Mauro Biani @maurobiani – 16.25 – 19 settembre 2022 — + Mauro Biani, 4/ 6 aprile 2019 + Il manifesto di quei giorni

 

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IL MANIFESTO DEL 6 APRILE 2019
https://ilmanifesto.it/torre-maura-oggi-antifascisti-in-piazza-corteo-di-casapound

 

Torre Maura, oggi antifascisti in piazza. Corteo di Casapound

 

A Torre Maura, dopo che gli ultimi Rom sono stati portati via dalla struttura di accoglienza assediata dagli abitanti in rivolta da martedì sera, è tornata la calma. Ma il […]

 

A Torre Maura, dopo che gli ultimi Rom sono stati portati via dalla struttura di accoglienza assediata dagli abitanti in rivolta da martedì sera, è tornata la calma. Ma il degrado è rimasto, come e forse più di prima. Forza Nuova ieri sera con una fiaccolata ha tentato l’ultimo spot prima di lasciare il quartiere al suo destino e spostare la protesta elettorale a Casalotti, periferia nord di Roma dove controllano il territorio molto più che a Torre Maura e dove alcune delle famiglie Rom sono state trasferite.

Stessa strategia quella di CasaPound che questa mattina alle 10 tornerà nel quartiere con un corteo che parte da via Piovanelli, a pochi metri dalla contromanifestazione organizzata dall’Anpi alla quale hanno aderito anche la Cgil, Libera e l’Arci. Le organizzazioni antifasciste hanno dato appuntamento a Piazzale delle Paradisee per un sit-in antirazzista – un tantino fuori tempo massimo, a dire il vero, evidentemente per difficoltà nei rapporti con il territorio e con gli abitanti in rivolta di Torre Maura.

Il sit-in è stato indetto con lo slogan «Non me sta bene che no», coniato da una delle frasi pronunciate dal 15enne Simone quando ha affrontato in perfetta solitudine, senza ideologie e con coraggio i neofascisti che per giorni hanno presidiato la struttura dove erano state segregate le famiglie Rom.

«Dopo tre giorni di follia a Torre Maura, la Cgil insieme ad altre realtà, che vanno da Libera all’Arci, ha deciso di manifestare in concomitanza con CasaPound, per affermare che il problema del quartiere non sono 70 persone ma l’assenza di servizi e di lavoro», ha spiegato Michele Azzola, segretario generale della Cgil Roma e Lazio.

Il Pd romano ha fatto appello al Questore affinché non autorizzi il corteo neofascista: «Chi calpesta ogni giorno la Costituzione e i valori di Roma antifascista non può continuare a marciare sulle ferite della nostra città».

Al sit-in antirazzista hanno aderito numerose organizzazioni e partiti. «Ci saremo – annuncia Simone Sapienza, segretario di Radicali Roma – anche per ricordare la delibera popolare Accogliamoci, con cui, prima ancora dello scandalo di Mafia Capitale, avevamo proposto, insieme a tante realtà che saranno presenti in piazza, una riforma totale dell’accoglienza e un piano preciso di superamento dei campi etnici e delle baraccopoli a Roma».

 

Torre Maura, i Rom trasferiti. I fascisti cavalcano la rabbia

PERIFERIE. L’amministrazione capitolina cede alle proteste e sposta le «famiglie fragili» in altri centri. La procura apre un’inchiesta sulle violenze scoppiate martedì sera nel quartiere romano

 

 

Torre Maura, i Rom trasferiti. I fascisti cavalcano la rabbia

La protesta di Torre Maura contro le famiglie Rom – LaPresse

 

Il bambino di cinque o sei anni trotterella dietro alla madre su via dei Codirossoni, a Torre Maura, finché non passa davanti al cancello del centro di accoglienza «Savi» dove da martedì sera sono asserragliate 77 persone di etnia Rom Khorakhané, compresi 33 bambini e alcune donne incinta. In un attimo, appena vede qualcuno uscire dalla struttura che fino a qualche mese fa accoglieva profughi africani, il bambino si ferma, fa la faccia cattiva, stende il braccio, punta l’indice e il dito medio uniti, il pollice dritto all’insù e… «pum». Qualcuno deve avergli insegnato il “gioco” dello sparare allo «zingaro».

Tute da ginnastica dai colori accecanti, ragazzini obesi, jeans strappati che mostrano calze a rete, nuche e tempie rasate, eloqui strascicati, croci celtiche e cristi sanguinanti tatuati in bella vista. «Questi da qui se ne devono anna’, sennò damo foco a tutto», ripetono davanti alla selva di microfoni e telecamere giunte sul posto dopo la rivolta di martedì sera. Le donne hanno piazzato alcune sedie davanti all’edificio – che cade a pezzi come tutti gli altri – per tenere d’occhio i nuovi “nemici”.

LA RABBIA è  a fior di pelle ma non è uno stato d’animo passeggero. Ed è comodo credere che sale solo perché fomentata dai fascisti di Casa Pound e Forza Nuova, che pure sono accorsi immediatamente per inzuppare il pane in questo amaro brodo.

La rabbia cresce insieme all’erba dei campi abbandonati tra questi stradoni di periferia dove la bella Roma è solo una cartolina esotica, si nutre del buio delle strade senza lampioni, della paura di attraversarle, degli autobus che non passano e della metropolitana appena aperta e già malfunzionante, del lavoro che non c’è, delle case popolari diroccate che nessuno ripara, dello spaccio che è l’unico sbocco, della scuola che è solo un vago e brutto ricordo, dell’eroina che lenisce i dolori. La rabbia è perciò l’unico orizzonte possibile.

E non si placa neppure quando i primi nove Rom vengono caricati sull’autobus del Comune per essere trasferiti di nuovo in qualche altro centro di accoglienza per persone fragili tenuto segreto. Calci al pullman, sputi, saluti romani e l’Inno d’Italia cantato a mo’ di coro da stadio. Esplode anche una bomba carta. A prendere l’iniziativa è solo una manciata di persone, una ventina di uomini, ma tutti gli altri assistono.

UNA DECISIONE, quella di spostare di nuovo queste «famiglie fragili», arrivata ieri mattina dopo un lungo vertice in Campidoglio durato fino a tarda notte. Mentre la procura apriva un’inchiesta sull’accaduto. Un provvedimento che cede ai ricatti dei rivoltosi anche se accompagnato da parole di condanna: «Non possiamo cedere all’odio razziale di chi continua a fomentare questo clima e continua a parlare alla pancia delle persone. E mi riferisco particolarmente a CasaPound e Forza Nuova – ha detto la sindaca Virginia Raggi – Sono intervenuta per evitare che la situazione degenerasse, per tutelare i tanti cittadini onesti di quel quartiere e i 33 bambini Rom che rischiavano la vita. C’era un clima molto pesante, di odio. La procura ha aperto un fascicolo proprio per odio razziale. Li stiamo ricollocando in altri centri di tutto il territorio cittadino perché il dovere dell’amministrazione è quello di tutelare la vita e l’incolumità delle persone».

A TORRE MAURA però si difendono come possono e sanno: «Questa è la discarica di tutto, e i razzisti siamo noi?», urla ai cronisti una donna. Eppure, anche se forse non ne sono consapevoli, xenofobi lo sono. Di sicuro, non adatti ad accogliere famiglie «fragili» da reinserire nella società. Malgrado ciò, in questo quadrante est di periferia romana, nel VI Municipio, – il più povero di Roma, con un reddito medio imponibile di 17 mila euro circa per ciascun residente, su una media di quasi 26 mila euro per ogni romano, secondo una recente indagine del Comune – sono stati dislocati 15 centri di accoglienza per richiedenti asilo sui 49 di tutta Roma.

In questo contesto, martedì sera l’estrema destra romana ha avuto gioco facile a far divampare le fiamme. La procura sta visionando i filmati girati dalla Digos quando alcuni presenti tra la folla hanno distrutto i pasti riservati ai Rom, hanno incendiato un paio di cassonetti, un camper parcheggiato nelle vicinanze appartenente ad un’altra famiglia Rom e l’auto di servizio della cooperativa che lavora all’interno della struttura d’accoglienza. «Se c’è un’indagine per istigazione all’odio razziale è una medaglia. Il razzismo qui è verso gli italiani», blatera Mauro Antonini, responsabile del Lazio per Casapound, arrivato sul posto nel pomeriggio.

IL PD INVECE attacca la sindaca: «Ancora una volta l’incapacità di governo del M5S ha messo a dura prova la tenuta sociale della nostra città. L’ennesima scelta calata dall’alto senza essere accompagnata e condivisa con il contesto sociale ha generato una giornata terribile per Roma», scrivono i dem romani in una nota dimenticando che una situazione simile si verificò anche nel 2014 nella vicina Tor Sapienza. Allora però, se non altro, il sindaco Ignazio Marino ebbe il coraggio di andare a prendersi gli insulti dei cittadini in rivolta, anche allora fomentati dai fascisti.

«I romani non sono intolleranti, né razzisti nei confronti dei Rom che, come ha opportunamente ricordato il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla, vivono numerosi in case private o alloggi di edilizia residenziale pubblica della zona – fa notare il deputato di +Europa Riccardo Magi – Quello che i romani non vogliono sono i campi e i “centri di raccolta Rom”: ghetti illegali e costosissimi che il Piano avviato dalla sindaca Raggi nel 2017 avrebbe dovuto chiudere e che invece vengono riproposti».

 

 

IL MANIFESTO DEL 4 APRILE 2019
https://ilmanifesto.it/torre-maura-peggio-dellalabama

 

Torre Maura peggio dell’Alabama

 

ROMA/ROM. Era meglio l’Alabama perché a Selma, Alabama, migliaia di cittadini marciarono a rischio della propria incolumità per opporsi alla segregazione e al razzismo mentre qui da noi siamo fermi, se va bene, alle parole e alle proteste rituali

 

vignetta di Mauro Biani

da :

 

A costo di ripetermi: era meglio l’Alabama. Quello che è successo a Torre Maura in questi giorni, coagulo massiccio di infiniti episodi sparpagliati in tutta Italia, è una specie di pogrom verso un popolo su cui già è stata sperimentata la «soluzione finale». La distruzione del cibo destinato a famiglie e bambini Rom – «dovete morire di fame» – non è solo un gesto simbolico ma anche un passo concreto verso la loro estinzione.

Come additarli tutti come ladri, solo per appartenenza etnica, solo perché Rom. Era meglio l’Alabama perché a Selma, Alabama, migliaia di cittadini marciarono a rischio della propria incolumità per opporsi alla segregazione e al razzismo mentre qui da noi siamo fermi, se va bene, alle parole e alle proteste rituali.

Era meglio l’Alabama perché, con tante esitazioni e tanti compromessi, comunque alla fine il ministro della giustizia e il governo degli Stati Uniti spedirono la Guardia Nazionale e l’Fbi a dare un minimo di protezione ai diritti civili. Anche da noi ci vorrebbe la Guardia nazionale a Torre Maura e altrove per imporre la legalità. Ma da noi il governo, e i suoi patetici ministri, quello degli interni ma anche quello della giustizia, stanno dall’altra parte.

Le forze dell’ordine costituito caricano, manganellano, arrestano i manifestanti No-Tav, gli antifascisti a Padova, e persino la massa critica dei ciclisti a Torino, mentre non ho mai sentito che nessuno dei «cittadini indignati» che aggrediscono, picchiano, distruggono come a Torre Maura sia stato mai in qualche modo infastidito. Il Comune di Roma si indigna, e cede, dandola vinta ai violenti e ai razzisti: la legalità vale solo per sfrattare i centri sociali, i circoli culturali indipendenti, e la Casa Internazionale delle Donne. Casa Pound naturalmente non si tocca.

La scusa, o almeno l’attenuante, invocata sempre in questi casi, anche a «sinistra», è che le cose sono «più complesse» e che gli aggressori non sono proprio «razzisti, ma…» danno voce a un malessere e un disagio reali delle periferie e reagiscono a decisioni prese senza consultarli (in questo caso, spostare le famiglie Rom di cinquecento metri: nel territorio c’erano già). Sappiamo da sempre che «non sono razzista, ma…» è la formula auto assolutoria del razzismo italiano.

Il malessere delle periferie è vero ma c’entra fino a un certo punto. Ci sono state aggressioni fasciste pure quando don Luigi Di Liegro provò a portare i malati di Aids in una casa famiglia a Villa Glori, in pieno quartiere Parioli; e comunque non è che le periferie e le borgate siano mai state paradisi in terra. Emarginazione, sfruttamento, disagio ci sono da tempo, e la sola novità è la forma che prende oggi la protesta.

Torre Maura è stato uno dei luoghi di maggiore presenza politica e organizzata del Manifesto all’inizio degli anni ’70: una delle prime assemblee cittadine se non la prima, la tenemmo in un locale della borgata, ed era di Torre Maura il compagno Lello Casagrande, primo militante del Manifesto arrestato a Roma. I fascisti c’erano già, e tanti; ma c’erano anche i comunisti, e persino i cattolici: la periferia non era «abbandonata» perché prendeva in mano il proprio destino, si sentiva protagonista.

Se mancavano i servizi, il quartiere si mobilitava in solidarietà per provare a conquistarseli, non covava passivamente una rabbia da rivolgere non verso i responsabili del disagio ma verso gente che sta ancora peggio. Oggi a «sinistra» sentiamo ripetere che «dobbiamo andare» nelle periferie: come se potessero essere solo destinatarie di un discorso calato dall’alto ed emanato dal centro. Non dimenticherò mai il nostro Aldo Natoli che raccontava come invece dovessero essere, e spesso fossero, le periferie e le borgate a invadere il centro. E comunque noi non facciamo veramente né l’uno né l’altro.

Qualche anno fa, quando il mio quartiere di Roma Nord si mobilitò contro il trasferimento in zona di un piccolo nucleo di Rom, una compagna della sezione di Ottavia mi disse: «Questo non è razzismo, è cattiveria». È pura e inutile ferocia calpestare il cibo. Ha ragione Marco Revelli quando dice che «quella che stiamo vivendo oggi è un’emergenza psicotica». “L’Italia l’è malada,” cantavano mondine e braccianti a cavallo del ‘900, e “Sartori l’è ‘l dutur”.

Adesso di «dottori» come Eugenio Sartori, un antico organizzatore di società di mutuo soccorso, non se ne vede neanche l’ombra. E anche io, tutto sommato, non ho altro che parole.

 

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