STEFANO VERGINE : Alberi, grande affare. I colossi li comprano per poter inquinare- IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 FEBBRAIO 2021  — è interessante, ma oltre al titolo non si segue molto di più—pazienza !

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 FEBBRAIO 2021 

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/22/alberi-grande-affare-i-colossi-li-comprano-per-poter-inquinare/6109120/

 

Alberi, grande affare. I colossi li comprano per poter inquinare

Alberi, grande affare. I colossi li comprano per poter inquinare

Sempre più compagnie acquistano titoli di “riforestazione” per poter emettere gas serra. È un mercato miliardario, ma spesso le foreste esistono già…

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di Stefano Vergine 

(Saronno, 1982) è un giornalista freelance. Ha collaborato con testate nazionali e straniere, occupandosi di economia, finanza e politica internazionale. Ha seguito la rivoluzione tunisina, da cui è nato il libro “La rabbia e la speranza” (Sperling & Kupfer 2012), ha contribuito alla realizzazione dell’inchiesta Panama Papers, premiata con il Pulitzer nel 2017.

2019

 

 

 

 

Giovedì 11 febbraio i futures dei crediti di carbonio sul mercato europeo hanno superato i 40 euro per tonnellata, il doppio rispetto a un anno fa. Il prezzo di questi particolari titoli finanziari non era mai stato così alto. Secondo gli esperti, il motivo principale riguarda la politica europea: la Commissione dovrà infatti presentare entro giugno le proposte legislative per raggiungere i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Per questo crescono i prezzi dei crediti di carbonio, in Europa come nel resto del mondo. Un incentivo in più per lo sviluppo di quello che sta diventando un nuovo affare: quello degli alberi. Perché chi li possiede può emettere crediti. E più il valore di questi ultimi sale, più aumentano i potenziali ricavi per chi ne è in possesso.

Il mercato dei crediti di carbonio si divide in due categorie: quello regolamentato e quello volontario.Il principale mercato regolamentato è quello dell’Ue, chiamato Ets, a cui partecipano oltre 11 mila aziende. Funziona così. L’impresa deve rispettare un limite alle emissioni prodotte: se lo supera è tenuta a pagare, e questo dovrebbe spingerla a inquinare meno. Nella pratica ogni anno l’azienda riceve (in parte gratis, in parte pagando) una quantità di crediti di carbonio: ogni titolo corrisponde alla possibilità di emettere una tonnellata equivalente di anidride carbonica. Se non vuole essere multata, alla fine di ogni anno l’impresa deve restituire un numero di crediti sufficienti a coprire le emissioni oltre il limite. Se però l’azienda ha inquinato più del previsto, può comprare i crediti mancanti da chi ne ha in eccesso. Attualmente gli alberi non fanno parte del mercato europeo, ma presto le cose potrebbero cambiare.

Lo ha detto Artur Runge-Metzger, capo del dipartimento della Commissione europea per le questioni climatiche: il primo passo da fare, ha spiegato nell’ottobre scorso a Euroactiv.com, è garantire che ogni tonnellata di Co2 nella foresta venga contata: “Se lo standard è abbastanza buono e si può essere certi che una tonnellata è una tonnellata, allora potremmo essere in grado di riconoscerli come quote di emissioni ai sensi dell’Ets”.

La certificazione della Co2 assorbita dalle foreste è alla base dei cosiddetti mercati volontari, quelli in cui gli alberi vengono già scambiati come crediti di carbonio. Ed è in questi mercati che il business degli alberi si sta sviluppando alla grande. Nel mondo sono ormai migliaia le aziende che promettono di ridurre le proprie emissioni. Nel solo 2020 si sono aggiunte alla lista Bp, Shell, Microsoft, Apple, Google, Facebook, Walmart. Di pari passo stanno aumentando i progetti di “riforestazione”.Perché ogni albero equivale a una quota di Co2 non emessa, e trasformabile in un credito di carbonio.

Lo dimostrano i casi di Blackrock, Jp Morgan e Disney. L’anno scorso i tre colossi hanno acquistato da The Nature Conservancy, la più grande associazione ecologista al mondo, crediti emessi sulla base di migliaia di alberi di cui l’ong è proprietaria. Il problema è che quelle piante “non sono mai state sotto minaccia: facevano già parte di foreste protette”, ha rivelato Bloomberg. L’operazione non ha insomma portato alla piantumazione di nuovi alberi, e questo è il punto più controverso della faccenda. La critica ha colpito anche Eni. Nel 2019, in anticipo rispetto a tanti concorrenti, l’azienda ha annunciato di voler “piantare” milioni di alberi in Africa salvo poi correggere il tiro per specificare che “conserverà foreste già esistenti”. Critiche a parte, resta il fatto che in questo modo la compagnia otterrà un sacco di crediti. L’obiettivo di Eni è avere, entro il 2050, titoli pari ad almeno 30 milioni di tonnellate di Co2 l’anno. Come detto, al momento i crediti da riforestazione possono essere scambiati solo sui mercati volontari, dove i prezzi vengono contrattati direttamente tra acquirente e venditore.

Per avere un’idea del potenziale valore finanziario dell’operazione di Eni si può considerare il prezzo attuale sul mercato europeo: 40 euro per tonnellata. Significa che entro il 2050 la società potrebbe avere ogni anno crediti di carbonio pari a 1,2 miliardi di euro. Al momento, dicono gli esperti, inquinare costa ancora meno che comprare un albero, ma la tendenza potrebbe presto invertirsi. Secondo Jonathan Baillie e Gregory Hess, manager di due delle più importanti società (Natural State e Tree Global) impegnate nella vendita di crediti da riforestazione, “i prezzi del carbonio aumenteranno in modo significativo e i crediti di carbonio forestale di alta qualità saranno presto molto più costosi”. Il fatto che molte compagnie petrolifere stiano facendo incetta di alberi in giro per il mondo fa pensare che la previsione potrebbe rivelarsi azzeccata.

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