Tiziana Pesce / Facebook link sotto/ PUBBLICA -1. – ULTIMA NOTIZIA SU MARWAN BARGHOUTI + 2. un testo di Alessandro BARBERO su Marwan Barghouti — un bellissimo encomio ( elogio ) +– 16 ottobre 2025 –++ Post di Soumaila Diawara– link Facebook- LETTERA DELLA MOGLIE ( Fadwa Barghouti )

 

 

 

 

ULTIMA NOTIZIA SU  MARWAN BARGHOUTI

GRAZIE A :

Tiziana Pesce / link Facebook,  16 ottobre 2025– ore 13.00 ca

 

++Marwan Barghouti aggredito e picchiato dalle guardie carcerarie israeliane++ Lo denuncia il figlio Arab.

La famiglia teme per la vita di Marwan dopo l’aggressione subita durante il trasferimento da una prigione all’altra

“Arab Barghouti ha dichiarato che suo padre, 66 anni, è stato aggredito da otto guardie il 14 settembre mentre veniva trasferito tra le prigioni di Ganot e Megiddo.

Barghouti ha affermato che cinque dei prigionieri palestinesi rilasciati e deportati in Egitto dalle autorità israeliane lunedì (nello scambio prigionieri)avevano ascoltato il racconto del leader palestinese sul trattamento ricevuto al suo arrivo nella prigione di Megiddo.

“Quello che sappiamo è che mentre trasferivano mio padre, si sono fermati lungo il percorso e otto guardie di sicurezza dell’autorità carceraria hanno iniziato a picchiare mio padre in diversi modi, prendendolo a calci, buttandolo a terra, colpendolo a pugni, concentrandosi sulla testa, sul torace

In seguito mio padre ha detto ai compagni di prigionia di aver perso conoscenza a seguito dell’aggressione.”

Fonte : The Guardian

Wed 15 Oct 2025 20.56

Da Piero Bosio

 

 

Tiziana Pesce / link Facebook  –  16 ottobre 2025   h. 9.46

 

 

*L’uomo che nessuno osa liberare*

di Alessandro Barbero

 

Ventitré anni di prigione non bastano a spegnere una voce.

Marwan Barghouti, politico, prigioniero e “professore in catene”, è temuto da Netanyahu e da Hamas per lo stesso motivo: parla al popolo come se fosse già libero.

C’è un paradosso che la storia ripete con inquietante regolarità: gli uomini più pericolosi non sono quelli che sparano, ma quelli che spiegano.

Marwan Barghouti appartiene a questa razza rara — quella dei rivoluzionari che hanno più libri che fucili, più idee che milizie.

E proprio per questo, dopo ventitré anni di prigione, Israele non lo libera e Hamas non lo reclama.

Entrambi sanno che, se domani uscisse, non ci sarebbe più guerra da combattere, ma solo un Paese da costruire

Il ragazzo di Kobar che imparò a pensare in prigione

Barghouti nasce nel 1959 nel villaggio di Kobar, vicino a Ramallah — un luogo dove la terra è rossa, le case bianche e la politica si impara al mercato.

A quindici anni entra in Fatah, il movimento fondato da Arafat, e diventa uno dei promotori dello Shabiba, il movimento giovanile palestinese: voleva educare i ragazzi alla resistenza, ma con la testa, non con la dinamite.

Arrestato da adolescente, trascorre lunghi periodi nelle carceri israeliane, dove impara due cose: l’ebraico e la disciplina.

È lì, tra un interrogatorio e l’altro, che inizia a leggere di storia, economia, geopolitica. E quando finalmente si iscrive all’università di Birzeit, studia scienze politiche e storia come un uomo che ha capito che la vera arma è il pensiero.

Nel 1994 si laurea, poi ottiene un master in relazioni internazionali, e infine — ironia suprema — un dottorato in scienze politiche dalla sua cella, con una tesi sulla democrazia palestinese.

Un “professore in prigione”, dunque: non di quelli con la cattedra e la tessera sindacale, ma di quelli che insegnano a voce bassa nei cortili delle carceri, spiegando la differenza tra rabbia e dignità.

Dal sogno di Oslo al carcere.

Negli anni ’90, Barghouti partecipa ai colloqui di Oslo: ci crede, ingenuamente. Crede che un giorno ci sarà uno Stato palestinese che non avrà bisogno di sparare per farsi rispettare.

Quando il processo di pace naufraga e scoppia la Seconda Intifada, è lui a cercare di tenere insieme la rabbia della strada e la diplomazia dei palazzi.

Per Israele diventa “il cervello della rivolta”, per il suo popolo “la coscienza della resistenza”.

Nel 2002 viene arrestato, processato e condannato a cinque ergastoli e quarant’anni extra — un modo elegante per dire: “non ti libereremo mai”.

Al processo rifiuta di difendersi: “Non riconosco il vostro tribunale, siete l’occupante”.

Un gesto che lo trasforma in un’icona: da quel momento, per milioni di palestinesi, Marwan Barghouti diventa il Mandela di Ramallah.

Il docente dell’ombra

Dentro la prigione di Hadarim, Barghouti non smette di insegnare.

Organizza lezioni di politica, corsi di lingua, seminari su diritto internazionale.

Forma generazioni di detenuti che lo chiamano “al-ustādh”, il professore.

“Non insegnava come un accademico”, ricorda un ex detenuto, “ma come chi ha perso tutto tranne la voce”.

Da quella cella scrive, studia, guida scioperi della fame, e persino redige, nel 2006, il “Documento dei prigionieri”, una bozza di riconciliazione fra Fatah e Hamas.

Un gesto di dialogo che fece infuriare entrambi: i primi lo accusarono di trattare con gli islamisti, i secondi di parlare di democrazia.

Il leader che spaventa due poteri

Israele non lo libera perché sa che, se uscisse, nessun altro palestinese avrebbe più legittimità di lui.

Hamas non lo vuole libero perché un leader laico e carismatico, capace di unire anziché dividere, distruggerebbe il loro monopolio morale.

E così Barghouti resta dov’è: ostaggio di due paure speculari.

Nel 2017 il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir, erede spirituale della destra più estrema, andò a provocarlo nella cella.

Il risultato? Una foto imbarazzante: un ministro armato di potere che sfida un prigioniero armato solo di idee.

E nella storia, si sa, a lungo andare vincono sempre le idee.

Fadwa, la voce libera

Fuori, la moglie Fadwa Al-Barghouti continua a lottare.

Avvocata, diplomata in legge, gira il mondo raccontando la storia del marito con la calma di chi ha imparato a contare gli anni, non i giorni.

Nel 2013 lanciò la campagna per la sua liberazione da Robben Island, l’isola dove fu imprigionato Nelson Mandela.

Una coincidenza che non è solo simbolica: è la confessione di una verità scomoda — che ogni potere coloniale ha bisogno di un Mandela da tenere chiuso per sentirsi al sicuro.

Il futuro che fa paura

Oggi, ogni volta che si parla di scambi di prigionieri, il suo nome ricompare e scompare come un fantasma.

Troppo importante per dimenticarlo, troppo pericoloso per liberarlo.

Eppure, in tutta la Palestina, le sue foto appese alle pareti sono più numerose di quelle di qualunque presidente o capo milizia.

È questo il suo potere: essere libero nell’unico luogo dove gli altri sono prigionieri — le loro ideologie.

Così, tra le mura di un carcere israeliano, un uomo insegna ancora.

Insegna che si può resistere senza odiare, che si può vincere senza uccidere, e che la libertà vera non è una concessione, ma un contagio.

Per questo né Hamas né Netanyahu vogliono che esca:

perché un uomo che insegna la libertà non si controlla, si teme.

 

 

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Post di Soumaila Diawara– link Facebook

 

 

Fadwa Barghouti invia un messaggio a suo marito Marwan, dopo la notizia che non sarà rilasciato oggi.

Ti stiamo aspettando, la tua famiglia, il tuo popolo che ti ama e che tu ami. Sei sempre stato del popolo e per il popolo, mio amato, e presto ci incontreremo.

Per quanto riguarda la tua compagna di vita, ricordo ancora le tue parole di quarantun anni fa: «La Palestina viene prima, fino alla liberazione. La nostra parte di vita verrà dopo.» E hai mantenuto quel giuramento. Allora ti risposi: «La Palestina è solo tua?» E ancora oggi cerco di mantenere quella promessa, nonostante il dolore che porta con sé.

Rimani determinato a unire il popolo e la terra, a dare a ogni bambino una parte di vita e di speranza. Ricordi coloro che ti hanno accompagnato nel cammino della lotta, e nella tua mente parli con i vivi e con i martiri allo stesso modo.

Dai l’addio a chi è stato liberato, conforti i prigionieri che restano in questo inferno e, anche quando sei solo con i tuoi pensieri, pensi a nome di un popolo che anela alla libertà, come aprire la strada verso la liberazione e una vita dignitosa, come proteggere i nostri diritti e la nostra causa, come alleggerire il peso di questi giorni duri sulle nostre famiglie. La vita ordinaria attende ancora il giorno in cui il nostro popolo conquisterà la libertà.

Nonostante il dolore senza fine, restiamo fedeli alla promessa, e attraverso tutta la sofferenza il cuore di madre che è in me trova un po’ di sollievo e porta il sogno di un’alba nuova per tutte le madri.

È vero, Marwan, è difficile e fa male. I sei nipoti che non ti hanno mai visto chiedono sempre di te, i nostri figli sono cresciuti con il dolore della tua assenza. Ma ti conosco e so che ciò che ti aiuta a sopportare la tua sofferenza è vedere la fine della distruzione, della rovina e dei crimini contro il nostro popolo a Gaza.

Ti vedo ora in isolamento, in una cella buia, con a malapena del cibo e senza luce del sole da due anni, eppure gioisci, anche nella solitudine, perché il massacro è finalmente cessato. Ti immagino mentre pensi a coloro che tornano a Gaza, chiedendoti come alleviare il loro dolore insopportabile mentre affrontano perdite, macerie e pericoli senza fine.

Gaza merita il tuo sacrificio, la Palestina merita il tuo sacrificio, il popolo palestinese merita il tuo sacrificio.

Free Marwan Now

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