JACOB LAWRENCE, VILLAGE QUARTET, 1954
RICERCA. REPUBBLICA DEL 9 APRILE 2006
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/04/09/la-rinascita-di-harlem-dalle-ceneri-del.html
Gohu1er – Opera propria
La rinascita di Harlem dalle ceneri del blues
GIUSEPPE VIDETTI
New York. Bob Marley, dopo uno spettacolo trionfale al Madison Square Garden, suonò sette concerti nel ghetto nero di New York, all’ Apollo, sulla 125esima strada. Raggiungere il teatro, per un bianco, era un’ impresa. Meglio non azzardare la metropolitana, e per i taxi la 99esima era un limite invalicabile. A meno che la vettura non facesse parte della compagnia Harlem Yellow Cab.
IL TEATRO APOLLO, 1941
Apollo Theater, 1946-48 . Foto di William P. Gottlieb
William P. Gottlieb
nota
L’Apollo Hall fu fondato all’incirca nel 1860, però dovette chiudere agli inizi del Novecento.
Il locale lanciò artisti come Ella Fitzgerald, Billie Holiday, James Brown, Gladys Knight, Michael Jackson e The Jackson 5, Lauryn Hill e Sarah Vaughan (che Billy Eckstine sentì per la prima volta e la fece ingaggiare dalla band di Earl “Fatha” Hines).
segue :
https://it.wikipedia.org/wiki/Apollo_Theater
Apollo Theater nel 2006
Witchblue di Wikipedia in italiano
Era il 25 ottobre 1979. Quando il re del reggae approdò a Harlem, l’ Apollo era l’ unico baluardo rimasto a difendere un quartiere in decadenza che un tempo era il centro della vita notturna di Manhattan. Paladino della tradizione, vecchio maniero che rifiutava di chiudere i battenti a costo di usare il ponte levatoio: tutt’ intorno Harlem era off-limits, case diroccate, servizi igienici insufficienti, famiglie che preferivano abitare in automobile piuttosto che sotto un tetto pericolante. La criminalità, quasi rispettosamente (tranne gli spacciatori, è naturale), si teneva alla larga da quel lembo di Africa americana strenuamente protetto da chi predicava da trent’ anni che Harlem era il centro della cultura nera, che non bisognava lasciarlo morire, che ci sarebbe stata un’ altra “Renaissance”, come quella dopo la Seconda guerra, che lo fece splendere di nuovo, ribollente di jazz, di blues, di gospel, sulla scia dei favolosi anni Venti, quando i bianchi facevano la fila per entrare al Cotton Club: il primo, indimenticabile Rinascimento.
Cotton Club, Harlem, New York, febbraio 1930
Il moderno Cotton Club nella 125ª strada ad Harlem (New York), nel dicembre 2013.
Opera propria – it. wikipedia.org
–
Un eccesso di offerta di alloggi costruiti ad Harlem intorno al 1910 spinse i proprietari ad accettare inquilini afroamericani. Il cartello recita “Appartamenti in affitto. 3 o 4 stanze con migliorie solo per rispettabili famiglie di colore”.
© Brown Brothers, Sterling, Pa.
Le belle, vecchie chiese in pietra come l’ Abyssinian Baptist Church, il ristorante Sylvia’ s, dove ancora si gusta il miglior soul food di New York, e l’ Apollo Theatre sono rimasti per quasi quarant’ anni muti e coraggiosi testimoni di una città che andava in rovina, nascosta dentro la metropoli, appendice in cancrena di una Manhattan che ostentava tecnologia, benessere, democrazia. La Harlem dove fino a ieri si viveva di food stamps, i tagliandi che venivano distribuiti ai più poveri perché potessero accedere a un pasto caldo o a un dormitorio, sembra un capitolo della storia di New York ormai archiviato. La rinascita, avviata all’ alba del nuovo millennio, non ha le caratteristiche auspicate dagli ospiti illustri del Theresa Hotel: Marcus Garvey, Martin Luther King, Malcolm X, i leader che concertavano le strategie di lotta per i diritti civili. Il recupero di Harlem è in mano a un agguerrito gruppo di speculatori immobiliari che la sta trasformando in un quartiere alla moda.
Ora che il Greenwich Village ha perso il suo primato e SoHo e TriBeCa sono stati colonizzati fino all’ ultimo centimetro, Harlem rappresenta la nuova sfida di Manhattan. «Prendi la linea A, è il modo più veloce per arrivare a Harlem», diceva Duke Ellington in Take the A Train, una composizione che illustra brillantemente l’ effervescenza del quartiere negli anni in cui il jazz era appena diventato maggiorenne.
Duke Ellington in Take the A Train, 1939
un pezzo dal film : ” Reveille with Beverly “, 1943.
Molti degli edifici dell’ epoca d’ oro sono ancora in piedi. L’ incuria che ha lasciato Harlem in miseria ha anche salvato dalla demolizione, come la sabbia le tombe dei faraoni, molti edifici storici. Il palazzo di sei piani dove Ellington abitò dal 1939 al 1961, al numero 935 di St. Nicholas Avenue (all’ incrocio con la 156esima) è ancora intatto. Dietro alla bella facciata gotica ora protetta dalle Belle Arti, nell’ appartamento 4, il Duca scrisse le sue opere più belle, compresa Black, Brown and Beige, che fu rappresentata in anteprima alla Carnegie Hall;
Black, Brown and Beige- Duke Ellington
E MAHALIA JACKSON
per chi volesse, il concerto completo al Carnegie Hall:
Duke Ellington & His Orchestra- Live At Carnegie Hall – January 23, 1943 (Full Concert)– durata: 2h 14 minuti ca
IL ” DUKE ” CON BEATRICE ELLIS
Beatrice Ellis (Evie) with Duke Ellington On His 65Th – Poster di compleanno, 45,72 x 60,96 cm-
29 aprile 1964
DA : https://www.amazon.it/Poster-Beatrice-Ellis-Ellington-Birthday/dp/B07K5CB8N5
Nel palazzo di St. Nicholas Avenue che ancora intatto visse la sua storia d’ amore con Beatrice Ellis, la compagna che non sposò mai.
Anche la casa a schiera che fu il primo rifugio newyorkese di Billie Holiday e sua madre Sadie in fuga da Baltimora è ancora in piedi, al 108 della 139esima strada ovest, una zona che ancora non è stata aggredita dai nuovi investitori. I mattoni grigi e la scala antincendio all’ esterno sono la testimonianza dell’ architettura povera della Grande Depressione, ma viene voglia di segnarsi come davanti all’ altare maggiore di una basilica quando si scopre che la tormentata diva del jazz scrisse proprio qui dentro Lady Sings the Blues.
BILLIE HOLIDAY — LADY SINGS THE BLUES
la chiesa di San Giovanni il Divino ad Harlem dove Billie Holiday compose la sua famosa canzone
Cathedral of Saint John the Divine, HARLEM — New York
Chris06 – Opera propria– WIKIPEDIA
In primo piano, le forme eclettiche del coro; sullo sfondo, la navata centrale goticheggiante
INTERNO DELLA CATTEDRALE DI SAN GIOVANNI IL DIVINO-
rivolta a ovest verso l’ingresso di Amsterdam Avenue
– Opera propria
Dei gloriosi teatri del Rinascimento di Harlem (1920-1930) non restano che tracce confuse. Il Savoy Ballroom (596 Lenox Avenue all’ altezza della 140esima strada), dove l’ orchestra di Chick Webb esordì con la giovane Ella Fitzgerald, è stato demolito per far posto a un emporio di abiti “tutto a un dollaro”.
LINCOLN THEATRE
Al Lincoln (58 135esima strada ovest), uno dei primi teatri di Harlem, inaugurato nel 1915 da Fats Waller, è stato aggiunto un campanile: ora è una chiesa metodista. Stessa sorte è toccata al Lafayette (2227 A.C.P. Boulevard sulla 132esima), dove Ellington fece il suo debutto newyorkese nel 1923.
Lo Small’ s Paradise (2294 A.C.P. Boulevard sulla 135esima), inaugurato nel 1925 e chiuso nel 1986, l’ alternativa black al mitico Cotton Club, dove i neri organizzavano spettacoli di varietà per un pubblico rigorosamente bianco, è ora l’ International House of Pan Cakes.
ALHAMBRA, SALA DA BALLO
L’ Alhambra (2116 A.C.P. Boulevard sulla 126esima), dove il sedicenne John Hammond, discografico in erba, scoprì Bessie Smith, dopo molte peripezie è tornato a essere un teatro, non proprio in ordine, ma pur sempre un teatro.
BESSIE SMITH ALL’ALHAMBRA NEL 1927
HOMELESS BLUES –Blues senza casa
On one cold frosty morning,
the ground was covered with snow.
On one cold frosty morning,
the ground was covered with snow.
Well, I met a million people,
who didn’t have no place to go.
Well some have children,
some just have their suitcase and clothes.
Well some have children,
Yes, some have their suitcase and clothes.
You know those people was steady walkin’,
but they couldn’t find no place to go.
But the time’s going to be better,
Well, and that I really do know.
Well the time’s goin’ be better,
and that I really do know.
Because it looks so sad and lonesome,
People’s can’t find nowhere to go.
People, children were shivering,
standing around my front door.
People, children were shivering,
standing around my front door.
Well, they were hungry and almost naked,
and couldn’t find no place to go.
inviata da Bernart Bartleby – 14/1/2016 – 10:08
Traduzione di Roberto Malfatti
BLUES DEI SENZA CASA
In una gelida mattina,
il terreno era ricoperto di neve.
In una gelida mattina,
il terreno era coperto di neve.
Ho incontrato un milione di persone
che non avevano un posto dove andare
Alcuni avevano bambini
altri soltanto la valigia e i vestiti.
Alcuni avevano bambini,
altri soltanto la valigia e i vestiti.
Queste persone camminavano ininterrottamente,
ma non riuscivano a trovare nessun posto in cui andare.
Ma le cose miglioreranno,
si, ne sono davvero sicuro.
Si, le cose miglioreranno,
lo so per certo.
Perché ci sono troppa tristezza e solitudine,
e le persone non riescono a trovare nessun posto in cui andare.
Hei gente, i bambini tremavano
erano in piedi davanti alla mia porta di casa.
Hei gente, i bambini tremavano,
erano in piedi davanti alla mia porta di casa.
Erano affamati e quasi nudi,
e non riuscivano a trovare un posto in cui andare.
inviata da Roberto Malfatti – 13/8/2016 – 13:59
Il Theresa Hotel (2090 A.C.P. Boulevard all’ incrocio con la 125esima) ha mantenuto la stessa struttura di un tempo, ma è diventato un alveare di uffici. L’ ampia facciata in mattoni bianchi ancora risplende al sole, proprio come la raccontano le cronache dell’ epoca e i cantori della piccola America nera, James Baldwin e Langston Hughes.
Il Theresa è stato per mezzo secolo la casa del jazz (a gestirlo era il bandleader Andy Kirk): qui hanno vissuto Cab Calloway e Lena Horne, Lester Young e Dizzy Gillespie.
E in tempi più recenti, prima della chiusura, Jimi Hendrix, i pugili Joe Louis e Muhammad Ali, e Fidel Castro (nel 1960, in occasione della visita alle Nazioni Unite, proprio al Theresa incontrò Kruscev, Nasser e Nehru).
Non meraviglia che i due Kennedy lo scelsero come punto chiave delle loro campagne presidenziali. A Harlem, dove fino a pochi anni fa si andava in pellegrinaggio con autobus sigillati, ora si passeggia tranquillamente come in centro di New York. Boutique e librerie stanno gradualmente prendendo il posto dei vecchi negozietti fatiscenti, al piano strada di immobili riportati all’ antico splendore.
HARLEM HEIGHTS
Il West Side, Harlem Heights, sovrastato dalla Columbia University, è ormai zona residenziale presa d’ assalto da una borghesia multirazziale.
Emory Taylor, maestro di canto, 72 anni, vive a Harlem dal 1946. Abita in un bell’ edificio tra la 111esima e Amsterdam Avenue, ma ha vagato nel quartiere in lungo e in largo, ha conosciuto l’ euforia della seconda Harlem Renaissance e l’ abbandono del quartiere nei decenni in cui è diventato la tana di malavitosi, senzatetto e ispanici clandestini. «Avevo dodici anni quando arrivai dalla Georgia. Cominciai a cantare gospel perché poi mi facevano giocare a basket per due ore. Il mio eroe era Paul Robeson. Trascorrevo ore sotto l’ Hotel Theresa, aspettando di vedere i jazzisti che alloggiavano lì.
Nel secondo dopoguerra Harlem era meravigliosa, poi arrivò lo strapotere di Hollywood e New York fu scippata dei suoi talenti migliori». Per anni Taylor ha guidato l’ Harlem Cultural Council, l’ Harlem Opera Society e l’ Harlem Performance Center, per un decennio ha prodotto Tonight Harlem per il Lincoln Center; più volte ha visitato l’ Italia con il gruppo gospel Harlem Jubilee Singers. Emory è stato uno di quegli indomiti intellettuali afroamericani che già vent’ anni fa predicavano la rinascita. «E ancora non mi do per vinto», esclama, «anche se la salute non sempre mi accompagna. Finalmente posso di nuovo insegnare canto ai ragazzi neri in una scuola del Bronx.
Grazie a organizzazioni come il Mind Builders Creative Arts Center siamo riusciti a far crescere consapevolezza e autostima nei giovani del quartiere e coinvolgerli in attività artistiche».
A Taylor si rivolgono anche dozzine di ragazzi di colore (e non solo) in procinto di affrontare un’ audizione a Broadway. «La mia giornata inizia alle sei del mattino e non torno mai a casa prima delle dieci di sera», dice. Non riesce a maledire gli sciacalli bianchi perché stanno sfrattando implacabilmente le famiglie di colore che pagano un affitto dai trecento ai seicento dollari al mese. Trovare nuove dimore per quelli con il reddito più basso è compito dell’ Harlem Tenants Council, gruppo di attivisti finanziati dall’ Abyssinian Baptist Church, da privati e dal comune.
«Per salvare Harlem c’ era bisogno di un intervento massiccio. Lo so, ora chi abita quelle vecchie case è costretto a migrare nel Bronx o a Brooklyn. Ma credo che Harlem, nonostante la speculazione immobiliare, rimarrà economicamente in mano alla comunità di colore. Come sarà tra dieci anni? Un elegante quartiere bianco con eleganti negozi gestiti da neri e una florida attività turistica che sfrutta le vestigia lasciate dagli afroamericani, compreso un museo del jazz di cui si parla da anni e che finalmente sembra prossimo a diventare realtà».
Di fronte alla libreria Hue-Man (Frederick Douglass Boulevard all’ angolo con la 125esima) una boutique nuova di zecca espone abiti con serigrafie di Nelson Mandela; allo Schonburg Center for Research in Black Culture (515 Malcolm X Boulevard) si raccolgono firme per il museo del jazz e c’ è la biblioteca più ricca di volumi su Harlem e sulla cultura afroamericana. Sylvia’ s (328 Lenox Avenue) è ormai in buona compagnia: nel quartiere ci sono almeno due dozzine di ristoranti specializzati in cucina del sud, creola, cajun, marocchina, eritreo-etiope, caraibica e francese.
«Sono arrivata a Harlem nel 1983», racconta la pianista Patrizia Scascitelli, romana, che
come la sassofonista Ada Rovatti (moglie di Randy Brecker) ha scelto New York per vivere e suonare jazz.
«All’ epoca avevo un compagno di colore, andammo a vivere a Sugar Hill, la culla del rap, in un appartamento diroccato tra la 152esima e St. Nicholas Place, capolinea della metro A. Una volta questo era il quartiere in, poi la borghesia nera, dopo i disordini degli anni Sessanta, preferì abbandonare Harlem (più di centomila residenti in pochi anni, ndr). Quando il mio compagno dopo tre mesi mi mollò e sparì nel New Jersey, rimasi sola a Sugar Hill, e non fu una vita facile. Pur essendo l’ unica bianca non ho mai subito violenze, ma confesso di avercela messa tutta per non sembrare un’ aliena. Rientrando dalle serate che facevo in giro per i club di Manhattan avevo sempre in borsa una giacca sdrucita per nascondere il vestito da sera che avrebbe dato troppo nell’ occhio. Se non avessi fatto la musicista e avessi investito a Harlem ora sarei miliardaria. Quella casa, che ora ho lasciato a un amico, è di proprietà dello House Project Development, un organismo istituito dal municipio di New York. Più volte hanno proposto agli affittuari di comprare con un solo dollaro gli appartamenti, con la clausola di restaurare l’ immobile (che sarebbe stata un’ impresa onerosa, perché c’ erano letteralmente i buchi alle pareti). Questo prima del boom immobiliare, naturalmente. C’ è chi ha speculato su questa formula e adesso rivende a diecimila dollari al metro quadrato. La nuova Harlem ha i suoi negozi Old Navy e i suoi Starbucks Café, ma io dico sempre a chi si avventura nel quartiere di fare attenzione. Ci sono zone di East Harlem dove bisogna stare in guardia. Non è ancora come fare shopping a Park Avenue».
La Scascitelli conferma quel che dice Emory Taylor: le chiese hanno avuto un’ importanza decisiva nella salvaguardia della cultura afroamericana a Harlem.
Chiesa Battista Abissina-
Fondata nel 1809, il suo edificio attuale fu costruito nel 1922–23 ed è stato progettato da Charles W. Bolton & Son in stile neogotico e revival Tudor.
Nel corso degli anni, la chiesa è stata un luogo per la spiritualità, la politica e la comunità afroamericane.
La chiesa battista abissina fa risalire la sua storia al 1809, quando i marinai dell’impero etiope (allora noto come Abissinia ) aiutarono a guidare una protesta contro i posti a sedere della chiesa segregati.
DA:
https://en.wikipedia.org/wiki/Abyssinian_Baptist_Church
Bella e interessante questa ricerca su una delle zone più “interessanti” di New York.