ANSA.IT — 15 MAGGIO 2023 –https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2023/05/15/il-dna-umano-e-ovunque-dai-fiumi-allaria-di-una-scena-del-crimine-_fd9219da-8928-439b-ab1a-8e40c82ad803.html
Il Dna umano è ovunque, dai fiumi all’aria di una scena del crimine.
Si può isolare, ma si aprono problemi etici
Fialette da laboratorio
Il Dna umano è ovunque, dall’acqua dei fiumi al terreno fino all’aria, compresa quella di una scena del crimine, e adesso ci sono le tecnologie per trovarlo nel Dna disperso nell’ambiente (il Dna ambientale), finora utilizzato per studiare la biodiversità.
La scoperta, realizzata da David Duffy dell’Università della Florida e pubblicata sulla rivista Nature Ecology & Evolution, dimostra le incredibili potenzialità delle nuove tecniche di analisi genetiche, ma apre anche importanti questioni etiche e legali sulla possibilità si essere controllati, una sorta di sorveglianza genetica.
La scoperta nasce dall’analisi del cosiddetto Dna ambientale, ossia il materiale genetico che può essere trovato nell’ambiente lasciato dalla presenza di animali e che fornisce importanti indicazioni per conoscere, ad esempio, quali specie si trovano in quel microambiente.
AGI.IT / SCIENZA / 17 Maggio 2023
https://www.agi.it/scienza/news/2023-05-17/dna_umano_si_trova_ovunque-21393902/
Il Dna umano è ovunque
A eccezione di un ruscello irlandese sulla cima di una montagna, i ricercatori dell’università della Florida hanno rilevato la presenza di materiale genetico umano in ogni ambiente esaminato
AGI – Dalle spiagge agli oceani fino alle zone fluviali e l’aria stessa, il Dna umano è presente in ogni ambiente della Terra. A dimostrarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution, condotto dagli scienziati dell’Università della Florida. Il team, guidato da David Duffy, ha esaminato diversi scenari alla ricerca di Dna umano. Il materiale genetico rilevato, riportano gli esperti, era presente in quantità così elevate che il gruppo di ricerca è stato in grado di identificare le mutazioni e l’ascendenza genetica degli individui a cui apparteneva.
Una gestione etica dei campioni di Dna, sottolineano gli autori, potrebbe rivelarsi utile in diversi campi di ricerca, che spaziano dalla medicina alle scienze ambientali fino all’archeologia e alla medicina legale. I detective potrebbero ad esempio identificare i resti genetici che permangono su una scena del crimine, mentre dalle acque reflue potrebbero essere individuati i marcatori del cancro.
Informazioni genetiche e dilemmi etici
Per rendere futuribili questi approcci, però, sarà necessario affrontare i dilemmi etici inerenti alla raccolta di informazioni genetiche umane. “Siamo rimasti sorpresi dalla quantità e dalla qualità del Dna che abbiamo individuato – riporta Duffy – nella maggior parte dei casi i dati erano paragonabili a quelli estratti da campioni prelevati da donatori in persona. Questo ci ha spinti a interrogarci sulle normative necessarie a regolamentare la raccolta di questi campioni”. Gli autori hanno utilizzato il Dna ambientale, o eDna, per studiare le tartarughe marine in via di estinzione e i tumori virali a cui sono suscettibili.
Il materiale genetico è stato estratto dalle impronte lasciate sulla sabbia dagli esemplari. Grazie alle moderne tecnologie di sequenziamento genetico, gli esperti hanno poi differenziato il materiale genetico degli animali da quello umano. I ricercatori hanno rilevato e analizzato DNA umano dall’oceano e dai fiumi adiacenti al Whitney Lab, nei pressi degli insediamenti urbani e nelle spiagge isolate. A eccezione di una zona di un’isola remota del National Park Service, mai visitata dall’umanità, e di un ruscello irlandese sulla cima di una montagna, gli autori hanno rilevato la presenza di materiale genetico umano in ogni scenario considerato.
“Ogni progresso tecnologico – commenta Duffy – è accompagnato da benefici e rischi. La possibilità di riconoscere un individuo dalla semplice ricostruzione del DNA umano in un ambiente solleva preoccupazioni in merito alla privacy e alla sicurezza. Abbiamo evidenziato queste problematiche affinché sia possibile delineare normazioni specifiche in tempi utili”.
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SUL eDna O DNA AMBIENTALE
kodàmi, 9 febbraio 2023
Importante passo in avanti con l’utilizzo del DNA ambientale: aiuta a studiare le specie problematiche
Una nuova tecnica proposta da una equipe giapponese permette di studiare anche le specie più problematiche da tutelare e osservare utilizzando il DNA ambientale
di Aurelio Sanguinetti
Monitorare la presenza e lo stato di salute degli animali è molto difficile, soprattutto quando la specie possiedono dimensioni ridotte e una popolazione molto piccola. Eppure è scopo e lavoro quotidiano di migliaia di biologi conservazionisti far sì che proprio queste specie, a volte tra le più vulnerabili e vicine all’estinzione, vengano studiate attentamente, per aiutarle a superare un potenziale momento di crisi.
Le difficoltà sono comunque all’ordine del giorno e a complicare ulteriormente la situazione c’è anche la necessità in questi casi di effettuare una fine indagine ecologica che non minacci ulteriormente queste specie. Fortunatamente, la moderna biotecnologia è corsa in soccorso dei vari biologi impegnati in progetti di conservazione e monitoraggio della fauna selvatica: dal Giappone è infatti arrivata un’interessante proposta che si è dimostrata utile nei confronti della fauna ittica di acqua dolce.
Uno studio dello scorso novembre, pubblicato su Landscape and Ecological Engineering, ha infatti dimostrato come l’uso del DNA ambientale (ossia il DNA disperso dalle diverse specie nell’ambiente) possa dimostrarsi utile per studiare anche le popolazioni più criptiche e piccole di un territorio. L’equipe giapponese che ha infatti proposto questa soluzione era interessata nel valutare lo stato di salute del Rhodeus atremius suigensis, un pesce estremamente minacciato che è stato designato già da diversi anni come una delle specie a rischio dal Ministero nazionale dell’Ambiente del Giappone.
In pratica, gli scienziati hanno sviluppato un sistema semi-quantitativo per tracciare R. a. suigensis utilizzando l’analisi del DNA ambientale (eDNA), tramite delle sequenze collegate a una sonda fluorescente che si andava a legare specificatamente per un particolare gene mitocondriale dell’animale liberato in natura.
L’uso della PCR (una tecnica di biologia molecolare) era ovviamene obbligatorio, ma più importante è stato il campionamento dell’acqua e il posizionamento delle trappole per pesci in 48 località diverse, presso un canale agricolo nel bacino del fiume Ashida, nella prefettura di Hiroshima.
Gli scienziati hanno così fatto uno studio statistico sulla relazione esistente tra la presenza di pesci effettivamente catturati (e poi liberati) e la concentrazione di eDNA che è stato possibile estrarre da ognuno delle 48 località, con il risultato che è stata dimostrata la correlazione fra la concentrazione di eDNA e la distribuzione e l’abbondanza di R. a. suigensis.
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E sempre più importante si sta dimostrando la tecnologia della biologia molecolare, che sempre più spesso è capace di carpire informazioni anche da un ridotte sequenze di DNA ambientale. Noi di Kodami ne avevamo già parlato diverse volte, illustrando alcune nuove applicazioni. Per esempio, nuovi protocolli permettono per esempio di studiare gli elefanti africani senza doverli sedare o di estrarre informazioni utili sulla fauna selvatica anche a partire dalla stessa aria. Che cosa poi dire della possibilità di studiare la foca monaca a partire dal DNA ambientale estratto dal mare?
Le prospettive di questo sistema sono dunque innumerevoli e hanno già dato prova di funzionare in diverse tipologie di habitat, dalle steppe selvagge fino alla savana africana.
Affascinante e inquietante questa scoperta.