Los Olimareños, è stato un gruppo musicale uruguaiano, formato da Pepe Guerra e Braulio López nel 1962. Il gruppo ha avuto successo internazionale cantando MPU ( (Musica popolare uruguaia )
“Avevo cinque anni. La maestra ha scritto sulla lavagna: “Tutti gli uomini sono mortali”. Ho provato un enorme sollievo, una grande gioia.
Quella sera, quando sono uscita da scuola, sono corso a casa e ho abbracciato molto strettamente mia madre.
“Che fortuna mammina, tu non morirai mai! ” gli ho detto, strappatamente.
“Cosa? ” chiese mia madre, sorpresa.
Mi sono appena separato da lei e le ho spiegato:
La maestra ha scritto sulla lavagna che gli uomini sono mortali.
E tu sei una donna!. Per fortuna sei una donna, ho detto e l’ho riabbracciata.
Mia madre mi ha teneramente separato dalle sue braccia.
– Questa frase, mia cara, comprende uomini e donne. Tutti e tutte moriremo un giorno.
Mi sono sentita completamente sconvolta e delusa.
– Allora perché non l’ha scritto? : “Tutti gli uomini e le donne sono mortali”? ho chiesto.
Beh, ha detto mia madre, in realtà, per semplificare, noi donne siamo bloccate nella parola “uomini”.
– Chiuse? – ho chiesto. Perché?
— Perché siamo donne – mi rispose mia madre.
La risposta mi ha sconcertato.
E perché ci rinchiudono? Gliel’ho chiesto.
È troppo lungo da spiegare, rispose mia madre. Ma accettalo così. Alcune cose non sono facili da cambiare.
– Ma se dico “tutte le donne sono mortali”? rinchiude anche gli uomini?
– No- rispose mia madre. Questa frase si riferisce solo alle donne.
Ho avuto una crisi di pianto.
Ho capito all’improvviso molte cose e alcune molto spiacevoli, come che la lingua non era la realtà, ma un modo per rinchiudere le cose e le persone, a seconda del loro genere, anche se sapevo a malapena cosa fosse il genere: oltre a servire per fare gonne, il genere era una forma di prigione. “
*Cristina Peri Rossi – Scrittrice uruguaiana vincitrice 2021 del Premio Cervantes
IL MANIFESTO 16 MARZO 2025
https://ilmanifesto.it/cristina-peri-rossi-pic-nic-nel-caos-del-mondo-collezione-privata
Cristina Peri Rossi, appesi all’assurdo, quadri di interpreti delle passioni fallite.
Scrittrici uruguaiane Di racconto in racconto, i vani tentativi esistenziali dei personaggi si rivelano degni di un «Museo degli sforzi inutili»: tra erotismo, satira corrosiva e oltranza verbale, ora riedito da Sur
Petrona Vieira, «Nudo», 1930
( 2. vedi al fondo )
Francesca Lazzarato
( Nuoro, 1947), ha tradotto per Sur grandi autori spagnoli e sudamericani. editor letteratura per Mondadori; ha pubblicato Favole illustrate per Orecchio Acerbo, per cui ha tradotto Il Piccolo Leone di Jacques Prévert, illustrato da Ylla (1)
È sempre difficile capire perché alcuni autori, considerati altrove imprescindibili, tradotti in varie lingue e oggetto di ampi studi critici, siano praticamente sconosciuti nel nostro paese: i motivi di certe assenze e omissioni (come di certi successi) restano in fondo misteriosi, ma a volte è sufficiente aspettare per veder nascere una nuova attenzione, in sintonia con curiosità differenti. È il caso di Cristina Peri Rossi, uruguayana trapiantata in Spagna, dove ha ricevuto nel 2021 il Premio Cervantes (massimo riconoscimento per gli scrittori di lingua spagnola), che in Italia resta quasi sconosciuta, nonostante la remota apparizione di due dei suoi titoli. A proporla, ora,sono le edizioni Sur, con una nuova edizione di Il Museo degli sforzi inutili (traduzione di Vittoria Spada, pp.169, € 17,50) che, già pubblicato da Einaudi nel 1990, segna oggi la riscoperta di una scrittrice originalissima.
Nata nel 1941 a Montevideo, Peri Rossi si è auto-esiliata a Barcellona nel 1972, mentre in Uruguay si scatenava la caccia ai militanti di sinistra come lei, che scriveva sul giornale comunista «El popular» e aveva pubblicato una «scandalosa» raccolta di versi traboccanti di erotismo saffico (pochi mesi dopo la sua partenza, il presidente Bordaberry avrebbe imposto una lunga dittatura militare).
Dal momento in cui intraprese all’inverso il viaggio per mare compiuto un secolo prima dai suoi bisnonni genovesi, in un certo senso l’autrice divenne straniera ovunque, tanto nel paese che aveva lasciato quanto in Spagna, dove il franchismo la privò dei documenti (un problema risolto dal matrimonio di facciata con un amico).
La patria di Cristina Peri Rossi è stata perciò la letteratura, segnata dall’esilio («L’esperienza più dolorosa della mia vita e quella che più mi ha arricchito») e dalla perpetua condizione di straniera, temi che affiorano in molti dei suoi testi e si accompagnano ad altri ugualmente fondamentali, come la passione amorosa, l’ interesse per la pittura, la solitudine e il disincanto, l’opposizione allo status quo capitalista, riflessi in una scrittura intesa come esercizio di libertà, in cui si dispiegano, scrive la filologa ispanista Francisca Noguerol, «una fantasia demistificatrice, la satira, l’allegoria, l’erotismo, l’atteggiamento ludico e la continua sperimentazione verbale».
La redazione consiglia:
Un’opera vastissima, quella di Peri Rossi, che include romanzi audaci e complessi, numerose raccolte di versi – che, pur con rimarchevoli differenze di tono e stile, hanno un precedente nella coloritura erotica della poesia di Delmira Agustini e Marosa di Giorgio, uruguayane di generazioni anteriori alla sua –, una fitta produzione giornalistica e molte magistrali raccolte di racconti, forma letteraria che le è particolarmente congeniale.
Tra esse c’è appunto Il museo degli sforzi inutili, composto da trenta racconti brevi e brevissimi: il primo è quello che dà il titolo al libro e che evoca ancora una volta il museo, luogo privilegiato della narrativa di Peri Rossi, già descritto come falso rifugio in Los museos abandonados (1968) , ma che qui diventa il ricettacolo della sconfitta e della frustrazione, dove si raccolgono, si classificano e si custodiscono gli sforzi inutili compiuti dagli esseri umani.
Cristina Peri Rossi con Julio Cortázar, a Parigi nel 1973
Evidente parodia del museo in quanto tempio di glorie e grandezze passate, quello degli sforzi inutiliè dedicato ai perdenti che, cedendo a impulsi e desideri di ogni genere, hanno inseguito invano piccole e grandi passioni, ma è anche uno sberleffo alla disapprovazione sociale per l’ozio, il fallimento, il rifiuto del carcere invisibile creato dall’imposizione di norme e codici di condotta. L’autrice lo rappresenta come una sorta di pinacoteca dell’assurdo dove si allineano «quadri» basati su poche e corrosive immagini dalla vigenza sorprendente, quasi a confermare ciò che Peri Rossi dice di sé stessa: «Io non sono stata cronista della realtà, mi sono sentita spesso come Cassandra nell’Eneide, intenta a predire un futuro pieno di pericoli che pochi vedevano».
A oltre quarant’anni dalla prima edizione in lingua originale, questi racconti sono più che mai nostri contemporanei, come «Bandiere», in cui si racconta come la rituale consegna del vessillo nazionale alle famiglie dei caduti in guerra faccia prosperare l’industria che le confeziona, a dimostrazione di un «alto grado di patriottismo». In «Le statue o la condizione dello straniero», microracconto di asciutta perfezione, il protagonista si ritrova in una piazza popolata di statuee simile a un quadro di Giorgio De Chirico (molti sono gli artisti citati nelle prose di Peri Rossi, da Leonor Fini a Jacob van Ruisdael e Arnold Böcklin, o tacitamente presenti, come Edward Hopper) dove, ignorato da quegli sguardi di pietra, capisce che «la condizione dello straniero è il vuoto: non essere riconosciuti da coloro che occupano uno spazio, forti del solo diritto di occuparlo». In «Mercoledì», invece, incontriamo due anziane amiche intente a fare un pic nic nel caos spaventoso del traffico cittadino: una di loro è fuggita di casa ed entrambe, in una conversazione alla Ionesco, simpatizzano con un giovane homeless, arrivando alla conclusione che «Questo mondo non è adatto a nessuno».
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Macedonio Fernández, solo una perfetta solennità è peggio del raffazzonare
Di racconto in racconto, gli sforzi dei personaggi si rivelano abbastanza inutili da essere degni di essere esposti nel Museo del titolo, ma non si può dire che tra loro manchino gli eroi, maldestri quanto intrepidi: ognuno è un Icaro deciso a tentare comunque il volo, anche se volare significa starsene in eterno tra le lenzuola («Istruzioni per scendere dal letto»), o fermarsi a un passo dalla vittoria per osservare gli alberi e il cielo («L’atleta inciampa»), o contemplare in feroce solitudine il pesce più grosso che, in un acquario domestico, divora quelli piccoli («L’effetto della luce sui pesci»).
Con una scrittura sintetica, precisa e tagliente, in equilibro tra malinconia e un umorismo quasi sarcastico, Peri Rossi parla di quello che dovrebbe essere taciuto, porta alla luce quel che ci rifiutiamo di vedere, intreccia paradossi e allegorie, frequenta imprecisati non-luoghi, interpreta alla lettera e trasforma in piccole storie atemporali le più comuni frasi idiomatiche, gioca con il linguaggio sottolineando che non esiste una «sintassi innocente» e suggerisce che la realtà, come la lingua, usa travestimenti insidiosi.
Dietro la sua adesione a una brevità spiazzante ed eccentrica si intravedono, più che influenze vere e proprie, le ombre suggestive di due maestri dell’assurdo, i rioplatensi Macedonio Fernández e Felisberto Hernández, ma anche quelle di Kafka e di Cortázar, quest’ultimo unito all’autrice da un’amicizia «intima e irripetibile», testimoniata da un affettuoso memoir di Peri Rossi, (Julio Cortázar y Cris , Menoscuarto 2014), e dai versi luminosi e appassionati che lui le dedicò e che oggi si possono leggere in Salvo il crepuscolo (2023), raccolta di tutta la poesia dell’autore argentino tradotta da Marco Cassini per Sur.
E proprio al prologo scritto da Cortázar per un libro dell’amica (La tarde del dinosaurio, 1976) dobbiamo una delle migliori definizioni della sua prosa: «Si direbbe che scrittori come Peri Rossi ripetano senza saperlo (ma cosa significa sapere, in questa terra di nessuno dove passeggiano dinosauri e api regine?) l’oscuro archetipo del palazzo di Barbablù: stanze, corridoi di specchi, porte condannate o proibite, sempre porte per quelli che preferiscono l’orrore e la morte alla rinuncia ad aprirle».
(1) Il piccolo leone di Prévert- Orecchio Acerbo- Ylla illustrazioni
Il piccolo leone vive in gabbia con sua madre e suo fratello.
La vita nel Grande Serraglio è ben diversa da quella che la madre racconta sugli Spazi Aperti. Approfittando di una disattenzione dei guardiani, il piccolo guadagna la libertà e arriva in un parco. Qui comincia l’avventura di un cucciolo intraprendente. Amicizie, amori e tanto, tanto sonno…
Per la prima volta in tutto il mondo vede la luce il testo integrale di Jacques Prévert censurato nel 1947.
Forte e chiara, la sua voce dedica al leoncino sognatore di Ylla (vincitrice con “Tutti lo hanno visto!” del premio Andersen 2023) una storia piena di poesia sulla natura e parole taglienti sull’educazione, sugli affetti e sul rispetto.
Un libro che ha saputo attraversare il tempo.
da :https://www.orecchioacerbo.it/catalogo/libro/il-piccolo-leone/
(2 ) storia ed immagini della grande pittrice uruguaiana
Questa scrittrice, di cui non sapevo nulla, sembra veramente succulenta.