INTRODUZIONE: 10. Scrivevo indefessamente anche nei momenti di crisi


INTRODUZIONE: 10. Scrivevo indefessamente anche nei momenti di crisi

 

 

Nel libro penso di aver potuto raccontare il mio cammino con una certa precisione, avendo sempre scritto anche nei momenti di crisi.

 

Usare le parole per comporre quel caos che avevo dentro, fare spazio, a poco a poco, alle parole come ricerca di significato, si era rivelato, infatti, insieme alle medicine e alla terapia, anche in quei momenti di panico, uno strumento sicuro per aiutarmi attivamente.

 

Nell’ultimo anno, inoltre, il terapeuta mi aveva proposto di fare autoanalisi sotto la sua supervisione: allora, nel mezzo della crisi che era seguita a quell’ultimo anno, e che racconto nel libro, si trattava – mi dicevo – di dare “carne e sangue”, a quanto avevo già appreso, per così dire, in

“laboratorio”.

Era questo anche un modo per rassicurarmi: infatti ero sola perché era d’estate e il mio analista era andato in ferie dopo avermi dato tre sedute.

 

Quello che più mi interessa mettere in evidenza è che in una crisi di mania, la decisione inconscia risolutiva che inizia il processo di recupero, come capita anche in tanti momenti cruciali della nostra vita, accade quando riusciamo a passare dalla passività all’attività.

E cercare di analizzarmi attraverso la scrittura aveva per me questo significato.

 

Mi sdoppiavo in una parte che esaminava ed una parte che, più o meno, si lasciava esaminare: così facendo la mia parte sana che “auscultava”, per così dire, la parte malata, si rinforzava a poco a poco raccogliendo dati su di questa. Inoltre, il semplice portare alla luce quello che era nascosto, come insegna la psicoanalisi, era già una terapia.

Ma la parte più importante per me, in questo processo, era che, così facendo, la parte malata sentiva che le veniva “dato uno spazio emotivo” e un’attenzione che prima non aveva. Mi sono convinta, proprio nell’ultima crisi in cui, per una serie di circostanze che racconterò, ero più lucida, che la parte malata trasbordi dai suoi confini quando è “maltrattata”.

Ma di questo mi pare di averne già parlato o di parlarne in un’altra parte.

Questa “straordinaria” attenzione che la parte sana tributava alla parte malata, chinandosi su di lei per auscultarla e scrivere, aveva prima di tutto la funzione di calmarla, come si fa con un bambino che fa i capricci perché è nervoso e ha sonno. Se la parte malata è più calma, di conseguenza la parte sana ha la possibilità di sentirsi un po’ più forte e così via poco per volta finché diventa più forte.

Come un esercizio che deve essere ripetuto quotidianamente: io scrivevo praticamente tutto il giorno.

 

Scrivere aveva inoltre la grande funzione di sfogo e di compagnia. In questo caso avevo bisogno anch’io di un gemello e lo sdoppiarmi aveva anche questa funzione.

 

Mano a mano che la mia parte sana riusciva a mantenere una posizione attiva nel tempo, senza troppe ricadute, le cose cominciavano ad andare meglio e il panico diminuiva. Ad un certo momento, dopo innumerevoli lotte, la parte sana diventava egemone, perché ad ogni scontro vincente, guadagnava un pezzetto di terreno. Diventare egemone vuol dire per me che riusciva ad avere un’influenza sulla parte malata, la accarezzava, la coccolava, la adulava ed altro che dirò adesso fino a convincerla a tornarsene nei suoi confini.

 

Ho parlato di “scontri” perché si trattava di capire, ma, nello stesso tempo, era una lotta feroce: la parte malata ( come la parte sana) – tutto quello che dico, ripeto, l’ho visto nell’ultima crisi- è solo energia, ma questa mal impiegata o ingolfata oppure eccessivamente repressa o troppo incompresa o altro

Non è facile, ma cercherò di spiegare quello che è solo una mia esperienza.

Penso che buon adulto rimane anche un buon bambino, voglio dire che mantiene la curiosità, la capacità di stupirsi, l’emotività, lo slancio e l’ingenuità del bambino.

Ma non è quello che vedo in giro.

 

Quello che vedo sono persone adulte così succubi della realtà da aver dimenticato l’immaginazione e il bisogno di utopia o il bisogno di trascendenza, se si usa questo termine in senso strettamente laico.

Queste persone hanno “tagliato brutalmente” il loro mondo infantile e non se lo ricordano neanche più, per cui vivono “dimezzati” in un eccesso di “normalità”. Ma, in alcune persone che non hanno dei freni a prova di bomba, questa parte trasborda e dà dei disturbi di vario tipo.

 

La nostra parte malata, essendo energia, avrebbe bisogno di essere lasciata affiorare, anche se in maniera controllata dalla parte sana ( per alcuni questo può avvenire solo in una terapia) per essere incanalata in attività costruttive perché quello che chiede (oltre ad essere lasciata inerte…) è di essere impiegata. Quando ci provoca angosce e panico è perché la lasciamo girare a vuoto.

Per uscire dalla crisi la mia parte sana, molto spregiudicatamente, ha impiegato l’energia della parte malata! nessun analista mi ha

 

Anche se nessuno mi ha mai raccontato come avviene la trasformazione di un’energia distruttiva in una costruttiva, ho, per tentativi ed errori, dovuto fare per necessità qualche esperimento di cui forse riuscirò a raccontare qualcosa in seguito.

 

 

Quando la parte sana sentiva finalmente di avere il timone in mano voleva dire, non che fosse finita, ma che eravamo nell’ultima parte della crisi, quando si sarebbe trattato di “rimettere il mondo esterno al suo posto”.

Come descriverò nell’ultima parte del libro, anche nella fine della crisi, la scrittura è stata fondamentale, pur dovendo in quest’ultima parte essere affiancata da una serie di esercizi che chiamerò di “ginnastica mentale” e che specificherò in segui

 

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