IL FATTO QUOTIDIANO 22 GENNAIO 2025
IL RUOLO DI NORDIO
Rilasciato il libico ricercato dalla Cpi
Il comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osema Almasri Habish, sul quale pendeva un mandato della Corte penale internazionale per “crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga” e che era stato posto agli arresti alle Molinette di Torino, è stato rimpatriato in Libia. L’arresto infatti non è stato convalidato per un errore procedurale. Non è consentito, si legge nell’ordinanza, l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria senza l’interlocuzione preventiva tra il ministro della Giustizia e la Corte d’appello della Capitale. Nordio è stato interessato ieri, dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino e non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito.
IL MANIFESTO 22 GENNAIO 2025
https://ilmanifesto.it/scarcerato-ed-espulso-laguzzino-di-tripoli
Scarcerato ed espulso l’aguzzino di Tripoli
Migranti Il capo della polizia libica era stato arrestato domenica a Torino. I dubbi di Nordio e i cavilli trovati dal pg di Roma. C’era un mandato della Corte penale
Migranti intercettati in Libia (Ap)
È stato scarcerato ieri sera, subito espulso e messo su un volo in direzione di casa sua in Libia Najeem Osema Almasri Habish, il 47enne capo della polizia giudiziaria di Tripoli arrestato a Torino domenica su mandato della Corte penale internazionale (Cpi). Su di lui pendevano accuse di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati per lo più nel famigerato carcere di Mitiga, spesso oggetto di denunce per le torture che vengono praticate al suo interno.
LA DECISIONE, formalmente, è stata presa dalla Corte d’Appello di Roma in virtù di un cavillo procedurale. Nell’ordinanza il pg definisce l’arresto come «irrituale» perché «non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». Nordio sarebbe stato informato lunedì dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino, e, prosegue il pg, «non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito».
Così «non ricorrono le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare. Ne deriva la immediata scarcerazione del pervenuto».
Il caso è stato un vero e proprio rebus giudiziario, durato lo spazio di 48 ore: «È un carteggio complesso» è stata la posizione di via Arenula per tutta la giornata di ieri, mentre negli uffici si ragionava su come trovare una soluzione. Ieri il ministero della Giustizia aveva anche fatto uscire un comunicato in cui diceva che Nordio stava valutando se trasmettere o meno la richiesta della Cpi al procuratore generale di Roma, competente sulla base della legge 237 del 2012. L’articolo che si citava era il quarto – che riguarda le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria e ne attribuisce la competenza appunto al pg della capitale – ma è stato anche soppesato il quinto, soprattutto la parte in cui si afferma che il Guardasigilli può decidere di negare ogni autorizzazione qualora dovesse ritenere che in gioco ci sono questioni attinenti alla sicurezza nazionale.
IL CASO HABISH ha messo in serio imbarazzo l’Italia: se è vero infatti che l’aguzzino di Mitiga sarebbe stato chiamato a rispondere «solo» delle sue azioni personali, o al massimo di quelle che potrebbe aver ordinato ai sottoposti, non si poteva affatto escludere che una volta finito all’Aja avrebbe fatto menzione dei possibili rapporti avuti con Roma sin dai tempi del memorandum del 2017, quando «la difesa dei confini» ancora oggi in voga veniva declinata dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti come risposta «da sinistra» alle paure dei cittadini sull’immigrazione.
Alla fine la scelta della Corte d’Appello è stata di scarcerare l’uomo e rispedirlo in Libia. È la seconda volta in una settimana che l’Italia si trova a dover dare un dispiacere alla Corte dell’Aja: già giovedì scorso, dopo la visita a Roma del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar era filtrata la notizia che, nel caso di un suo viaggio italiano, nessuno avrebbe arrestato il premier Benjamin Netanyahu, sebbene anche su di lui pendano accuse di crimini di guerra e contro l’umanità.
Meno calzante, invece, è il precedente dell’affaire Sala-Abedini: l’ingegnere iraniano detenuto in Italia su mandato degli Usa è stato scarcerato sulla base di un trattato bilaterale tra Roma e Washington che esiste da un quarantennio. Per Habish, il problema italiano è per lo più reputazionale: il trattato che ha dato vita alla Cpi, del resto, venne siglato a suo tempo proprio a Roma, anche se adesso non sembra più importare a nessuno.
DELUSE le aspettative di chi aveva esultato per l’arresto del torturatore libico. L’ong Mediterraneaaveva parlato di operazione possibile grazie ad «anni di denunce e testimonianze delle vittime, fatte pervenire alla Corte Penale Internazionale, che ha condotto una difficile indagine». Così invece il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni quando ha appreso la notizia della scarcerazione: «Naturalmente se questo personaggio potrà lasciare tranquillamente l’Italia sarà chiaro a tutti, alla Cpi, all’Interpol, alla comunità internazionale e ai cittadini del nostro paese, che l’attuale governo italiano, Meloni, Nordio, Piantedosi proteggono i trafficanti di esseri umani e i torturatori libici».
Restano sospesi diversi misteri sulla presenza di Habish sul territorio italiano: si sa che sabato sera era all’Allianz Stadium di Torino per assistere alla partita tra Juventus e Milan. Quando e come fosse arrivato, però, non è ancora chiaro. E probabilmente non lo sarà mai.
L’AUTORE DELL’ARTICOLO
Mario Di Vito
Cronista politico, si occupa per lo più di giustizia e ingiustizia. Ha scritto alcuni libri, l’ultimo è “La pista anarchica” (Editori Laterza)
LATERZA 2023
C’è stato un tempo in cui la fiaccola nera dell’anarchia terrorizzava i re e i capi di governo di mezza Europa. Un tempo in cui, da Wall Street a San Pietroburgo, i pugnali, le bombe e le pistole degli anarchici sembravano pronti a colpire i ricchi e i potenti e a vendicare gli oppressi. Oggi, almeno a stare ai titoli dei giornali, questa minaccia sembra riaffacciarsi.
La prima inchiesta sul movimento anarchico insurrezionalista.
Bologna, dicembre 2003. A casa del presidente della Commissione Europea Romano Prodi arriva un pacco con dentro una copia del Piacere di Gabriele D’Annunzio. Quando lo apre, dal volume parte una fiammata. L’attentato incendiario viene rivendicato da una sigla fino ad allora sconosciuta: FAI – Federazione Anarchica Informale. È l’inizio di una vicenda che negli anni successivi terrà impegnate le procure di mezza Italia e farà molto parlare giornali e televisioni, in quella che appare come una vera e propria guerra contro lo Stato e il capitale. A condurla sono poche decine di persone che, talvolta, nemmeno si conoscono tra loro ma che condividono gli stessi obiettivi e le stesse modalità di azione: aprire il fuoco, seminare il panico, dimostrare che i peggiori incubi della Repubblica possono diventare realtà.
Dal processone della fine degli anni ’90 fino allo sciopero della fame di Alfredo Cospito: un racconto che ripercorre le vicende giudiziarie e quello che continua a muoversi fuori dalle aule dei tribunali. Vent’anni di piste e vicoli ciechi, alla ricerca di un fantasma. Il fantasma dell’anarchia vendicatrice.
LATERZA 2022
Colpirne uno
Ritratto di famiglia con Brigate Rosse
Mario Di Vito
LATERZA 2022
Quella che segue è una storia vera incartata in un’altra storia vera. Il caso Peci, un episodio del lungo, sanguinario e, a tratti, malinconico crepuscolo delle Brigate Rosse, ma anche la storia del magistrato che seguì le indagini. Questo libro prova a guardare a quella vicenda e a quegli anni con uno sguardo nuovo, lo sguardo di chi ancora non era nato e che di quelle storie ne ha soltanto sentito parlare in casa, nei ricordi di famiglia o ne ha letto nelle pagine del diario della nonna.
È l’inizio di giugno del 1981 e a San Benedetto del Tronto, all’estrema periferia della Repubblica, le Brigate Rosse rapiscono Roberto Peci, fratello di Patrizio, primo pentito della storia dell’organizzazione. Sottoposto a un terrificante ‘processo popolare’, sarà giustiziato poche settimane dopo in un casolare nella campagna romana. Mario Mandrelli, il magistrato che segue le indagini e porta a processo i brigatisti responsabili dell’omicidio, è il padre di mia madre, mio nonno. Attraverso le carte giudiziarie, i giornali dell’epoca, gli appunti finali, i ricordi e i diari di famiglia, emerge il racconto di un episodio di storia italiana e delle sue ombre che si nascondono dietro ogni angolo, malgrado le apparenze. O forse proprio come le apparenze. Il tutto viene visto con gli occhi di chi da queste storie è sempre stato circondato, sentendole raccontare a pezzetti dai protagonisti. E ognuno ha una sua verità, un suo orgoglio da rivendicare, una sua cicatrice da nascondere. L’importante è tenere a mente che si tratta di una storia vera. Che non vuol dire che dentro ci siano solo verità̀. Le bugie, in fondo, non hanno meno valore.
per chi volesse :
Il sequestro di Roberto Peci – La Storia Siamo Noi
video, 59 minuti / putroppo il film non si vede granché
Persone menzionate
Mi sembra clamoroso che abbiano rimpatriato in Libia un personaggio come questo, denunciato come torturatore. Il rimpatrio è avvenuto su un aereo dello Stato italiano. Neppure il biglietto gli hanno fatto pagare!