grazie a Donatella e a Franchino ! — +++ RAIPLAY.IT — FILM : ” THE POST ” DI STEVEN SPIELBERG ( 2017 ) — Meryl Streep, Tom Hanks ed altri – FILM SULLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE

 

RAIPLAY.IT — FILM : THE POST

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Un thriller politico con Meryl Streep e Tom Hanks

The Post

2018 USA Drammatico 111 min
Nel giugno del 1971, il New York Times, il Washington Post e gli altri principali quotidiani degli Stati Uniti prendono una coraggiosa posizione in favore della libertà di espressione, informando l’opinione pubblica sui documenti del pentagono e rivelando segreti governativi inerenti a quattro decenni di storia e presidenza americane.

  • Regia: Steven Spielberg

  • Interpreti: Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Tracy Letts, Bradley Whitford

 

Daniel Ellsberg, americano - Il Tascabile

Daniel Ellsberg (Chicago7 aprile 1931) è un economistaattivista ed ex analista militare statunitense.

La pellicola narra la vicenda della pubblicazione dei Pentagon Papers, documenti top secret del dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America, prima sul New York Times e poi sul Washington Post nel 1971.

Al centro di The Post è la storia di Daniel  Ellsberg e dei “Pentagon Papers “.

 

 

LA STORIA RACCONTATA DA ”  IL TASCABILE “, LINK AL FONDO::

 

I “Pentagon Papers” erano un dossier di settemila pagine raccolte sotto il titolo di History of United States Decision-Making Process on Vietnam Policy, 1945-1967, documenti a cui Ellsberg aveva avuto accesso per via del suo lavoro di analista presso la Rand. Quei documenti, all’epoca non disponibili al pubblico (lo sono dal 2011), raccontavano una guerra diversa da quella delle fonti ufficiali, in nessun modo prossima a concludersi, una versione in contraddizione con  quella, molto più ottimista, venduta agli americani dal governo. Parlavano di una guerra che il grande stratega del Pentagono, Robert McNamara, Segretario alla Difesa sotto JFK e Lyndon Johnson, sapeva da tempo di non poter vincere, così come da tempo era al corrente della futilità di mandare altre giovani americani a morire nell’umida giungla vietnamita, ed eppure aveva continuato a combattere per una miope teoria del contenimento dell’influenza cinese. Parlavano di una guerra in cui il morale dei soldati americani era ormai giunto ai minimi storici, con conseguenti condotte moralmente reprensibili come il famoso massacro di My Lai, e della decisione dei vertici militari statunitensi di ignorare sistematicamente tutti i segnali e le informazioni in merito.

Ellsberg passò diverse notti estenuanti a fotocopiare i documenti originali con una Xerox 914, aiutato dal collega Tony Russo, per evitare che il sequestro o la distruzione dell’unica copia realizzata potesse coincidere con la fine del leak. Ellsberg tentò prima la via istituzionale, bussando alle porti di diversi uffici di senatori e altri membri dell’Amministrazione Nixon, compreso quello di Henry Kissinger, al tempo consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Nessuno gli diede ascolto: un destino simile a quello di Snowden e Manning, che non ottennero alcuna risposta quando provarono a portare le loro rimostranze ai piani alti delle rispettive organizzazioni.

La porta successiva a cui bussare, per Ellsberg, fu quindi quella della redazione del New York Times, che spostò immediatamente i Papers e i giornalisti che ci avrebbero lavorato in un luogo segreto per motivi di sicurezza, una stanza dell’Hotel Hilton. Da lì, fu tutta un’escalation. Dopo le prime tre parti di inchiesta pubblicate dal quotidiano, “l’Attorney General John Mitchell mandò una lettera al New York Times chiedendo la sospensione delle pubblicazioni e la consegna della copia dello studio”, scrive Ellsberg in Secrets, la sua autobiografia, ricordando i giorni della pubblicazione, il Times si rifiutò e lo stesso pomeriggio il Dipartimento di Giustizia mandò una richiesta per un’ingiunzione, la prima nella Storia del nostro Paese, in un tribunale federale di New York”.

L’Amministrazione Nixon, in sostanza, cercava di bloccare la pubblicazione dei “Pentagon Papers”, impedendo al New York Times di andare in edicola: “Per la prima volta dai tempi della Rivoluzione, alle rotative di un giornale americano era stato impedito dall’ordine di un tribunale di stampare una storia programmata”, scrive ancora Ellsberg. Come se il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti fosse stato temporaneamente sospeso. Passarono quasi tre settimane prima della cancellazione dell’ingiunzione, ottenuta davanti alla Corte Suprema, ma nel frattempo il Washington Post di Ben Bradlee era già entrato in possesso dei “Pentagon Papers”, di nuovo grazie a Ellsberg. E questa è la storia che Spielberg ha scelto di raccontare nel suo ultimo film.

Ellsberg fu immediatamente incriminato, dopo essersi presentato spontaneamente alle autorità autodenunciandosi come responsabile della fuga di notizie. Capi di imputazione: furto, cospirazione e spionaggio, ai sensi dell’Espionage Act, una legge del 1917 pensata per colpire i traditori del primo conflitto mondiale, ma che diventava così un’arma nelle mani del Governo contro i whistleblower. Nixon l’ha impugnata per la prima volta contro Ellsberg nel 1971, ma anche le due amministrazioni Obama hanno usato la legge contro otto persone, comprese Snowden e Manning. Con Trump, la stessa sorte è già toccata a Reality Winner, classe 1992, accusata di aver passato a The Intercept dei documenti segreti relativi al Russiagate.

Ellsberg venne infine scagionato, in un verdetto che decretò il trionfo del Primo Emendamento e della libertà di stampa, attestando il suo status di whistleblower al servizio dell’interesse pubblico e cancellando l’onta di essere considerato una spia nemica del proprio Paese. La verità, però, è più sfumata: a decidere le sorti legali di Daniel Ellsberg furono più che altro le diverse attività illegittime compiute contro di lui dal Governo durante il processo, comprese intercettazioni illegali e la perquisizione non autorizzata dell’ufficio dello psichiatra di Ellsberg. Responsabili di queste attività erano i Plumbers di Richard Nixon, un’unità d’investigazione segreta della Casa Bianca il cui obiettivo era proprio svolgere indagini illegali per conto del team presidenziale. I Plumbers sono passati alla storia soprattutto per essere stati i responsabili dell’irruzione negli uffici del Democratic National Committee (DNC) a Washington, presso il complesso di edifici Watergate, un caso che sarebbe costato a Nixon la Presidenza.

A 87 anni compiuti, Daniel Ellsberg ha pubblicato lo scorso anno il suo nuovo libro, il più complesso. The Doomsday Machine. Confessions of a Nuclear War Planner (Bloomsbury) è un corposo libro di memorie in cui l’autore racconta il contenuto di altri documenti, sempre da lui sottratti e mai resi pubblici, dedicati al programma nucleare Usa degli anni 60. La verità è che dall’autunno del 1969 al momento in cui lasciai la Rand nell’agosto del 1970, ho copiato qualsiasi cosa fosse nella cassaforte top secret nel mio ufficio”, scrive Ellsberg, “le settemila pagine dei Pentagon Papers erano solo una parte”.

 

DA : E ALTRO NEL LINK :

IL TASCABILE — 27-02-2018

Daniel Ellsberg, americano

 

 

Trama

Vietnam, 1966: i soldati americani si trovano in una situazione estremamente precaria e risultano svantaggiati sul campo di battaglia. Questa fase di stasi è documentata dall’analista militare Daniel Ellsberg per conto del segretario della Difesa Robert McNamara. Sul volo di ritorno verso l’America, Ellsberg rivela a McNamara e al presidente Lyndon B. Johnson che, a suo parere, la situazione bellica in Vietnam è rimasta sostanzialmente invariata dall’inizio della guerra. Intervistato da numerosi giornalisti, McNamara tuttavia mente, dicendo che sono stati compiuti numerosi progressi e di essere estremamente fiducioso riguardo all’esito della guerra. In seguito Ellsberg, lavorando alla RAND Corporation e avendo accesso a svariato materiale riservato, decide di fotocopiare tutti i documenti top secret legati alla guerra del Vietnam, a partire dalla presidenza Truman, e di consegnarli al New York Times affinché li possano pubblicare.

Nel 1971 Katharine Graham, divenuta proprietaria del Post dopo la morte di suo padre e il suicidio del marito nel 1963, cerca di equilibrare al meglio la vita sociale con gli impegni lavorativi e con le difficoltà finanziarie che la costringono a quotare l’azienda in borsa. Oltre a ciò, le sue decisioni non sono talvolta tenute in considerazione dal membro del consiglio Arthur Parsons e dal caporedattore Ben Bradlee. In particolare quest’ultimo, insospettito da alcune voci, cerca di scoprire cosa abbia intenzione di pubblicare il New York Times; nel frattempo McNamara, amico di lunga data della Graham, le rivela che sarebbe stato pubblicato un articolo poco lusinghiero nei propri confronti sullo stesso giornale. Il 13 giugno 1971, quattro mesi dopo aver ricevuto i documenti, il New York Times ne inizia la pubblicazione: tutto ciò scatena nel paese un’ondata di proteste e un gigantesco scandalo, legato appunto ai Pentagon Papers. Il giornale, su input dell’amministrazione Nixon, riceve però l’ingiunzione da un giudice federale di sospendere per un tempo limitato la pubblicazione, pena l’oltraggio alla corte.

Ben Bagdikian, redattore al Post, capisce che Ellsberg è stato la fonte dello scandalo e lo rintraccia, al fine di ottenere lo stesso materiale dato precedentemente al New York Times; l’incontro ha successo e il giorno seguente un gruppo di giornalisti del Post si trova a casa di Bradlee per consultare e ordinare i numerosissimi documenti ottenuti. Essi hanno tuttavia solo otto ore affinché il quotidiano possa andare in stampa. I legali del giornale sconsigliano fortemente alla Graham di pubblicare i documenti: se infatti fossero stati gli stessi ricevuti dal New York Times o comunque dalla loro stessa fonte, l’azione sarebbe stata classificata come oltraggio alla corte e ci sarebbero stati risvolti penali. D’altro canto, se l’operazione avesse avuto successo, il Post avrebbe estremamente aumentato la sua popolarità e sarebbe entrato nel novero dei grandi giornali americani. La notte del 17 giugno la Graham, seppur inizialmente incerta, decide comunque di rischiare e di pubblicare i documenti.

Il giorno seguente un rappresentante della Casa Bianca telefona al Post, chiedendo di sospendere la pubblicazione e di consegnare tutti i documenti legati al Vietnam in loro possesso. Poiché Bradlee rifiuta, l’uomo lo informa che lo citerà in giudizio. I membri del Post sono così convocati in tribunale insieme a quelli del New York Times, tuttavia la corte ingiunge solo a questi ultimi di sospendere le pubblicazioni, mentre non rilascia alcuna sanzione per il Post. Pochi giorni dopo viene emessa la sentenza della Corte suprema, la quale, con un verdetto di 6 a 3, assolve il New York Times e il Post, motivando la decisione con il fatto che la stampa non è destinata a servire coloro che governano, bensì quelli che sono governati. Nel frattempo numerosi altri giornali, seguendo l’esempio del New York Times e del Post, avevano iniziato anch’essi – come segno di solidarietà – la pubblicazione dei Pentagon Papers. Il presidente Richard Nixon, furibondo, ordina che ogni giornalista del Post venga bandito dalla Casa Bianca e da ogni evento a essa collegato.

Nella scena finale, ambientata un anno dopo, una guardia di sorveglianza scopre del nastro adesivo sulla porta di uno degli uffici della sede del comitato nazionale democratico, posta negli uffici Watergate: ciò è l’inizio dell’omonimo scandalo, che in seguito avrebbe costretto lo stesso Nixon all’impeachment e alle conseguenti dimissioni.

 

Riconoscimenti

 

TRAMA E RICONOSCIMENTI DA :
https://it.wikipedia.org/wiki/The_Post

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1 risposta a grazie a Donatella e a Franchino ! — +++ RAIPLAY.IT — FILM : ” THE POST ” DI STEVEN SPIELBERG ( 2017 ) — Meryl Streep, Tom Hanks ed altri – FILM SULLA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE

  1. DONATELLA scrive:

    Un film molto bello, che fa risaltare il dramma e il coraggio di un certo giornalismo, che ha come fine la libertà d’informazione, vero pilastro della democrazia.

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