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Alla riscoperta di Chandigarh, l’utopia di Le Corbusier.
Poetica e razionalista, colorata e anche grigia, di cemento e di natura. Un libro ci invita a guardare la città indiana con occhi diversi
Di Sebastiano Brandolini —
Manuel Bougot/Photofoyer
L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA
Ogni tanto esce un nuovo libro con nuove immagini di Chandigarh, la città disegnata da Le Corbusier nel Punjab indiano, e allora si sente un brivido correre lungo la schiena, poi viene l’acquolina in bocca e infine si resta commossi. Costa fatica girare ciascuna pagina e passare alla successiva, perché davanti a ciascuna immagine (il fotografo questa volta è Manuel Bougot) i nostri occhi si fermano per incanto, e richiedono un po’ di tempo per guardare e capire.
La nuova Chandigarh
Restiamo commossi per due motivi. Il primo è che la città di fondazione, circa un milione di abitanti (il doppio dell’originariamente previsto), rivela di non essere affatto un progetto utopico o una città ideale, che dir si voglia, come continuano a sostenere ancora oggi molti detrattori del modernismo. Il secondo motivo è che nei dettagli, nei materiali, nei colori, nella luce, negli arredi e nella ricchezza ideativa e nell’invenzione che permeano tutta questa città, c’è qualcosa di incredibile.
L’umanità nell’opera di Le Corbusier
Da sola Chandigarh giustificherebbe un lungo viaggio. Diversi colleghi architetti pensano che la principale differenza tra l’architettura di Le Corbusier e l’architettura degli altri sia data dalla sua plasticità al chiaroscuro, dalla sua verve artistica, scultorea e pittorica.
Ma queste immagini, che si tratti di quelle dei grandi edifici/monumenti del potere (il Segretariato Generale, il Palazzo dell’Assemblea) o che siano quelle di un disordinato angolo dimenticato nella stanza di un piccolo burocrate indiano, ci fanno sospettare che non si tratti soltanto di questo.
A settant’anni circa dal concepimento di Chandigarh da parte di LC, ci accorgiamo che è stata l’umanità piuttosto che l’artisticità a dare profondità ai suoi progetti. La professione indicata sul suo passaporto era ‘homme de lettres’, che potremmo tradurre con umanista. Col senno del poi (e le avvincenti fotografie che presentiamo lo dimostrano in modo inequivocabile), ci accorgiamo che meglio di chiunque altro LC capì ciò verso cui l’uomo del XX secolo poteva aspirare e di cui aveva bisogno, per contrastare l’inarrestabile avanzata della fredda tecnica (che peraltro egli riveriva).
Manuel Bougot/Photofoyer
foto da Metalocus
Come può un umanista-architetto, seppur in compagnia dei suoi collaboratori dislocati in Francia e in India (non va dimenticato il ruolo importante svolto dalla coppia inglese di Edwin Maxwell Fry e Jane Drew), concepire un’intera città con tanta lungimiranza? Come si può progettare qualcosa di così vasto, polifonico, sfaccettato, a momenti così aulico e monumentale e a momenti invece così prosaico e intimista, se non partendo dall’uomo stesso, dal Modulor?
Tante – mi piace pensarlo – devono essere state le decisioni e altrettanti i disegni scarabocchiati sui muri di cemento, in loco. Tanti i dubbi, i ripensamenti, i prestiti presi dalla cultura vernacolare del Punjab, i lampi di ispirazione, le idee rubate ad altri progetti. Tutto il lavoro di progettazione dev’essere stato accompagnato da un immane sforzo parallelo di immaginazione, nello spazio e nel tempo, rispetto a come sarebbe stata oggi, nel 2020, Chandigarh, in quanto città-capitale e insieme città- giardino. Chi sarebbe venuto a viverci? Come sarebbe stata usata? Come sarebbe invecchiata? All’ombra di che cosa si sarebbero voluti sedere i suoi cittadini? Le vacche sacre si sarebbero trovate bene? La città avrebbe resistito all’usura e al disfacimento che in India sembrano trasformare tutto in rovine? Le Corbusier fu, in questo caso, sia demiurgo che veggente. Sono queste le domande a cui probabilmente ha cercato di dare risposte anche l’ottimo fotografo francese Manuel Bougot.
Tramite l’architettura egli ha ritratto la vita stessa che permea la città nel suo insieme, senza privilegiare l’ordine al disordine, oppure il bello al meno bello. In un certo senso, il suo occhio laico ha declassato i monumenti impressionanti del Campidoglio di Chandigarh, facendoli diventare parti viventi della città stessa. Scrive Bougot: “Ho voluto rappresentare l’appropriazione da parte degli indiani di questa architettura occidentale e, a seguire, il confronto tra queste due culture, solo apparentemente contrapposte l’una all’altra”.
nota 1.
IL PUNJAB ( qualcosina )
La regione del PUNJAB nel 1947 fu spartita tra gli Stati successóri dell’India britannica, India e Pakistan. La città capitale del Punjab indiviso eraLahore, che sorge ora accanto alla linea di spartizione come capitale del Punjab occidentale ( pakistano) . Il Punjab indiano ha come sua capitale la città di Chandigarh. A seguito della spartizione, il Punjab indiano ora usa la scrittura gurmukhi, mentre il Punjab pakistano mantiene la scrittura shahmukhī.
STORIA
Nei tempi preistorici, nel Punjab fu localizzata una delle prime culture conosciute dell’Asia meridionale, la civiltà harappa.
Il periodo vedico ed epico fu socialmente e culturalmente prolifico nel Punjab. Durante questo periodo, ad esempio, nel Punjab furono composte le scritture sacre indù, i Rig Veda e le Upanishad. La tradizione sostiene che il saggio Vālmīki compose il Rāmāyaṇa vicino all’attuale località di Amritsar. Nella leggenda, Krishna diffuse il divino messaggio della Bhagavad Gita a Kurukshetra. Diciotto Purāṇa principali furono scritti nella regione. Gli autori del Vishnu Purana e dello Shiva Purana provenivano dal Punjab centrale.
Le battaglie epiche descritte nel Mahābhārata furono combattute nel Punjab.
Nel 326 a.C., Alessandro Magno tentò d’invadere il Punjab da nord. I suoi eserciti entrarono nella regione attraverso l’Hindu Kush.
Durante l’istituzione e il consolidamento del governo mogol, nel Punjab sorse la figura di Guru Nanak (1469-1538), il fondatore di un potente movimento popolare che ha lasciato un’impronta duratura sulla storia e sulla cultura del Punjab. Nato nel distretto di Sheikhupura, egli rifiutava la divisione del genere umano in compartimenti rigidi di religioni e di caste ortodosse e predicò l’unicità dell’umanità e quella di Dio, mirando così a creare un nuovo ordine che abbracciasse tutto lo spirito pervasivo nell’uomo. Questa nuova filosofia sarebbe servita di base per la fondazione della fede sikh.
L’avvento dell’India britannica (il cosiddetto “Raj Britannico“) ebbe profonde conseguenze politiche, culturali, filosofiche e letterarie nel Punjab, compresa l’istituzione di un nuovo sistema d’istruzione. Durante il movimento d’indipendenza dal Regno Unito, molti Punjabi svolsero un ruolo significativo, compreso Lajpat Rai, Ajit Singh Sindhu, Bhagat Singh, Udham Singh, Bhai Parmanand, Muhammad Iqbal, Chaudhary Rehmat Ali e Ilam Din Shaheed.
All’epoca della spartizione nel 1947, la provincia fu divisa nel Punjab orientale e in quello occidentale. Il Punjab orientale divenne parte dell’India, mentre il Punjab occidentale fu assorbito dal Pakistan.
La parte pakistana della regione copre un’area di 205.344 km², mentre lo Stato indiano del Punjab è di 50.362 km². La popolazione della regione è divisa in modo simile, in quanto 86 084 000 persone (dati 2005) vivono nel Punjab occidentale (Pakistan) e 24 289 296 (dati 2000) nell’attuale Stato del Punjab orientale (India).
https://it.wikipedia.org/wiki/Punjab_(regione)#Cronologia
Al Punjab toccò poi subire l’urto delle cruente agitazioni successive alla fine del Raj Britannico, che produssero un numero di vittime stimato nell’ordine delle centinaia di migliaia, o addirittura superiore.
Dopo il 1947:
- 1966: Punjab indiano diviso in tre parti: Punjab, Haryana e Himachal Pradesh
- 1973 – 1995: insurrezione del Punjab.
- Dopo la divisione tra Pakistan e India, i sikh del Pakistan ( predominanza islamica ) furono costretti ad emigrare in INDIA. Il contrasto fra il movimento separatista dei SIKH. e il governo di Nuova Delhi si aggravò a partire dai primi anni 1980, dando luogo fino alla metà degli anni 1990 a ripetuti e gravi episodi di violenza.
- DA : TRECCANI
UNA SCENA DI STRADA A LAHORE NEL 1890 ca
– http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00routesdata/1500_1599/lahorefort/photosearly/photosearly.html
Grazie per queste notizie, che illuminano un po’ la nostra infinita ignoranza. Originali, sorprendenti le architetture di Le Corbusier: i giochi di forme che si sposano e si respingono tra di loro è eccezionale.