Una nuova preistoria umana. Ipotesi inedite sull’origine della civiltà
Pendragon, 2019
Sono trascorsi circa cinquant’anni da quando Colin Renfrew affermava che le basi teoriche su cui abbiamo fondato lo studio della nostra preistoria non sono più sostenibili.
L’ipotesi dell‘origine kurganica nella famiglia indoeuropea, ad esempio, risulta oggi del tutto obsoleta, senza alcun sostegno né archeologico né mitologico né letterario. I testi scolastici rimangono però ancora prigionieri delle inutili e false interpretazioni sull’origine della civiltà. Con “Una nuova preistoria umana” gli autori esprimono il tentativo di aprire una via di interpretazione alternativa fondata su testimonianze concrete e supportate da molteplici documenti. Seguendo il filo conduttore di “Haou Nebout – I popoli del mare”, propongono un periplo attraverso culture e miti che affondano le radici in una preistoria “diversa” da come ci è stata presentata sino ad ora.
I fondamenti di questa ricerca provengono dall‘analisi di testi egizi sui quali era calato un velo oscuro: testimonianze incomprese, travisate, persino celate, quasi perdute, dalle quali emergono aspetti sorprendenti e troppo spesso dimenticati.
Gli Egizi parlavano di una civiltà proveniente da un mondo di isole esterne al Mediterraneo che a causa di eventi disastrosi – provocati dalla caduta di un astro celeste nell’Oceano – si vide costretta, con i suoi numerosi popoli, a una migrazione di massa nel Mediterraneo. Gli Egizi li chiamavano Haou-Nebout, come le isole da cui provenivano. Con il 1200 a.C., anno dell’invasione dei Popoli del Mare, ha inizio il collasso dell’Era del Bronzo.
Manuela — 18 dicembre 2020
Le ipotesi degli autori sui Popoli del mare sono appassionanti e stupisce che gli archeologi abbiano sottovalutato importanti documenti che parlavano molto esplicitamente dell’esistenza di popoli di provenienza atlantica che commerciavano già all’epoca delle prime dinastie con il regno egiziano. Molto interessante l’identificazione del Monte Atlante col vulcano Teide, così come gli accenni alla vasta area oggi sommersa chiamata Doggerland, che univa le isole britanniche al continente. Quello che spiace è che non compaiano approfondimenti nè di geologia, nè di genetica (l’analisi sul DNA della mummia di Tut sembrerebbe confermare la presenza di aplotipi iberici) e che la metà del libro sia l’esatta ripetizione (stesse foto e ohimè stessi testi) dell’opera precedente scritta a quattro mani da Berni e Chiappelli. Speriamo che il prossimo volume non ripeta con le stesse parole i medesimi concetti.
Una nuova preistoria umana (vol.2)
Pendragon, 2023
Nel 1982, di fronte alle odierne coste occidentali della Turchia, venne ritrovato un relitto del XIII-XIV secolo. Ciò che è straordinario della cosiddetta “nave di Uluburun” è il suo carico: tonnellate di materiali pregiati che, secondo gli studiosi, sarebbero dovuti provenire da almeno sette paesi diversi sparsi in tutto il Mediterraneo – qualcosa di inconcepibile per l’epoca. Ma se fossero arrivati, invece, da un unico luogo? E che dire della prodigiosa scoperta del professor Saburo Sugiyama, direttore degli scavi di Teotihuacan dal 1998 al 2004, che ha calcolato in 83 centimetri l’unità di misura utilizzata dai costruttori di quel sito? Poco più degli 82,966 che Alexander Thom attribuì alla cosiddetta “iarda megalitica”, unità di misura utilizzata nella costruzione di siti megalitici dal Marocco alla Finlandia. Si tratta solo di un’incredibile coincidenza o vi fu un tramite tra le due sponde atlantiche che le portò dunque a comunicare ben prima della nascita di Cristo? Si può in questo caso parlare di un vero e proprio paleo-contatto? Potrebbero essere state quelle Isole del Grande Verde – citate dagli Egizi come luogo di provenienza di una civiltà esterna al Mediterraneo – il “ponte” tra civiltà pre-colombiana e civiltà mediterranea?
Riprendendo il loro studio sui Popoli del Mare iniziato con Haou-Nebout (2008) e proseguito con il primo volume di Una nuova preistoria umana (2019), Berni e Longhena aprono nuovi interrogativi e, grazie a un ampio utilizzo di fonti accreditate, danno nuove risposte.
Archeologia e linguaggio
Colin Renfrew
LATERZA, 1999
NOTA–
COLIN RENFREW
Colin Renfrew (Stockton-on-Tees, 25 luglio 1937) è un archeologo britannico.
Può essere considerato una delle più eminenti personalità dell’archeologia mondiale. Tra i maggiori esponenti della new archaeology, ha elaborato originali metodologie per lo più applicate allo studio della preistoria europea e ha contribuito a confutare, in tale ambito, la teoria della diffusione. È noto soprattutto per gli scavi nelle località preistoriche di Sáliagos (Antiparo), Sítagroi (Macedonia), Philakòpi (Melo), Quanterness (nelle is. Orcadi in Scozia).
Nella sua definizione di cultura R. dà ampio spazio allo studio e alla considerazione dell’ambiente: l’ambiente non è statico, ha carattere multidimensionale e può essere definito, in rapporto all’attività umana, “un amalgama di manufatti”. L’interazione uomo-ambiente è sempre costante e la civiltà può essere vista come creazione da parte dell’uomo di un ambiente artificiale sempre più complesso, causa a sua volta di un progressivo isolamento dal mondo della natura.
DA :
NEL LINK LE OPERE DAL TITOLO IN INGLESE
TRECCANI —https://www.treccani.it/enciclopedia/colin-renfrew/
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I POPOLI DEL MARE
Haou-Nebout. I popoli del mare
La nascita e lo sviluppo della civiltà dell’uomo hanno da sempre esercitato un fascino profondo e una curiosità difficile da appagare. Da dove giunsero i minoici, i troiani, i micenei? Da dove gli etruschi e tutti i popoli italici pre-romani, da dove ancora arrivarono i filistei, i frigi o gli indo-iranici e gli ario-vedici o gli stessi egizi? La storia dell’uomo dalla fine della glaciazione al 1000 a.C. appare come un mosaico, nel quale la ricostruzione storiografica solo in piccoli tratti riesce a mostrarci il vero volto del nostro passato. A partire dallo studio del significato del termine “Haou-nebout”, con cui gli egizi identificavano un misterioso universo di isole densamente popolate proiettate nel cuore dell’Oceano, esaminando con cura tutte le fonti a disposizione, gli autori analizzano i vari contesti allo scopo di evidenziarne le contraddizioni e provocare nuovi interrogativi. Tra i tanti pregiudizi che è necessario eliminare c’è soprattutto quello legato alla capacità di navigazione nella preistoria: questo studio è volto a conferire al mare e ai suoi popoli un ruolo da protagonista nella nascita della civiltà.
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DA : STORIA E DINTORNI
I popoli del mare
by
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Nel 1200 a.C. genti indoeuropee particolarmente bellicose gettarono scompiglio in tutto il Mediterraneo orientale, sancendo il declino delle civiltà che fino allora avevano prosperato.
Furono chiamati “popoli del mare”, e non v’è dubbio che solcassero questo mare interno, fossero valenti marinai e avessero efficienti imbarcazioni.
Alcune fonti egizie indicano queste genti come provenienti da Haou-Nebout e Antonio Crasto (NOTA 1 al fondo ) ritiene che il termine sia da tradurre come “I signori delle isole”, cioè le isole dell’Egeo. Altri studiosi credono di poter attribuire a Haou-Nebout il significato di madrepatria dei popoli del mare, provenienti dal “Grande Verde” (mare universale), che Pierluigi Montalbano ( nota 2 ) definisce come “…un vasto spazio abitato da un insieme di razze con cui gli egizi ebbero intensi rapporti.”
Fu una grande dispersione di uomini che pose termine anche all’Età del bronzo, poiché introdussero la metallurgia.
Ancor oggi con questo termine generico s’intende un insieme di popolazioni, non sappiamo con quale grado di omogeneità, forse una confederazione, tra cui vanno ricordati almeno gli Achei, i Filistei, gli Etruschi, i Sardi e i Siculi.
Individuare un luogo d’origine per i popoli del mare, che alcuni identificano anche nei Pelasgi per ricorrenti caratteristiche architettoniche sviluppate da quel momento, rimane veramente arduo.
Si ritiene che questo moto migratorio per terra e per mare possa essere partito dal nord dell’Europa, forse dalla Danimarca, anche a causa dell’eruzione del vulcano islandese Hekla nel 1159 a.C., che potrebbe aver causato, come sostiene Brian Fagan, “…un fallimento dei raccolti e una conseguente carestia su una vasta area dell’Europa settentrionale.”
I migranti raggiunsero prima le coste dell’Anatolia, poi le isole a sud est della Grecia, per inciso le Cicladi e Lemno.
Con un po’ d’immaginazione potremmo riconoscere in questi migranti genti di Iperborea, la terra leggendaria raccontata da poeti e storici greci nel I millennio a.C.
Questa migrazione in ma
ssa può essere spiegata da un lungo periodo di gravi siccità che interessò le rive orientali del Mediterraneo, come spiegano l’archeologo Israel Finkelstein e la palinologa Dafna Langgut dell’Università di Tel Aviv, dopo aver studiato le particelle di polline estratte dai sedimenti del lago Tiberiade. L’analisi ha permesso di stabilire che tra il 1250 e il 1100 a.C. circa la caratteristica flora mediterranea fu quasi del tutto soppiantata da quella che comunemente si trova in regioni semiaride.
Già l’archeologo Rhys Carpenter, in un libro pubblicato nel 1966, aveva suggerito che il declino in quel periodo storico fosse dipeso da uno spostamento verso nord dei venti secchi provenienti dal Sahara: l’instaurarsi di un clima arido, con una prolungata carestia, mise in ginocchio il Peloponneso, la civiltà micenea, Creta e l’Anatolia.
Le mutate condizioni climatiche produssero un effetto a catena: molte popolazioni in fuga si riversarono in altri territori, provocando la fuga di altre anche per mare. Non è difficile immaginare un periodo di carestie e di saccheggi che sconvolsero la convivenza civile.
Da quelle coste è plausibile che siano partiti questi disperati per sconvolgere le civiltà del Mediterraneo: Ittiti, Egizi e Micenei ne fecero le spese.
In Egitto, durante il regno del faraone Takeloth II della XXII dinastia (fine VIII secolo a.C.), già travagliato da divisioni interne, il peggioramento del clima contribuì alla disgregazione dello stato unitario.
(1) – EGITTOLOGO,
LIBRI :http://www.ugiat-antoniocrasto.it/Egitto/Antico%20Egitto.htm
(2) archeologo
libri : https://www.ibs.it/libri/autori/pierluigi-montalbano
Forse il peggioramento del clima che stiamo vivendo farà avanzare queste ricerche storiche, offrendoci come impulso la tragedia climatica attuale.