LA STAMPA– 28  settembre 2025: Editoriale -Il direttore Andrea Malaguti intervista Gustavo Zagrebelski:: ” La libertà di parola al tempo dell’odio. Odio e orrore sono fratelli, dopo c’è solo la guerra. ” “

 

 

LA STAMPA– 28  settembre 2025
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Intervista con Gustavo Zagrebelsky: la libertà di parola al tempo dell’odio

Il costituzionalista: «Odio e orrore sono fratelli, dopo c’è solo la guerra. Il 7 ottobre non giustifica il massacro degli innocenti. L’omicidio Kirk? Nessuno può essere ucciso per le sue idee»

 

 

 

 

 

«Io odio i miei avversari e non voglio il meglio per loro»
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America

La libertà di parola al tempo dell’odio. Da Charlie Kirk a Bibi Netanyahu, da Donald Trump a Giorgia Meloni, dalla Flotilla alle Università.

Che cosa possiamo dire senza essere accusati di alimentare lo scontro? 

In quale luogo siamo liberi di esprimerci senza timori? Esiste un principio morale al quale ancorarci? O a guidarci è soltanto il caos? Pieno di dubbi, suono il campanello di Gustavo Zagrebelsky. Mi sembra il posto migliore per affrontare la questione. Una grande tavola di legno, molti libri, i codici, un pianoforte, gli spartiti, le idee che scorrono ed un dubbio atroce: non ci servirà un’altra guerra per fare ripartire la fabbrica della democrazia?

Premessa del professore. «Lei lo capisce che ragioniamo sul filo del rasoio?».
Mi sento come uno studente. «Direi di sì».

Non possiamo più dare per scontata la libertà di parola, presupposto ovvio di qualunque convivenza civile basata sulla libertà, la tolleranza e la democrazia.

«Esatto. Allora la prima domanda me la faccio da solo, mettendomi nell’ottica del giurista. Cioè, di colui che evita di fare di tutta l’erba un fascio».

Allude?
«Mi lasci proseguire. Sa quali distinzioni fa la Costituzione su questi temi?».

Quali?
«La prima riguarda i luoghi in cui ci si esprime. Esistono luoghi privati, per esempio casa nostra o la sede di un circolo a cui accedono i soci. Lì abbiamo il diritto di ammettere e di escludere chi vogliamo. Ovvio, no?».

Ovvio.
«Poi ci sono i luoghi privati aperti al pubblico: ad esempio una sala conferenze o un cinematografo, dove può accedere chiunque. I gestori invitano chi vogliono a parlare, ma il pubblico ha il diritto di dire la sua. E anche di contestare, fischiare, applaudire. In altri termini, di reagire. Nei luoghi aperti al pubblico è necessario garantire il diritto di tutti. Dell’oratore in cerca di consenso e di chi dissente assistendo all’incontro».

 

Chi li garantisce questi diritti?
«Normalmente il moderatore. Ma nemmeno l’oratore ha il diritto di sottrarsi in un modo o in un altro, alle critiche: tutti hanno il diritto di parola».

 

Perdoni, professore. E le Università?
«Ci stavo arrivando. Terza distinzione: i luoghi amministrati dalla pubblica autorità. Le Università sono tra questi. Fanno parte della pubblica amministrazione».

 

E che cosa significa?
«Che hanno un onere particolare, l’imparzialità. Lì si deve pensare, ragionare, non fare propaganda».

 

Esclude che qualcuno faccia propaganda convinto di spiegare?

«La distinzione è semplice. Chi spiega deve rappresentare tutte le posizioni e poi, su questa base anche dire la sua. Ma lo ripeto: è chiaro che camminiamo sul filo del rasoio».

Che cosa succede se un gruppo filopalestinese interrompe una lezione, come è successo al Politecnico di Torino?
«Se c’è interruzione, si viola la libertà di parola. Se c’è interlocuzione, anche al calor bianco, c’è il trionfo della parola».

 

E se a domanda diretta sull’esercito di Netanyahu, fatta ad un professore israeliano, la risposta è: sono i soldati più morali che conosca, si ha torto o ragione?
«Torto».

Perché?
«Perché la risposta giusta sarebbe: non siamo qui per sparare menzogne contraddette dalla realtà che solo i ciechi non vedono, ma per discutere di tale realtà. La questione della vocazione della scuola è antica. In Francia, quando la scuola venne sottratta alle autorità ecclesiastiche per consegnarla allo Stato, si aprì un confronto tra Condorcet e Tallyerand».

 

 

L’epoca dei lumi. Che cosa sosteneva Condorcet?
«Che la scuola non doveva inculcare, ma limitarsi ad istruire, a trasmettere conoscenza, perché l’educazione come agente di manipolazione morale avrebbe leso la libertà e l’autodeterminazione dei giovani e aperto un conflitto con le famiglie, addirittura distruggendo la felicità domestica. Mettendo i figli contro i padri».

 

E Talleyrand?
«Il contrario. Che lo Stato è il necessario dispensatore della morale civica. Lo Stato etico deve avere i propri catechismi per formare la gioventù. Le rivoluzioni spesso richiedono una morale conforme».

Regimi.
«Appunto».

 

Piuttosto di moda, direi.
«È lo spirito dei tempi».

Professore, sintetizzo il discorso all’Onu di Netanyahu: non c’è differenza tra Hamas e i palestinesi. Dunque, li sterminiamo tutti, donne, vecchi, bambini, perché hanno festeggiato il 7 ottobre. Giusto?
«Per uno come me è una domanda irricevibile. Io sono dostoevskjiano».

 

Ovvero?
«Ha presente i Fratelli Karamazov? Ivan dice ad Alyosha: in nome della felicità saresti disposto a creare un dolore, anche solo a fare scendere una lacrimuccia ad un innocente? La risposta di Alyosha mi pare chiara. La voce di Hind Rajab da Gaza, nello sconvolgente film che porta il suo nome, mi pare l’argomento definitivo».

La sua risposta?
«Chiarissima. Io dico di no».

Salvare molti condannando uno solo non è giusto?
«Le opere umane, anche non belliche, hanno spesso le loro vittime, purtroppo. Quanti morti, le piramidi? Quanti, la galleria del Frejus, per esempio. Facendo il bene, spesso si fa il male. Ma, quelle, non erano morti intenzionali. Tanto più alto è il bene conclamato, addirittura la felicità del genere umano, tanto più diventa accettabile l’infelicità degli individui. Dalla lacrimuccia al bagno di sangue, il Terrore in Francia, lo sterminio dei kulaki in Russia, ad esempio».

 

La Palestina è in guerra?
«Non so. Lei che dice? Come definirebbe quello che sta accadendo? Certo un’esplosione di violenza, di quelle viste poche volte. Ma la guerra di cui parla il diritto internazionale e umanitario è un’altra cosa. Per questo, il richiamo al diritto bellico mi pare piuttosto velleitario. Inter armas silent leges».

Parliamo del caso Charlie Kirk? L’hanno ucciso con una pallottola sulla quale c’era scritto Bella Ciao.
«Lei crede che sia un riferimento “alla sinistra” o alla resistenza italiana? Penserei, piuttosto, al “ciaone” del nostro linguaggio politico degradato».

Basta un pazzo per stravolgere il senso di ogni cosa?
«Dipende. Se abbiamo la testa a posto non cadremo nella trappola dei pazzi».

Kirk propugnava idee orribili: i bianchi sono meglio dei neri, se il pilota del mio aereo fosse di colore sarei preoccupato, le donne devono essere sottomesse al marito, le armi sono un diritto e le morti eventuali sono solo danni collaterali. Si può dissentire ora che è stato assassinato?
«Ci sono state molte polemiche su questo. Una considerazione preliminare: ogni essere umano è diverso dagli altri. Non ne troveremmo due uguali, a meno che si diventi dei cloni. La natura, per fortuna, distingue. Ci sono però due momenti in cui siamo tutti uguali: la nascita e la morte».

Innegabile.
«Tra questi due momenti, però, nulla è uguale. Per esempio, una cosa è nascere nel deserto del Gobi e un’altra in una clinica di Torino, così come una cosa è morire tra le macerie di Gaza e un’altra nel proprio letto. Ma nel primo vagito e nell’ultimo rantolo siamo tutti uguali».

Perciò?
«Perciò nell’arco che corre tra questi due momenti siamo tutti diversi e tutti abbiamo il diritto-dovere di guardare noi stessi e gli altri e di sottoporci e sottoporli al giudizio politico, culturale e morale».

Qual è il giudizio sulle idee di Charlie Kirk?
«Lontane mille miglia dalla mia visione. Ma davanti alla morte il giudizio tace».

Tace o cambia?
«Tace di fronte alla morte, per senso di umanità. Non tace affatto rispetto alle idee, per esempio al clima d’odio che negli Stati Uniti uomini come Kirk o Trump vanno coltivando. Né la morte santifica le idee, né le idee giustificano la morte».

Il Parlamento italiano ha ricordato ufficialmente Charlie Kirk. Era successo solo per Mandela.
«È ridicolo, non so come altrimenti definirlo. Ma qui stiamo cambiando prospettiva, entriamo nel campo della strumentalizzazione e della propaganda».

Perché strumentalizzazione e propaganda? Magari erano convinti.
«Non credo lo conoscessero prima che venisse ucciso. La morte degli esseri umani va rispettata, non strumentalizzata. La vita d’ogni essere umano è un fine, non un mezzo. Ha presente Kant? Il valore della vita è un valore assoluto».

A sinistra qualcuno ha detto il contrario?
«Purtroppo sono sfuggite delle frasi interpretabili in quel modo».

Non si può ragionare sul fatto che certi comportamenti provocano ritorsioni?
«Si può, facendo esercizio di prudenza e responsabilità. Ma il dovere è sempre quello di battersi per cambiare le idee, non per far sparire le persone. La democrazia è questo».

 

Ma se certe idee velenose si espandono?
«Se ne propongono altre, finché è possibile farlo».

Anche con un presidente americano che ha appoggiato l’assalto a Capitol Hill e dice, tra mille altre cose, di odiare i suoi nemici?
«Sono cose orribili. La democrazia comprende l’autonomia della stampa, della libera ricerca o della scienza. Mi ha molto colpito che l’altro giorno Trump abbia invitato le donne in gravidanza a non prendere composti al paracetamolo. Dov’è il confronto delle idee su questo e su tanti altri temi da affrontare razionalmente, discutendo?».

E se il libero confronto delle idee è represso?
«Si rischia la guerra civile».

È lì che stanno arrivando gli Stati Uniti?
«Molti lo dicono».

 

La destra italiana denuncia una montata di odio contro il governo. Preoccupazione legittima?
«Mi pare proprio di no, ma qualcuno vuole simulare che non sia così. L’epoca del terrorismo e delle stragi di Stato, dei servizi segreti deviati e della violenza a destra e a sinistra mi sembra molto diversa da questa. Certo, l’allerta non è mai troppa».

Perché simulare che non sia così?
«Forse per demonizzare l’avversario, magari provocare i pazzi che vanno a spaccare le vetrine e su questa base giustificare anche i decreti securitari».

Meloni sostiene di guidare il partito dell’amore.
«Lasciamo che le stupidaggini si sgonfino da sole».

Ma non si parla d’altro.
«Appunto, lasciamo dire. Certe libertà, per quanto in pericolo, da noi ancora esistono. Negli Usa non lo so, mi domando spesso che cosa sarebbe successo se Trump avesse perso le elezioni. Avrebbe accettato l’esito del voto?».

Eppure, le elezioni le ha vinte. Che cosa ha capito Trump che a noi sfugge?
«Che l’odio travolge qualunque forma di pensiero critico e meditativo. Odio e orrore sono fratelli. Dopo l’odio c’è solo l’orrore della guerra».

 

Siamo destinati alla guerra?
«La prospettiva c’è. C’è addirittura chi ne fa l’elogio e la considera inevitabile perché c’è sempre stata. Ma che argomento è? Anche i tumori ci sono sempre stati».

Professore, qual è il nostro compito oggi?
«Tenere accesa la fiammella, fino al momento in cui potrà essere utile. Non solo a noi. Ma a tutti e quelli che verranno».

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1 risposta a LA STAMPA– 28  settembre 2025: Editoriale -Il direttore Andrea Malaguti intervista Gustavo Zagrebelski:: ” La libertà di parola al tempo dell’odio. Odio e orrore sono fratelli, dopo c’è solo la guerra. ” “

  1. DONATELLA scrive:

    Bellissima questa intervista, che condividiamo fino in fondo.

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