La genti lu chiamava Colapisci
pirchì stava ‘nto mari comu ‘npisci
dunni vinìa non lu sapìa nissunu
fors’ era figghiu di lu Diu Nittunu
Leggenda popolare trascritta da Italo Calvino
Cola Pesce
Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva: E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione: Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì. La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re; e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare. E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re. Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. – E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. – Devi scendere giù a vedere dove poggia. Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò a galla e disse al Re: O Messina, Messina, Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua. Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse: La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima. – C’è che sono morto di spavento, – disse Cola. – Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire m son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina! Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata. E Cola: Visto che non riusciva a convincerlo, il re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose, che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare. – Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno! – Una corona che non ce n’è altra al mondo, – disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere! – Se voi così volete, Maestà, – disse Cola – scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più. Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare. Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.
Versione di Palermo
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OTELLO PROFAZIO — STORIE E LEGGENDE DEL SUD
I promotori del Ponte sullo Stretto dovrebbero attenersi alla leggenda di Colapesce. Le favole a volte contengono un’antica saggezza.