La rivolta delle élite. Il tradimento della democrazia
L’opera che ha annunciato la separazione tra élite e masse popolari e la nascita dei nuovi populismi.
“Appassionato, avvincente, provocatorio” – New York Times
“È plausibile, per usare le categorie inventate dallo storico statunitense Christopher Lasch, che anche nel nostro continente siano state le élite a rivoltarsi per prime, a secedere lentamente dalle masse, perdendo – più o meno volutamente – il contatto con la gente normale” – Il Foglio
Le classi privilegiate sono sempre esistite ma non sono mai state tanto pericolosamente isolate da quanto le circonda come oggi. Le moderne élite, da cui dipende il dibattito politico e nelle cui mani si trova il flusso internazionale del denaro e dell’informazione, hanno perso il contatto con la gente, sono ormai sempre più cosmopolite e migratorie, sempre meno legate alle collettività che governano.
Non favoriscono l’autogoverno della comunità, non si preoccupano della distribuzione di proprietà e ricchezze, né di quella di idee e opinioni che costituiscono i prerequisiti fondamentali per la realizzazione della democrazia.
In assenza di scambi democratici, i più rinunciano a informarsi e quindi a intervenire, oppure si segregano volontariamente in difesa della propria identità o diversità. A causa della profonda divaricazione tra élite e maggioranza, tra ricchezza e povertà, si creano allora istituzioni parallele o alternative, a tutto detrimento della partecipazione democratica. Contro la diffusa sfiducia nei valori dell’Occidente, Lasch scrive una difesa della libertà intellettuale e dell’impegno a non tradire la democrazia.
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RECENSIONE DEL LIBRO DI LASCH
**** La recensione non mi è piaciuta, ne ho cercato altre, ma nel tempo che ho preso non ne ho trovato: alla fine un link.
IL MANIFESTO 30 DICEMBRE 1995
https://ilmanifesto.it/archivio/1995020803
NOTA DEL GIORNALE
Questo articolo proviene dall’archivio storico del manifesto. I dati disponibili potrebbero essere limitati e, di conseguenza, l’articolo potrebbe risultare incompleto.
I dannati delle praterie
L’irriverente apologia del pupulismo democratico nell’ultimo lavoro di Christopher Lasch “La ribellione delle élite”
FILIPPO LA PORTA -( Roma, 1959 ), critico e letterato.
Un suo libro forse divertente : ” Roma è una bugia ”
scheda Laterza: https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858111796
IL TORTO PEGGIORE che si potrebbe fare allo studioso americano Christopher Lasch (scomparso solo un anno fa), sarebbe trattarlo accademicamente, assumerlo come sintomo culturale, come esponente di una delle tante tendenze della teoria sociale e politica americana (i neocumunitari). No, credo che in libri come La ribellione delle élite (pubblicato postumo e in Italia edito da Feltrinelli) si parla della sinistra e della cultura liberal che tanto affascina i progressisti italiani: de te fabula narratur!
E, d’altra parte, lo stesso Lasch proviene dalla sinistra liberal, da cui si è in parte distaccato negli ani ’70, mantenendo però sempre ferma la critica al reaganismo e alla nuova destra.
Tesi del libro è che oggi assistiamo nell’Occidente capitalistico a una ribellione delle nuove élite (manager dell’industria e professionisti che producono e manipolano l’informazione) contro la gente comune, i Middle Americans.
Dopo aver consumato fino in fondo la crisi della morale e delle ideologie, queste élite illuminate (che danno il tono al dibattito culturale), non credono più a nessun valore, e anzi compatiscono come sorpassati e “inguaribilmente rozzi”, coloro che ancora ci credono. Insomma la loro è una “ribellione” contro le masse, contro gli individui ordinari, “fuori moda e provinciali, avidi di romanzi-spazzatura”. Lasch non ignora il razzismo e il fondamentalismo dei Middle Americans, ma è come se la sua simpatia andasse nonostante tutto a loro, più che ai “migliori e più brillanti”, alle truppe internazionali dei “creativi”, scettici, cosmopoliti, ossessionati dall’autostima e dall’autorealizzazione (e sempre più isolati da quanto li circonda).
L’isolamento delle élite
Naturalmente le asserzioni di Lasch, formulate sempre in uno stile vibrante, insieme rigoroso e di grande vivacità polemica, andrebbero discusse pazientemente una ad una. Né sappiamo se l’apologia dei Middle Americans ha qualcosa di ingenuamente proiettivo, di ideologico e di consolatorio (più un wishful thinking che una realtà obiettiva, inoppugnabile): un populismo “democratico” e radicale, cui Lasch aveva dedicato il corposo Il paradiso in terra (che in verità, almeno da noi, evocava più Bruce Springsteen che Bossi).
Ma, proprio in ragione della originalità e ricchezza di queste pagine, vorrei tentare di fare sinteticamente alcune considerazioni in margine, segnalando tre questioni fondamentali (1. quella centrale dell’isolamento delle élite, 2. quella delle precondizioni della democrazia 3. e infine quella del pluralismo e svuotamento della cultura), tentandone anche una delicata “traduzione” nel nostro contesto.
- Un giornale come Repubblica potrebbe essere assunto come specchio di quelle élite politiche e intellettuali che per Lasch avrebbero perso ogni contatto con la realtà e che, perdipiù, segretamente disprezzano la gente comune (che non sta al passo con le mode culturali) e l’opinione pubblica (giudicandola rozza e troppo emotiva). Il punto è che per l’Italia la contrapposizione tra élite e masse non appare abbastanza giustificata, né disponiamo attualmente di tradizioni populiste democratiche. Ad una massa se ne contrappone un’altra, che però si comporta paradossalmente come una élite.
Repubblica ha rappresentato per quasi vent’ani un certo ceto (che era o si pretendeva avanzato), in verità piuttosto esteso, dandogli però la inebriante illusione di essere ristretto, esclusivo. Non so poi se le nostre élite sono peggio delle masse, ma certo da parte loro i middle Italians non fanno quasi nulla per resistere a questa “colonizzazione” culturale, ma vi aderiscono con slancio.
2. La democrazia non è solo questione di regole e di ingegnerie elettorali, ma di antropologie e di struttura della società. Se davvero alla democrazia occorre un ethos democratico (oggi assi carente), allora i discorsi dei politologi diventano un po’ astratti e autoreferenziali. Insomma se a rispettare le regole c’è l’artigiano e piccolo proprietario di Lasch (che in quanto tale ha una sua morale, “professionale”, con i suoi requisiti di fiducia in se stesso, capacità d’iniziativa, senso del limite e della responsabilità), va tutto bene, o quasi.
Ma se a dover seguire le regole c’è una classe media arrogante, rivendicativa, che si vuole “protagonista”, abituata a trovare alibi e giustificazioni per tutto, pronta a cambiare ideologia come si cambiano gli abiti, aggiornata su tutto ma in modo superficiale, soprattutto smaniosa di mostrare al mondo la propria “creatività”, temo che le regole, per quanto ben congegnate, non servano a molto.
3. Certo, il pluralismo e la libertà di scelta della società contemporanea sembrano (sono) illimitati. Ma proprio questo è il problema. Lasch insiste spesso sul fatto che oggi non disponiamo più di una “cultura”, che non è solo un “modo di vivere”, ma un modo di vivere capace anche di porre divieti, limitazioni, di stabilire che alcune cose sono “sacre” (forse una cultura laica non può fare del tutto a meno del sacro, come sapevano Nicola Chiaromonte e Pasolini), di indicare scelte che siano in qualche misura obbliganti. Alla vergogna si sostituisce la spudoratezza, all’etica la terapia.
Il punto non è rimpiangere la “morale all’antica”, rifugiarsi in un passato idealizzato, ma almeno avere ben chiari i “prezzi” e le conseguenze di certe trasformazioni della mentalità. Sembra che oggi nessuno vuole più rischiare di “investire” emotivamente in qualcosa (qualcosa di irreversibile), forse per non correre il rischio di restare deluso.
La smagliante utopia
Ora, la delusione, che è un aspetto normale dell’esperienza umana, risulta invece devastante per un io sempre più fragile, vulnerabile, votato solo alla sopravvivenza (“Io minimo” si intitolava un altro libro di Lasch).
Per autoimmunizzarsi la ricetta è semplice: basta non prendere più sul serio nulla. Così forse le nostre esistenze diventeranno più “tiepide” o più aride, ma d’altra parte non saranno più appesantite da rimorsi e sensi di colpa (e la leggerezza, da Calvino a Vattimo, costituisce davvero la più smagliante utopia laica dei contemporanei).
Insomma Lasch costeggia spesso, e pericolosamente, il discorso predicatorio, l’appello moralistico, ma si mantiene sempre al di qua di un conservatorismo bacchettone e inerte. Il suo è un percorso assai irregolare, inclassificabile, spesso irritante. Ma oggi, sulla strada della conoscenza, della ricerca etico-politica, si danno da qualche parte percorsi regolari e prevedibili?
per chi volesse, un altro commento più semplice da accompagnare
Luca Bagatin, Pensalibero.it– febbraio 2018
https://www.pensalibero.it/la-rivolta-delle-elite-tradimento-della-democrazia-christopher-lasch/