IL MANIFESTO – 23 SETTEMBRE 2023
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Antonio Saura, «La caccia» che sfidò Francisco Franco
INTERVISTA. Il figlio di Carlos Saura oggi dirige una compagnia di produzione: a suo padre è stato dedicato uno spazio a Cannes, nei Classici restaurati
Giuliana Muscio ( 1951 )
storica del cinema, è stata Professore ordinario presso l’Università di Padova e ha insegnato alla UCLA di Los Angeles e all’Università del Minnesota
Incontrare Antonio Saura, produttore cinematografico e capo della Latido, agenzia di vendita internazionale di diritti audiovisivi, figlio di Carlos Saura, il geniale regista spagnolo scomparso di recente, presente al festival nella sezione dedicata ai classici restaurati con il film La Caza (La caccia, 1966), permette di parlare, per quanto brevemente, di un titolo emblematico del passato spagnolo e della situazione attuale del cinema.
Carlos Saura è stato uno dei grandi del cinema spagnolo e colui che, proprio con questo bel film piuttosto scomodo, ha riportato l’attenzione su questa cinematografia, aprendo la via al «nuovo cinema spagnolo».
Francisco Franco era vivo (ricordiamo che è morto nel 1975) e ancora saldamente al potere quando La caccia è stato girato nei dintorni di Toledo. Il film racconta di tre «amici» che avevano fatto la guerra insieme (non avendo la Spagna partecipato al secondo conflitto mondiale è implicito che si tratta della guerra civile) e, maschilisti e violenti come sono, è intuitivo da che parte stavano. I tre falangisti, con un giovane nipote, si trovano per una battuta di caccia ai conigli, ma rancori sopiti scatenano i loro cattivi istinti, in un paesaggio duro e riarso nel bianco e nero dell’ottima fotografia ed esplodono in una violenza che li stermina.
Dato il momento in cui viene girato, il film usa metafore animali per suscitare l’orrore verso il regime, a partire dai conigli («deboli, perché si nascondono e non hanno motivo di esistere») e poi i tremendi furetti, in gabbia, che servono per un tipo particolare di caccia, stanando i conigli e mordendoli con i loro dentini aguzzi; si parla di topi, che si era costretti a mangiare in guerra, strisciano insetti, si scuoia un agnello e un asino assiste imperturbabile agli eventi.
Oltre alla visita dei tre alla grotta dove nascondono lo scheletro di un repubblicano che hanno ammazzato e a una pistola tedesca, ci sono riferimenti obliqui al passato, ma il film è immerso in un «presente» buñueliano, la Spagna arretrata di allora, ancora oppressa da un regime oscurantista, in cui la miseria rurale ricorda Los Olivados, ma ci sono le radioline con le canzonette, una ragazzina che impara a ballare il twist, i giornaletti illustrati da ragazze sexy in bikini: i primi segni della Spagna moderna che sta nascendo.
Come ha fatto Carlos Saura a fare un film che oggi percepiamo chiaramente come anti-franchista, nel 1966? Come ha battuto la censura?
Con la sottigliezza. I riferimenti non sono diretti e la censura era piuttosto ottusa. Se l’era presa piuttosto con il titolo, La caccia al coniglio, perché in spagnolo la parola «coniglio» si riferisce anche all’organo sessuale femminile. Ma così ci ha fatto un grande favore, perché La caccia è un titolo migliore. Comunque i censori erano così convinti che nessuno sarebbe andato a vedere un film così difficile, che l’hanno lasciato passare.
Ci sono diversi livelli di lettura nel testo, a partire proprio dalla «caccia», che a mio padre non piaceva, ma mostrava la brutalità e l’alto tasso di testosterone di questi tre maschi.
Quando i produttori hanno visto il film finito erano preoccupati, perché pensavano che un film così duro e sofisticato non sarebbe piaciuto al grande pubblico. Lo mandarono quindi al festival di Berlino dove vinse l’Orso d’argento (l’Orso d’oro era andato a Il coltello nell’acqua di Polanski). Nella giuria c’era anche Pasolini, che ha davvero amato il film. Questo inatteso successo ha permesso di distribuire La caccia anche a livello internazionale. In America il film partecipò al New York film festival e il critico del New York Times nella sua recensione fece emergere il messaggio antifranchista racchiuso nelle metafore. Il che però allarmò il governo spagnolo che cercò di bloccare la distribuzione del film, come fanno oggi la Cina e l’Iran, coi film scomodi. Ma La caza aveva già una distribuzione in America, tanto che lo stesso critico del New York Times lo votò come migliore film straniero dell’anno.
La carriera di Saura procede poi con film seminali come Il giardino delle delizie, Cria cuervos, Nozze di sangue, Carmen Story, senza dubbio il miglior adattamento dell’opera, !ay Carmela, Fados, Goya, ecc. una filmografia che pone il cinema spagnolo al top. Il suo ruolo centrale nella storia di questo cinema sta suscitando infatti interesse verso possibili restauri e retrospettive del suo lavoro.
Lei dirige la Latido, una compagnia che ha distribuito «Il segreto nei suoi occhi» (Oscar 2010), «Il buco» di Gaztelu-Urrutia, l’argentino «Il cittadino illustre», «Campeones- Non ci resta che vincere» e anche quest’anno ha avuto dei buoni risultati con il successo internazionale «As Bestas». E inoltre lei ha una lunga tenitura quale vice presidente dell’European Academy, che rappresenta il cinema di qualità europeo e il cinema indipendente. Come vede la situazione del cinema spagnolo ed europeo nel quadro molto complesso e teso del mercato internazionale dell’audiovisivo?
Le prospettive sono buone, perché sembra che il pubblico stia tornando al cinema, ma si lavora molto con gli streamers. Purtroppo però le piattaforme sono consumer-oriented, cioè tendono a offrire quello che l’algoritmo identifica come più richiesto dal pubblico, portando alla ripetizione e alla semplificazione, e questo significa che noi abbiamo più difficoltà a vendere loro drammi meno facili. Inoltre, poiché hanno un tale controllo sulla pay tv, è difficile per questo tipo di dramma trovare finanziamenti per la produzione stessa, laddove le commedie romantiche o film di genere hanno una vita più semplice. Del resto lo sciopero di attori e sceneggiatori a Hollywood la dice lunga sulla situazione di questa industria, in mano alle piattaforme e a tecnologie in grado di replicare gli attori e scrivere sceneggiature. Per quel che riguarda la Spagna oggi abbiamo tanta produzione e anche tanti nuovi talenti, si lavora molto, ma mi pare che queste nuove generazioni non sempre abbiano una voce davvero loro.
Senza essere per forza pessimisti ( la luce dell’intelligenza a volte arriva quando meno ce lo aspettiamo), se guardiamo i programmi più seguiti delle TV, nazionali o generaliste, ci vengono i brividi.