MELISSA, L’eccidio dei contadini che volevano solo lavorare. 30 NOVEMBRE 1949 –da :: REFERENDUM 8-9 GIUGNO 2025 —Collettiva ( CGIL )- 20 ottobre 2020 + altro

 

 

Dopo Melissa, nel giro di qualche anno, l’esercito dei contadini si trasformò in un esercito di emigranti. Morirono a centinaia nelle miniere del Belgio, nelle fonderie tedesche, sui cantieri di mezzo mondo. Delle rimesse spedite in Calabria dagli emigranti, le banche drenarono il 90% per finanziare il “miracolo economico”.

da: https://www.infoaut.org/storia/29-ottobre-1949-l-eccidio-di-melissa )

 

di ILARIO AMMENDOLIA,

più volte sindaco di Caulonia, da sessant’anni è impegnato sul terreno della difesa dei diritti inalienabili di tutti e a favore dei migranti, degli esclusi e dei reclusi.
( https://volerelaluna.it/)

 

 

 

ILARIA ROMEO — COLLETTIVA 

 

COLLETTIVA.IT– 20 ottobre 2020

https://www.collettiva.it/copertine/italia/leccidio-dei-contadini-che-volevano-solo-lavorare-s587lngh

 

Melissa

L’eccidio dei contadini che volevano solo lavorare

 

Era il 1949 quando la celere sparò contro i braccianti che avevano occupato il fondo Fragalà di proprietà di un barone. Al ministero degli Interni sedeva Mario Scelba e quella passò alla storia come una delle stragi, armate dallo Stato, contro chi rivendicava il diritto al lavoro

 

 

 

 

Il 29 ottobre del 1949 la celere apre il fuoco sui contadini di Melissa che avevano occupato il fondo detto Fragalà di proprietà del possidente del luogo, il barone Luigi Berlingeri. Tre persone rimangono uccise: Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, di 15 anni, e Angelina Mauro, di 23 anni, che morirà più tardi per le ferite riportate e che avrebbe dovuto sposarsi qualche giorno dopo. Molti saranno i feriti, anche gravi.

 

Melissa diventerà negli anni, per ragioni di solidarietà e di studio, meta di molti intellettuali. Ernesto Treccani, affascinato “dalle sue aride argille ineguali” tra il 1950 e il 1960 vi soggiornerà più volte. “Devo l’ispirazione più profonda al mio lavoro di pittore alla consuetudine di vita dei contadini della Calabria in particolare e di quel piccolo paese dell’antico marchesato di Crotone che ha il nome Melissa. In questo paese, voi ricordate, sono ormai quasi vent’anni, caddero sul feudo di Fragalà due contadini poveri e una giovane donna, in quel grande movimento di occupazione delle terre incolte, guidato dal Partito comunista, dal Partito socialista, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori”, dirà nel 1973.

 

Il fatto è ricordato, tra gli altri, anche da Lucio Dalla in una strofa del brano Passato, presente, quarta traccia dell’album Il giorno aveva cinque teste, che recita: “Il passato di tanti anni fa, alla fine del quarantanove, è il massacro del feudo Fragalà sulle terre del Barone Breviglieri. Tre braccianti stroncati col fuoco di moschetto in difesa della proprietà. Sono fatti di ieri”.

 

una lotta del ’74  che  continua quella del 1949: ” CGIL, il ‘ 74 come il ’49  UNA LOTTA CONTINUA ANCORA “.

 

Nell’ottobre del 1949 la notizia dell’eccidio si diffonde rapidamente e la Cgil proclama lo sciopero generale. L’Avanti! e l’Unità danno per primi la notizia ed anche la stampa internazionale registra l’avvenimento. La mattina del 2 novembre si svolgono solennemente i funerali di due delle vittime, sebbene i loro cadaveri si fossero dovuti seppellire il giorno dopo l’eccidio per lo stato in cui erano stati ridotti. Ai funerali partecipano alcuni parlamentari dell’opposizione, numerosissime rappresentanze dei contadini della zona, gli operai della Montecatini e della Tertusola, tutti gli abitanti di Melissa. Mancava il prete, al quale il vescovo aveva negato l’autorizzazione per i funerali religiosi.

 

 

 

 

 

“La terra di Melissa” 1954 di Ernesto Treccani-

 

commento al quadro

Il 30 novembre del ’49 tre braccianti furono uccisi dalla polizia durante l’occupazione di una terra. L’eccidio spinse il pittore a trasferirsi sulla costa ionica e a calarsi nella realtà contadina. Da qui nacquero quadri come «La conquista delle terre»
«I miei primi giorni a Melissa non furono facili. Avevo del mio lavoro un’idea precisa, dipingere i contadini e la loro realtà, per una società che doveva cambiare. In ogni caso le difficoltà mi sembravano tutte soggettive: l’incapacità a comprendere, e l’insufficienza del mestiere. Armato di coraggio cominciai a vivere quella vita: mi alzavo quando si alzavano loro. Andavo nei campi, mangiavo con loro. Partecipavo alle riunioni, alle lotte. Non zappavo, non tagliavo legna, invece disegnavo». Basterebbero solo queste poche righe di Ernesto Treccani, scomparso venerdì scorso all’età di 90 anni, per avere contezza del legame profondo che ha unito il pittore milanese a Melissa, alla sua terra, ai suoi braccianti.
Formatosi nella resistenza antifascista lombarda, Treccani, figlio del fondatore dell’omonima enciclopedia, arriva in Calabria sul finire degli anni Quaranta per sostenere le lotte dei braccianti agricoli contro i baroni latifondisti. Gli episodi di repressione, per mano dei celerini di Scelba, erano culminati tragicamente il 30 ottobre 1949 a Melissa, dove tre contadini, Giovanni Zito, Giuseppe Nigro e Angelina Mauro, mentre marciavano per occupare le terre incolte di un feudo, vennero uccisi dalla polizia.
La rabbia, lo sdegno, la commozione per quello che venne definito “l’eccidio di Melissa”, furono generali ed attraversarono tutta l’Italia sensibilizzando, oltre a Treccani, buona parte degli intellettuali dell’epoca tra cui Renato Guttuso, Carlo Levi, Leonida Repaci.

( Silvio Messinetti, Il Manifesto 30 novembre 2009

 

 

ALTRA IMMAGINE CON COMMENTO ANCHE DEL MSI

In tutte le lotte per la terra PCI, PSI e CGIL erano sempre alla testa del movimento, ma talvolta erano attivi anche militanti di destra: come, appunto, Francesco Nigro ( giovane missino, cadde per primo con la bandiera italiana in mano ); Angelina Mauro eera attivista dell ‘Azione cattolica– Per dire che non furono solo socialisti e comunisti a partecipare e a morire per la lotta per la terra, ma si conviene che i dirigenti erano loro

L’ immagine da : SITO COMUNISTA.IT
https://www.sitocomunista.it/italia/archiviostorico/1949_melissa/melissa_1949.html

 

per il mio commento vedi : https://www.fenice-europa.eu/index.php/i-caduti/280-francesco-nigro?showall=1    ( è interessante per vedere che questo problema di ” accaparramento della sinistra è cominciato dal MSI )

 

 

Il corteo—- racconterà l’onorevole CacciatoreFrancesco Cacciatore, detto Cecchino (Mercato San Severino19 gennaio 1904 – Salerno3 marzo 1983), è stato un politico e sindacalista italiano del Partito Socialista Italiano e dal 1964 fu fondatore ed importante esponente del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (1964) /PSIUP  )—

— percorse le strade di Melissa, si snodò attraverso i viottoli in una teoria lunga e triste. Le donne procedevano tutte insieme, vestite a lutto, silenziose. Mai ho visto una popolazione in preda a un dolore così profondo. Lungo il cammino fino al cimitero si univano al corteo altri gruppi di uomini e donne. Queste ultime gridavano: – Vogliamo vendetta. – E gli uomini correggevano: – Vogliamo giustizia – . L’aspetto più doloroso di quel corteo lo davano i bambini con i loro piccoli volti pallidi, emaciati, con i ventri gonfi, con i segni della denutrizione. Giunti al cimitero, deposti i fiori sulle tombe, commemorati i morti, i contadini vollero recarsi nella tenuta Fragalà, sul posto dell’eccidio.Due ore di cammino lungo viottoli e mulattiere, e vedemmo con i nostri occhi la terra contesa, ormai consacrata al lavoro dei braccianti dal loro sangue”.

 

 

 

 

*****

 

 

**** GIUDITTA LEVATO

 

Il dipinto di Migliazza, che raffigura il momento dell’uccisione della giovane e madre Giuditta Levato, presente nella sala consiliare del Comune di Sellia Marina

 

NOTA : GIUDITTA LEVATO

Giuditta Levato

GIUDITTA LEVATO- FOTO DA LIBERA  e testo sotto in blu / LINK

Giuditta era incinta, aveva già due figli, ma il giorno in cui fu uccisa era andata nei campi a difendere il suo lavoro e quello dei contadini che facevano parte della prima Cooperativa agricola di Calabricata. Non poteva permettersi di restare in silenzio davanti alla forza e al sopruso dei vecchi proprietari terrieri, che li accusavano di essere degli usurpatori.

 

Giuditta Levato, 31 anni (era nata il 18 agosto 1915 ad Albi, pr. Catanzaro), contadina, prima vittima della mafia del latifondo in Calabria, viene colpita da un colpo di fucile quando è incinta di sette mesi del suo terzo figlio. Il 28 novembre 1946-

Prima di morire riuscirà a lasciare il suo testamento spirituale al senatore Pasquale Poerio che si era precipitato al suo capezzale:

Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti. Ho tutto dato io alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, e perciò muoio, perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui ha tanto combattuto e sofferto. Ma tu, o compagno vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata.

 

Dirà a sua volta Pasquale Poerio ( Casabona, 1º ottobre 1921 – Catanzaro, 29 novembre 2002) è stato un sindacalista e politico italiano, già deputato e senatore della Repubblica, partito PCI ) …durante un comizio tenuto qualche tempo dopo l’assassinio:

Forse o lavoratori, non avrei capito nella sua interezza il sacrificio di Giuditta Levato se non fossi venuto qui, a Calabricata. L’esser venuto qui, l’aver veduto le vostre case basse e affumicate, il vostro villaggio senza strade, i vostri bimbi senza niente sulla carne che li possa riparare dall’inverno, le vostre donne, i vostri uomini coperti solo di cenci, con su le facce i segni del lavoro e della fame, spettacolo terribile di miseria, mi ha fatto capire appieno il sacrificio della vostra compaesana che non appartiene più solo a voi, ma ai contadini di tutta la Calabria, a tutti i lavoratori della terra d’Italia. Lei, da quel mattino in cui esalava l’anima nello Ospedale civile di Catanzaro, apparteneva a tutto il movimento di redenzione della massa contadina della nostra provincia che, iniziatosi il 17 ottobre del 1944 nella zona dell’alto e medio Crotonese, doveva diventare il 17 settembre del 1946, un grande movimento al quale partecipavano 96 comuni con cinquantamila contadini. La prima vittima della nostra provincia, che doveva cadere sotto al piombo degli agrari, è nata qui in Calabricata, villaggio disperso nel basso Crotonese covo di duchi principi e baroni. E così accanto ad Argentina Altobelli, la figlia dei borghesi emiliani, combattente senza tregua per la causa della redenzione dei lavoratori della terra, siederà da oggi in poi Giuditta Levato, l’umile contadina calabrese che tutto sacrificò per la redenzione dei suoi fratelli, se stessa, la propria giovinezza, la propria famiglia. Di lei, della sua vita semplice poche cose si possono dire. Accade sempre così, quando si deve parlare dei martiri: modesti fuochi, che poi, inaspettatamente divampano, travolgendo se stessi ed altri e lasciandosi dietro una scia luminosa che segna il cammino da seguire (…) Ricordo, ricordo le tue parole: ‘Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti (…)’. Ed io, o lavoratori di Calabricata, sono venuto. Ho mantenuto la promessa e sono con voi. Ho veduto le vostre case basse, affumicate e piene di miseria. Ho veduto i vostri bimbi scalzi e pieni di fame. Ho capito perché Giuditta Levato si è sacrificata. Ho veduto le vostre pagliaie, questo cumulo di catapecchie senza un cimitero e senza una fontana ed ho veramente compreso le ultime lacrime di Giuditta Levato, sul letto di morte. Ma la vendicheremo! E quando, nuovamente suoneranno a stormo le campane, per dire che l’ora della riscossa finalmente è venuta, questo piccolo borgo senza strade, diventerà il centro ideale di tutti i lavoratori d’Italia.

 

 

 

 

 

 

ARCHIVIO SIRBeC – link del sito

 

 

Un piccolo borgo senza strade come tanti ancora esistono nel nostro meridione, nella nostra Calabria. La Calabria di Giuditta Levato e Peppe Valarioti, di Tommaso Campanella e Rino Gaetano.

Ad esempio a me piace la strada
Col verde bruciato, magari sul tardi
Macchie più scure senza rugiada
Coi fichi d’India e le spine dei cardi
Ad esempio a me piace vedere
La donna nel nero, nel lutto di sempre
Sulla sua soglia tutte le sere
Che aspetta il marito che torna dai campi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Valarioti - Wikipedia
GIUSEPPE VALARIOTI-

FOTO WIKIPEDIA

Giuseppe Valarioti (Rosarno, 1º marzo 1950 – Nicotera, 11 giugno 1980) è stato un politico e attivista italiano. Dirigente del Partito Comunista Italiano fu ucciso dalla ‘Ndrangheta, e fu il primo politico vittima della mafia calabrese.

segue:  WIKIPEDIA 

 

 

FINE NOTA– MA VALEVA, NON VI PARE ?

 

 

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Aggiungerà Mario Alicata in un discorso da qualcuno definito “musicale”: “A nome (…) di tutto il Senato della Repubblica italiana, voli a quei tumuli lacrimati l’omaggio devoto e imperituro. Il sangue non è stato versato invano, se esso varrà a seppellire la vecchia storia ed a forgiarne una nuova”. Un augurio purtroppo non realizzatosi.

 

ECCIDIO DI MODENA – GENNAIO 1950 ( 1 )

 

Tre mesi più tardi, il 9 gennaio 1950, a Modena si protesta contro i licenziamenti ingiustificati alle Fonderie Riunite.

 

 

 

 

Italiano: funerali delle vittime dell'eccidio, delle fonderie Riunite di Modena . 11 gennaio 1950. 31 sconosciuto funerali delle vittime dell'eccidio, delle fonderie Riunite di Modena 01 Foto stock - Alamy

Funerali delle vittime dell’eccidio, delle fonderie Riunite di Modena . 11 gennaio 1950.

 

 

 

Le forze dell’ordine sparano nuovamente sulla folla provocando la morte di sei lavoratori:

Angelo Appiani, ucciso proprio davanti alle Fonderie; Renzo Bersani, colpito a morte lontano dagli scontri mentre cerca di fuggire; Arturo Chiappelli, raggiunto dai proiettili della polizia vicino alla Fonderia; Ennio Garagnani, colpito a morte lontano dagli scontri; Roberto Rovatti, colpito con i calci dei fucili della celere, gettato in un fosso e finito con un colpo sparato a distanza ravvicinata ed Arturo Malagoli, colpito davanti al passaggio a livello della vicina ferrovia.

 

Ai funerali, l’11 gennaio, l’Unità invia il poeta e scrittore Gianni Rodari, allora giovane cronista. Scriverà Rodari nell’articolo 300.000 lavoratori ai  funerali delle sei vittime: “La città gloriosa, ammutolita dal dolore e stretta intorno ai suoi assassinati del 9 gennaio si è riempita stamani di passi pesanti che popolavano le sue strade, le sue piazze … I sei avevano l’espressione contratta del dolore e dello spaventoso stupore in cui li sorprese la morte. Caduti allineati l’uno a fianco dell’altro nelle bare avvolte in bandiere. I tre ragazzi di 20 anni sembravano ancora vivi e la terribile espressione dei loro volti sembrava dovuta ad un sogno angoscioso e passeggero… Sulle fotografie i volti sembravano anche più giovani. Garagnani e Malagoli avevano una luce quasi infantile”.

“Le bare – prosegue Rodari – erano portate a spalla da operai, ferrovieri, tramvieri, braccianti. Su ognuna di esse un modesto cartello col nome e l’età del caduto: Appiani Angelo, anni 20; Bersani Renzo, anni 21; Garagnani Ennio, anni 21; Chiappelli Arturo, anni 43; Malagoli Arturo, anni 21; Rovatti Roberto, anni 36. Niente altro. Da tutti i muri della città le fotografie dei caduti rispondevano a quei cartelli. Dietro le bare camminavano i familiari composti nell’atroce dolore. Alcuni di loro, poche ore dopo la morte dei loro cari, sono intervenuti al comizio di protesta a cui ha partecipato tutta la città, e solo la parola «eroismo» può definire questa capacità di fondere un dolore personale alla grande voce di una protesta collettiva”.

“Si noti che tutti questi lavoratori (il riferimento è agli eccidi di Melissa, Torremaggiore e Montescaglioso oltre che di Modena) sono stati uccisi unicamente perché chiedevano di lavorare, gli uni sulla terra incolta, gli altri nella fabbrica serrata – tuonerà dalle colonne di Lavoro Giuseppe Di Vittorio dopo l’eccidio delle Fonderie Riunite – I lavoratori sono stanchi di piangere i loro morti e non sono affatto disposti a lasciar soffocare nel sangue i loro bisogni di lavoro o di vita. La Cgil con la sua forza e il suo prestigio è riuscita sinora a contenere in limiti normali la protesta popolare contro gli eccidi. Ma la storia insegna che, al di là di un tale limite, nessuna forza umana può garantire i confini entro i quali possa essere contenuta una collera popolare lungamente compressa”. Parole sulle quali, forse, sarebbe opportuno riflettere.

 

 

 

( 1 ) per chi volesse un approfondimento ” buono ” sui fatti di Modena, specialmente il primo pezzo ( dall’Ordine Nuovo, – 9 gennaio 2021 )

 

MODENA, 9 GENNAIO 1950 –L’ORDINE NUOVO ( 9-1-2021 )+ WIKIPEDIA +BLOG DI MARCO AMENDOLA : Com è andata davvero.

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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  1. DONATELLA scrive:

    Quante vite spezzate, magari le migliori, per difendere la propria e l’altrui sopravvivenza!

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