*** è all’origine della Pittura Fiamminga in quanto con il suo intenso realismo si distaccò dall’arte idealizzata e sognante del tardo gotico nella pittura nel Nord.
*** Le notizie biografiche su Robert Campin sono molto limitate e frammentarie, in accordo col fatto che le opere attribuite al fantomatico Maestro di Flémalle non sono né datate né firmate.
Nacque tra il 1378 e il 1379 in una località non ancora ben definita delle Fiandre. Nel 1406 si rilevano tracce della sua presenza a Tournai, città belga all’epoca autogovernata ma compresa nel ducato di Borgogna, ricca di attività artigianali e commerciali. Qui ben presto Campin fondò una scuola di pittura, che sarebbe diventata fucina di notevoli talenti. In questa città si svolse gran parte della sua vita.
Nel 1423 i rappresentanti delle corporazioni artigiane di Tournai si dotarono di un proprio statuto. Negli anni successivi Campin entrò nel Consiglio comunale come rappresentante del “quarto stato“. Probabilmente già verso il 1420 aveva iniziato l’esecuzione del Dittico di Flémalle (località, questa, nei dintorni di Liegi).
Intanto alla sua bottega si stavano formando molti pittori, tra i quali Jacques Daret e Rogier Van der Weyden: quest’ultimo, dopo un periodo di frequenza come allievo, assunse nel 1427 la qualifica di apprendista; ne sarebbe uscito nel 1432 col titolo ufficiale di maestro.
A causa del suo comportamento battagliero Campin dissipò molti consensi in campo politico, tanto che nel 1429 i notabili di Tournai gli vietarono l’accesso alle cariche pubbliche. La sua attività artistica proseguì comunque, lasciando tracce almeno fino al 1440. Morì a Tournai nel 1444.
Valenciennes, 1378/1379 – Tournai, 1444)
(
Lo sposalizio della Vergine – 1420- 1430
olio su tavola ( legno di quercia
77×88 cm
Robert Campin, Ritratto di uomo ( parte del ritratto ” Un uomo e una donna ” )- 1435
olio e tempera all’uovo su tavola
40,6 cm ; 28,1 cm
Board of Trustees of the National Gallery
Ritratto di fanciulla- 1435
– National Gallery, London – online catalogue.
L’opera di Robert Campin fu fondamentale per l’origine della pittura fiamminga, alla quale egli aprì l’orizzonte, parallelamente a Jan van Eyck ( Maaseik, 1390 circa – Bruges, 9 luglio 1441 ), anche se con un percorso artistico diverso.
Alla sua formazione ebbero concorso da un lato i caratteri dell’arte mosano-renana, dall’altro le conquiste dello stile gotico internazionale affinate dai pittori della corte di Borgogna, allora particolarmente attiva in campo artistico, e portate alla massima altezza da Melchior Broederlam. Campin fece propri e sintetizzò gli stimoli che queste scuole avevano consolidato nel secolo precedente, ma nel contempo rinnovò in senso naturalistico la concezione della pittura: per questo può essere considerato il padre del realismo fiammingo.
La sua produzione si focalizzò essenzialmente sui trittici, alcuni dei quali ci sono giunti solo frammentari. In queste opere le ricche iconografie sacre sono tradotte in immagini di immediato realismo. Le scene a tema religioso vengono così ambientate nella realtà quotidiana, con i luoghi che richiamano gli interni di abitazioni borghesi; nondimeno si respira un’aria di assorta contemplazione, di commozione composta.
Trittico di Mérode è un dipinto di Robert Campin, olio su tavola (129×64,50 cm) conservato nel Metropolitan Museum di New York, nella sezione The Cloisters, e databile al 1427.
La scena centrale mostra l’Annunciazione, mentre gli scomparti laterali mostrano i due committenti inginocchiati e San Giuseppe al lavoro.
La scena dell’Annunciazione è ambientata in un interno borghese disegnato con estrema cura e attenzione ai dettagli della quotidianità.
La prospettiva contiene ancora incertezze, come si vede nel piano del tavolino che è impostato secondo un’intuitiva prospettiva ribaltata, oppure nel pavimento molto ripido.
Le due figure sacre, senza aureola, sono in primo piano e mostrano l’attimo immediatamente precedente all’annuncio vero e proprio, quando Maria è ancora immersa nella lettura del libro e l’Angelo sembra incedere nella ricerca delle parole giuste con cui presentarsi. Tra gli innumerevoli dettagli si vedono, da sinistra:
- Una figuretta del Cristo che scende con i raggi di sole dalla finestra, simbolo dell’Incarnazione;
- Il paiolo di rame appeso in una nicchia-pozzo, dai perfetti riflessi di luce sia nel metallo che nel liquido;
- Un panno steso tramite una mensola mobile;
- La finestra aperta dalla quale filtra la luce cristallina, con in alto la vetrata con gli stemmi dei committenti;
- Il camino con una candela accesa, simbolo dell’amore divino che spesso compare nelle annunciazioni;
- La panca lignea con animaletti intagliati sugli spigoli
- Sul tavolo si trovano un libro, simbolo delle Sacre scritture che si avverano nell’Incarnazione di Cristo, una brocca in maiolica con dei gigli, simbolo di purezza della Vergine, e una candela appena spenta, probabilmente per effetto dell’arrivo dell’Angelo.
L’uso della luce è già tipico della pittura fiamminga, con una grande cura alla resa dei dettagli ed al diverso “lustro” (riflesso) che i materiali producono, dalla colla in metallo, alla stoffa, ai morbidi capelli della Vergine.
Le stesse caratteristiche di luce e spazio si ritrovano anche nei pannelli laterali, unificati con la stessa linea dell’orizzonte alta (che dà il tipico effetto avvolgente delle opere fiamminghe). La scena di sinistra è ambientata all’esterno, sullo sfondo delle mura di un castello, mentre quella di destra è ambientata nel laboratorio di Giuseppe, con una brulicante città fiamminga del Quattrocento visibile dalle finestre sullo sfondo.
Il colore è vivo, corposo, incisivo e disegna il contorno delle figure in modo netto, conferendo loro evidenza plastica: a questo effetto contribuisce anche il contrasto chiaroscurale dei panneggi, che arricchisce la scena espressivamente.
testo e tutte le immagini
https://it.wikipedia.org/wiki/Trittico_di_M%C3%A9rode
segue articolo di AVVENIRE – giovedì 20 marzo 2014
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/le-trappole-per-topi-sul-desco-di-san-giuseppe_20140320
Le trappole per topi sul desco di San Giuseppe
Gloria Riva
Entriamo nella bottega di San Giuseppe grazie allo sguardo indagatore di Robert Campin, artista fiammingo del XV secolo. La bottega è ritratta nello sportello di destra del suo Trittico di Mérode. Il desco appare così inclinato, nella sua prospettiva, da dare l’impressione di volersi rovesciare. Siamo così costretti a guardare gli strumenti da lavoro di san Giuseppe: tenaglie, martello, chiodi. Sono chiari riferimenti alla croce, supplizio sopra il quale morirà quel Figlio che sta per essergli dato. Nel pannello centrale del Trittico, infatti, è raffigurata l’Annunciazione della Vergine.
Sul desco di Giuseppe, però, c’è un oggetto, che pur riconoscendolo, fatichiamo a comprenderne il senso. Si tratta di una trappola per topi.
A ben vedere ci sono due trappole: una in via di costruzione e una seconda, in funzione, sul davanzale della finestra.
Il senso di un simbolo tanto bizzarro lo spiega Sant’Agostino (discorso 256): «Il diavolo ha esultato quando Cristo è morto, ma per la morte di Cristo, il diavolo è stato vinto, come se avesse ingoiato l’esca nella trappola per topi. La croce del Signore era una trappola per il diavolo, l’esca con cui è stato catturato era la morte del Signore». Ecco, dunque, l’ignaro Giuseppe fabbricare quell’elemento che sarà per l’uomo simbolo di liberazione: dov’è o morte la tua vittoria? – ripete instancabilmente l’Apostolo- Cristo ci ha liberato.
Anche Lorenzo Lotto, in una delle sue natività, colloca la propria firma sopra una trappola per topi.
Il topo, del resto, per la sua facilità riproduttiva e la rapidità del suo agire, è da sempre simbolo di lussuria e disonestà e, perciò stesso, simbolo del maligno.
Il pannello centrale– vedi dettaglio sotto
Il Giardino delle delizie (o Il Millennio ) è un trittico a olio su tavola (220×389 cm) di Hieronymus Bosch, databile al 1480–1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid.
dettaglio dell’uomo in muto doalogo con un topo.. ( articolo )
Fra il ricchissimo bestiario di Jeronimus Bosch, il topo compare sovente a significare l’ingannevole audacia del male. Nel giardino delle Delizie, un trittico che affronta proprio il tema del male, insinuatosi attraverso i progenitori nell’intera creazione, Bosch dipinge nel pannello centrale un curioso particolare. Un uomo, confinato dentro la bacca di una pianta carnivora (simbolo di lussuria), si trova a faccia a faccia, in un muto dialogo, con un topo: è l’uomo che si abbandona alle sue pulsioni sperimentando dentro di sé la presenza del Maligno. Tuttavia, mentre l’uomo si lascia ingannare dal tentatore, Cristo gioca il male sul suo stesso terreno. Il diavolo, infatti, ingannato dall’umanità del corpo di Cristo, addenta la preda, ma il veleno della vita, nascosto nella divinità di Cristo, lo ucciderà. Così l’uomo medievale che ammirava la placida bottega di san Giuseppe imparava a comprendere che la morte è stata vinta e che la penitenza quaresimale ci rende più consapevoli del prezzo di tale riscatto. Che sia proprio san Giuseppe a fabbricare quella trappola la quale, simbolicamente, sconfiggerà il maligno, è significativo. Il maligno non è onnipotente, è una creatura, dunque non siamo noi a doverlo temere, ma lui deve temere noi, per i quali Cristo ha dato tutto se stesso.
Immagini: Robert Campin, Trittico dell’Annunciazione di Mérode,1427/32; olio su tavola 64.5 x 27.3 cm, Metropolitan Museum of Art, New York, pannello di destra.
Hieronymus Bosch, Trittico delle Delizie, Museo del Prado, 1503–1504, olio su tavola, 2,20 m x 3,9 m. Particolare del pannello centrale