X @AUSCHWITZMUSEUM/ LINK
https://x.com/AuschwitzMuseum/status/1883167968286343521/photo/1
80° anniversario della liberazione di Auschwitz.
Piano streaming LIVE (fuso orario – CET):
Commemorazione mattutina con i sopravvissuti e il Presidente della Polonia (9:00): youtu.be/rl7yO-yfGsw
Studio televisivo (ore 12): youtu.be/peLnOlodxv0
Evento principale (ore 16:00): youtu.be/180tHqgUW00
ufficio stampa. provincia.tn.it
Giorno della Memoria, le iniziative a 80 anni dalla liberazione del campo di Auschwitz
Il 27 gennaio 1945 i soldati sovietici dell’Armata Rossa varcarono l’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz, liberando i superstiti e portando alla luce gli orrori del genocidio nazista. A ottant’anni da quei fatti, che ancora rappresentano profonde ferite per l’umanità, sono diversi gli appuntamenti promossi da una rete di soggetti sul territorio provinciale per avvicinarsi al 27 gennaio, giornata celebrata a livello internazionale per commemorare le vittime del nazismo e per non dimenticare l’abominio della Shoah.
Fra le iniziative alle quali ha dato il proprio contributo anche la Provincia autonoma di Trento c’è la quinta edizione di “Living Memory 2025”, che si conclude proprio il 27 gennaio a Trento con la testimonianza di Oleg Mandić, sopravvissuto al campo di sterminio, in cui si inseriscono anche due mostre ospitate nel municipio di Avio, visitabili fino al 28 gennaio.
Altro appuntamento fisso è “Promemoria Auschwitz.EU”, il viaggio della memoria che da la possibilità ai giovani trentini di visitare il ghetto ebraico di Cracovia e i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.
All’interno del progetto, sostenuto dalla Provincia di Trento e dalla Regione Trentino Alto Adige, il 27 gennaio è in programma “Memowalk”, la visita ad alcuni luoghi significativi di Trento a cui parteciperanno 200 giovani da tutto il Trentino ed a seguire l’incontro con Saskia von Brockdorff e Tommaso Speccher.

Living Memory
“Living Memory: dentro la storia: fatti, memoria, persone” che quest’anno si tiene a Trento, Rovereto, Tione, Predazzo, Borgo Valsugana ed Avio, è un’iniziativa organizzata dall’associazione Terra del Fuoco Trentino in collaborazione con la Fondazione Museo Storico del Trentino, il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, il Lims – Laboratorio Interdipartimentale Memoria e Società dell’Università di Trento e la Federazione Trentina della Cooperazione.
Quindici giorni di appuntamenti, con incontri, dialoghi, mostre, spettacoli teatrali e la presenza di testimoni ed ospiti di alto profilo, suddivisi in un doppio programma: da un lato gli incontri ed i momenti di approfondimento nelle scuole del territorio, dall’altro una serie di incontri rivolti alla cittadinanza, che si concluderanno il 27 gennaio a Trento.
Qui alle 10 nella sala della Federazione della Cooperazione Trentina si terrà l’incontro “Living Memory – dentro la storia: fatti, memorie e persone” alla presenza di Oleg Mandić, ultimo bambino sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che porterà la sua testimonianza agli studenti.
Interverranno inoltre Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino, Giorgia Proietti direttrice del laboratorio di Memory Studies dell’Università di Trento ed i rappresentanti dell’organizzazione Parents Circle.
Al contempo, fino al 28 gennaio nel municipio di Avio è possibile visitare due mostre ufficiali del Museo Statale di Auschwitz – Birkenau, “Il campo di concentramento di Auschwitz” ed “Auschwitz nell’arte dei prigionieri”, che attraverso immagini, parole ed opere d’arte dei sopravvissuti raccontano il campo di concentramento di Auschwitz.
Prenotazioni e calendario si trovano sul sito terradelfuocotrentino.org.
*******
INSIDEOVER
Auschwitz, 80 anni dopo: ricordare che furono i russi a liberarla non è un assist a Putin
Auschwitz, 80 anni dopo: ricordare che furono i russi a liberarla non è un assist a Putin
ANDREA MURATORE
Auschwitz, 27 gennaio 1945: elementi della 322esima divisione di fucilieri dell’Armata Rossa sovietica fanno capolino in quello che sarebbe diventato il più iconico simbolo della macchina di morte nazista, il lager per antonomasia, il simbolo dell’universo concentrazionario tedesco in cui morirono a milioni ebrei, rom, omosessuali, oppositori politici, prigionieri di guerra russi e esponenti di molte altre categorie ritenute non degne di vivere nel Terzo Reich di Adolf Hitler.
Sono passati 80 anni da quella fatidica data, caduta a poche settimane dalla definitiva caduta della Germania nazista nel “crepuscolo degli dei” dell’assedio di Berlino, ed è necessario ribadire che sottolineare come a liberare il lager più noto (e, con Belzec e Treblinka di cui ci sono rimaste tracce nulle, il più letale) furono i sovietici e, per la precisione, i russi.
Furono le truppe di Iosif Stalin a salvare i 7mila prigionieri, in larga parte ebrei, sopravvissuti alla fase terminale dell’Olocausto, le marce della morte ordinate dal capo delle SS Heinrich Himmler per sfinire e eliminare definitivamente i sopravvissuti agli anni di lavoro forzato e all’invio alle camere a gas.
E tra queste truppe, erano preponderanti i componenti del gruppo etnico più numeroso dell’Unione Sovietica: i russi.

L’ingresso di Auschwitz nel 1945
Tutte le nazioni costitutive dell’Urss, dagli ucraini ai caucasici di Georgia, Armenia e Azerbaijan passando per i popoli centroasiatici, diedero il loro contributo e pagarono un pesante tributo di sangue nella “Grande Guerra Patriottica” condotta contro la Germania dopo l’invasione del 1941, in cui l’Urss pagò la vittoria sul nazismo con oltre 23 milioni di morti militari e civili, tra i quali i russi rappresentavano la parte preponderante.
E anche la 322esima divisione che liberò Auschwitz era organicamente a maggioranza russa: lo storico David M. Glantz, nel saggio Colossus Reborn, ricorda che la 322esima divisione, protagonista della battaglia di Kursk e della liberazione di Kiev prima dell’ingresso ad Auschwitz e in seguito al centro delle battaglie che portarono alla fuga tedesca da Cracovia, era costituita al 90% da russi al momento della sua formazione.
Il revisionismo storico e le sue minacce
Sono dunque da respingere al mittente tutti i tentativi di revisionismo storico che, di fatto, minimizzano il contributo russo nella fase finale del conflitto o addirittura provano a riscrivere la storia della Seconda guerra mondiale assegnando ai patti russo-tedeschi del 1939 il ruolo di prova per una sostanziale equiparazione tra nazionalsocialismo e bolscevismo come co-responsabili dello scoppio del conflitto.
Certo, l’Urss nel 1939 approfittò della caduta della Polonia e in seguito annesse i Paesi baltici e sferrò una guerra, invero tutt’altro che gloriosa, contro la Finlandia. Ma dopo l’attacco tedesco nel 1941 nessuno tra i più solidi rivali dell’Urss, a partire dal primo ministro britannico Winston Churchill, evitò di cogliere le conseguenze del mutato vento politico e militare.
Per l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, che nel 2020 parlò del tema nell’occasione dei 75 anni della liberazione di Auschwitz, esiste una continuità tra occupazione tedesca e regime socialista sovietico:
“per l’Europa occidentale, il più tragico periodo della storia europea si concluse nel 1945, con la sconfitta del regime nazista tedesco”, scrisse allora Morawiecki in un editoriale su Politico.eu, “ma per molte nazioni europee, la dichiarazione di pace non significò la fine della tragedia, ma solo l’inizio di una nuova. L’occupazione sovietica, destinata a durare altri 45 anni, costò milioni di vite e privò la Polonia e l’Europa centrale della loro indipendenza e della possibilità di un normale sviluppo economico”.
Un revisionismo storico in purezza che va di pari passo con quello del governo di Kaja Kallas, ora alta rappresentante Ue per la politica estera, che pochi mesi fa in Estonia commemorò l’anniversario del bombardamento sovietico su Tallinn del 1944 omettendo di ricordare che si trattava di manovre militari per scacciare i tedeschi dalla città. E non finisce qui: pochi giorni fa, in un articolo interessante nel raccontare la storia di Tomas Serafinski, ex spia polacca che contribuì a far conoscere gli orrori del lager nel mondo, la Bbc sul suo sito ha definito “esercito ucraino comandato dai sovietici“ la forza armata che liberò Auschwitz.
Lo strafalcione della Bbc su Auschwitz
Una dichiarazione “politicamente corretta” in tempi di guerra in Ucraina, in cui da tre anni Kiev combatte per la sua libertà contro l’aggressione di Mosca e, dunque, risulta incomprensibile associare il russo a un’idea di liberazione. Ma anche un palese errore storico: il riferimento è al fatto che la divisione che liberò Auschwitz era inquadrata nel Primo Fronte Ucraino, nome dato dall’Armata Rossa a un enorme gruppo d’armate protagonista dell’avanzata per liberare le pianure sarmatiche attorno Kiev, formato da sette armate distinte e che si sarebbe spinto fino a Berlino nell’aprile successivo. Ma il riferimento all’Ucraina è puramente geografico, non identitario o etnico.

I comandanti del Primo Fronte Ucraino alla parata per la vittoria di Mosca del 24 giugno 1945
Anzi, a ben guardare, il primo comandante di tale gruppo d’armate Nikolai Vatulin, tra i protagonisti della battaglia di Kursk, morì in Ucraina nell’aprile 1944 ucciso dall’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (Oun) filo-nazista e collaborazionista di Stepen Bandera. I suoi successivi comandanti furono Georgy Zukhov e Ivan Konev, generali protagonisti della conquista della Germania orientale e (il primo) della presa di Berlino.
La rilettura della storia su Auschwitz e la guerra
Ironia della sorte, per rileggere la storia odierna in chiave politicamente adatta agli scenari strategici e geopolitici si compie, nell’Europa odierna, quello stesso procedimento di forzatura della memoria che in Russia compie Vladimir Putin parlando di figure storiche come gli Zar Pietro il Grande e Alessandro I o più recenti come Lenin e lo stesso Stalin. Ciò è oltremodo grave in un quadro politico in cui anche la fine dell’Olocausto diventa strumento di contrapposizione politica e arma per delegittimare gli avversari e dare voce a sguaiati nazionalismi.
Si può dire che, pur vincitrice della Seconda guerra mondiale, l’Urss di Stalin non mancò di macchiarsi di crimini e massacri? Senz’altro. Si può, però, parimenti dire che dal punto di vista morale e materiale c’è grande differenza tra un regime autoritario, dispotico e repressivo e un progetto politico-sociale imperniato sullo sterminio violento di intere comunità come quello nazista? Senz’altro. Così come si può far riferimento a qualsiasi cronaca dei tempi della liberazione di Auschwitz (una tra tutte, l’opera di Primo Levi) per capire come i liberati di Auschwitz avessero ben presente la differenza tra le armate di Hitler e tutto il resto, certamente non pensassero al Patto Molotov-Ribbentrop vedendo le truppe sovietiche entrare nel lager. E certamente non si può accusare di sottovalutazione dell’Olocausto ogni nazione ai tempi parte dell’Urss che dal massacro degli ebrei e delle altre comunità fu la nazione maggiormente colpita.
La storia non si cancella
Veder promosse al Parlamento Europeo risoluzioni che deplorano “il continuo utilizzo negli spazi pubblici di simboli dei regimi totalitari e chiede di vietare, all’interno dell’Unione, l’uso dei simboli nazisti e comunisti sovietici, così come dei simboli dell’attuale aggressione russa contro l’Ucraina” sommando nei giorni della ricorrenza della liberazione di Auschwitz sfere completamente diverse mostra i danni concreti di questo revisionismo e la sua subalternità a retoriche nazionaliste odierne. Ma la storia non si cancella, al massimo la si può comprendere e capire.
E la storia dice che il 27 gennaio 1945 furono i sovietici, con un’unità principalmente russa (come del resto la stragrande maggioranza del loro esercito) a liberare Auschwitz, che nessun sopravvissuto all’Olocausto ha mai aperto la polemica stucchevole dell’equiparazione tra Armata Rossa e macchina della morte nazista, che dire la verità non significa giustificare i gulag e le purghe di Stalin di ieri o la guerra di Putin oggi. Ma semplicemente evitare quel processo di abuso pubblico della storia che in un suo vecchio libro il professor Aldo Giannuli ammoniva essere un processo di avvelenamento del dibattito pubblico e compressione della democrazia contemporanea pericoloso per gli equilibri del nostro sistema contemporaneo.
segue nota e basta .
NOTA SULLO STORICO DAVID GLANTZ–
un libro tradotto in italiano, per chi mai..
L’attacco a sorpresa della Germania del 22 giugno 1941 sconvolse un’Unione Sovietica tristemente impreparata a difendersi. Il giorno prima dell’attacco, l’Armata Rossa era ancora la più grande forza combattente del mondo. Ma alla fine dell’anno, quattro milioni e mezzo dei suoi soldati erano morti. In Stumbling Colossus, David Glantz ha esplorato perché l’Armata Rossa non era preparata per la guerra lampo tedesca che quasi la distrusse e lasciò più di quattro milioni di soldati morti entro la fine del 1941.
In Colossus Reborn racconta la miracolosa resurrezione dell’Armata Rossa che, con una sbalorditiva dimostrazione di strategia militare e abilità operativa, fermò la Wehrmacht e cambiò le sorti della guerra.
Un importante risultato nel recupero e nella conservazione dell’esperienza militare di un’intera nazione, Colossus Reborn è caratterizzato dall’impareggiabile accesso e utilizzo di fonti d’archivio sovietiche da parte di Glantz. Ciò gli consente di illuminare non solo le vittorie russe nelle battaglie di Mosca, Stalingrado e Kursk, ma anche di salvare una serie di importanti “battaglie dimenticate”, molte delle quali erano state soppresse per preservare la reputazione e l’orgoglio nazionale. Come rivela in dettagli senza precedenti, sconfitte disastrose gareggiarono con vittorie clamorose durante i primi anni del conflitto, mentre l’Armata Rossa lottava per ritrovare se stessa nella “Grande Guerra Patriottica”.
Oltre alle battaglie in sé, Glantz presenta anche un ritratto approfondito dell’Armata Rossa come istituzione militare in evoluzione. Valutando più chiaramente che mai le dimensioni, la forza e la struttura delle forze dell’esercito, fornisce approfondimenti approfonditi sulla sua dottrina, strategia, tattica, armamento, addestramento, corpo ufficiali e leadership politica. Nel processo, dà un volto umano ai comandanti e ai soldati dell’Armata Rossa, comprese le donne e coloro che prestarono servizio in unità (sicurezza (NKVD), ingegneria, ferrovie, autotrasporto, costruzione e forze penali) che fino ad ora sono rimaste poco comprese.
La massima autorità mondiale sull’esercito sovietico, Glantz ha prodotto uno studio notevole che aggiunge incommensurabilmente alla nostra comprensione dell’unica parte della Seconda Guerra Mondiale che sta ancora lottando per emergere dalle ombre della storia.
DA : AMAZON – link per ordinare
DAVID GANTZ ( Port Chester, New York, Stati Uniti, 1942 ), storico della Seconda Guerra Mondiale e caporedattore di The Journal of Slavic Military Studie
foto da MILITARY TRADER
La guerra sul fronte orientale, iniziata il 22 giugno 1941 con l’invasione da parte delle forze armate tedesche nel territori dell’Unione Sovietica e conclusasi al primi di maggio del 1945 con la fine della battaglia per la conquista di Berlino, capitale del terzo Relch, da parte delle truppe di Stalin, è stata la più sanguinosa campagna militare del Secondo conflitto mondiale. Le perdite dell’Armata Rossa superarono i 29 milioni, mentre quelle della Wehrmacht furono di oltre 10 milioni. Questo libro è il risultato di un lungo e approfondito lavoro di ricerca svolto dal due autori americani negli archivi ex sovietici, che sono stati parzialmente aperti agli storici dopo la dissoluzione dell’URSS avvenuta nel 1991. Fino a tale data gran parte del materiale di documentazione russo era classificato segreto e quindi non consultabile. Ogni fonte era controllata dalla censura, ed è per questo che gli studi precedenti si basavano in sostanza su materiali tedeschi più accessibili. Ciò che emerge è una storia profondamente umana di errori dei comandi, di adeguamento delle gerarchie militari alle pressioni esercitate dalla guerra, di distruzioni e sofferenze su scala gigantesca e di un’incredibile resistenza dei civili sia russi sia tedeschi. La comprensione di queste vicende è essenziale per poter correggere alcune errate generalizzazioni fatte in passato sulla seconda guerra mondiale.
Interessantissima questa ricostruzione storica che fa chiarezza sul ruolo che ha avuto l’Unione Sovietica nella sconfitta del nazismo. Ho trovato vergognoso il fatto che alle commemorazioni europee per la Giornata della Memoria non abbiano invitato la Russia. Si tratta purtroppo di un’Europa che ha dimenticato le idee che stanno alla base della sua creazione.