LIBRIANTICHIONLINE–
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due_nel_crepuscolo
nota: sembra che la poesia sia stata scritta per Dora Markus:
Dora Markus è una lirica della raccolta Le occasioni di Eugenio Montale, forse una delle più note.
Poesia scritta tra il 1928 e il 1939, trae spunto dalla figura di una giovane austriaca di origini ebraiche, Dora Markus, che Montale non aveva conosciuto personalmente ma di cui gli aveva parlato l’amico Bobi Bazlen, inviandogli una foto delle gambe di Dora e indicandola come amica di Gerti Fránkl Tolazzi, di Graz anche se viveva a Trieste, di cui il poeta parla in Carnevale di Gerti 1928, nella stessa raccolta; la foto sembra esser stata scattata dalla stessa Gerti.
Montale scrive a Gianfranco Contini nel 1943 che la protagonista di Due nel crepuscolo – in La bufera e altro – è ancora Dora Markus.
A Marina di Ravenna una piazza è intitolata a Dora Markus.
da:
https://www.violettanet.it/poesiealtro_autori/MONTALE_1a.htm
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Nella poesia che segue, Montale parla di una donna, Dora, un’ebrea-austriaca perseguitata dal regime nazista. Dora viene ritratta in due momenti distanti e tuttavia cruciali della propria vita: giovinezza e vecchiaia.
Sullo sfondo della tragedia della guerra e delle persecuzioni razziali, Montale ci dona questo intramontabile ritratto di donna, addentrandosi nelle complesse sfumature dell’animo femminile e traendone un personaggio immortale dalla complessità estrema.
TESTO E COMMENTO SOPRA
nel link trovate altre notizie sulla poesia
da : https://www.sololibri.net/Dora-Markus-Eugenio-Montale-testo-analisi-commento.html#google_vignette
” DORA MARKUS ” —
LE OCCASONI DI MONTALE, Einaudi, 1939 –.( Poesie dal 1928-1939 )
Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all’altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s’affondava
una primavera inerte, senza memoria.
E qui dove un’antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.
La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d’avorio; e così esisti!
II
Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl’irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell’acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.
La sera che si protende
sull’umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d’oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.
La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d’oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l’armonica guasta nell’ora
che abbuia, sempre più tardi.
È scritta là. Il sempre verde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino…
Ma è tardi, sempre più tardi.
Le parole si susseguono come una musica.