IL MANIFESTO 12 ottobre 2025
https://ilmanifesto.it/i-clan-sfidano-hamas-e-laltra-guerra-di-gaza
I clan sfidano Hamas. È l’altra guerra di Gaza.
Reportage. Crescono d’intensità gli scontri tra le autorità della Striscia e una decina di gang criminali bene armate, dedite ai saccheggi e ai traffici illegali, a cui copre le spalle l’esercito israeliano. Un conflitto interno rischia di incendiarsi in pochi giorni

Alaa Al Nafoura —
KHAN YOUNIS (GAZA
![]()
Khan Yunis si trova nel sud-ovest della striscia
da: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Gaza_Strip_map_-_ITA.svg
Nella mattina di venerdì scorso, nella zona costiera di Khan Younis, un violento scontro si è consumato attorno a Majayda street, una zona con poche case di residenti e molte tende di profughi da Khan Younis.
La battaglia ha visto coinvolti membri della famiglia Majayda pesantemente armati e polizia di Hamas supportati da miliziani delle brigate al Qassam ( esercito di Hamas ); sono state usate armi pesanti per ore fino all’intervento dal cielo dei missili israeliani che hanno colpito le forze di Hamas, con decine di vittime alla fine della giornata.
Questo episodio non è isolato e rivela la difficoltà di Hamas di controllare il territorio che vede zone franche dove agiscono gang autorganizzate, pezzi di clan convertiti al crimine, storici rivali politici, famiglie di contrabbandieri trasformatesi in paramilitari.
Gli scontri si stanno sviluppando con dinamiche complesse e diverse. Alcune famiglie sono arrivate ad assaltare strutture pubbliche, addirittura ospedali, per vendicarsi delle uccisioni di alcuni parenti coinvolti in saccheggi.
Alcuni gruppi erano autorizzati dalle autorità, in cambio di una tassa, a scortare armi in pugno i camion dei commercianti privati, ma poi, ingolositi dal profitto e dalla forza dimostrata, hanno rifiutato gli accordi ponendosi in antitesi con chi prima aveva permesso le loro attività.
I comandi di polizia hanno cercato il dialogo con i clan, chiedendo l’isolamento dei gruppi coinvolti nei business illegali e poi ribadendo che le uccisioni e torture erano compiuti contro i singoli in quanto criminali e non come componenti delle famiglie che invece, avendo centinaia o migliaia di membri, erano parte rispettata della società o erano parte dell’amministrazione o dei corpi della resistenza.
Ora lo scontro in campo sta aumentando vistosamente. IDF ha bersagliato dall’inizio della guerra ogni rappresentante del potere a Gaza, anche i poliziotti che scortavano gli aiuti umanitari che poi diventavano preda delle bande criminali.
Questi gangster da oltre un anno hanno rifugi nelle zone rosse dove di solito chi si muove viene invece bersagliato dall’aviazione e dall’artiglieria.
Le Nazioni Unite, in un rapporto riservato dell’autunno scorso, indicavano la collusione fra IDF e queste bande che derubando i camion di aiuti alimentavano il mercato nero, privavano la popolazione di sostentamento e gli ospedali dei materiali di prima necessità. Le bande si sono moltiplicate e le loro operazioni non rientrano solo nell’ambito del lucrativo crimine ma sono una sfida al controllo del territorio, al monopolio della forza con operazioni militari contro forze di sicurezza o dell’amministrazione pubblica.
Durante i combattimenti a Gaza City uomini incappucciati hanno derubato convogli di persone in fuga, hanno esploso colpi contro strutture sanitarie e hanno fatto video proponendosi come antagonisti alle milizie della resistenza, operando nelle stesse strade ma con grande libertà di movimento.
Una nuova milizia, di Hossam Al Astal, del grande clan degli Astal di Khan Younis, sta reclutando adepti mostrando foto di cibo made in Israel, armi e mezzi occidentali, invitando i rifugiati a trasferirsi nella zona rossa all’est di Khan Younis dove elettricità e acqua sono abbondanti. Il gruppo si muove a qualche chilometro dal centro città, minacciando un coprifuoco e l’invasione dell’ospedale pubblico Nasser in quanto struttura amministrativa. Questo gruppo, per quanto poco considerato dalla popolazione sta cercando spazio e rivendica finanziamenti da paesi europei e del Golfo, oltre che l’evidente libertà concessa dai comandi israeliani. Le aspirazioni di questo gruppo sono quelle di inserirsi nello spazio che Hamas potrebbe dover cedere durante il post-tregua. E questa ambizione trova altri gruppi pronti a collaborare.
La milizia più nota sono le Forze Popolari (Alqwat Shaibiya) capeggiate da Yasser Abu Shabab, contrabbandiere di droga e sigarette. Proveniente da un grande clan, i Tarabin, del sud della Palestina, quando i confini coloniali ancora non esistevano a separare i beduini fra Gaza, Egitto, Israele.
Nei decenni parte della tribù ha sfruttato i legami transfrontalieri per attività clandestine, rimanendo protagonista del ricco business del contrabbando. Oggi Yasser Abu Shabab vive serenamente nella combat zone, protetto dagli Israeliani, da dove passano moltissimi convogli carichi di aiuti e materiali umanitari.
Proprio saccheggiando centinaia di camion umanitari la fortuna di Abu Shabab ha preso il volo. Quando i convogli lasciavano il valico israeliano di Kerem Shalom, squadre già pronte entravano in azione nella zona chiamata dai camionisti looting point o self-service zone, mentre dal cielo i droni israeliani assistevano alle ruberie sparando a chi scortava i veicoli; i camion venivano poi dirottati passando davanti alle postazioni dell’IDF, scomparendo nel sud della Striscia, la no go area ( zona proibita di entrare ).
Le merci riapparivano dopo alcuni giorni nei mercati locali, vendute a prezzi spropositati alimentando le casse della banda e la tensione fra abitanti della Striscia.
Ora il gruppo è ben armato, finanziato e protetto, con ramificazioni in altre zone e luogotenenti del nord come Rami Hales e Ghassan Al Dahini; un’indagine di Skynews rivela come un reparto dell’IDF abbia stretti contatti con questi paramilitari; questi stanno portando avanti una campagna di reclutamento ostentando armi, cibo e soldi, rivelando materiale ancora impacchettato nei contenitori della Gaza Humanitarian Fundation, fondazione statunitense che gestisce le gabbie di distribuzione di aiuti dove le vittime sono ormai divenute centinaia e che Medici Senza Frontiere ha definito “siti di orchestrata deumanizzazione e uccisione”.
Ma non tutti i nemici di Hamas hanno accettato questa logica. La famiglia Al Baker e la famiglia Dommush ad esempio, spine nel fianco di Hamas a Gaza City per i loro business e controllo dei quartieri ovest, avevano rifiutato la collaborazione che i servizi israeliani avevano proposto, e hanno avuto come conseguenza le case rase al suolo dai missili dell’IDF nel mese scorso. Una storia che ancora viene raccontata nei mercati di tutta la Striscia.
In totale le gang sono circa una decina e Israele sa che queste bande vanno supportate, come ammesso dal premier Benjamin Netanyahu a giugno, fino quando ritenute utili, per i molti vantaggi che esse portano alla guerra sul campo: eseguire operazioni sporche all’interno del territorio di Gaza, come rapimenti e eliminazioni, distrarre le forze delle Brigate Al Qassam e portarle allo scoperto per essere colpite durante gli scontri, mettere in difficolta le attività umanitarie senza però far ricadere la responsabilità sulla strategia israeliana.
Questi paramilitari stanno principalmente cercando di erodere due elementi fondamentali della amministrazione di Hamas: il controllo del territorio e il monopolio della violenza.
I prossimi passi dopo il cessate il fuoco e lo scambio dei prigionieri dovrebbero prevedere il disarmo dei militanti della resistenza palestinese, privando quindi chi cerca di controllare il terreno del proprio monopolio della forza.
Ma già venerdì, a poche ore dall’inizio della tregua, il canale social delle cosiddette Agenzie di Sicurezza di Hamas prometteva con un comunicato muscolare una campagna repressiva nei confronti di chi “ha compiuto saccheggi, posti di blocco, furto di aiuti umanitari, contribuendo direttamente o indirettamente ad aumentare la sofferenza dei cittadini”; agli “elementi criminali o collaborazionisti” sono state date 48 ore per arrendersi. Nel pomeriggio dello stesso giorno, la polizia ha gambizzato alcune persone nel centro di Gaza City ricevendo applausi e commenti positivi sui social.
Posti di blocco e arresti stanno continuando, cercando di dimostrare che la risposta al desiderio di ordine e pace passerà attraverso le forze dell’ordine e quindi la legittimità dell’amministrazione pubblica. Ora una lista di ricercati sta circolando, includendo i capi delle bande del nord e del sud che devono decidere se rischiare la resa, o fidarsi della protezione israeliana e della fedeltà dei propri accoliti.
Un conflitto interno rischia di incendiarsi in pochi giorni; se poi il piano di Trump dovesse realizzarsi in alcuni mesi, la possibilità che si venga a creare un vuoto politico da riempire con la violenza inquieta molto gli abitanti della Striscia. Come ha detto pochi giorni fa Mohammed, tassista di Khan Younis: “Alla fine della guerra, comincerà la guerra”.
nota del blog:
secondo l’articolo di cui il link:
il clan della famiglia Majayda, sarebbero nemici di Hamas in quanto starebbero dalla parte di Fatah, l’organizzazione al potere in Cisgiordania che si rifarebbe ad Arafat–

Una realtà sconvolgente, di cui non avevo mai sentito parlare.