BIRAGO DIOP
La penna rattoppata /o anche rotta ( La plume raboutée )
SITO DEL POETA
https://www.biragodiop.com/
Birago Diop (1906-1989), scrittore senegalese francofono che ha reso omaggio alla tradizione orale del suo paese pubblicando racconti, in particolare i suoi Racconti di Amadou Koumba .
Nato nei pressi di Dakar, ricevette una formazione coranica e frequentò contemporaneamente scuole francesi. Durante gli studi di medicina veterinaria a Tolosa, rimase attento all’opera degli africanisti e alla fine degli anni Trenta aderì al movimento della Négritude, che allora comprendeva Senghor e Césaire. Fu a Parigi che compose i Racconti di Amadou Koumba nel 1942 (pubblicati nel 1947), dimostrando fin da questo primo libro la sua predilezione per la tradizione orale dei griot, questi cantastorie popolari la cui voce non smise mai di ascoltare. Rispettoso dell’oralità, affinò un talento originale come scrittore nei Nuovi Racconti di Amadou Koumba (1958) e in Racconti e Lavanes (1963); la sua raccolta di poesie Leurres et Lueurs (1960) è profondamente intrisa di cultura francese combinata con le fonti di un’ispirazione puramente africana.
La sua carriera diplomatica dopo l’indipendenza del suo paese e il ritorno al suo primo incarico come veterinario a Dakar non ostacolarono la sua esplorazione della letteratura tradizionale africana, ma dichiarò di aver “rotto la penna”. Ciononostante pubblicò La Plume raboutée e altri quattro volumi di memorie tra il 1978 e il 1989.
I morti non sono morti
Ascolta più spesso ciò che vive
ascolta la voce del fuoco
ascolta la voce dell’acqua
e ascolta nel vento
i singhiozzi della boscaglia :
sono il soffio degli antenati.
I morti esistono,
essi non sono mai partiti,
sono nell’ombra che s’illumina,
e nell’ombra che scende
nella profonda oscurità.
Sono nell’albero minaccioso
e nel bosco che geme,
sono nell’acqua che scorre,
sono nell’acqua stagnante,
sono nelle capanne,
sono nelle piroghe.
I morti non sono morti.
I morti esistono, non sono mai partiti,
sono nei seni della donna
sono nel bimbo portato dal suo corpo
sono nel tizzone che si accende
non sono sotto terra
sono nell’incendio che divampa
sono nelle erbe che piangono
sono nelle rocce che gemono
sono nella foresta, nelle abitazioni, nelle barche.
I morti non sono morti.
Il grande poeta senegalese in questa sua poesia esprime con versi bellissimi il rapporto che esiste presso molte popolazioni africane tra il mondo dei viventi e quello dei defunti. Mentre in Occidente la morte allontana le persone, che vivono solo nei ricordi, per molti africani il rapporto con gli antenati continua. Ci si rivolge a loro per chiedere consigli, per avere conforto, non abbandonano mai del tutto il mondo dei vivi. Sono una presenza costante che, come dice la poesia di Diop, che possiamo riportare per intero, vive in tutte le cose e quindi ci accompagna in ogni momento.
( testo e traduzione di MARCO AIME )
da :
immagini e proverbi africani-
Einaudi, 2017
Intervista a Marco Aime da:
Letture.org
Marco Aime (
Marco Aime è attualmente ricercatore di Antropologia Culturale presso l’Università di Genova. Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi.Oltre a numerosi articoli scientifici, ha pubblicato vari testi antropologici sui paesi visitati: Chalancho, ome, masche, sabaque. Credenze e civiltà provenzale in valle Grana (Centre de Minouranço Prouvençal, Coumboscuro, 1992); Il mercato e la collina. Il sistema politico dei Tangba (Taneka) del Benin settentrionale. Passato e presente (Il Segnalibro, 1997); Le radici nella sabbia (EDT, 1999); Diario dogon (Bollati Boringhieri, 2000); Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia in collaborazione con S. Allovio e P.P. Viazzo (Meltemi, 2001); La casa di nessuno. Mercati in Africa occidentale (Bollati Boringhieri, 2002); Eccessi di culture (Einaudi, 2001); L’incontro mancato (Bollati Boringhieri, 2005); Gli specchi di Gulliver (Bollati Boringhieri, 2006); Il primo libro di antropologia (Einaudi, 2008); La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009); Una bella differenza (Einaudi, 2009). È autore anche di alcune opere di narrativa: Taxi brousse (1997), Fiabe nei barattoli. Nuovi stili di vita spiegati ai bambini (1999), Le nuvole dell’Atakora (2002), Sensi di viaggio (2005), Gli stranieri portano fortuna (2007), Il lato selvatico del tempo (2008). Fra gli altri suoi titoli si ricordano: Gli uccelli della solitudine (2010), L’altro e l’altrove (2012), Tra i castagni dell’Appennino (2014), Je so’ pazzo. Pop e dialetto nella canzone d’autore italiana da Jannacci a Pino Daniele (2014), La fatica di diventare grandi (2014), Senza sponda. Perché l’Italia non è più una terra d’accoglienza (2015), Invecchiano solo gli altri (Einaudi, 2017).
in questo link, potete dare un’occhiata alla grande varietà dei libri scritti da questo autore: MARCO AIME:
APRENDO C’E UNA PRESENTAZIONE DI OGNI LIBRO
https://www.ibs.it/libri/autori/marco-aime
UN RACCONTO DI BIRAGO DIOP, PUBBLICATO SUL SUO SITO IN FRANCESE E TRADOTTO AUTOMATICAMENTE-
IL SITO è : https://www.biragodiop.com/ VAI NELLA PARTE ” ESTRATTI “
FARI L’ASINO
Allontanarsi dal suo argomento – spesso appena entrato – solo per tornarci meglio, questa era l’abitudine di Amadou Koumba, i cui detti riferirò e le cui gesta senza dubbio un giorno racconterò.
Spesso, con una parola di uno di noi, ci riportava molto, molto indietro nel Tempo. Spesso anche un uomo di passaggio, il gesto di una donna, ci riportava alla mente racconti e parole di saggezza che il nonno di suo nonno aveva imparato da suo nonno.
Lungo la strada meridionale che avevamo percorso per un giorno, carcasse sbiancate dagli spazzini e cadaveri in tutti gli stadi di putrefazione avevano sostituito i cippi di confine che non erano mai esistiti. Cadaveri e carcasse di asini che portavano carichi di cola dalla Costa al Sudan.
Avevo detto: “Poveri asini! Cosa sopportano!”
– Provi anche tu pietà di loro? aveva risposto Amadou Koumba. È davvero colpa loro, però, se sono dove sono oggi; Se sono schiavi degli schiavi… Se gli ordini – tasse e benefici – di Dakar ricadono, dopo essere passati dal Governatore al Comandante del Circolo, dal Comandante del Circolo al Capo Cantone (senza dimenticare l’Interprete), dal Capo Cantone al Capo Villaggio, dal Capo Villaggio al Capo Famiglia, dal Capo Famiglia sulla schiena a colpi di randello. Come in passato (perché non credo che nulla sia cambiato) dal Daniel-il-re ai Lamanes-viceré, dai Lamanes ai Diambours-uomini liberi, dai Diambours ai Badolos di bassa condizione, dai Badolos agli schiavi degli schiavi… Se l’asino è dove si trova oggi, è perché l’ha chiesto.
In tempi antichissimi, molto antichi, di cui non hanno certo perso la memoria, come noi, gli asini. Come tutti gli esseri sulla terra, vivevano liberi in un paese dove non mancava nulla. Quale primo errore hanno commesso? Nessuno lo ha mai saputo e forse nessuno lo saprà mai. Resta il fatto che un giorno una grande siccità devastò il paese, che fu poi colpito dalla carestia. Dopo infiniti consigli e discussioni, si decise che la regina Fari e alcune cortigiane sarebbero partite alla ricerca di terre meno desolate, regioni più ospitali, paesi più fertili.
Nel regno di N’Guer, dove vivevano gli uomini, i raccolti sembravano più belli che in qualsiasi altro paese. Fari era disposta a fermarsi lì. Ma come si potevano disporre senza rischi di tutte queste cose buone che appartenevano agli uomini? Un singolo
Un mezzo forse: farsi uomo. Ma l’uomo rinuncia volontariamente al suo simile a ciò che gli appartiene, a ciò che ha ottenuto con il sudore delle sue braccia? Fari non l’aveva mai sentito dire. Alla donna, forse, l’uomo non dovrebbe rifiutare nulla, poiché, a memoria d’uomo, nessuno aveva mai visto un maschio rifiutare qualcosa a una femmina o picchiarla – a meno che non fosse pazzo come un cane rabbioso. Fari decise quindi di rimanere femmina e di trasformarsi in donna, così come il suo entourage.
Narr, il moro del re di N’Guer, era forse l’unico suddito del regno a praticare sinceramente la religione del Corano. In questo, non aveva alcun merito, poiché doveva dimostrarsi degno dei suoi antenati che avevano introdotto l’Islam con la forza nel paese. Ma Narr si distingueva comunque dagli altri, prima per il suo colore bianco, poi per il fatto che non sapeva mantenere il minimo segreto. E ancora oggi, si dice di un narratore che “ha ingoiato un moro”.
Narr era quindi praticamente devoto e non perdeva mai nessuna delle cinque preghiere del giorno. Immaginate il suo stupore una mattina, quando andò a compiere le abluzioni al lago di N’Guer, e trovò delle donne che facevano il bagno lì. La bellezza di una di loro, circondata dalle altre, era tale che lo splendore del sole nascente si offuscò. Narr dimenticò le abluzioni e le preghiere e corse a svegliare Bour, il re di N’Guer
– Bout! Bilahi! Walahi! (Veramente! Nel nome di Dio.) Se mento, che mi venga tagliato il collo! Ho trovato al lago una donna la cui bellezza non può essere descritta! Vieni al lago, Bour! Vieni! Non è degna di nessuno tranne te.
Bour accompagnò il suo Moro al lago e riportò indietro la bella donna e il suo seguito. E la prese come sua moglie prediletta.
Quando l’uomo dice al suo personaggio: “Aspettami qui”, ha appena voltato le spalle che il personaggio gli cammina alle calcagna. L’uomo non è l’unico a soffrire di questa sventura. L’asino, come altre creature, condivide questa passione con lui. Per questo Fari e le sue cortigiane, che avrebbero dovuto vivere felici e senza preoccupazioni alla corte del re di N’Guer, si annoiavano e languivano sempre di più. Mancava loro tutto ciò che rende gioia e felicità la natura di un asino: ragliare e scoreggiare, rotolarsi a terra e scalciare… Così un giorno chiesero a Bour, usando il gran caldo come scusa, il permesso, che fu loro accordato, di andare a fare il bagno ogni giorno al tramonto nel lago.
Raccogliendo le zucche, le mastiti e tutti gli utensili sporchi, si recavano così, ogni sera, al lago dove, togliendosi il boubù e i perizomi, entravano in acqua cantando:
Fari ciao! ahah!
Fari ciao! ahah!
Fari è un asino,
Dov’è Fari, la regina degli asini
che emigrò e non fece più ritorno?
Cantando, si trasformarono in asini. Emersero dall’acqua, correndo, scalciando, rotolando e scoreggiando.
Nessuno disturbò i loro scherzi. L’unico che avrebbe potuto farlo, l’unico che lasciò il villaggio al tramonto per le abluzioni e la preghiera del Timiss, Narr-il-Moro, era partito in pellegrinaggio alla Mecca. Stanchi e felici, Fart e il suo seguito ripresero i loro corpi femminili e tornarono a casa di Bour, con zucche e mastiti lavate e ripulite.
Le cose sarebbero forse potute andare avanti per sempre se Narr fosse morto durante il viaggio; se fosse stato portato lì a est, in un regno Bambara, Fulani o Hausa, e tenuto in schiavitù; o se avesse preferito rimanere, per il resto dei suoi giorni, vicino alla Kaaba per essere più vicino al paradiso. Ma Narr tornò un bel giorno, proprio mentre calava la notte. Prima di salutare il re, si recò al lago. Lì vide le donne e, nascosto dietro un albero, ascoltò il loro canto. Il suo stupore fu più grande del giorno in cui le aveva trovate lì, vedendole trasformarsi in asini. Arrivò a casa di Bour, ma non poté dire nulla di ciò che aveva visto e sentito, tanto era celebrato e interrogato sul suo pellegrinaggio. Ma, nel cuore della notte, il suo segreto, che aveva ostacolato il cuscus e il montone di cui si era rimpinzato, lo stava soffocando. Venne a svegliare il re
– Bout! Bilahi! Walahi! Se mento, che mi taglino la testa, la tua amatissima moglie non è un essere umano, è un’asina!
– Di cosa stai parlando, Narr? I geni ti hanno forse indirizzato la testa sulla via della salvezza?
– Domani, Bour, domani, inshallah! Te lo dimostrerò.
La mattina dopo, Narr chiamò Diali, il griot-musicista del re, e gli insegnò il canto di Fari.
– Dopo pranzo, gli disse, quando la nostra regina preferita accarezzerà la testa di Bour sulla coscia per farlo addormentare, invece di cantare la gloria dei re defunti, suonerai la chitarra e canterai la canzone che ti ho appena insegnato.
– È alla Mecca che hai imparato questa canzone? chiese Diali, curioso come ogni griot che si rispetti.
– No! Ma presto vedrai la potenza della mia canzone, rispose Narr-il-Moro. Bout sonnecchiava, con la testa sulla coscia del suo favorito, mentre Narr raccontava ancora una volta il suo pellegrinaggio, quando Diali, che fino ad allora aveva canticchiato dolcemente sfiorando la chitarra, iniziò a cantare:
Fari hi! han!
Fari hi! han!
La regina rabbrividì. Bour aprì gli occhi. Diali continuò:
Fari hi! han!
Fari è un asino.
– Bour, disse la regina piangendo, impedisci a Diali di cantare questa canzone.
– Perché, mia cara moglie? La trovo molto carina, disse il re,
“È una canzone che Narr ha imparato alla Mecca”, spiegò il griot.
“Ti prego, mio padrone!” gemette il favorito. “Smettila. Mi spezza il cuore, perché la cantiamo ai funerali.
” “Ma non è un motivo per zittire Diali, dai!
” E Diali continuò a cantare.
Fari è un asino
Dov’è Fari la regina degli asini?
Chi emigrò e non fece ritorno?
Improvvisamente, la gamba della regina che sorreggeva la testa di Bour si irrigidì, e sotto il perizoma apparvero uno zoccolo e poi una zampa. L’altra gamba si trasformò, le orecchie si allungarono, anche il suo bel viso… Rifiutando il suo sposo reale, Fari, trasformata di nuovo in un’asina, diede un calcio in mezzo alla capanna, sganciando la mascella di Narr-il-Moro. Nelle capanne vicine, nelle cucine, nel cortile, i calci e gli ih-h! indicavano che i sudditi di Fari avevano subito la stessa sorte della loro regina.
Come la loro regina, furono trattenuti con randelli e zoppicati; così come tutti gli asini che, preoccupati per la sorte della loro regina e delle loro mogli, andarono a cercarle e attraversarono il regno di N’Guer.
Ed è da N’Guer e da Fari che alcuni faticano con bastoni e trottano, carichi, lungo tutti i sentieri, sotto il sole e sotto la luna.
Interessante e misteriosa l’esplorazione di queste culture che ci porta in terre lontane.