto all’obbligo di fatturazione elettronica che taglia le ali a coloro che vorrebbero fare i furbi, sottolineano gli uomini di Ruffini. Nonostante ciò, sono ancora molti quelli che ci provano.
C’è per esempio una società di costruzioni nel casertano che ha gonfiato i ricavi di aprile 2019 emettendo a raffica fatture retrodatate appena appreso del decreto Rilancio. Allo stesso trucco è ricorsa un’impresa abruzzese, sempre del settore edile. Nel basso Lazio, invece, un’azienda immobiliare ha semplicemente riportato come dato di aprile 2019 il fatturato del primo trimestre, per aumentare così la perdita rispetto ad aprile 2020 e incassare un contributo più pesante. Forse questi imprenditori pensavano che i controlli sarebbero stati, come spesso avviene, a campione e successivi, tanto più che il governo aveva imposto di pagare subito, in due settimane. Invece, questa volta l’Agenzia ha incrociato i dati autocertificati in ogni domanda con quelli in suo possesso basati su liquidazioni Iva, fatturazione elettronica e altre informazioni presenti nell’anagrafe tributaria, bloccando i pagamenti quando i conti non tornavano. Ci sono però anche alcune centinaia di casi dove l’indennizzo è stato pagato, ma indagini successive, svolte con la guardia di Finanza, hanno portato alla luce truffe e sono quindi iniziate le procedure di recupero delle somme erogate.
Oltre ai falsi piccoli o pentiti della flat tax che dir si voglia, ci sono altre due casistiche frequenti emerse dai controlli incrociati, che chiameremo dei “fantasmi” e dei “recidivi”. I primi sono soggetti non operativi nel 2019 che però hanno trasmesso fatture datate aprile 2019, in pratica auto denunciandosi come evasori totali. I recidivi sono invece quei soggetti che rinunciano al contributo quando l’Agenzia chiede loro della documentazione, ma poi ripresentano l’istanza con dati aggiustati, ma di nuovo non rispondono alle richieste dell’Agenzia; insomma quelli che ci provano e ci riprovano. Fatto sta che finora sono 38mila le domande bloccate perché il richiedente non risulta aver presentato le comunicazioni periodiche e le dichiarazioni Iva nel 2019 e sono 25 mila le pratiche ferme perché i richiedenti non hanno la partita Iva oppure perché i dati non corrispondono a quelli in possesso dell’Agenzia, compreso il calo di fatturato di almeno il 33% ad aprile 2020 su aprile 2019.
Ci sono poi 19 mila casi che rientrano nello “scambio di soggetti”. Pratiche dove l’iban indicato non ha a che fare col richiedente, ma con una persona diversa. Per esempio, dei commercialisti hanno indicato nella domanda l’iban del proprio conto anziché quello del loro cliente che dovrebbe avere l’indennizzo. Un errore, una distrazione? Spesso, in questi casi, il ristoro viene chiesto a insaputa di quello che dovrebbe essere il destinatario, perché il consulente stesso non lo ha informato o perché per ragioni di salute o di età il potenziale beneficiario non si è interessato al contributo. Escamotage da commedia all’italiana, mentre migliaia e migliaia di piccoli imprenditori e lavoratori autonomi non sanno più come andare avanti.
La commedia all’italiana è tra i collanti della nostra Penisola. Mi pare però che, a differenza di periodi precedenti, l’Inps si sia agguerrita anche contro i falsi poveri
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