CARLO VERDELLI : Cartabellotta (Gimbe): L’INTERVISTA :: «Falso che le chiusure siano inutili. Chi lo dice aiuta il virus, non il Paese» –CORRIERE.IT — 28 MARZO 2021

 

 

CORRIERE.IT — 28 MARZO 2021

https://www.corriere.it/politica/21_marzo_28/cartabellotta-gimbe-falso-che-chiusure-siano-inutili-chi-dice-aiuta-virus-non-paese-8f480cf8-8f38-11eb-a5c9-f2c86d18b040.shtml

 

 

L’INTERVISTA

Cartabellotta (Gimbe): «Falso che le chiusure siano inutili. Chi lo dice aiuta il virus, non il Paese»

Il presidente della fondazione e la difesa della «verità dei dati». «I vaccini una speranza. C’è diffidenza tra i giovani». «Se dopo Pasqua si riaprisse tutto, torneremmo alla casella di partenza»

di Carlo Verdelli

Cartabellotta (Gimbe): «Falso che le chiusure siano inutili. Chi lo dice aiuta il virus, non il Paese»
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NINO CARTABELLOTTA, FONDATORE DI GIMBE

Tutti hanno tutto l’interesse che questa piaga del virus scompaia. Ancora un ultimo miglio. Ancora un aprile con l’arcobaleno dei colori. E poi, tra vaccini e bel tempo, si torna a rivedere le stelle. Persino Mario Draghi, alla domanda se sia il caso di prenotare per le vacanze estive, ha usato un condizionale incoraggiante: io lo farei.
Lei lo farà?

«Capisco il senso del messaggio che ha voluto dare il premier: infondere ottimismo in un momento particolare della pandemia, mentre tra l’altro monta una preoccupante rabbia sociale, su cui stanno soffiando forze politiche che forse non hanno chiara la situazione sanitaria».

 

Non ha risposto, dottor Cartabellotta.

«Lavoro a Bologna ma sono nato a Palermo. Ho moglie, che è pediatra, e tre figli dai vent’anni in su. La domanda classica di questi tempi sarebbe: andiamo in Sicilia ad agosto? Sarebbe, ma adesso nessuno in famiglia se la sente di avanzarla. Penso a una frase di Nietzsche: le persone non vogliono ascoltare la verità perché preferiscono non vedere distrutte le loro illusioni».

Nino Cartabellotta, 56 anni, è un medico figlio di medico che il Covid ha trasformato in una autorità, e in parte anche in una celebrità. Compare in una cinquantina di programmi a settimana tra tv e radio, come presidente della fondazione Gimbe, che fornisce statistiche e analisi sul virus a governo, regioni, università, aziende, a chiunque insomma, pubblico o privato, anteponga la verità dei dati all’illusione di poterli ignorare.

La sigla Gimbe, nata nel 1996, sta per «Gruppo italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze», ed è un segmento multidisciplinare della scienza diventato indispensabile, specie nella babele provocata dal coronavirus: capire i numeri, studiare le curve, interpretare variabili e varianti, per meglio contrastare un nemico mondiale, senza lasciarsi incantare dalle sirene del «presto sarà tutto finito». Cartabellotta, che guida una squadra di 9 persone fisse più un’ottantina di collaboratori, sede a Bologna («città ideale, anche per raggiungere ogni parte d’Italia»; come diceva Edmondo Berselli, «è il Nord del Sud e il Sud del Nord»), non è virologo né un epidemiologo. È un gastroenterologo quasi per caso, nel senso che ha scelto quella specializzazione per seguire il professor Luigi Pagliaro, maestro della nuova metodologia clinica, quella che incrocia i saperi, che sa trarre il meglio dalle banche dati, che sfrutta le enormi potenzialità di calcolo e di previsione dell’era digitale. Scomparso di recente il pioniere (morte naturale per vecchiaia), il testimone della Medicina delle Evidenze è passato a lui.

Quali sono oggi le evidenze italiane?

«La seconda ondata sta effettivamente scendendo ma in maniera molto lenta e irregolare, mentre sta risalendo la terza. Il dato che preoccupa di più è il sovraccarico ospedaliero. Le terapie intensive sono salite dal 36 al 40 per cento, con punte del 60 in Lombardia e del 63 nelle Marche. La soglia sarebbe del 30 per cento. Superarla significa, oltre ad aumentare la possibilità di decessi, anche penalizzare i malati no Covid, cioè rimandare cure indispensabili. Ci vorranno ancora due o tre mesi per alleggerire questa congestione».

Quindi non siamo così vicini all’uscita dal tunnel?

«Lo eravamo all’inizio della scorsa estate, dopo il lockdown severo da marzo a maggio, quando fu adottata la strategia della soppressione del virus: a fine luglio 2020 rimanevano 41 pazienti in terapia intensiva e a quel punto si poteva tracciare, isolare, circoscrivere di molto il rischio di una ripresa pandemica. Purtroppo è andata diversamente e un’estate fuori controllo ci ha ripresentato il conto. La strategia che stiamo adottando in questi mesi, tenuto conto anche della stanchezza degli italiani, è quella della mitigazione, cioè delle regioni che cambiano colore a seconda degli indici di contagio. Ma è diverso dalle chiusure rigide. Anche nelle zone più esposte, il rosso è relativo, le città non sono vuote per niente, comunque funziona, a patto di non mollare troppo presto. Se dopo Pasqua si riaprisse tutto, torneremmo alla casella di partenza».

Eppure circola forte la speranza che stia per finire.

«È una speranza più che comprensibile ma irragionevole, alimentata da teorie antiscientifiche, coltivate per ragioni politiche. Non è vero, anzi è gravemente falso, che bastino le terapie domiciliari o che le norme restrittive siano inefficaci. È una narrazione pericolosa, che aiuta il virus ma non il Paese. Non c’è un interruttore con la funzione: stop Covid. E non c’è nessuno che possa dire quando finirà, quando si tornerà come prima. Mio fratello da ragazzo mi aveva soprannominato Cph, che programmi hai, un acronimo. Non lo userebbe più. È un tempo da vivere nel breve».

Però adesso ci sono i vaccini.

«Un’arma certamente potentissima, anche se non si sa con certezza quanto può durare la copertura: si stima tra gli 8 e i 9 mesi. Comunque, vaccinare il più in fretta possibile i fragili è un fattore che dà speranza. Immagini un mixer di quelli da discoteca: se si alza il volume dei vaccini, si può abbassare la necessità dei divieti. Un secondo fattore positivo è la stagionalità: all’aria aperta, le possibilità di contagio si abbassano. Non c’entra il caldo che ammazza il virus, una fesseria; meglio fuori che chiusi in casa, in modo da limitare le infezioni intra-familiari».

 

Draghi ha annunciato che il governo intende riaprire le scuole fino alla prima media subito dopo Pasqua. Lei ha conosciuto il nuovo premier?

«No, né lui né il suo predecessore Conte. In ogni caso, la decisione sulle scuole fa parte delle scelte che la politica può e deve fare. Però la coperta è corta. Se rimetti in circolazione qualche milione di bambini, cosa legittima, poi devi compensare il rischio di questa apertura con altre chiusure. Ma questo Draghi dimostra di saperlo molto bene. Per fare ripartire l’Italia, la prima condizione è sconfiggere la pandemia. Infatti si sta muovendo con tutta la sua influenza per fare blocco con l’Europa sul rifornimento dei vaccini».

 

Il piano annunciato dal generale Figliuolo prevede a regime 500 mila dosi al giorno entro l’estate, con il 70 per cento della popolazione vaccinata. Ce la si fa, secondo lei?

«Speriamo di sì. A patto che si verifichino due condizioni. Prima, che le forniture siano quelle stimate. Seconda, che gli italiani aderiscano in massa. Mi pare invece di avvertire, no vax a parte, delle fasce importanti di diffidenza, specie tra i giovani. Starei molto attento a loro, che sono una categoria che ha subìto nel profondo questo periodo di distanziamento sociale. Nei fondi previsti dal Recovery plan per il sistema sanitario, non c’è un euro di stanziamento per potenziare i servizi di sostegno psicologico e mentale per le ultime generazioni. È una mancanza che andrebbe colmata».

 

Alla fine come finisce?

«C’è un proverbio siciliano di buon auspicio. Un topo dice alla noce: dammi tempo che tra un po’ ti faccio il buchino. Ecco, il virus è la noce e noi siamo quel topo».

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1 risposta a CARLO VERDELLI : Cartabellotta (Gimbe): L’INTERVISTA :: «Falso che le chiusure siano inutili. Chi lo dice aiuta il virus, non il Paese» –CORRIERE.IT — 28 MARZO 2021

  1. i. scrive:

    Sì, la speranza che tutto finisca al più presto ce l’abbiamo tutti noi, ma non si può confondere la speranza con la realtà.

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