2025
informazioni sul libro al fondo
IL MANIFESTO 26 MARZO 2025
https://ilmanifesto.it/la-nakba-2-0-e-loblio-dei-palestinesi
La Nakba 2.0 e l’oblio dei palestinesi
Cicli storici. Chiamarli palestinesi – e non semplicemente «arabi» – è il minimo che si possa fare per riconoscere la loro storia e le cicatrici che la sottendono. Molti tra quanti chiamano i palestinesi semplicemente «arabi» misconoscono la loro storia e cultura
Lorenzo Kamel– ( Roma, 1980 )
insegna Storia Contemporanea all’Univ. di Torino
— altro nel link SISCO ( Società italiana per la storia contemporanea ) : https://www.sissco.it/soci/kamel-lorenzo/
Secondo un articolo del Financial Times che cita funzionari israeliani, le autorità di Tel Aviv hanno definito un piano per rioccupare completamente Gaza e per concretizzare «la partenza volontaria verso paesi terzi». Ciò contraddice quanto dichiarato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu in data 10 gennaio 2014 («Israele non ha alcuna intenzione di occupare permanentemente Gaza o di sfollare la sua popolazione civile»), ma è in sintonia con alcuni obiettivi più volte emersi in Israele negli ultimi decenni.
Ed è in sintonia con i primi passi politici intrapresi dalla seconda amministrazione Trump.
Più nello specifico, lo scorso 25 gennaio, su un volo dell’Air Force One da Las Vegas a Miami, il presidente statunitense ha reso pubblico un piano per «ripulire» Gaza. «Stiamo parlando di un milione e mezzo di persone, e noi ripuliamo tutto», ha chiarito Trump ai giornalisti, aggiungendo che la mossa potrebbe essere «temporanea» oppure «a lungo termine».
Al re giordano Abdallah e al presidente egiziano al-Sisi – due autocrati che dipendono dai finanziamenti di Washington per la propria sopravvivenza – è stato chiesto, con scarso successo, di farsi carico di larga parte della popolazione palestinese, sebbene ciò rappresenti una chiara violazione del diritto internazionale, che proibisce i «trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato».
Va chiarito che l’obiettivo di completare l’espulsione dei palestinesi facendo affidamento sui «paesi arabi» era già stata proposta dall’ex segretario di stato Antony Blinken alla fine del 2023, quando si rivolse ad al-Sisi, promettendo ulteriori finanziamenti in cambio dell’«assorbimento» dei palestinesi.
Essa è in ultima analisi radicata nell’idea che i palestinesi siano semplicemente «arabi» e che dunque possano essere facilmente ricollocati in altri «paesi arabi»: una tesi smentita dalla storia e da un ampio numero di fonti primarie.
Senza scomodare fonti vecchie di un millennio e restando alle più recenti, negli anni Settanta dell’Ottocento i termini «Palestinians» e «Palästinenser» furono utilizzati, in esplicito riferimento agli arabi di Palestina, anche da numerosi osservatori occidentali, compreso il console britannico a Gerusalemme James Finn (1806-72) e il missionario protestante tedesco Ludwig Schneller (1858-1953).
Questi pochi esempi, tra molti altri, sono lì a ricordarci che, sebbene tutte le identità rappresentino il prodotto di «costruzioni», esistono contesti in cui le fonti disponibili confermano peculiari retroterra troppo spesso omessi o misconosciuti. Chiamare tutti, da Gibilterra allo Stretto di Hormuz, «arabi» equivale a riferirsi a nordamericani, sudafricani, australiani, neozelandesi, irlandesi e britannici – quale che sia la loro origine – con il termine di «inglesi», o «angli».
Un ampio numero di intellettuali palestinesi ha più volte sottolineato l’esigenza di non normalizzare i diffusi tentativi volti a cancellare la loro identità e storia, indipendentemente dal fatto che un palestinese abbia o meno una cittadinanza israeliana. Ciò appare ancora più necessario alla luce dell’enorme prezzo che i palestinesi hanno pagato affinché le aspirazioni della controparte israeliana potessero realizzarsi.
Nel corso della guerra del 1947-8 furono depopolati 418 villaggi palestinesi. Molti vennero rasi al suolo, altri furono rinominati e ripopolati. Ad esempio, il villaggio palestinese di Bayt Dajan (Dagan era un’antica divinità babilonese/cananea, menzionata tre volte nella Bibbia come divinità principale dei filistei) divenne la città israeliana di Beit Dagan, il kibbutz Sasa venne costruito sulle ceneri del villaggio palestinese di Sa’sa’, Amka’ sulla terra dell’insediamento palestinese di Amqa, Elanit (albero in ebraico) sulla terra di al-Shajara (albero in arabo).
Fatto salvo un numero contenuto di municipalità create per concentrare la popolazione beduina presente nel Negev, nessun nuovo centro urbano o villaggio palestinese è stato fondato dal 1948 ad oggi all’interno dei confini dello Stato d’Israele. Per contro, all’interno di quegli stessi confini sono stati inaugurati oltre 600 nuovi centri a maggioranza ebraica.
Poco meno della metà dei villaggi palestinesi (182 su 418) depopolati al tempo sono oggi inclusi all’interno di siti turistici e ricreativi, come foreste, parchi, e riserve naturali. La popolazione palestinese rimasta dopo il 1948 nei confini dello Stato d’Israele include anche circa 25mila rifugiati interni, ovvero palestinesi che furono sradicati dai loro villaggi nel 1948 e che trovarono rifugio all’interno dei confini d’Israele.
Chiamarli palestinesi – e non semplicemente «arabi» – è il minimo che si possa fare per riconoscere la loro storia e le cicatrici che la sottendono. Molti tra quanti chiamano i palestinesi semplicemente «arabi» misconoscono la loro storia e cultura. Sovente ciò avviene a causa di una scarsa conoscenza, ma, non di rado, anche per via di forme più o meno marcate di razzismo e anti-palestininismo. Antisemitismo e anti-palestininismo rappresentano due facce della stessa medaglia: entrambi sono radicati in una profonda ignoranza e in un viscerale odio verso «l’altro».
nota sul libro e l’autore ( qualcosa ):
Lorenzo Kamel
Israele-Palestina
in trentasei risposte
Einaudi –
Presentazione editore :
Come recita un antico detto spagnolo, quando si verifica un’inondazione – di informazioni, nel nostro caso – la prima cosa che manca è l’acqua potabile. Per farsi un’idea sulle grandi questioni del nostro tempo, molti ricorrono a Wikipedia, alla televisione o a instant book come quelli pubblicati nei mesi seguiti al 7 ottobre 2023: testi spesso scritti da giornalisti o studiosi che non conoscono le lingue locali, non hanno mai lavorato su fonti primarie del Mediterraneo orientale o vissuto nei luoghi di cui scrivono, né hanno mai neanche visitato – fosse anche per qualche ora – Gaza. Al contrario, in modo accessibile, ma senza rinunciare al metodo storico, all’esperienza sul campo e alle fonti, questo volume risponde ai temi cardine legati al conflitto piú lungo della storia contemporanea: il primo “anti-instant book” sulla questione israelo-palestinese, dalla fondazione di Uru-Shalem (Gerusalemme), oltre 5000 anni fa, a oggi.
da :
Lorenzo Kamel @lorenzokamel
LINK X
Domenica 30 marzo, ore 12:00. Cinema Barberini, Roma. multisala.barberini.18tickets.it/film/19999
@Einaudieditore
mi ha comunicato che il libro è già alla sua prima ristampa e verrà pubblicato a luglio come edizione speciale di @LibriMondolibri
.
RIPORTIAMO, PER CHI NON L’AVESSE GIA’ VISTO, IL TRAILER – CON TRADUZIONE ITALIANA SCRITTA, del film/ documentario NO OTHER LAND = non abbiamo un altro paese
Nasce Humanland, progetto cinema di solidarietà e testimonianza
*****
Al via domenica con proiezioni No Other Land su tema palestinese
Il mondo della cultura italiana si mobilita con un progetto collettivo di resistenza, solidarietà e testimonianza: Humanland.
Alice nella Città, Every Child Is My Child, Unita, 100 Autori, WGI – Writers Guild Italia, Wanted Cinema, insieme a una rete in costante espansione di associazioni, artisti e professionisti del cinema e della cultura, annunciano la nascita di Humanland.
segue nel link– ANSA.IT 26 MARZO 2025
per chi mai volesse, pubblico il link della rivista Internazionale che parla di questo film- documentario
23 gennaio 2025 – Internazionale
noi come blog ne abbiamo parlato qui:
Sembra incredibile che un popolo, quello di Israele, che ha sofferto persecuzioni tali per portarlo all’annientamento, ripeta l’identica volontà genocida contro un altro popolo.