IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 MAGGIO 2022
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LA STRAGE DI CAPACI

DI ROBERTO SCARPINATO
ex magistrato, nel 1991 entra alla Procura di Palermo, partecipando al Pool Antimafia diretto da Falcone e Borsellino.
https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Scarpinato
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La realtà che abbiamo vissuto e sofferto con Giovanni e Paolo racconta che, diversamente da quanto si ripete nelle cerimonie ufficiali, il male di mafia non è affatto solo fuori di noi, è anche “tra noi”. Racconta che gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che sulla scena dei delitti si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati. Un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole e che affollano i migliori salotti: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei servizi segreti e della polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi apicali dell’economia e della finanza e molti altri. Tutte responsabilità penali certificate da sentenze definitive, costate lacrime e sangue, e tuttavia rimosse da una retorica pubblica e da un sistema dei media che, tranne poche eccezioni, illuminano a viva luce solo la faccia del pianeta mafioso abitata dalla mafia popolare, quella del racket e degli stupefacenti, elevando una parte a simbolo del tutto. (…)
In realtà il gorgo che ha inghiottito migliaia di vite chiama in causa quello che lucidamente Giovanni Falcone definiva “il gioco grande” del potere, di cui il sistema mafioso sin dall’Unità d’Italia è sempre stato importante coprotagonista, come dimostrano la lezione della storia, gli esiti di tanti processi, e come confermano, da ultimo, anche le indagini sulle stragi del 1992. (…) Indagini che, come quella sulla trattativa tra alcuni esponenti dello Stato e la mafia per porre fine alle stragi, hanno anche innescato una sorta di triste sagra di Stato degli smemorati di Collegno, intessuta di tanti “non ricordo”, di reciproche smentite, di rivelazioni parziali. (…)
Questa parte della storia che si è venuta sin qui tratteggiando è a sua volta contenuta, come all’interno di una matrioska, in una storia ancora più grande che coincide con quel gioco del potere a cui fa accenno Carlo Alberto dalla Chiesa e a cui si riferisce esplicitamente Falcone con l’espressione “gioco grande”. Lo Stato, infatti, non era privo di credibilità solo in Sicilia. Lo Stato non era credibile in tutto il Paese, perché significative componenti delle classi dirigenti che ne occupavano i centri nevralgici utilizzavano il potere pubblico in modo illegale e talora violento. Come è stato accertato con sentenza definitiva, erano uomini dello Stato (…) quelli che negli stessi anni avevano depistato le indagini della magistratura sulla strage alla stazione di Bologna consumata il 2 agosto 1980 e avevano coperto i reali esecutori materiali, alimentando una strategia della tensione che metterà in ginocchio la democrazia nel Paese.
Strategia della tensione che, non a caso, aveva avuto il suo incipit in Sicilia con la strage politico-mafiosa di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, anche quella contrassegnata da altri depistaggi di Stato, secondo un copione che sarà replicato poi nella strage di piazza Fontana e in altre ancora.
Lo Stato non era credibile perché centinaia dei suoi vertici facevano parte di una loggia massonica denominata P2, un centro di potere che costituiva una sorta di Stato segreto dentro quello ufficiale, e che gestiva leve fondamentali del potere pubblico. Lo Stato non era credibile perché in quegli stessi anni nei quali Falcone e Borsellino iniziavano la loro marcia, il cancro di Tangentopoli stava corrodendo dall’interno le fondamenta stesse della vita pubblica. (…)
Tutte queste storie sono declinazioni particolari di un’unica, grande storia che ha visto come protagonista la criminalità del potere, le cui varie componenti hanno spesso interagito tra loro sui diversi terreni della corruzione sistemica, della mafia e dello stragismo, tramite una miriade di vasi comunicanti che hanno fatto circolare lo stesso sangue infetto all’interno di un unico corpo malato.
Purtroppo Scarpinato ha ragione e coglie un sentimento che credo provino tanti italiani: una certa stanchezza verso le commemorazioni, anche se doverose. Il ricordo di tante persone, eroiche nel fare il proprio lavoro e delle vittime innocenti di tante stragi ci sembra insufficiente se non è accompagnato dalla ricerca della verità e dei veri responsabili. In questi giorni pensavo che l’uccisione di Borsellino, più ancora di quella di Falcone, era stata annunciata eppure non si è stati in grado, come Stato, di proteggerlo. Sembra quasi impossibile se non a forze superiori allo Stato.