DIAMANTINA :: SIAMO RITORNATI STAMATTINA IN UNA CITTA’ COLONIALE TIPICO ESEMPIO DI ” BAROCCO BRASILIANO ” – OLTRETUTTO MOLTO BEN CONSERVATA– DAL 1999 PATRIMONIO UNESCO

 

 

 

LA CITTA’ SI CHIAMA ” DIAMANTINA “, PERCHE’ NEL 1729 QUI FURONO SCOPERTE  MINIERE DI DIAMANTI SFRUTTATE DAI PORTOGHESI CON IL LAVORO DEGLI INDIOS E DEI NERI

 

Diamantina - cidade histórica de Minas Gerais - InfoEscola

 

 WIKIPEDIA: BAROCCO BRASILIANO – qualcosa

L’arte barocca in Brasile fu un’arte essenzialmente funzionale, prestandosi molto bene ai fini a cui doveva servire: oltre alla sua funzione puramente decorativa, facilitava l’assorbimento della dottrina cattolica e delle pratiche tradizionali da parte dei neofiti, rappresentando un efficiente strumento pedagogico e catechetico. Presto gli indios pacificati più abili, e in seguito i negri importati come schiavi, esposti massicciamente alla cultura portoghese, da meri spettatori delle sue espressioni artistiche diventarono agenti produttori: soprattutto i negri daranno vita a gran parte del patrimonio barocco prodotto nel paese. Essi e gli artigiani popolari, in una società in processo di integrazione e stabilizzazione, cominciarono a dare al barocco europeo tratti nuovi, originali, e perciò si considera che questo acclimatamento costituisca uno dei primi momenti di formazione di una cultura genuinamente brasiliana.

Con lo sviluppo del neoclassicismo e dell’accademismo a partire dai primi decenni del XIX secolo, la tradizione barocca cadde rapidamente in disuso presso la cultura dell’élite. Però sopravvisse nella cultura popolare, specialmente nelle regioni dell’interno, nell’attività dei santeiros e in alcune feste.

Da quando gli intellettuali modernisti iniziarono, agli albori del XX secolo, la rivisitazione del barocco brasiliano, un gran numero di edifici e di patrimoni artistici sono stati protetti dal governo, mediante l’archiviazione, la musealizzazione o altri processi, che attestano il riconoscimento ufficiale dell’importanza del barocco per la storia della cultura brasiliana. Centri storici barocchi come quelli delle città di Ouro PretoOlinda e Salvador e complessi architettonici come il Santuario di Bom Jesus de Matosinhos hanno ricevuto lo status di Patrimonio dell’umanità. Questa preziosa eredità è una delle grandi attrattive del turismo culturale in Brasile, e allo stesso tempo è un’icona dell’identità del Paese, sia per i suoi abitanti sia per gli stranieri. Nonostante la sua importanza, buona parte del patrimonio materiale del barocco brasiliano si trova in cattivo stato di conservazione ed esige restauro e altre misure di conservazione, verificandosi spesso perdite o degradazione di esemplari di valore in tutte le discipline artistiche

 

 

Hospedagem - Diamantina - MG - Guia do Turismo Brasil

Diamantina è un comune del Brasile nello Stato del Minas Gerais, parte della mesoregione di Jequitinhonha

 

 

 

 

 

La città venne fondata nel 1725 col nome di Arrial do Tijuco. Come suggerisce il suo nome attuale, Diamantina era un importante centro minerario del XVIII e XIX secolo per quanto riguarda i diamanti.

 

 

Diamantina | Beautiful places in the world, Places, Places around the world

 

 

Nel 1999 la città è stata inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, un esempio ottimamente conservato di stile barocco brasiliano.

Historic Center of the Town of Diamantina | LAC Geo

 

 

Historic Town Diamantina Brazil Stock Photo (Edit Now) 1144717070

 

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lA VALLE DEL JEQUITINONHA CON LA CITTA’ DI DIAMANTINA  è in verdolino giallo al nostro nord-est

CARTINA DA:Diamantina celebra título com festa e espera outro. Confira a programação - Gerais - Estado de Minas

 

 

 

 

Localização de Diamantina

LOCALIZZAZIONE DI DIAMANTINA EM MINAS GERAIS — LO STATO

wikipedia

 

 

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CASA DA GLORIA

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BANCA DEL BRASILE

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CASA COLONIALE

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UN’ALTRA CASA COLONIALE

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Parte do acervo de arte sacra do Museu do Diamante em Diamantina - MG - Foto de Museu do Diamante, Diamantina - Tripadvisor

museo del diamante

da : Museu do Diamante - Melhores Destinos

 

 

 

 

 

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CHIESA N.S. DO CARMO

 

 

Pin em ESTRADA REAL: Igrejas do Brasil

 

 

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CHIESA DI N.S. DO ROSARIO DO HOMEN PRETO

Museu Tipografia Pão De Sto. Antônio-Diamantina – Guia da Estrada Real

TIPOGRAFIA  PAO DE ST. ANTONIO-DIAMANTINA

 

 

 

 

 

 

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UN CIBO TIPICO DI DIAMANTINA

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CHIESA DI SAN FRANCESCO DI ASSISI

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N.S. DEL ROSARIO

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CATTEDRALE DI SANT’ANTONIO

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CAMMINO COSTRUITO DAGLI SCHIAVI, come più o meno tutto il resto  che si riferisce al Barocco Brasiliano:

 

NOTA SULLO SCHIAVISMO IN BRASILE

L’impero del Brasile fu l’ultimo paese del mondo occidentale ad accettare l’abolizionismo; quando la schiavitù venne definitivamente abrogata nel 1888, con la Lei Áurea, circa 4 milioni di persone erano state importate dalle coste africane, il 40% del numero totale di schiavi deportati nelle Americhe.

 

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Il cacciatore di ricompense che dà la caccia agli schiavi fuggitivi,
1823, di Johann Moritz Rugendas.

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ARNALDO SILVA, Campi di gigli autoctoni della valle di Jequitinhonha. MINAS GERAIS ( BRASILE ) *** traduz. automatica / + Valle di Jequitinhonha

 

 

 

Minas Gerais - Wikipedia

 

 

 

MINAS GERAIS

MINAS GERAIS –UNO DEGLI STATI DEL BRASILE

 

Scopri Minas

segue da :
https://www.conhecaminas.com/2019/10/os-lirios-nativos-do-vale-do.html

 

 

 

Di Arnaldo Silva

I gigli sono originari dell’Asia, del Medio Oriente, dell’Europa e del Nord America. Furono introdotti in America Latina dai portoghesi e dagli spagnoli. Lily è il nome generico delle specie appartenenti alla famiglia dei lillà.

 

 

          Alcune specie sono chiamate gigli. Ne esistono circa 100 specie nel mondo, più della metà delle quali sono originarie del Giappone e della Cina. Alcune sono ibride, nate dall’incrocio di specie diverse, che danno origine a colori vari o modificati naturalmente, adattati alle regioni in cui sono state piantate, in questo caso al clima del Minas Gerais.  (foto sopra e sotto di Ernani Calazans ad Araçuaí MG)

 I gigli sono piante resistenti alle condizioni atmosferiche avverse, come la siccità prolungata, e possono raggiungere fino a 2 metri di altezza, a seconda della specie. Una di queste specie, il lilium candidum, è stata quella che meglio si è adattata al clima del Brasile, in particolare del Minas Gerais, dove si è adattata molto bene, dando origine a diverse piantagioni autoctone nello stato del Minas Gerais.

 

I gigli del Minas Gerais

  La specie fu introdotta in Brasile nel XVIII secolo, adattandosi ad alcune regioni minerarie come la Serra da Canastra con poche modifiche e, col tempo, diventando autoctona di queste regioni.

          Nella valle di Jequitinhonha, i gigli crescono spontaneamente e fioriscono sempre a ottobre. Infatti, la pianta era utilizzata dalle popolazioni indigene, anche prima che le popolazioni non indigene si insediassero nella regione.

          I campi di gigli sono comuni ad Araçuaí, Itinga e nelle zone circostanti. È difficile non fermarsi e guardare, entrare nei campi fioriti e sentire il profumo dei gigli di campo.

 

 Nella valle di Jequitinhonha, i gigli autoctoni vengono chiamati “Cebolinha” (piccola erba cipollina), “Neve do Sertão” (neve del Sertão) dagli abitanti dell’entroterra e “Cebola Brava” (cereale selvatico) dagli indigeni, perché il loro bulbo è simile alle cipolle che conosciamo. Appare durante la prima forte pioggia primaverile e la fioritura dura dai 15 ai 20 giorni. Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, ad Araçuaí e nelle zone circostanti sono comuni i campi di gigli. (foto sopra e sotto di Ernani Calazans a Itinga MG)

 

*** ricordo appena che in America del sud le stagioni sono invertite rispetto al’emisfero nord

La cipolla selvatica originaria di Itinga MG era anticamente utilizzata come pianta medicinale. Il suo succo contiene proprietà antisettiche, aiutando a pulire le ferite. Il bulbo, o cipolla, è sotterraneo ed è commestibile. Gli indigeni consumavano il bulbo crudo, fritto e anche cotto in stufe di terracotta. Oggi, con i loro fiori bianchi e rosa, vengono utilizzati come ornamenti naturali.
I campi di gigli autoctoni di Itinga sono una gioia per gli occhi.

Bellezza che impressiona

      La sua bellezza è sorprendente e si ritrova nelle decorazioni degli eventi, nelle composizioni floreali e nei bouquet. Sebbene i suoi fiori simboleggino una delicata semplicità, è considerata la regina dei fiori, simboleggiando anche castità, purezza e innocenza. Insieme alle rose, sono i fiori più profumati del mondo. Il suo profumo è inebriante e trasmette una piacevole sensazione di pace e tranquillità. (foto sopra e sotto di Ernani Calazans a Itinga MG)

 

 

Citato nella Bibbia e nella storia dell’umanità

Presenti nella storia dell’umanità, fin dall’antichità hanno incantato per la loro bellezza, resistenza e profumo ineguagliabile. Era uno dei fiori più ammirati da Gesù Cristo, menzionato anche nel suo più bel sermone, il Discorso della montagna: «Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano…» Mt 6,28.

Nel corso della storia, è stato rappresentato su tele da artisti famosi, a partire dall’antica Grecia e Roma fino ai giorni nostri. La magia dei gigli, che da millenni incanta e profuma il mondo, è sempre presente nei giardini, nei campi, ma anche nelle leggende, nel misticismo, negli amuleti, nelle credenze popolari e nella religione(foto sopra e sotto di Ernani Calazans)

 

  Nell’antica Grecia, i disegni dei gigli rendevano omaggio alla dea Era. Nella Chiesa cattolica, il giglio è il simbolo della Vergine Maria. Gli antichi credevano anche che i gigli avessero il potere di riconciliare le coppie alla fine di una relazione. Non c’è da stupirsi che il significato del giglio sia “amore eterno”. È il fiore, accanto alla rosa, simbolo dell’amore. In Cina, dove la pianta viene coltivata da oltre tremila anni, la sua fioritura densa è segno di abbondanza. (foto sotto di Ernani Calazans ad Araçuaí MG)

I gigli autoctoni sono presenti in varie parti del nostro Stato e, che se ne accorga o meno, sono sempre lì, profumati, belli, delicati e frondosi. Per chi desidera ammirare i gigli autoctoni della valle di Jequitinhonha, un invito per il mese di ottobre è visitare Araçuaí, Itinga e le zone circostanti. È uno spettacolo abbagliante e profumato.

 

(Segnalazione di Arnaldo Silva, con fotografie di Ernani Calazans in Itinga MG)

 

********

 

Jequitinhonha

 

Le Pays de l'Or

Delle città che si trovano nella valle ho sentito nominare solo Diamantina.

Valle di Jequitinhonha

 

Si chiama valle perché è attraversata per tutta la sua lunghezza dal fiume Jequitinhonha , dalla sorgente nel comune di Serro fino alla foce nel comune di Belmonte , nello stato di Bahia.

 

Jequitinhonha è un comune del Brasile nello stato di Minas Gerais.

 

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una tipica casa della regione

 

 

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una bela foto

 

entrambe sono

dal Facebook :
https://www.facebook.com/minasnovascoracaodovale/?locale=pt_BR

 

 

 

LA CATTEDRALE DI DIAMANTINA

 

 

 

 

LA CITTA’ DI PEDRA AZUL ( pietra azzurra )

indefinito

La città di Pedra Azul è nota per la sua cultura rurale

 

 

 

indefinito

un campo vicino al fiume ( che non si vede ) con la tipica vegetazione  della valle
Ramon dos Santos Braga – Opera propria

 

da:

https://pt.wikibooks.org/wiki/Vale_do_Jequitinhonha/Introdu%C3%A7%C3%A3o

 

 

 

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Giovani da tutto il mondo in corteo a roma per ricordare papa Francesco durante il giubileo degli adolescenti + video, 6 min. ca — Max Giusti fa sorridere e poi ridere di gusto Francesco– così ce lo rivediamo un po’ tra noi

 

 

Giovani da tutto il mondo in corteo a roma per ricordare papa francesco al giubileo degli adolescenti

I GIOVANI

 

 

 

video, 6 min. ca–

MAX GIUSTI A SAN PIETRO – maggio 2014 — Francesco sorride tutto il tempo, ma quando arriva il tango ride davvero ” a crepapelle ” come c’è scritto nel titolo

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Il funerale di Francesco sulla papamobile, con la gente festante intorno per salutarlo, non so neanche dire bene perché, mi è sembrato un riassunto del suo Pontificato; a voi ?

 

 

 

Giacomo Gambassi, Roma sabato 26 aprile 2025- link:
immagini da AVVENIRE

 

 

Il lungo corteo funebre davanti al Colosseo per portare il feretro di papa Francesco da San Pietro alla Basilica di Santa Maria Maggiore

 

 

 

 

 

 

La folla lungo il corteo funebre a Roma per portare il feretro di papa Francesco da San Pietro alla Basilica di Santa Maria Maggiore

 

 

 

 

 

 

La folla lungo il corteo funebre a Roma per portare il feretro di papa Francesco da San Pietro alla Basilica di Santa Maria Maggiore

 

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video, 4 min.ca —LEON GRECO CANTA PER PAPA FRANCESCO, la sua canzone del 1978 ( ” Solo chiederò ” ) + un’altra edizione ++ testo e traduzione — da Canzoni contro la guerra

 

 

 

León Gieco

LEON GRECO, è uno dei più
popolari cantautori argentini

 

6 maggio 2023

Leon Gieco le canto al Papa Francisco su cancion mas emblematica “Solo le pido a Dios” en Roma esta mañana. El encuentro se dio en audiencia privada como cierre del Congreso “De Jorge a Francisco, de Argentina al Mundo” realizado por el IDI Instituto de Dialogo Interreligioso. Su participacion fue promovida y generada desde AMIA para llevar su mensaje de integracion a traves de una expresion artistica como la musica.

 

leogitag
[1978]
Letra y música: León Gieco

 

 

video,4.21 min.

 

Sólo le pido a Dios
que el dolor no me sea indiferente,
que la reseca muerte no me encuentre
vacío y solo sin haber hecho lo suficiente.

Sólo le pido a Dios
que lo injusto no me sea indiferente,
que no me abofeteen la otra mejilla
después que una garra me arañó esta suerte.

Sólo le pido a Dios
que la guerra no me sea indiferente,
es un monstruo grande y pisa fuerte
toda la pobre inocencia de la gente.

Sólo le pido a Dios
que el engaño no me sea indiferente
si un traidor puede más que unos cuantos,
que esos cuantos no lo olviden fácilmente.

Sólo le pido a Dios
que el futuro no me sea indiferente,
desahuciado está el que tiene que marchar
a vivir una cultura diferente.

Sólo le pido a Dios,
que la guerra no me sea indiferente
es un monstruo grande y pisa fuerte
toda la pobre inocencia de la gente.

inviata da Davide

 

 

Versione italiana di Claudio Cormio.
Roma, aprile 1995.

 

SOLO IO CHIEDERO’

Solo io chiederò
che la guerra non mi lasci indifferente
è un mostro grande e si divora
la povera innocenza della gente

Solo io chiederò
che il dolore non mi lasci indifferente
e che la Porca Morte non m’incontri
prima che queste parole siano spente

Solo io chiederò
l’ingiustizia non mi lasci indifferente
non voglio mai più porger l’altra guancia
ed il cielo non ci ha mai donato niente

Solo io chiederò
che la rabbia non mi esca dalla mente
che chi è poi un bastardo non m’incanti
col sorriso che nasconde il niente

Solo io chiederò
che il passato non sia mai dimenticato
e non si cancelli la memoria
dell’arroganza che ci ha sempre calpestato

E ancora chiederò
che il futuro non mi trovi diffidente
c’è ancora tanto da inventare
per costruire una cultura differente

c’è ancora tanto da inventare
per costruire una cultura differente

inviata da Riccardo Venturi – 17/5/2006 – 00:15

 

 

nota storica della canzone:

 

Si crede generalmente che León Gieco, uno dei più popolari cantautori argentini, abbia scritto la canzone “Sólo le pido a Dios” riguardo alla guerra delle Malvinas-Falkland, l’inutile strage di giovani vite che costò all’Argentina (e alla Gran Bretagna) quella guerra. La guerra è però del 1982, mentre la canzone è di quattro anni prima. Fu però effettivamente con la guerra delle Malvinas-Falkland e con la fine della sanguinaria dittatura militare che la sua popolarità divenne immensa, un vero e proprio inno che segnò quei tragici momenti della storia argentina.

Il brano fu poi reso noto in tutto il mondo da Mercedes Sosa, cantautrice ed interprete anch’essa argentina, definita “la voz de America”, durante l’esilio nei paesi europei impostogli dal regime che governava il suo paese.

La canzone fu scritta pensando al pericolo imminente di una guerra, non quella delle isole Malvine ma quella tra l’Argentina e il Cile per la disputa sulle isole Picton, Lennox e Nueva nel Canale di Beagle.
Papa Wojtyla dovette mediare tra i due dittatori, Videla e Pinochet, per fermare un conflitto armato proprio nel 1978.
I motivi di contrasto tra i due paesi sudamericani per il possesso delle isole cessò solo nel 1984 quando fu firmato il Trattato di pace e amicizia.

“Solo le pido a Dios” fu censurata nel ’78 dal governo militare ma poi dichiarata nell’82, sempre dallo stesso governo, “canzone di interesse nazionale per la pace”.
Il fatto che i militari avessero tirato fuori la sua canzone quando faceva comodo e si fossero serviti di lui e delle sue parole diede tanto fastidio a León che per alcuni anni, si rifiutò di cantarla. Non voleva avere niente a che fare con quel governo nè tantomeno con dei lupi travestiti di agnelli. Queste sono le sue parole:

“la canción había estado prohibida y después los mismos militares asesinos la declararon de interés nacional por la paz, en 1982. Era algo repugnante. La verdad es que a mí me dió mucha vergüenza y estuve tres años sin cantar. Me ofrecián mucha plata por cantarla en todos los recitales, pero preferí no especular y me retiré de escena hasta el ’85, cuando me puse a hacer el trabajo De Ushuaia a La Quiaca.”

“La canzone era stata proibita e dopo gli stessi militari assassini la dichiararono di interesse nazionale per la pace, nel 1982. Era qualcosa di ripugnante. La verità è che provai molta vergogna e stetti tre anni senza cantare. Mi offrivano molti soldi per cantarla in tutti i recital, ma ho preferito non speculare e mi ritirai dalla scena fino al 1985, quando mi misi a lavorare all’album ‘De Ushuaia a La Quiaca’.”

 

 

León Gieco, slideshow ( FOTO ). Con una bella versione accompagnata dal bandoneón.

 

 

L’indifferenza è la più grande malattia del nostro tempo. Questo cinismo con cui siamo abituati a crescere. Ma non è tutta colpa nostra. Ti devi alzare alle 7, prendi il caffè di corsa, alle 8 prendi l’autobus, timbri il cartellino alle 9, poi c’è il lavoro, il figlio da riprendere a scuola, la cena da preparare. Poi ti guardi i tg che parlano di massacri in Ruanda, dei morti a Baghdad. E si diventa indifferenti. Non abbiamo più il coraggio di uscire per strada e urlare: “Senza di me!”

(Tiziano Terzaniintervista a Controradio, 19 aprile 2004)

 

 

TESTI E COMMENTI DA_

CANZONI CONTRO LA GUERRA

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=643&lang=it

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LUCIFERO – particolare – L’ INFERNO –” IL GIUDIZIO UNIVERSALE ” DAGLI AFFRESCHI DELL’ABBAZIA DI POMPOSA SUL DELTA DEL PO—pr. FERRARA – Scuola Bolognese — 1350 ca

 

 

 

 

 

File:Scuola bolognese, ciclo dell'abbazia di pomposa, 1350 ca., giudizio universale, inferno 03 diavolo.jpg

 

 

Nel medioevo, il clero associa il riso al diavolo e prende in considerazio quella smorfia
( riso )  delle personi comuni.La commedia greca e latina, come tutto ciò che induce al riso, sono rifiutati perché distolgono il cristiano dalla retta via che consiste nel guardagnare il Paradiso attraverso la preghiera e il lavoro. Nel V secolo, nelle regole monastiche il riso è visto come ” il modo più efficace ” per venire meno alla fondamentale regola del silenzio.

Francesco d’Assisi, invece, considera il gioco e la letizia come un rimedio contro le tentazioni del diavolo. Secondo lui, l’umorismo è una via privilegiata per catturare l’attenzione del fedeli.

 

segue in:

 

Copertina anteriore

https://books.google.it/

 

MAURO ZANCHI, ARTE E IRONIA, ” ARTEDOSSIER “-GIUNTI

n. 430-  APRILE 2025  – pp. 23  e sg

https://www.artedossier.it/it/rivista/issue/

 

 

Alisei.net

 

All’Abbazia ci torneremo, forse domani, chissà..

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Jalousie – Tango composto da Jacob Gade ( 1925 ) –The Alfred Hause Tango Orchestra– live in Giappone 2007 + altro

 

 

 

 

 

Jacob Thune Hansen Gade (Vejle29 novembre 1879 – Thorøhouse20 febbraio 1963) è stato un violinista e compositore danese.

Egli fu un compositore prevalentemente di musiche popolari per orchestra.

Il tango fu scritto per accompagnare un film muto ( 1925 ): allora Gade era il direttore dell’orchestra del Palads Cinema ( Copenhagen ) ed il suo tango ebbe subito un successo internazionale; poi, con il cinema sonoro, fu riprodotta in un centinaio di film.

 

da Wikipedia

Jacob Gade Discography: Vinyl, CDs, & More | Discogs

da Discogs

 

JALOUSIE. TANGO TZIGANE POUR CHANT SEUL ET ACCORDEON. de JACOB GADE. | Achat livres - Ref RO50041371 - le-livre.fr

da : le – livre fr

 

 

Daniele RasmussenPalads Cinema com’è attualmente– Copenhagen

© Daniel Rasmussen Foto : Daniel Rasmussen
 

da : 

Alcuni film nella cui colonna sonora compare Tango Jalousie (o Jealousy, o Jealousie)

VEJLE –la città in Danimarca dove è nato l’autore del tango-

 

Qualche immagine:

 

Vejle

 

 

 

DENMARK-ROYALS-ECONOMY

Il re Federico e la regina Maria all fabbrica Welcon A/S a Vejle– agosto 2024- nell’ultima visita alla città

 

 

 

DENMARK-ENVIRONMENT-NATURE-FJORD

Immagine del ” Funerale per il fiordo di Vejle ”  ( aprile 2024 ) perché l’ambiente l’ha completamente distrutto.

 

 

The Wave in Vejle

Un complesso residenziale nuovo di Vejle

 

 

 

vejle - vejle foto e immagini stock

 

 

 

A bunch of deer standing by lake,Vejle,Denmark

Renne e il lago di Vejle

 

 

Walnuts in a bowl

una noce del territorio che si usa soprattutto per fare il burro di noci

 

 

 

 

Danimarca Mappe di Viaggio

 

la nostra città, Vejle, è più a sud che al centro della Danimarca..

 

 

illustrazioni stock, clip art, cartoni animati e icone di tendenza di danimarca mappe di viaggio - vejle

 

Sopra: Copenhagen è dietro al cartello di Getty Images

 

 

 

Bunch of Amaryllises

AMARILLI DANESI…

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Se hai voglia di aprire questo link di Google.com/ search– vedi un favoloso Palazzo della Meridiana a Genova in cui c’è anche una mostra–*** istruzione per chi è come me con il computer… negato!

 

istruzioni —

apri il link,  ti appare un foglio con il nome del Palazzo nella parte di sinistra del foglio, e sulla destra,  un’immagine-

se fai clic su ” Visualizza ” ti si aprono una valanga di foto fino a stancarti.. il secondo è un minivideo, devi aspettare qualche secondo..

 

 

https://www.google.com/search?q=palazzo+della+meridiana&oq=palazzo+della+meridiana
+&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUyBggAEEUYOTINCAEQLhivA
RjHARiABDIHCAIQABiABDIHCAMQABiABDIHCAQQ
ABiABDIHCAUQABiABNIBCDQ5NjVqMWo3qAIAsAI
A&sourceid=chrome&ie=UTF-8#lpg=ik:CAoSLEFGMV
FpcE5EMkZFLUY2cVpodTlr
YzBtZlZVYUwzdW9lYzNDUjU3T0pfU192

 

 

 

 

 

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+++ la 7 – otto e mezzo — 23 aprile 2025 — Ospiti di Lilli Gruber: Michela Ponzani, Marco Politi, Massimo Cacciari– ” Il dopo Francesco “

 

 

 

apri qui

https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/otto-e-mezzo-23-04-2025-593045

 

*** è stato per me nuovo, quello che ha detto Michela Ponzani ( storica) sul 25 aprile e Francesco e ugualmente Marco Politi ( che ho sentito in questi giorni e mi è sembrato… bravo ! )– +++  Anche le notizie sul clero cattolico americano–

 

*****

 

E’ uscito oggi —

 

Michela Ponzani

Donne che resistono

Le Fosse Ardeatine dal massacro alla memoria. 1944-2025

Copertina del libro Donne che resistono di Michela Ponzani

Einaudi 2025

 

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Grazie a Donatella che ci ha ricordato due canzoni in una…! — Rido e Vivere — Enzo Jannacci dal disco ” O vivere – O ridere “, 1976

 

 

Ridere sempre così giocondoE ridere delle follie del mondoE vivere finché c’è gioventùPerché la vita è bella*La voglio vivere senza tu

 

il testo originale è diverso in una strofa:

Ridere sempre così giocondo
Ridere delle follie del mondo
Vivere finché c’è gioventù
Perché la vita è bella
*La voglio vivere sempre più

 

 

Vivere è una canzone di Cesare Andrea Bixio, testo e musica, composta nel 1937, per il film omonimo:

Vivere di C. A. Bixio: fox trot dal film omonimo. [L'A.P.P.I.A. Film e Metro-Goldwyn-Mayer presentano l'insuperabile interprete Tito Schipa in] - copertina

 

 

Rido ( 1976 – Jannacci )

 

 

 

 

 

Per chi fosse interessato, un’edizione demenziale, come si direbbe… è questa :

 

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video, 59 min. –Nascita di una formazione partigiana – Ermanno Olmi, Corrado Stajano 1973 + Cristina Piccino, Quando la Resistenza arrivò sugli schermi della televisione.– IL MANIFESTO  23 APRILE 2025

 

 

 

“Nel 1973 il regista Ermanno Olmi e il giornalista Corrado Stajano realizzarono insieme, come puntata conclusiva del ciclo “Tragico e glorioso ’43”, questa docu-fiction d’eccezione sui primi mesi della Resistenza. Il racconto si concentra in particolare sul nucleo partigiano nato per iniziativa, fra gli altri, di Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco, formazione tra le prime sorte nell’Italia del Nord e operante in provincia di Cuneo, dove si confrontò con feroci atti di rappresaglia dei nazifascisti come i due eccidi di Boves. La rievocazione è scandita dalle splendide sequenze riscostruite dalla regia di Olmi e dalle testimonianze dirette dei protagonisti raccolte da Stajano.”

Link al video originale https://www.raiplay.it/video/2022/04/Nasci…

Altre informazioni disponibili qui https://www.teche.rai.it/2023/04/le-radici…

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO  23 APRILE 2025
https://ilmanifesto.it/quando-la-resistenza-arrivo-sugli-schermi-della-televisione

 

 

Quando la Resistenza arrivò sugli schermi della televisione.

 

 

 

Quando la Resistenza arrivò sugli schermi della televisione

Una scena da Nascita di una formazione partigiana

 

Cristina Piccino

 

In onda era andato nel 1973, all’interno del programma Tragico e glorioso ‘43, lo firmavano Ermanno Olmi e Corrado Stajano, del primo è la regia, del secondo l’intervista ai componenti della banda partigiana Italia libera, i riferimenti sono fra l’altro Memorie partigiane di Nando Dunchi e Guerra partigiana di Dante Livio Bianco.

«In questo, forse più che in altri programmi di carattere storico dei due autori, si fonde la ricostruzione della fiction con il linguaggio televisivo, il docudramma con l’inchiesta fondata sulle interviste dei testimoni e dei protagonisti… si passa a ’raccontare’, con semplicità documentaristica, le storie di coloro che sono scomparsi, e di quelli che sono presenti con le loro parole e i loro ricordi. Spesso gli intervistati si confrontano, ricordano insieme questo o quell’episodio, come vecchi compagni d’arme o, meglio, come semplici compagni di scuola che si ritrovano insieme dopo un ventennio. Ma c’è anche qualche volto noto, come Nuto Revelli che racconta, leggendo il brano di un suo libro, il clima della giornata dell’8 settembre 1943, le incertezze dei soldati di fronte all’ annuncio di Badoglio, l’iniziale allegria e l’illusione del “tutti a casa”, la paura dell’arrivo dei tedeschi … (Pasquale Iaccio: La storia nei film per la Rai di Olmi. In Ermanno Olmi a cura di Adriano Aprà, Marsilio ).

 

Nascita di una formazione partigiana, questo il titolo del documentario di Olmi e Stajano è una delle proposte all’interno di una lunga notte che Fuori orario dedica al 25 aprile (venerdì 25 dalle ore 01.40, Raitre) col titolo: Autobiografia televisiva di una nazione.

 

Quei programmi e film cioè che a partire dagli anni Sessanta, e forse in ritardo sul cinema, cominciano anche nella televisione italiana a rileggere con un approccio critico più moderno gli anni del regime fascista, della guerra, della Resistenza.

 

Ci sono le trasmissioni di Zavoli e di De Felice, pionieristiche in questo senso, e poi pian piano iniziano a essere prodotti film a soggetto, adattamenti di romanzi, finché negli anni settanta con la riforma, si moltiplicheranno altre proposte basate su voci e racconti non solo di studiosi ma di persone che hanno vissuto quegli anni e ciò che narrano.

 

Come si vede in Memoria popolare – Donne della Resistenza (1980) realizzato da Anna Lajolo e Guido Lombardi per la sede regionale Rai della Liguria, in cui i due registi attraverso delle interviste ripercorrono il ruolo delle donne nella Resistenza della regione dalle prime ore dell’8 settembre 1943.

 

C’È CHI È ANDATA in montagna col marito, chi è stata staffetta, chi ha portato ai partigiani il cibo e le armi. Qualcuna ha scelto di prendere le armi, e spesso era l’unica donna nelle prime bande partigiane, altre ricordano i conflitti e gli scontri con altre donne che invece continuavano a collaborare coi fascisti.

Del 1980 è anche Finché dura la memoria, un programma di Francesco Falcone per Raitre che affidava ogni puntata a un diverso regista.

Piazzale Loreto porta la firma di Damiano Damiani che mescolando anche dei ricordi personali ricostruisce la giornata del 29 aprile 1945 a Milano, l’esposizione a piazzale Loreto dei corpi di Mussolini, Petacci ed alcuni gerarchi del fascismo.

«Questo programma è stato realizzato con la partecipazione di testimoni oculari e di uomini e donne della Resistenza» si legge in testa al programma. E sono loro che ascoltiamo, come Riccardo Bauer o Leo Valiani presenti sulla piazza di Milano, e ancora i dirigenti del movimento di liberazione e poi i cittadini che erano lì e ritornano sulle emozioni provate in quel momento a cui si uniscono pensieri e osservazioni cresciute nella distanza del tempo.

 

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video, 17 min. ca — RAI- — ” Uno straccetto di pace “— INTERVISTA DI MAURO CARRARA :: Trump, i giovani, la vecchiaia: parla Massimo Cacciari – Timeline 20/04/2025

 

 

Marco Carrara conversa col filosofo Massimo Cacciari, analizzando i tanti temi che attraversano il nostro contemporaneo: l’America di Trump, le guerre, le pace, i social, i giovani e i vantaggi, secondo lui assenti, della vecchiaia.

 

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Il Ragazzo della Via Gluck – Il Re degli Ignoranti 2013 – Tributo Adriano Celentano

 

Maurizio Schweizer interpreta i grandi successi del Molleggiato accompagnato dalla band di 10 elementi.

 

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LUCIANA CASTELLINA, Agli sfruttati non serve la carità ma la lotta — IL  MANIFESTO  22 APRILE 2025 *** dice delle cose di Francesco che non conoscevamo. +Chi è Vandana Shiva ? + CELENTANO

 

 

 

IL  MANIFESTO  22 APRILE 2025
https://ilmanifesto.it/agli-sfruttati-non-serve-la-carita-ma-la-lotta

 

 

 

 

Agli sfruttati non serve la carità ma la lotta

 

 

Agli sfruttati non serve la carità ma la lotta

 

In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il nostro manifesto nel 2016 a pubblicare e a distribuire insieme al quotidiano un libro che contiene uno dei più belli, e più significativi, discorsi di Bergoglio ( vedi al fondo ).

 

E questo in un tempo in cui ancora era possibile che altra pur paludata stampa uscisse con titoli come questi: «Papa Francesco benedice i centri sociali»; «Bergoglio incontra il Leoncavallo»; «Zapatisti, marxisti, Indignados, tutti dal papa». (In seguito capirono che era troppo impopolare ricorrere a questo tono di ironico sprezzo quasi che Papa Francesco fosse un secondario personaggio qualsiasi, sicché si corressero un poco).

 

José Pepe Mujica

immagine da : ELENA FERRO 
https://www.elenaferro.it/jose-pepe-mujica-ultimo-guerriero-della-luce/

 

Il libro di cui il nostro giornale si fece editore uscì in occasione dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari (Emmp) a Roma, presenti fra gli altri un singolare e fino a poco prima presidente dell’Uruguay e prima guerrigliero Tupamaros, Pepe Mujica, la ben nota Vandana Shiva, assente invece l’invitato Bernie Sanders perché impegnato nella campagna elettorale americana. Più 99 organizzazioni di 68 paesi, una lista più o meno coincidente con quella dei movimenti che hanno partecipato ai nostri Forum Mondiali dei tempi di Porto Alegre, fra questi non a caso i Sem Terra brasiliani e il loro leader Stedile, analoghi i temi in discussione: ecologia, beni comuni, salario universale.

 

 

 

nota:

MST  ( Movimento sei senza terra )- Brasile

João Pedro Stédile  nato il 25 dicembre 1953 a Lagoa Vermelha) è un attivista politico ed economista brasiliano , sostenitore della riforma agraria in Brasile, essendo membro del collettivo di coordinamento del Movimento dei Lavoratori Senza Terra o MST. L’MST è un movimento politico per la ridistribuzione delle terre per porre fine all’elevata concentrazione della proprietà terriera in Brasile derivante dalla prevalenza del latifondo nel periodo coloniale e dalla fuga rurale durante il periodo della dittaturaStédile partecipò alla formazione del MST durante il periodo di ridemocratizzazione , unendosi al primo Incontro Nazionale dei Lavoratori Rurali del Paraná nel gennaio 1984 e da allora in poi facendo parte del suo comitato di coordinamento.

*** ci torneremo senz’altro

 

FINE NOTA–

 

 

All’appuntamento dell’anno precedente tenuto in Bolivia l’allora presidente Evo Morales aveva regalato al Pontefice venuto fino a laggiù per presiedere l’incontro una croce composta da una falce e un martello, e si potrebbe dire che quella singolare composizione lignea già a Roma sembrava tacitamente diventata il distintivo degli Emmp.

 

Ho scritto «si potrebbe dire» perché so che bisogna fare attenzione. E però non si può non prendere atto che il pontificato di Francesco ha impresso alla politica vaticana una svolta di sostanza molto forte e chiara. Bergoglio non è stato infatti solo un papa più caritatevole, impegnato a esaltare generosità e sacrificio.

 

Il messaggio del suo pontificato è stato direttamente politico, innanzitutto perché ha avuto il coraggio (che ahimè spesso manca a parte della stessa sinistra laica) di indicare con chiarezza il nemico, il colpevole dell’ingiustizia – «quella struttura ingiusta», dominata dal «primato del danaro che collega tutte le esclusioni», «rende schiavi, ruba la libertà», «mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata». Il capitalismo, insomma.

 

La novità principale non sta solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente, e, dunque alle contraddizioni che spaccano inevitabilmente la società e che impongono il dovere della lotta se si vogliono superare. Non si possono ignorare (potrebbe non essere la nostra vecchia lotta di classe, ma non si può pensare che il conflitto sia scomparso).

 

È anche per questo che mi pare così importante l’insistenza di papa Francesco sulla necessità di quanto in questi ultimi decenni si è indebolito: la soggettività, la costruzione di un protagonismo del necessario agente del cambiamento, oggi addomesticato, anestetizzato. La soggettività, insomma.

 

Agli sfruttati, alle vittime del sistema, il papa adesso si rivolge per invitarli a non restare «a braccia conserte», a «passare – come dice il documento conclusivo dell’incontro di Roma – dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale».

 

Detta in due parole: capire che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta. E perciò è indispensabile passare dalla carità alla politica, che quelle contraddizioni deve saper superare ma non ignorare. La frase più esplicita e polemica del papa è proprio questa: «Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri». O, come ha ancor più esplicitamente dichiarato parlando ai giovani: «Ragazzi, la carità è una bella cosa, ma serve la politica». Quanto stava a cuore anche a Carlo Marx e dovrebbe stare molto più di quanto non sia all’attenzione della sinistra, oggi.

 

*****

 

(1)

IL MANIFESTO 2016

Terra Casa Lavoro

 

 

 

 

I discorsi ai movimenti popolari di papa Francesco

Il manifesto del papa. Un’iniziativa editoriale senza precedenti che raccoglie la straordinarietà del discorso politico di un papa che viene dalla “fine del mondo”.

Ponte alle Grazie e il manifesto pubblicano e distribuiscono i tre principali discorsi di papa Francesco sull’ingiustizia sociale ed economica.

Un documento fondamentale del nostro tempo.

PAPA FRANCESCO
Terra Casa Lavoro
Discorsi ai movimenti popolari

A cura di Alessandro Santagata
Prefazione di Gianni La Bella
edizione Ponte alle Grazie – pp. 142

euro 10 – spedizione inclusa

 

 

 

Il libro

Sempre più spesso si ascolta il papa pronunciare parole di condanna contro il capitalismo finanziario e industriale internazionale e a favore di una ridistribuzione delle ricchezze.

Per la prima volta, un libro raccoglie tre recentissimi discorsi cruciali al riguardo.

Tre gli obiettivi fondamentali della dottrina della Chiesa: mettere l’economia a servizio dei popoli, costruire pace e giustizia, difendere la «Madre Terra».

L’ostacolo principale – ha spiegato il Papa – viene dal sistema economico globale, quell’ordoliberismo che Francesco chiama genericamente «il sistema del denaro» e a cui imputa, specificamente, di essere all’origine delle crisi mondiali e delle diverse forme di terrorismo.

Il Pontefice ha chiesto ai rappresentanti delle forze popolari di «entrare nella Politica con la maiuscola». Ma cosa rappresenta il «popolo» per Papa Bergoglio? Su quale retroterra teologico-politico si fonda il suo pensiero?

«Il lavoro ci dà dignità. Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese e toglie il lavoro agli uomini fa un peccato gravissimo. Dobbiamo fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possa lavorare e così guardare in faccia gli altri con dignità».

 

«Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri».

Papa Francesco

 

 

Leggi anche

 

 

 

 

chi è VANDANA SHIVA ?

 

DA  ENCICLOPEDIA DELLE DONNE
https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/vandana-shiva

 

 

GOOGLE.COM

 

 

LIFEGATE

 

Vandana Shiva al Global Citizen Festival di Amburgo, 2017.

Vandana Shiva al Global Citizen Festival di Amburgo, 2017.

 

 

Vandana Shiva

Dehra Dun (Uttar Pradeh) 1952 – vivente

 

 

Dehradun - Tired of summer? Here a few places for your next summer vacation in Uttarakhand | The Economic Times

UN PAESAGGIO DEL DEHRA DUN ( UTTAR PRADEH )

 

 

DI Irene Bertazzo

 

 

«Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per le sue avidità

(Mahatma Gandhi)

«Vivere con meno è il nostro risarcimento»(Vandana Shiva)

 

 

 

 

TRAILER DEL DOCUMENTARIO DI ERMANNO OLMI : TERRA MADRE- video 2.43

vedi al fondo, se vuoi:

 

 

Vandana Shiva, fisica quantistica ed economista militante ambientalista, è considerata la teorica più nota dell’ecologia sociale. È conosciuta grazie al successo di Monocolture della mente (1995), un best-seller in tutto il mondo, e in Italia anche grazie al documentario del 2009 di Ermanno Olmi, Terra Madre, che mostra la raccolta del riso, nei pressi della fattoria Navdanya nella valle del Doon, dove sono custoditi i semi delle varietà locali di riso, tramandati di generazione in generazione. Lei nasce non lontano da lì, in una città dell’Uttar Pradesh, nell’India del Nord-est. La famiglia è “progressista”, impegnata nella lotta gandiana per il superamento delle caste nell’India; la cultura e l’attenzione per i diritti civili e sociali sono di casa.

 

 

nota–

Vandana Shiva, «La vita è maestra. La mia storia di rivoluzione» Piemme, pp. 288, euro 19,90, a cura di Manlio Masucci e Cinzia Chitra Piloni

Vandana Shiva, «La vita è maestra. La mia storia di rivoluzione» Piemme, pp. 288, euro 19,90, a cura di Manlio Masucci e Cinzia Chitra Piloni

bangalore

Il volume inizia dal racconto della sua famiglia progressista — il nonno Mukhtar Singh fu l’iniziatore delle scuole femminili nei contesti rurali e morì di digiuno durante una protesta per poter fondare la prima università femminile —; cresciuta in simbiosi con la natura, Shiva si laurea in Fisica nel 1978 all’università del Punjab e consegue un dottorato in Filosofia all’University of Western Ontario, Canada. Per tutta la vita si dedica alla lotta per la biodeiversità e a combattere la biopirateria.

fine nota

 

 

 

FORESTE DEL RAJASTHAN

 

Rajasthan - Wikiwand

DOVE SI TROVA IL RAJASTHAN
WIKIWAND

 

 

LE FORESTE DEL RAJASTHAN

 

22.364 Indian Reserve Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

7.468 India Jungle Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

7.468 India Jungle Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

 

7.468 India Jungle Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

 

 

Il padre è una guardia forestale e la madre una maestra di scuola diventata contadina dopo la sanguinosa guerra di partizione tra India e Pakistan nel 1947-1948. La casa dei genitori è frequentata da intellettuali e discepoli del Mahatma Gandhi. Vandana, quindi, sin da piccola disprezza il sistema delle caste e viene educata alla parità dei sessi.

L’infanzia di Vandana non è solo cultura, ma anche contatto diretto con la terra; trascorre la sua infanzia tra le foreste del Rajahstan e la fattoria gestita dalla madre, subendo fin da piccolissima il fascino e la maestosità della natura.

Sempre grazie alla famiglia, Vandana può frequentare la scuola e il collegio cattolico di Dehra Dun e, dopo il diploma in fisica, dal 1970 l’università di Guelph, in Canada, dove consegue la laurea in filosofia della scienza, e poi quella del Western Ontario per il dottorato sui concetti filosofici della meccanica quantistica nel 1979.

 

Mappa dell'India che mostra la posizione di Bangalore e Chennai.  

https://www.researchgate.net/figure/Map-of-India-showing-location-of-Bangalore-and-Chennai_fig2_274640581

 

 

Vandana torna in patria, a Bangalore, come ricercatrice in politiche agricole ed ambientali all’Indian Institute of Sciences, e all’Indian Institute of Management.

***E’  una grande città Bangalore, è la quarta città dell’India per abitanti, oltre quattro milioni (2002), ed è diventata un importante polo tecnologico

Nel 1982 Vandana torna a Dehra Dun dove crea la Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia, un istituto indipendente di ricerca, proprio mentre nella valle si diffonde il movimento Chipko, delle donne contro la distruzione delle foreste da cui traggono sostentamento.

 

Uttar Pradesh - Wikipedia

UTTAR  PRADESH–Wikipedia / link

 

 

Nell’Uttar Pradesh, sono evidenti le conseguenze della “rivoluzione verde”, dei fertilizzanti e delle varietà selezionate di semi: la resa è aumentata insieme alle estensioni coltivate a monocoltura, al degrado del suolo e delle acque, alle espropriazioni “facili” (la riforma agraria promessa da Nehru nel giorno dell’Indipendenza non è ancora iniziata). Ne sono vittime prima di tutto le donne, senza diritti men che meno di proprietà, le cui antiche pratiche sono meno produttive ma più rispettose degli ecosistemi, scrive in Staying Alive (1988) ( non trovato in italiano ). È il primo di oltre venti saggi, seguito sullo stesso tema nel 1990 dal rapporto sulle contadine indiane per conto della FAO, e da Eco-feminismo con Maria Mies, in cui scrivono: «Le donne non riproducono solo se stesse, ma formano un sistema sociale e dalla loro creatività proviene quello che io chiamo eco femminismo. Le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte».

 

Maria Mies - Wikipedia

MARIA MIES ( Hillesteim -nella Renania-Palatinato,  6 febbraio 1931 – 15 maggio 2023 )

Renania-Palatinato – Localizzazione

LA RENANIA-PALATINATO NEL SUD-OVEST DELLA GERMANIA-La capitale è Magonza ( MAINZ )

 

Magonza – Veduta

veduta della città e il Reno

https://it.wikipedia.org/wiki

 

 

 

Nel 1991 Vandan Shiva fonda Navdanya (in hindi “nove semi”), il movimento che con altri sorti in tutto il mondo è presente al vertice di Rio de Janeiro nel 1992 dal quale nascono i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità e per la repressione della biopirateria. Da quel momento la difesa dei semi autoctoni contro le multinazionali che cercano di rivendicare come loro “proprietà intellettuale” varietà agricole selezionate nei secoli da comunità locali, diventa il maggior impegno di Vandana Shiva.

Quei “nove semi” rappresentano le nove coltivazioni da cui dipendono la sicurezza e l’autonomia alimentare dell’India. Il nome, dice Vandana Shiva, le è venuto in mente osservando un contadino che in un unico pezzo di terreno aveva piantato nove tipi di semi diversi. Oggi Navdanya conta circa 70 mila membri, donne per lo più, che praticano l’agricoltura organica in 16 stati del paese, una rete di 65 “banche dei semi” che conservano circa 6.000 varietà autoctone, e la Bija Vidyapeeth o Scuola del Seme che insegna a “vivere in modo sostenibile”.

Durante le riprese del documentario Terra Madre sopra citato, Maurizio Zaccaro ha realizzato un film documentario dal titolo Nove semi dove la stessa Vandana Shiva racconta l’esperienza della sua fondazione. (- vedi al fondo )

Ma Navdanya non è l’unico impegno di Vandana, che interviene nelle conferenze internazionali, viaggia in Africa, in Europa, in America Latina e in altri paesi asiatici, e dal 1996 partecipa in tutto il mondo alle lotte contro gli organismi geneticamente modificati, la crescita ad ogni costo, l’ingiusta ripartizione delle risorse e altri mali della globalizzazione.

 

«Il cosiddetto sviluppo economico – scrive – anziché risolvere i problemi, rispondendo ai bisogni essenziali del mondo e della popolazione, minaccia la sopravvivenza del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano. Questa apparente crescita economica, infatti, non ha creato nient’altro che disastri ambientali ed ha provocato un forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo che, per creare delle basi adeguate per la loro crescita, tolgono risorse alla scuola e alla salute pubblica».

 

Consulente per le politiche agricole di numerosi governi, in Asia e in Europa (anche della regione Toscana), membro di decine di direttivi in altrettanti organismi internazionali, premiata più volte all’anno dal 1993, vive in parte nell’ambiente cosmopolita delle Nazione Unite e in parte nel mondo rurale indiano al quale è ancorata da Navdanya,

Le battaglie più notevoli vinte da Vandana, sono state contro le multinazionali che avevano ottenuto i brevetti del neem, del riso Basmati e del frumento Hap Nal. Questi ultimi due sono anche prodotti d’esportazione e paradossalmente, se i brevetti non fossero stati revocati, gli agricoltori indiani avrebbero dovuto pagare royalties alle società americane RiceTec e Monsanto, su ogni partita venduta all’estero.

Per questo suo enorme impegno a favore della popolazione indiana e per la sua lotta a favore dell’ambiente, Vandana Shiva nel 1993 è stata premiata con il “Right Livehood Award”, detto il Nobel per la pace alternativo.

 

Le resta da vincere la lotta contro gli Ogm e più in generale contro le monoculture e i loro oligopoli !

«Oggi siamo testimoni di una concentrazione senza precedenti del controllo del sistema agroalimentare internazionale in cui convergono essenzialmente tre aspetti: il controllo dei semi, il controllo dell’industria chimica, il controllo delle innovazioni biotecnologiche attraverso il sistema dei brevetti.

 

Il diritto al cibo, la libertà di disporre del cibo è una libertà per la quale la gente dovrà lottare come ha lottato per il diritto al voto. Solo che non vivi o muori sulla base del diritto al voto, ma vivi o muori sulla base del rifiuto del diritto di disporre di cibo».

 

Intanto, nel settembre 2011 l’India ha denunciato la Monsanto per bioterrorismo.

Naturalmente, le posizioni politiche di Vandana Shiva non trovano concorde la comunità scientifica ed ecologica. Inoltre molte ambientaliste indiane sono preoccupate dalle manifestazioni religiose induiste organizzate da Navdanya e dalla recente insistenza di Vandana Shiva sul ritorno alla tradizione vedica in un periodo di forti tensioni con la minoranza musulmana. Giovani agronome hanno lasciato Navdanya, spiegava Suman Sahal di Gene Campaign-India a WONBIT Conference Women in biotechnology: feminist and scientific approaches una conferenza di Donne e Scienza nel 2007, per raggiungere o fondare movimenti simili, ma non confessionali.

Attualmente Vandana è la vicepresidente di Slow Food e collabora con «La Nuova Ecologia», la rivista di Legambiente.

 

 

 

 

 

note varie per chi vuole un po’ di svago

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ERMANNO OLMI —

 

 

1. video, 14.08 — ESTRATTO DEL FILM DOCUMENTARIO 

 

 

2.FILM INTERO PUBBLICATO DA LITTLE NEMO — DI  SLOW FOOD CINETECA di BOLOGNA – ITC MOVIE

video, 1h 19 min.

 

 

 

 

ADRIANO CELENTANO — UN ALBERO DI TRENTA PIANI

 

 

ALTRO DOCU-FILM

I NOVE SEMI — FILM -DOCU  DI MAURIZIO ZACCARO

video, 4.13

 

 

 

 

 

ALTRO DOCU FILM DI MURIZIO IZZO E MANUELA ZADRO  SULLA STESSA ESPERIENZA

Nove Semi – La biodiversità, Navdania di Vandana Shiva

video, 18.34 minuri

 

“Nove semi”, di Maurizio Izzo e Manuela Zadro, è prodotto da Regione Toscana e Arsia e realizzato da Aida. Girato in India, nello stato dell’Uttaranchal, collega l’esperienza indiana del movimento per la biodiversità di Vandana Shiva con la creazione presso l’Azienda agricola regionale di Alberese di un centro analogo a Navdania, frutto della collaborazione tra Vandana Shiva e la Regione Toscana e dove hanno trovato sede la Commissione internazionale per il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, la Fondazione per la biodiversità, diventando punto di riferimento nazionale per la sperimentazione in agricoltura biologica.

 

 

 

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LUCIO CARACCIOLO, Il papa che si sentiva Matteo — LIMESONLINE –21 APRILE 2025  aggiorn. 20.33

 

 

 

LIMESONLINE –21 APRILE 2025  aggiorn. 20.33
https://www.limesonline.com/articoli/morte-papa-francesco-vaticano-lucio-caracciolo-19005057/?ref=LHTP-BH-I0-P2-S1-F

 

 

Il papa che si sentiva Matteo

 

Jorge Mario Bergoglio è morto oggi, 21 aprile 2025, a Roma. La sua impronta rimarrà nella storia.

 

di Lucio CARACCIOLO

 

 

DUE FOTOGRAFIE DIVERSE DELL’OPERA DI CARAVAGGIO

https://it.wikipedia.org/wiki/Vocazione_di_san_Matteo#/media/File:Michelangelo_Caravaggio_040.jpg

 

 

https://www.limesonline.com

Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610), Vocazione di San Matteo. Olio su tela

 

 

Papa Francesco è morto oggi, 21 aprile 2025, Natale di Roma, a Roma. In attesa di approfondirne la figura e l’opera, a noi piace ricordarlo così.

Quando, da arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio s. j. veniva a Roma per mettere a dura prova la sua fede, usava stabilirsi in via della Scrofa. A pochi passi da San Luigi dei Francesi, dove è custodita La Vocazione di San Matteo, capolavoro di Caravaggio, ispirato a Matteo, 9-13.

Bergoglio amava contemplare quell’olio in chiaroscuro che rivoluziona il modo di raffigurare il sacro, riportandolo alla sua umana storicità.Nella stanza spoglia domina la scena la mano di Gesù che indica il giovane gabelliere Matteo piegato a raccattare i soldi sparsi sul tavolo, mentre altri ne tiene nascosti in un sacchetto. ( 1  nota al fondo )

 

Il futuro Francesco si identifica con il pubblicano, odiato collettore di tasse: “Quel dito di Gesù così…verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo. È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: ‘No! Non a me! No, questi soldi sono miei!’. Ecco, questo sono io: un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a pontefice: ‘Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Iesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto’” 1. ( Sono un peccatore, ma avendo fiducia totale nella grandissima misericordia e nell’ infinita pazienza del Signore Nostro Gesù Cristo, con spirito penitente, accetto )

Di sé stesso, peccatore misericordiante, Francesco amava dire: “Sì posso dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo” 2.

Furbizia e ingenuità si incrociano nel colpo di genio con cui il 18 agosto 2014, improvvisando con i giornalisti di ritorno dalla Corea, lancia: “E oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: ‘Lei sa, Padre, che siamo nella terza guerra mondiale, ma a pezzi?'”.

L’amico vaticanista Lucio Brunelli, incuriosito, gli fa recapitare una mail per sapere chi mai fosse Qualcuno. Il papa gli risponde con una telefonata, che lui racconta così: “Mi disse che il misterioso ‘Qualcuno’ non esisteva, l’idea era venuta a lui, ma gli sembrava inopportuno, lì per lì, attribuirsene in modo diretto la paternità. Era il frutto di tanti colloqui con vescovi e nunzi nelle aree di crisi. La terza guerra mondiale era già scoppiata, ma si combatteva su diversi scacchieri, coinvolgeva tante e diverse forze sul campo, che spesso agivano ‘per procura’ delle grandi potenze. Mi citò come esempio la guerra in Siria, dove ‘i siriani mettevano i morti e le grandi potenze le armi’” 3.

 

Per ricordare la memoria di un papa la cui impronta resterà nella storia, non solo e forse nemmeno tanto della Chiesa, a noi mestieranti della geopolitica piace ricordarlo come facemmo nel marzo 2014, nel volume Le conseguenze di Francesco:

Francesco è convinto che Dio abbia un suo ‘punto di vista’ sul creato. A ogni buon cristiano il compito di discernerlo, secondo la lezione di Sant’Ignazio. Al papa di farne la cifra del suo ministero. Impresa infinita ed esigente, specie per chi si ostenta ‘indisciplinato nato, nato, nato’, fugge gli accademismi, scarta il pensiero sistematico perché lo ama ‘incompleto’ si vuole ‘decentrato’, ‘sempre in tensione’, da buon gesuita. Ma sa, con il fondatore della Compagnia, che ‘i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone’. Una definizione dell’ignaziano discernimiento – la postura dello spirito che cerca di cogliere la volontà celeste per orientarvi la missione in terra – che più geopolitica non si può. Nel metodo, ma soprattutto nelle conseguenze” 4.


NOTE

1 – PAPA FRANCESCO, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Milano 2013, Rizzoli, pp. 24-25.

2 – L. BRUNELLI, Papa Francesco. Come l’ho conosciuto io, Cinisello Balsamo 2020, Edizioni San Paolo, p. 123.

3 – Ivi, pp. 126-127.

4 – “Primerear o balconear”, editoriale di Limes n. 3/2014, “Le conseguenze di Francesco”, p. 8.


Qui i numeri di Limes dedicati al pontificato di Francesco:

 

1. nota del blog- chi è Matteo nel quadro ?

Nel quadro  ” Vocazione di San Matteo “, Cristo, accompagnato da San Pietro, chiama Levi (poi rinominato Matteo), un esattore delle tasse, a essere suo discepolo. Questi siede a un tavolo assieme ad altri personaggi, probabilmente altri pubblicani, intenti a contare del denaro. Il gesto di Cristo causa una diversa reazione in ciascuno dei presenti, le cui espressioni denotano di volta in volta stupore, fastidio, diffidenza; san Matteo è identificato nell’uomo anziano e barbuto seduto dirimpetto allo spettatore, che punta il dito contro sé stesso quasi a chiedere «State davvero chiamando me?». Parte della critica tende invece a identificare Matteo nel giovane seduto a capotavola, che sèguita a contare e rimane del tutto indifferente alla chiamata; questa ipotesi è tuttavia ritenuta improbabile[5], anche perché l’uomo anziano presenta caratteristiche fisiognomiche sovrapponibili al soggetto rappresentato nelle altre due tele, rendendole di fatto un piccolo ciclo.

L’opera è nota per essere la prima in cui Caravaggio fa un uso ragionato della luce, caratteristica che diventerà distintiva della sua pittura. La scena è infatti immersa nella penombra: l’unica fonte di illuminazione è una lama di luce che proviene dall’angolo in alto a destra, la cui origine si trova all’esterno del riquadro. Essa ha una doppia funzione, una pratica e l’altra simbolica: serve infatti a far emergere le figure e conferire loro realismo, ma anche a rappresentare visivamente l’intervento salvifico della Provvidenza: la luce segue infatti il gesto di Cristo, colpendo in pieno Matteo.

San Matteo e il gruppo di persone che siedono con lui veste alla moda di fine XVI – inizi XVII secolo, a differenza di Gesù e di San Pietro. Anche questo espediente diventerà una costante nei lavori di Caravaggio: rappresenta la potenza del messaggio cristiano, capace di trascendere i secoli. Il fatto stesso che la scena si svolga in un ambiente chiuso, simile alle bettole che l’artista frequentava (molto comuni a fine ‘500), dimostra il carattere atemporale dell’opera.

La scansione radiografica dell’opera ha mostrato che in origine non era presente la figura di san Pietro, aggiunta successivamente.

 

DA : WIKIPEDIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Vocazione_di_san_Matteo

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ANDREA CAPOCCI, Trafficanti di formiche e altri nuovi passatempi criminali — IL MANIFESTO  18 APRILE 2025

 

 

 

 

IL MANIFESTO  18 APRILE 2025
https://ilmanifesto.it/trafficanti-di-formiche-e-altri-nuovi-passatempi-criminali

 

 

 

Trafficanti di formiche e altri nuovi passatempi criminali

 

 

 

Trafficanti di formiche e altri nuovi passatempi criminali

Trafficanti di formiche e altri nuovi passatempi criminali

Andrea Capocci

 

Il 5 aprile, i due giovani turisti belgi David Lornoy e Lodewijckx Seppe sono stati fermati all’aeroporto di Nairobi (Kenya) mentre tentavano di imbarcare cinquemila formiche. Con loro, sono state arrestate altre due persone di nazionalità kenyana e vietnamita accusate di essere i fornitori delle formiche. Una perquisizione nella loro abitazione ne ha rinvenute diverse centinaia. Il processo è già iniziato e nell’udienza di mercoledì i quattro hanno ammesso le loro responsabilità. I trafficanti custodivano gli insetti vivi in provette individuali pronte il commercio.

Le formiche in questione erano infatti regine della specie Messor cephalotes, una delle più apprezzate sul mercato degli animali esotici. Da alcuni anni il bracconaggio si sta allargando anche a specie più facili da trasportare di una zanna di elefante, ma altrettanto redditizie. Una regina di Messor cephalotes pronta a deporre le uova– una bestiola da due centimetri e mezzo – sul mercato legale ha un prezzo compreso tra i 100 e i 200 euro. Ma ci sono anche specie più a buon mercato, se pagare 10 europer acquistare una formica potesse definirsi tale. Un business così allettante e poco tracciabile può facilmente privilegiare i canali del contrabbando. Le persone interessate a tenere in casa una colonia di formiche per ammirarne l’evoluzione sono molto più numerose di quanto si pensi.

In rete abbondano i forum e i gruppi social dedicati allo scambio di informazioni e consigli, dal cibo più appropriato agli allestimenti dei formicarium domestici. L’osservazione di una colonia di formiche, anche se in un ambiente artificiale, è indubbiamente affascinante perché l’organizzazione sociale delle formiche è leggendaria. Vedere emergere spontaneamente una divisione in caste – operaie, soldati e regine – ci fa interrogare anche sulla nostra società. Trasportare migliaia di formiche da un continente all’altro è però un’attività ad alto impatto ambientale.

Non è un caso se i ricercatori che le studiano in laboratorio adottano rigide strategie di bio-contenimento. La diffusione incontrollata delle formiche in altri habitat può avere conseguenze sistemiche. Una ricerca pubblicata su Science nel 2024 ha dimostrato che l’invasione della formica Pheidole megacephala (originaria delle isole Mauritius) nella savana al confine tra Kenya e Tanzania ha costretto i leoni a cambiare strategia di caccia. Le formiche autoctone infatti proteggevano le acacie dai predatori più ghiotti. Dopo l’arrivo della specie aliena che le ha soppiantate, gli alberi si sono rinsecchiti, i leoni non hanno più potuto nascondersi per sorprendere le zebre e hanno dovuto ripiegare sulla caccia ai bufali in gruppi più grandi.

Gli studi dimostrano che le formiche più apprezzate sul mercato sono anche quelle più invasive e non sempre gli amatori rispettano le norme di sicurezza.


«È facile che i formicai domestici finiscano nell’immondizia e da lì nell’ambiente» spiega al manifesto l’entomologo Pierfilippo Cerretti del dipartimento di biologia della Sapienza di Roma. «Il problema riguarda anche le formiche esotiche acquistate sul mercato legale. Andrebbe fermato anche quello».

Oltre a rappresentare un potenziale pericolo per gli ecosistemi lontani dai loro areali naturali, le formiche sono una risorsa locale di cui difficilmente riconosciamo il valore. Philip Muruthi, vicepresidente dell’Africa Wildlife Foundation, lo ha spiegato commentando gli arresti di Nairobi: «Quando vediamo una foresta in buona salute, non pensiamo a quanto essa dipenda dalla relazione tra le specie, dai batteri e le formiche nel suolo fino agli organismi più grandi». Anche le formiche nel loro piccolo si rispettano.

 

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GIUSY IORLANO, Il Conclave è già iniziato: ecco i cardinali favoriti a diventare Papa. Parla il vaticanista Piero Schiavazzi–MILANO FINANZA– 21 aprile 2025 — ore 11.15 / agg. 21.57

 

 

SEGUE DA:

MILANO FINANZA-– 21 aprile 2025 — ore 11.15 / agg. 21.57

https://www.milanofinanza.it/news/piero-schiavazzi-il-conclave-e-gia-iniziato-ecco-i-cardinali-piu-accreditati-202504211155389652?refresh_cens

 

Il Conclave è già iniziato: ecco i cardinali favoriti a diventare Papa. Parla il vaticanista Piero Schiavazzi

Piero Schiavazzi

 

Il Conclave è già iniziato: ecco i cardinali favoriti a diventare Papa. Parla il vaticanista Piero Schiavazzi

 

di Giusy Iorlano 

 

 

La struttura del collegio cardinalizio che eleggerà il prossimo Papa seguirà la direttrice indicata già da tempo da Bergoglio. Il professore della Università Link: «La Chiesa di Francesco oggi guarda all’Estremo Oriente» |

 

In Vaticano da mesi era pronto un piano B per i riti della Santa Pasqua senza il Pontefice. La permanenza di Papa Francesco al Policlinico Gemelli di Roma, dove è stato ricoverato lo scorso 14 febbraio, per una polmonite bilaterale ha fatto da subito partire il toto-nomi sul suo successore e da più parti si è parlato di avviare una sorta di «conclave ombra».

«In realtà il pre-conclave è già iniziato», spiega a MF-Milano Finanza Piero Schiavazzi, professore straordinario di Geopolitica Vaticana dell’Università Link.

«E già dal 2014 quando Papa Francesco ha cominciato a lavorare alla propria successione con uno schiacciante schieramento di nuovi cardinali che hanno profondamente modificato la struttura del collegio cardinalizio». Saranno loro ad eleggere il prossimo Papa, dunque, «il criterio di selezione dei cardinali è determinante per capire dove va il conclave», sottolinea l’esperto.

 

La scommessa di Bergoglio

«Con 10 tornate di nomine Bergoglio in questi anni ha spinto tantissimo la Chiesa verso Oriente, fedele alla profezia di papa Giovanni Paolo II che ha definito il terzo millennio quello dell’Asia. Proprio in questo continente c’è quello che possiamo definire il baricentro dello sviluppo demografico ed economico del pianeta dove, però, la Chiesa conta per una percentuale bassissima, appena il 3% degli abitanti. E questa è stata la vera scommessa di Bergoglio».

Dunque, con la globalizzazione che è entrata a forza nella geopolitica della Chiesa, chi avrebbe più chances? «Abbiamo 135 cardinali elettori, di cui ben 24 dell’Asia. Un blocco di voti», sottolinea il professore per il quale sarà «inevitabile nel prossimo conclave, una spinta molto forte proprio per un pontefice asiatico o africano, episcopati, questi, che non hanno mai avuto un Papa».

 

La «partita» italiana

L’Italia non parte favorita, però c’è da considerare un elemento importante: «Il vero problema è tenere unita la base della Chiesa ed evitare un rischio di scisma tra le grandi aree geografiche». Un italiano «verrà eletto solo se prevale l’esigenza di un mediatore che tenga unita la Chiesa nelle sue sensibilità molteplici». Due su tutti i cardinali italiani più accreditati: «Il segretario di Stato Pietro Parolin e Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Difficile l’elezione di un papa americano», conclude Schiavazzi.

 

I possibili successori

Pietro Parolin, 70 anni, segretario di Stato vaticano dal 2013, diplomatico di lunga esperienza, è considerato un candidato «di continuità» e allo stesso tempo «un equilibratore», capace di mantenere il timone della Chiesa su una linea pastorale aperta, ma con attenzione all’equilibrio tra le diverse anime cattoliche.

 

Matteo Maria Zuppi, 69 anni, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha una forte sensibilità sociale e una lunga esperienza nella Comunità di Sant’Egidio. È visto come espressione di una Chiesa vicina ai poveri e al dialogo, ma con un approccio pastorale innovativo, dialogante e pragmatico.

Non solo, tra i nomi circolano insistenti anche quelli del cardinale Pier Battista Pizzaballa, 60 anni, patriarca latino di Gerusalemme, è un francescano con esperienza diretta nelle terre della Bibbia. La sua candidatura potrebbe essere favorita dalla necessità di un ponte tra Oriente e Occidente, oltre che dalla sua capacità di dialogo interreligioso.

Dopo il Sud America con Bergoglio, ci sono voci secondo cui il prossimo Pontefice possa arrivare dall’Africa o dall’Asia.

 

Il filippino Luis Antonio Tagle, 67 anni, prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, è un volto dell’Asia cattolica, con un carisma che ricorda quello di Francesco. Potrebbe essere un pontefice simbolo di una Chiesa missionaria e giovane.

Per quanto riguarda l’Africa, tra quelli più tenuti in considerazione c’è il congolese Fridolin Ambongo Besungu, 65 anni, arcivescovo di Kinshasa.

Robert Sarah, 79 anni, originario della Guinea, ex Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.

 

leggi:

Così Papa Francesco ha rivoluzionato le finanze del Vaticano. Chi porterà avanti la sua opera?

 

 

 

 

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Et incarnatus est — Messa in do minore di Mozart ( composta a Vienna, 1792-93 ) –canta Barbara Bonney -Palau de la Musica Catalana, Barcellona –dicembre 1991

 

 

La Messa è per: 

soprano, contralto, tenore, basso, doppio coro misto, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi

 

Testo :

SOPRANO
Et incarnatus est de Spiritu Sancto
ex Maria Virgine, et homo factus est.
E per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine
Maria e si è fatto uomo.

da:
Flaminio online

 

 

 

 

 

*******

 

 

L’Et incarnatus est è un altro solo offerto alla voce dell’amata Konstanze: una pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che trasfigura il virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo vocalizzo della cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati (flauto, oboe e fagotto). È stato più volte sottolineato lo stile italianeggiante di questo brano. ( LINK AL FONDO)

 

 

Constanze WeberZell im Wiesental5 gennaio 1762 – Salisburgo6 marzo 1842) fu moglie di Wolfgang Amadeus Mozart e in seguito del diplomatico danese Georg Nikolaus Nissen

Disegno a carboncino di Constanze a 21 anni, risalente al 1783 di  Joseph Lange

 

In una lettera al padre, Leopold Mozart, che non amava la famiglia Weber e non vedeva la futura nuora di buon occhio, Wolfgang la descrisse in questi termini:

Prima che io smetta d’infastidirla con le mie chiacchiere, devo informarla meglio su Constanze. Non è di certo una brutta ragazza, ma al tempo stesso è lontana dall’essere bella. Tutta la sua bellezza consiste in un paio di piccoli occhi neri e in un aspetto abbastanza curato. Non è molto intelligente, ma ha sufficiente buon senso per adempiere ai doveri di moglie e madre. Dire che tende ad essere stravagante è una bugia bella e buona. Al contrario, è abituata ad essere vestita con modestia: quel poco che sua madre ha potuto fare per le sue figlie, l’ha fatto per le altre due e mai per lei. La maggior parte di ciò che serve a una donna, lei è capace di farlo con le sue mani, ed è lei stessa che si acconcia i capelli ogni giorno. Inoltre, ha una certa pratica di economia domestica e ha il cuore più gentile del mondo. Io amo lei e lei ama me con tutto il cuore. Mi dica lei se potrei augurarmi una moglie migliore!

Dopo la morte di Wolfgang nel 1791, Constanze riuscì a sfruttare il nome del defunto marito con una certa abilità, garantendosi così un futuro tranquillo: ottenne sovvenzioni da Praga e dagli amici di Mozart, che diedero concerti il cui ricavato le fu donato. Giunse a vendere gli spartiti autografi di Mozart, inclusi quelli del Requiem, così come era stato completato da Franz Süssmayr. Fu lei, peraltro, a diffondere la diceria dell’avvelenamento di Mozart.
Nel 1809 Constanze si risposò con Georg Nikolaus Nissen, un diplomatico danese.

 

altro in : Wikipedia 

Constanze Weber nel 1802–   dipinto di Hans Hansen

 

testo segue da :

Guida all’ascolto 1 di Mauro Mariani – LINK IN FONDO

 

I due massimi capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart nell’ambito della musica sacra, la Messa in do minore K. 427 (K. 417 a) e il Requiem in re minore K. 626, rimasero entrambi incompiuti. Fu la morte a fermare per sempre la mano di Mozart mentre vergava il Lacrimosa del Requiem, mentre l’incompiutezza della Messa deve essere attribuita a cause meno tragiche. Mozart aveva infatti iniziato a comporla per una sua autonoma decisione, uscendo per una volta dal sistema della committenza che regolava la produzione musicale dell’epoca; ma i tempi non erano maturi perché un musicista potesse liberamente dedicare il suo tempo a una composizione priva d’una precisa destinazione e quindi la Messa in do minore fu messa da parte a favore di lavori più urgenti. Invece Mozart non lasciò mai a metà le musiche sacre connesse ai suoi impegni salisburghesi. Non dipendere per una volta da una precisa committenza permise però a Mozart di concepire liberamente questa Messa su una scala più ampia e complessa, mentre fino allora aveva dovuto ottemperare alle imposizioni del suo “padrone”, il principe-arcivescovo di Salisburgo, che dalla musica sacra pretendeva semplicità e brevità.

 

La Messa in do minore non obbediva dunque a una committenza, ma fu concepita da Mozart come un’offerta votiva per il superamento delle difficoltà che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo come un dono all’amata Konstanze. In una lettera inviata al padre da Vienna il 4 gennaio 1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto “una promessa nel [suo] cuore” e che “la migliore prova di questa promessa è la partitura d’una Messa che ancora aspetta d’essere completata”. Da questa stessa lettera si deduce che fin dall’inizio Mozart pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo. Effettivamente la prima volta che si recò da Vienna a Salisburgo dopo il suo matrimonio portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno previsto per l’esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e probabilmente venne integrata con pezzi di altre messe di Mozart.

Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto la sua città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui aveva scritto per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre il Credo era interrotto all’lncarnatus est e per di più era lacunoso nell’orchestrazione e l’Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a Vienna, avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell’oratorio Davide penitente K. 469.

Nonostante l’incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta, complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart. Come Bach nella Messa in si minore e Beethoven nella Missa solemnis, anche Mozart riprende qui gli stili della musica sacra delle epoche precedenti, quasi a voler ancorare saldamente la sua Messa alla tradizione. Attinge a Bach e Händel, da lui scoperti e studiati proprio in quegli anni, e anche agli italiani, come Caldara, Porpora e Pergolesi, scrivendo una “personale summa theologica del sacro in musica, i cui principi vengono desunti da una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei, sviluppata più in estensione geografica che in profondità storica, non rimontando oltre i limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse attingibile e spiritualmente frequentabile” (Giovanni Carli Ballola).

 

segue nel link:

FLAMINIO ONLINE- MOZART- MESSA 427

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Messa427.html

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video, 17 min. ca —LIMES –MAPPA MUNDI — 21 APRILE 2025 — LUCIO CARACCIOLO E ALFONSO DESIDERIO::: ” FRANCESCO, IL SENTIERO INTERROTTO “

 

 

 

Papa Francesco è morto all’età di 88 anni. Il primo papa latino americano, il primo gesuita e il primo a scegliere il nome di Francesco, il primo a convivere con il suo predecessore per 10 anni, il primo a incontrare un patriarca ortodosso. L’argentino Bergoglio ha provato a riformare nel profondo la Chiesa scossa dagli scandali. Una Chiesa che è sempre meno europea e sempre più africana e asiatica. I cattolici sono oggi il 18% circa della popolazione mondiale e i paesi con la maggiore presenza di cattolici sono Messico e Brasile

 

 

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video, 18 min. ca —giugno 2024 — Vieste — + un altro pezzo, Monferrato Web TV ::: ALESSANDRO BARBERO, COSA PENSO DI PAPA FRANCESCO ?

 

 

 

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video, 0.58 -ANSA.IT VIDEOGALLERY – 21 APRILE 2025, 10.35 — Papa Francesco e’ deceduto la mattina di Lunedi’ dell’Angelo a Santa Marta + MANUELA TULLI, ANSA.IT. 11.01 ++ Addio a Bergoglio… ++ immagini del Papa +++Antonio Spadaro- PRIMA INTERVISTA AL PAPA APPENA ELETTO

 

 

 

REDAZIONE ANSA

ANSA.IT VIDEOGALLERY – 21 APRILE 2025

 

Papa Francesco e’ deceduto la mattina di Lunedi’ dell’Angelo a Santa Marta

 

 

https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2025/04/21/addio-a-bergoglio-il-papa-che-veniva-dalla-periferia_a356dd81-240c-4643-948c-b74c81af8fd5.html

 

 

 

 

ANSA.IT — 21 APRILE 2025 — 11.01
https://www.ansa.it/sito/photogallery/primopiano/2025/04/21/addio-a-bergoglio-largentino-che-rivoluziono-la-chiesa-_2028538f-1429-42fb-9a7c-46aa2c6be612.html

 

Addio a Bergoglio, l’argentino che rivoluzionò la Chiesa

 

ADDIO A BERGOGLIO, IL PAPA CHE VENIVA DALLA PERIFERIA - SPECIALE

FOTO DI FAMIGLIA CON PAPA FRANCESCO GIOVANE ( il secondo da sinistra– nostra– in piedi )

 

 

Foto di famiglia di Jorge Mario Bergoglio da giovane

Bergoglio fu ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969

 

 

Jorge Mario Bergoglio, giovane sacerdote

 

 

Immagine d'archivio del futuro Papa

altre immagini di Bergoglio giovane prete

foto sopra ( tre ) sono di VATICANS NEWS:
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-12/papa-francesco-anniversario-ordinazione-sacerdotale.html

 

 

 

Manuela Tulli

 

 

Era arrivato dodici anni fa, il 13 marzo del 2013, e il mondo lo ha conosciuto per quel semplice “buonasera”. Era il suo primo saluto rivolto al mondo intero e già quella semplicità disarmante preannunciava una ventata di nuovo, rivoluzionaria. Jorge Mario Bergoglio ha preso in mano la Chiesa da quello stesso giorno e l’ha condotta per sentieri coraggiosi, aprendo le porte a “tutti, tutti, tutti”, e non preoccupandosi di quell’ala dei cattolici che sono sempre restii alle novità. Lo ha fatto dopo lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI ma lui ha saputo voltare pagina in un modo che era difficile anche da immaginare.

Era nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, figlio di migranti piemontesi: suo padre Mario era ragioniere, impiegato nelle ferrovie, mentre sua madre, Regina Sivori, si occupava della casa e dell’educazione dei cinque figli.

Diplomatosi come tecnico chimico, sceglie poi la strada del sacerdozio entrando nel seminario; nel 1958 passa al noviziato della Compagnia di Gesù. Da qui una lunga vita al servizio della Chiesa fino a diventare cardinale arcivescovo della sua Baires e dal 2013 il 266esimo Pontefice della Chiesa cattolica.

Francesco è morto questa mattina, dopo 38 giorni di ricovero per una polmonite e una ripresa che sembrava essere sorprendente nel corso della quale ha voluto essere in mezzo alla sua gente, fino a ieri, quando ha voluto fare un giro in papamobile nel giorno di Pasqua. Se ne va dopo dodici anni di un fitto pontificato, non scevro di problemi e contraddizioni, ma che ha segnato una svolta talmente ampia, nella sostanza e nella forma, dalla quale probabilmente sarà difficile fare marcia indietro.

L’apertura ai divorziati, agli omosessuali, la valorizzazione delle donne fino a dare loro il posto che da secoli era riservato solo ai cardinali. E poi quella Chiesa “in uscita”, verso i più fragili, dai migranti, la sua prima preoccupazione, ai poveri. E’ pensando proprio ai poveri che sceglie un nome che mai nessun Pontefice della storia aveva osato scegliere: Francesco, come il poverello d’Assisi, anche lui un rivoluzionario dei suoi tempi.

Primo ‘Francesco’, ma anche primo Papa gesuita della storia, primo proveniente dal continente americano, e primo non europeo da oltre 1200 anni. Bergoglio porterà nel cuore della cristianità, Roma, l’esperienza della sua Chiesa sempre protesa verso i disgraziati delle ‘villas’, le periferie più abbandonate della sua Buenos Aires. Le “periferie”, geografiche ed esistenziali, sono state infatti la cifra principale del suo Pontificato.

E’ per guardare agli ultimi, gli “scartati”, come li ha sempre definiti, che Francesco lascia a volte indietro quei valori che in passato erano stati definiti non negoziabili. Va dritto per la sua strada scardinando tradizioni che duravano da secoli. Niente Palazzo apostolico, sceglie di vivere in un albergo, Casa Santa Marta. Sfronda riti e paramenti liturgici, sfida abitudini secolari, sceglie come cardinali i pastori che lavorano negli angoli più sperduti della terra, dalla Mongolia alla Papua Nuova Guinea. Lava i piedi a detenuti, migranti, transessuali, e lascia che la zona del Vaticano diventi un porto accogliente per i tanti senzatetto di Roma.

E soprattutto vive del rapporto diretto con la gente. Saluta, telefona, va a trovare a casa le persone. E’ accaduto con Emma Bonino e con Edith Bruck, per fare solo alcuni esempi. La gente è sempre stata la linfa del suo pontificato e per questo non si è risparmiato. Non lo ha fatto neanche adesso con i suoi 88 anni e i malanni che si erano accumulati. C’era da quasi due mesi quella bronchite che gli impediva di pronunciare i discorsi per intero, che lo mostrava costantemente in affanno. Ma niente lo ha fermato e ha continuato a celebrare messa in piazza, incurante della sua età, del freddo e di quel virus che intanto si stava facendo strada nei suoi polmoni.

Bergoglio lascia una Chiesa diversa, forse più divisa. E’ stato amato tanto dai più dai lontani, da quelli che da anni non mettevano piede in una sagrestia o che magari non lo avevano mai fatto, rispetto ai cattolici cresciuti sotto la guida più confortante di Pontefici come Giovanni Paolo II o Benedetto XVI.

“Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi – disse nel 2013 nella sua prima intervista, quella a La Civiltà Cattolica – è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso”. Una eredità che adesso spetterà al suo successore.

 

 

ALCUNE DELLE 30 FOTO DI BERGOGLIO PUBBLICATE DALL’ANSA

 

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© ANSA/EPA

 

 

 

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PRIMA INTERVISTA AL PAPA APPENA ELETTO

da:

LA CIVILTA’ CATTOLICA, Rivista della Compagnia di Gesù fondata nel 1850

https://www.laciviltacattolica.it/articolo/intervista-a-papa-francesco/

 

 

ANTONIO SPADARO 

LA PRIMA INTERVISTA A PAPA FRANCESCO DOPO L’ELEZIONE

19 SETTEMBRE  2013

 

Santa Marta, lunedì 19 luglio, ore 9.50

 

 

È lunedì 19 agosto. Papa Francesco mi ha dato appuntamento alle 10,00 in Santa Marta. Io però eredito da mio padre la necessità di arrivare sempre in anticipo. Le persone che mi accolgono mi fanno accomodare in una saletta. L’attesa dura poco, e dopo un paio di minuti vengo accompagnato a prendere l’ascensore. Nei due minuti ho avuto il tempo di ricordare quando a Lisbona, in una riunione di direttori di alcune riviste della Compagnia di Gesù, era emersa la proposta di pubblicare tutti insieme un’intervista al Papa. Avevo discusso con gli altri direttori, ipotizzando alcune domande che esprimessero gli interessi di tutti. Esco dall’ascensore e vedo il Papa già sulla porta ad attendermi. Anzi, in realtà, ho avuto la piacevole impressione di non aver varcato porte.

Entro nella sua stanza e il Papa mi fa accomodare su una poltrona. Lui si siede su una sedia più alta e rigida a causa dei suoi problemi alla schiena. L’ambiente è semplice, austero. Lo spazio di lavoro della scrivania è piccolo. Sono colpito dalla essenzialità non solamente degli arredi, ma anche delle cose. Ci sono pochi libri, poche carte, pochi oggetti. Tra questi un’icona di San Francesco, una statua di Nostra Signora di Luján, Patrona dell’Argentina, un crocifisso e una statua di san Giuseppe dormiente, molto simile a quella che avevo visto nella sua camera di rettore e superiore provinciale presso il Colegio Máximo di San Miguel. La spiritualità di Bergoglio non è fatta di «energie armonizzate», come le chiamerebbe lui, ma di volti umani: Cristo, san Francesco, san Giuseppe, Maria.

Il Papa mi accoglie col sorriso che ormai ha fatto più volte il giro del mondo e che apre i cuori. Cominciamo a parlare di tante cose, ma soprattutto del suo viaggio in Brasile. Il Papa lo considera una vera grazia. Gli chiedo se si è riposato. Lui mi dice di sì, che sta bene, ma soprattutto che la Giornata Mondiale della Gioventù è stata per lui un «mistero». Mi dice che non è mai stato abituato a parlare a tanta gente: «Io riesco a guardare le singole persone, una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse». Gli dico che è vero, e che si vede, e che questo colpisce tutti. Si vede che, quando lui è in mezzo alla gente, i suoi occhi in realtà si posano sui singoli. Poi le telecamere proiettano le immagini e tutti possono vederle, ma così lui può sentirsi libero di restare in contatto diretto, almeno oculare, con chi ha davanti a sé. Mi sembra contento di questo, cioè di poter essere quel che è, di non dover alterare il suo modo ordinario di comunicare con gli altri, anche quando ha davanti a sé milioni di persone, come è accaduto sulla spiaggia di Copacabana.

Prima che io accenda il registratore parliamo anche d’altro.  Commentando una mia pubblicazione, mi ha detto che i due pensatori francesi contemporanei che predilige sono Henri de Lubac e Michel de Certeau. Gli dico anche qualcosa di più personale. Anche lui mi parla di sé e in particolare della sua elezione al Pontificato. Mi dice che quando ha cominciato a rendersi conto che rischiava di essere eletto, il mercoledì 13 marzo a pranzo, ha sentito scendere su di lui una profonda e inspiegabile pace e consolazione interiore insieme a un buio totale, a una oscurità profonda su tutto il resto. E questi sentimenti lo hanno accompagnato fino all’elezione.

In realtà avrei continuato a parlare così familiarmente per tanto tempo ancora, ma prendo i fogli con alcune domande che avevo annotato e accendo il registratore. Innanzitutto lo ringrazio a nome di tutti i direttori delle riviste dei gesuiti che pubblicheranno questa intervista.

Poco prima dell’udienza che ha concesso ai gesuiti della Civiltà Cattolica il 14 giugno scorso, il Papa mi aveva parlato della sua grande difficoltà a rilasciare interviste. Mi aveva detto che preferisce pensare più che dare risposte di getto in interviste sul momento. Sente che le risposte giuste gli vengono dopo aver dato la prima risposta: «non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande», mi dice. Ma è vero: in questa intervista più volte il Papa si è sentito libero di interrompere quel che stava dicendo rispondendo a una domanda, per aggiungere qualcosa sulla precedente. Parlare con Papa Francesco in realtà è una sorta di flusso vulcanico di idee che si annodano tra loro. Persino prendere appunti mi dà la spiacevole sensazione di interrompere un dialogo sorgivo. È chiaro che Papa Francesco è abituato più alla conversazione che alla lezione.

 

Chi è Jorge Mario Bergoglio?

Ho la domanda pronta, ma decido di non seguire lo schema che mi ero prefisso, e gli chiedo un po’ a bruciapelo: «Chi è Jorge Mario Bergoglio?». Il Papa mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli… Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: «non so quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore».

Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore.

«Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me»

Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi».

E aggiunge: «il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».

Papa Francesco continua nella sua riflessione e mi dice, facendo un salto di cui sul momento non comprendo il senso: «Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre». Rido e gli dico: «lo abbiamo capito tutti molto bene, Santo Padre!». «Ecco, sì — prosegue il Papa —, conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro… ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio». Comincio a intuire cosa il Papa vuole dirmi.

«Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo». E qui il Papa si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «è il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Quindi sussurra: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto».Perché si è fatto gesuita?

Comprendo che questa formula di accettazione è per Papa Francesco anche una carta di identità. Non c’era più altro da aggiungere. Proseguo con quella che avevo scelto come prima domanda: «Santo Padre, che cosa l’ha spinta a scegliere di entrare nella Compagnia di Gesù? Che cosa l’ha colpita dell’Ordine dei gesuiti?».

«Io volevo qualcosa di più. Ma non sapevo che cosa. Ero entrato in seminario. I domenicani mi piacevano e avevo amici domenicani. Ma poi ho scelto la Compagnia, che ho conosciuto bene perché il seminario era affidato ai gesuiti. Della Compagnia mi hanno colpito tre cose: la missionarietà, la comunità e la disciplina. Curioso questo, perché io sono un indisciplinato nato, nato, nato. Ma la loro disciplina, il modo di ordinare il tempo, mi ha colpito tanto».

«E poi una cosa per me davvero fondamentale è la comunità. Cercavo sempre una comunità. Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta: quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell’appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un “no”. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri».

Mentre il Papa parla di missione e di comunità, mi vengono in mente tutti quei documenti della Compagnia di Gesù in cui si parla di «comunità per la missione» e li ritrovo nelle sue parole.

 

Che cosa significa per un gesuita essere Papa?

 

Voglio proseguire su questa linea e pongo al Papa una domanda a partire dal fatto che lui è il primo gesuita ad essere eletto Vescovo di Roma: «Come legge il servizio alla Chiesa universale che lei è stato chiamato a svolgere alla luce della spiritualità ignaziana? Che cosa significa per un gesuita essere eletto Papa? Quale punto della spiritualità ignaziana la aiuta meglio a vivere il suo ministero?».

«Il discernimento», risponde Papa Francesco. «Il discernimento è una delle cose che più ha lavorato interiormente sant’Ignazio. Per lui è uno strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo più da vicino. Mi ha sempre colpito una massima con la quale viene descritta la visione di Ignazio: Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est. Ho molto riflettuto su questa frase in ordine al governo, ad essere superiore: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio».

***Nota : E’ stata tradotta anche con la formula: ” nel grande, il piccolo- nel piccolo, il grande “

«Questa massima offre i parametri per assumere una posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire dal suo “punto di vista”. Per sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. A suo modo Giovanni XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere, perché, pur vedendo omnia, la dimensione massima, riteneva di agire su pauca, su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci di quelli forti, come dice anche san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi».

 

«Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento. E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo. È ciò che è accaduto anche a me in questi mesi. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri. Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. Il discernimento nel Signore mi guida nel mio modo di governare».

«Ecco, invece diffido delle decisioni prese in maniera improvvisa. Diffido sempre della prima decisione, cioè della prima cosa che mi viene in mente di fare se devo prendere una decisione. In genere è la cosa sbagliata. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte».

 

La Compagnia di Gesù

Il discernimento è dunque un pilastro della spiritualità del Papa. In questo si esprime in maniera peculiare la sua identità gesuitica. Gli chiedo quindi come pensa che la Compagnia di Gesù possa servire la Chiesa oggi, quale sia la sua peculiarità, ma anche gli eventuali rischi che corre.

«La Compagnia è un’istituzione in tensione, sempre radicalmente in tensione. Il gesuita è un decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa. Dunque: se la Compagnia tiene Cristo e la Chiesa al centro, ha due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia. Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben “armata”, allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente. La Compagnia deve avere sempre davanti a sé il Deus semper maior, la ricerca della gloria di Dio sempre maggiore, la Chiesa Vera Sposa di Cristo nostro Signore, Cristo Re che ci conquista e al quale offriamo tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica, anche se siamo vasi di argilla, inadeguati. Questa tensione ci porta continuamente fuori da noi stessi. Lo strumento che rende veramente forte la Compagnia decentrata è poi quello, insieme paterno e fraterno, del “rendiconto di coscienza”, proprio perché la aiuta a uscire meglio in missione».

Qui il Papa si riferisce a un punto specifico delle Costituzioni della Compagnia di Gesù nel quale si legge che il gesuita deve «manifestare la sua coscienza», cioè la situazione interiore che vive, in modo che il superiore possa essere più consapevole e accorto nell’inviare una persona alla sua missione.

 

«Ma è difficile parlare della Compagnia — prosegue Papa Francesco —. Quando si esplicita troppo, si corre il rischio di equivocare. La Compagnia si può dire solamente in forma narrativa. Solamente nella narrazione si può fare discernimento, non nella esplicazione filosofica o teologica, nelle quali invece si può discutere. Lo stile della Compagnia non è quello della discussione, ma quello del discernimento, che ovviamente suppone la discussione nel processo. L’aura mistica non definisce mai i suoi bordi, non completa il pensiero. Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. Ci sono state epoche nella Compagnia nelle quali si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico: questa deformazione ha generato l’Epitome Instituti ( Compendio dei Gesuiti )».

Qui il Papa si sta riferendo a una specie di riassunto pratico in uso nella Compagnia e riformulato nel XX secolo, che venne visto come un sostitutivo delle Costituzioni. La formazione dei gesuiti sulla Compagnia per un certo tempo fu plasmata da questo testo, a tal punto che qualcuno non lesse mai le Costituzioni, che invece sono il testo fondativo. Per il Papa, durante questo periodo nella Compagnia le regole hanno rischiato di sopraffare lo spirito, e ha vinto la tentazione di esplicitare e dichiarare troppo il carisma.

Prosegue: «No, il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro. Questa è la sua vera forza. E questo spinge la Compagnia ad essere in ricerca, creativa, generosa. Dunque, oggi più che mai, deve essere contemplativa nell’azione; deve vivere una vicinanza profonda a tutta la Chiesa, intesa come “popolo di Dio” e “santa madre Chiesa gerarchica”. Questo richiede molta umiltà, sacrificio, coraggio, specialmente quando si vivono incomprensioni o si è oggetto di equivoci e calunnie, ma è l’atteggiamento più fecondo. Pensiamo alle tensioni del passato sui riti cinesi, sui riti malabarici, nelle riduzioni in Paraguay».

«Io stesso sono testimone di incomprensioni e problemi che la Compagnia ha vissuto anche di recente. Tra queste vi furono i tempi difficili di quando si trattò della questione di estendere il “quarto voto” di obbedienza al Papa a tutti i gesuiti. Quello che a me dava sicurezza al tempo di padre Arrupe era il fatto che lui fosse un uomo di preghiera, un uomo che passava molto tempo in preghiera. Lo ricordo quando pregava seduto per terra, come fanno i giapponesi. Per questo lui aveva l’atteggiamento giusto e prese le decisioni corrette».

 

Il modello: Pietro Favre, «prete riformato»

A questo punto mi chiedo se tra i gesuiti ci siano figure, dalle origini della Compagnia ad oggi, che lo abbiano colpito in maniera particolare. E così chiedo al Pontefice se ci sono, quali sono e perché. Il Papa comincia a citarmi Ignazio e Francesco Saverio, ma poi si sofferma su una figura che i gesuiti conoscono, ma che certo non è molto nota in generale: il beato Pietro Favre (1506-1546), savoiardo. È uno dei primi compagni di sant’Ignazio, anzi il primo, con il quale egli condivideva la stanza quando i due erano studenti alla Sorbona. Il terzo nella stessa stanza era Francesco Saverio. Pio IX lo dichiarò beato il 5 settembre 1872, ed è in corso il processo di canonizzazione.

Mi cita una edizione del suo Memoriale che lui fece curare da due gesuiti specialisti, Miguel A. Fiorito e Jaime H. Amadeo, quando era superiore provinciale. Una edizione che al Papa piace particolarmente è quella a cura di Michel de Certeau. Gli chiedo quindi perché è colpito proprio dal Favre, quali tratti della sua figura lo impressionano.

«Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce…».

Mentre Papa Francesco fa questo elenco di caratteristiche personali del suo gesuita preferito, comprendo quanto questa figura sia stata davvero per lui un modello di vita. Michel de Certeau definisce Favre semplicemente il «prete riformato», per il quale l’esperienza interiore, l’espressione dogmatica e la riforma strutturale sono intimamente indissociabili. Mi sembra di capire, dunque, che Papa Francesco si ispiri proprio a questo genere di riforma. Quindi il Papa prosegue con una riflessione sul vero volto del fundador.

«Ignazio è un mistico, non un asceta. Mi arrabbio molto quando sento dire che gli Esercizi spirituali sono ignaziani solamente perché sono fatti in silenzio. In realtà gli Esercizi possono essere perfettamente ignaziani anche nella vita corrente e senza il silenzio. Quella che sottolinea l’ascetismo, il silenzio e la penitenza è una corrente deformata che si è pure diffusa nella Compagnia, specialmente in ambito spagnolo. Io sono vicino invece alla corrente mistica, quella di Louis Lallemant e di Jean-Joseph Surin. E Favre era un mistico».

 

L’esperienza di governo

Quale tipo di esperienza di governo può far maturare la formazione avuta da padre Bergoglio, che è stato prima superiore e poi superiore provinciale nella Compagnia di Gesù? Lo stile di governo della Compagnia implica la decisione da parte del superiore, ma anche il confronto con i suoi «consultori». E così chiedo al Papa: «Pensa che la sua esperienza di governo del passato possa servire alla sua attuale azione di governo della Chiesa universale?». Papa Francesco dopo una breve pausa di riflessione si fa serio, ma molto sereno.

«Nella mia esperienza di superiore in Compagnia, a dire il vero, io non mi sono sempre comportato così, cioè facendo le necessarie consultazioni. E questa non è stata una cosa buona. Il mio governo come gesuita all’inizio aveva molti difetti. Quello era un tempo difficile per la Compagnia: era scomparsa una intera generazione di gesuiti. Per questo mi son trovato Provinciale ancora molto giovane. Avevo 36 anni: una pazzia. Bisognava affrontare situazioni difficili, e io prendevo le mie decisioni in maniera brusca e personalista. Sì, devo aggiungere però una cosa: quando affido una cosa a una persona, mi fido totalmente di quella persona. Deve fare un errore davvero grande perché io la riprenda. Ma, nonostante questo, alla fine la gente si stanca dell’autoritarismo. Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordova. Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda, ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi».

 

 

 

in rosso LA PROVINCIA ARGENTINA DI CORDOBA
https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia_di_C%C3%B3rdoba_(Argentina)

 

«Dico queste cose come una esperienza di vita e per far capire quali sono i pericoli. Col tempo ho imparato molte cose. Il Signore ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati. Così da arcivescovo di Buenos Aires ogni quindici giorni facevo una riunione con i sei vescovi ausiliari, varie volte l’anno col Consiglio presbiterale. Si ponevano domande e si apriva lo spazio alla discussione. Questo mi ha molto aiutato a prendere le decisioni migliori. E adesso sento alcune persone che mi dicono: “non si consulti troppo, e decida”. Credo invece che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali.

La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. E voglio che sia una Consulta reale, non formale».

 

 

«Sentire con la Chiesa»

Rimango sul tema della Chiesa e provo a capire che cosa significhi esattamente per Papa Francesco il «sentire con la Chiesa» di cui scrive sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali. Il Papa risponde senza esitazione partendo da un’immagine.

«L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare».

«Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. Ecco, questo io intendo oggi come il “sentire con la Chiesa” di cui parla sant’Ignazio. Quando il dialogo tra la gente e i Vescovi e il Papa va su questa strada ed è leale, allora è assistito dallo Spirito Santo. Non è dunque un sentire riferito ai teologi».

«è come con Maria: se si vuol sapere chi è, si chiede ai teologi; se si vuol sapere come la si ama, bisogna chiederlo al popolo. A sua volta, Maria amò Gesù con cuore di popolo, come leggiamo nel Magnificat. Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del “sentire con la Chiesa” sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica».

E il Papa, dopo un momento di pausa, precisa in maniera secca, per evitare fraintendimenti: «E, ovviamente, bisogna star bene attenti a non pensare che questa infallibilitas di tutti i fedeli di cui sto parlando alla luce del Concilio sia una forma di populismo. No: è l’esperienza della “santa madre Chiesa gerarchica”, come la chiamava sant’Ignazio, della Chiesa come popolo di Dio, pastori e popolo insieme. La Chiesa è la totalità del popolo di Dio».

«Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana. C’è una “classe media della santità” di cui tutti possiamo far parte, quella che di cui parla Malègue».

Il Papa si sta riferendo a Joseph Malègue, uno scrittore francese a lui caro, nato nel 1876 e morto nel 1940. In particolare alla sua trilogia incompiuta Pierres noires. Les Classes moyennes du Salut. Alcuni critici francesi lo definirono «il Proust cattolico».

 

«Io vedo la santità — prosegue il Papa — nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui parla anche sant’Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio».

«Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità. E la Chiesa è Madre — prosegue —. La Chiesa è feconda, deve esserlo. Vedi, quando io mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: “ecco uno scapolone”, o “ecco una zitella”. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio, quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità».

«Un altro esempio di questi giorni: ho visto che è stata molto ripresa dai giornali la telefonata che ho fatto a un ragazzo che mi aveva scritto una lettera. Io gli ho telefonato perché quella lettera era tanto bella, tanto semplice. Per me questo è stato un atto di fecondità. Mi sono reso conto che è un giovane che sta crescendo, ha riconosciuto un padre, e così gli dice qualcosa della sua vita. Il padre non può dire “me ne infischio”. Questa fecondità mi fa tanto bene».

 

 

Chiese giovani e Chiese antiche

Rimango sul tema della Chiesa, ponendo al Papa una domanda anche alla luce della recente Giornata Mondiale della Gioventù: «Questo grande evento ha acceso ulteriormente i riflettori sui giovani, ma anche su quei “polmoni spirituali” che sono le Chiese di più recente istituzione. Quali le speranze per la Chiesa universale che le sembrano provenire da queste Chiese?».

«Le Chiese giovani sviluppano una sintesi di fede, cultura e vita in divenire, e dunque diversa da quella sviluppata dalle Chiese più antiche. Per me, il rapporto tra le Chiese di più antica istituzione e quelle più recenti è simile al rapporto tra giovani e anziani in una società: costruiscono il futuro, ma gli uni con la loro forza e gli altri con la loro saggezza. Si corrono sempre dei rischi, ovviamente; le Chiese più giovani rischiano di sentirsi autosufficienti, quelle più antiche rischiano di voler imporre alle più giovani i loro modelli culturali. Ma il futuro si costruisce insieme».

 

La Chiesa? Un ospedale da campo…

Papa Benedetto XVI, annunciando la sua rinuncia al Pontificato, ha ritratto il mondo di oggi come soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede che richiedono vigore sia del corpo, sia dell’anima. Chiedo al Papa, anche alla luce di ciò che mi ha appena detto: «Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico? Sono necessarie riforme? Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa “sogna”?».

Papa Francesco, cogliendo l’incipit della mia domanda, comincia col dire: «Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. È un uomo di Dio», dimostrando un grande affetto e una enorme stima per il suo predecessore.

«Io vedo con chiarezza — prosegue — che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».

«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».

«Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade».

«Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».

Raccolgo ciò che il Santo Padre sta dicendo e faccio riferimento al fatto che ci sono cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o comunque in situazioni complesse, cristiani che, in un modo o nell’altro, vivono ferite aperte. Penso a divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili. Come fare una pastorale missionaria in questi casi? Su che cosa far leva? Il Papa fa cenno di aver compreso che cosa intendo dire e risponde.

«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta».

«Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».

«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».

«Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».

«Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».

 

Il primo Papa religioso dopo 182 anni…

Papa Francesco è il primo Pontefice a provenire da un Ordine religioso dopo il camaldolese Gregorio XVI, eletto nel 1831, 182 anni fa. Chiedo dunque: «Qual è oggi nella Chiesa il posto specifico dei religiosi e delle religiose?».

«I religiosi sono profeti. Sono coloro che hanno scelto una sequela di Gesù che imita la sua vita con l’obbedienza al Padre, la povertà, la vita di comunità e la castità. In questo senso i voti non possono finire per essere caricature, altrimenti, ad esempio, la vita di comunità diventa un inferno e la castità un modo di vivere da zitelloni. Il voto di castità deve essere un voto di fecondità. Nella Chiesa i religiosi sono chiamati in particolare ad essere profeti che testimoniano come Gesù è vissuto su questa terra, e che annunciano come il Regno di Dio sarà nella sua perfezione. Mai un religioso deve rinunciare alla profezia. Questo non significa contrapporsi alla parte gerarchica della Chiesa, anche se la funzione profetica e la struttura gerarchica non coincidono. Sto parlando di una proposta sempre positiva, che però non deve essere timorosa. Pensiamo a ciò che hanno fatto tanti grandi santi monaci, religiosi e religiose, sin da sant’Antonio abate. Essere profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire… La profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice “casino”. Ma in realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo».

 

Dicasteri romani, sinodalità, ecumenismo

Considerando il riferimento alla gerarchia, chiedo a questo punto al Papa: «Che cosa pensa dei dicasteri romani?».

«I dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei Vescovi: devono aiutare sia le Chiese particolari sia le Conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, invece, corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di mancanza di ortodossia che arrivano a Roma. Credo che i casi debbano essere studiati dalle Conferenze episcopali locali, alle quali può arrivare un valido aiuto da Roma. I casi, infatti, si trattano meglio sul posto. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori».

Ricordo al Papa che il 29 giugno scorso, durante la cerimonia della benedizione e dell’imposizione del pallio a 34 arcivescovi metropoliti, aveva affermato «la strada della sinodalità» come la strada che porta la Chiesa unita a «crescere in armonia con il servizio del primato». Ecco la mia domanda, dunque: «Come conciliare in armonia primato petrino e sinodalità? Quali strade sono praticabili, anche in prospettiva ecumenica?».

«Si deve camminare insieme: la gente, i Vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli Ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità. Lo sforzo di riflessione comune, guardando a come si governava la Chiesa nei primi secoli, prima della rottura tra Oriente e Occidente, darà frutti a suo tempo. Nelle relazioni ecumeniche questo è importante: non solo conoscersi meglio, ma anche riconoscere ciò che lo Spirito ha seminato negli altri come un dono anche per noi. Voglio proseguire la riflessione su come esercitare il primato petrino, già iniziata nel 2007 dalla Commissione Mista, e che ha portato alla firma del Documento di Ravenna. Bisogna continuare su questa strada».

Cerco di capire come il Papa veda il futuro dell’unità della Chiesa. Mi risponde: «dobbiamo camminare uniti nelle differenze: non c’è altra strada per unirci. Questa è la strada di Gesù».

E il ruolo della donna nella Chiesa? Il Papa ha più volte fatto riferimento a questo tema in varie occasioni. In una intervista aveva affermato che la presenza femminile nella Chiesa non è emersa più di tanto, perché la tentazione del maschilismo non ha lasciato spazio per rendere visibile il ruolo che spetta alle donne nella comunità. Ha ripreso la questione durante il viaggio di ritorno da Rio de Janeiro affermando che non è stata fatta ancora una profonda teologia della donna. Allora, chiedo: «Quale deve essere il ruolo della donna nella Chiesa? Come fare per renderlo oggi più visibile?».

«è necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. E invece i discorsi che sento sul ruolo della donna sono spesso ispirati proprio da una ideologia machista. Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità. Bisogna dunque approfondire meglio la figura della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».

Il Concilio Vaticano II

«Che cosa ha realizzato il Concilio Vaticano II? Che cosa è stato?», gli chiedo alla luce delle sue affermazioni precedenti, immaginando una risposta lunga e articolata. Ho invece come l’impressione che il Papa semplicemente consideri il Concilio come un fatto talmente indiscutibile che non vale la pena parlarne troppo a lungo, come per doverne ribadire l’importanza.

«Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile. Poi ci sono questioni particolari come la liturgia secondo il Vetus Ordo. Penso che la scelta di Papa Benedetto sia stata prudenziale, legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa particolare sensibilità. Considero invece preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione».

Cercare e trovare Dio in tutte le cose

Il discorso di Papa Francesco è molto sbilanciato sulle sfide dell’oggi. Anni fa aveva scritto che per vedere la realtà è necessario uno sguardo di fede, altrimenti si vede una realtà a pezzi, frammentata. È questo anche uno dei temi dell’enciclica Lumen fidei. Ho in mente anche alcuni passaggi dei discorsi di Papa Francesco durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Glieli cito: «Dio è reale se si manifesta nell’oggi»; «Dio sta da tutte le parti». Sono frasi che riecheggiano l’espressione ignaziana «cercare e trovare Dio in tutte le cose». Chiedo dunque al Papa: «Santità, come si fa a cercare e trovare Dio in tutte le cose?».

«Quel che ho detto a Rio ha un valore temporale. C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi».

«Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».

«Incontrare Dio in tutte le cose non è un eureka empirico. In fondo, quando desideriamo incontrare Dio, vorremmo constatarlo subito con metodo empirico. Così non si incontra Dio. Lo si incontra nella brezza leggera avverita da Elia. I sensi che constatano Dio sono quelli che sant’Ignazio chiama i “sensi spirituali”. Ignazio chiede di aprire la sensibilità spirituale per incontrare Dio al di là di un approccio puramente empirico. È necessario un atteggiamento contemplativo: è il sentire che si va per il buon cammino della comprensione e dell’affetto nei confronti delle cose e delle situazioni. Il segno che si è in questo buon cammino è quello della pace profonda, della consolazione spirituale, dell’amore di Dio, e di vedere tutte le cose in Dio».

 

Certezza ed errori

«Se l’incontro con Dio in tutte le cose non è un “eureka empirico” — dico al Papa — e se dunque si tratta di un cammino che legge la storia, si possono anche commettere errori…».

«Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili. L’incertezza si ha in ogni vero discernimento che è aperto alla conferma della consolazione spirituale».

«Il rischio nel cercare e trovare Dio in tutte le cose è dunque la volontà di esplicitare troppo, di dire con certezza umana e arroganza: “Dio è qui”. Troveremmo solamente un dio a nostra misura. L’atteggiamento corretto è quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre. E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia. È questa l’esperienza dei grandi Padri della fede, che sono il nostro modello. Bisogna rileggere il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. Abramo è partito senza sapere dove andava, per fede. Tutti i nostri antenati della fede morirono vedendo i beni promessi, ma da lontano… La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere… Si deve entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio».

«Perché Dio sta prima, Dio sta prima sempre, Dio primerea. Dio è un po’ come il fiore del mandorlo della tua Sicilia, Antonio, che fiorisce sempre per primo. Lo leggiamo nei Profeti. Dunque, Dio lo si incontra camminando, nel cammino. E a questo punto qualcuno potrebbe dire che questo è relativismo. È relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. Bisogna dunque discernere l’incontro. Per questo il discernimento è fondamentale».

«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».

 

Dobbiamo essere ottimisti?

 

Queste parole del Papa mi ricordano alcune sue riflessioni del passato, nelle quali l’allora cardinal Bergoglio ha scritto che Dio vive già nella città, vitalmente mescolato in mezzo a tutti e unito a ciascuno. È un altro modo, a mio avviso, per dire ciò che sant’Ignazio scrisse negli Esercizi Spirituali, cioè che Dio «lavora e opera» nel nostro mondo. Gli chiedo dunque: «dobbiamo essere ottimisti? Quali sono i segni di speranza nel mondo d’oggi? Come si fa ad essere ottimisti in un mondo in crisi?».

«A me non piace usare la parola “ottimismo”, perché dice un atteggiamento psicologico. Mi piace invece usare la parola “speranza” secondo ciò che si legge nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei che citavo prima. I Padri hanno continuato a camminare, attraversando grandi difficoltà. E la speranza non delude, come leggiamo nella Lettera ai Romani. Pensa invece al primo indovinello della Turandot di Puccini», mi chiede il Papa.

Sul momento ho ricordato un po’ a memoria i versi di quell’enigma della principessa che ha come risposta la speranza: Nella cupa notte vola un fantasma iridescente. / Sale e spiega l’ale / sulla nera infinita umanità. / Tutto il mondo l’invoca / e tutto il mondo l’implora. / Ma il fantasma sparisce con l’aurora / per rinascere nel cuore. / Ed ogni notte nasce / ed ogni giorno muore! Versi che rivelano il desiderio di una speranza che qui però è fantasma iridescente e che sparisce con l’aurora.

«Ecco — prosegue Papa Francesco —, la speranza cristiana non è un fantasma e non inganna. È una virtù teologale e dunque, in definitiva, un regalo di Dio che non si può ridurre all’ottimismo, che è solamente umano. Dio non defrauda la speranza, non può rinnegare se stesso. Dio è tutto promessa».

 

 

L’arte e la creatività

Rimango colpito dalla citazione della Turandot per parlare del mistero della speranza. Vorrei capire meglio quali sono i riferimenti artistici e letterari di Papa Francesco. Gli ricordo che nel 2006 aveva detto che i grandi artisti sanno presentare con bellezza le realtà tragiche e dolorose della vita. Chiedo dunque quali siano gli artisti e gli scrittori che preferisce; se c’è qualcosa che li accomuna…

«Ho amato molto autori diversi tra loro. Amo moltissimo Dostoevskij e Hölderlin. Di Hölderlin voglio ricordare quella lirica per il compleanno di sua nonna che è di grande bellezza, e che a me ha fatto anche tanto bene spiritualmente. È quella che si chiude con il verso Che l’uomo mantenga quel che il fanciullo ha promesso. Mi ha colpito anche perché ho molto amato mia nonna Rosa, e lì Hölderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l’amico della terra che non ha considerato straniero nessuno. Ho letto il libro I Promessi Sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”. Anche Gerard Manley Hopkins mi è piaciuto tanto» ( (Stratford, 28 luglio 1844 – Dublino, 8 giugno 1889) è stato un gesuita e poeta inglese

«In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano. Ma anche Chagall con la sua Crocifissione bianca…».

«In musica amo Mozart, ovviamente. Quell’Et Incarnatus est della sua Missa in Do è insuperabile: ti porta a Dio! Amo Mozart eseguito da Clara Haskil. Mozart mi riempie: non posso pensarlo, devo sentirlo. Beethoven mi piace ascoltarlo, ma prometeicamente. E l’interprete più prometeico per me è Furtwängler. E poi le Passioni di Bach. Il brano di Bach che amo tanto è l’Erbarme Dich, il pianto di Pietro della Passione secondo Matteo. Sublime. Poi, a un livello diverso, non intimo allo stesso modo, amo Wagner. Mi piace ascoltarlo, ma non sempre. La Tetralogia dell’Anello eseguita da Furtwängler alla Scala nel ’50 è la cosa per me migliore. Ma anche il Parsifal eseguito nel ’62 da Knappertsbusch».

«Dovremmo anche parlare del cinema. La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. Mi identifico con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco. Credo poi di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi quando avevo tra i 10 e 12 anni. Un altro film che ho molto amato è Roma città aperta. Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori che ci portavano spesso al cinema».

«Comunque in generale io amo gli artisti tragici, specialmente i più classici. C’è una bella definizione che Cervantes pone sulla bocca del baccelliere Carrasco per fare l’elogio della storia di Don Chisciotte: “i fanciulli l’hanno tra le mani, i giovani la leggono, gli adulti la intendono, i vecchi ne fanno l’elogio”. Questa per me può essere una buona definizione per i classici».

Mi rendo conto di essere assorbito da questi suoi riferimenti, e di avere il desiderio di entrare nella sua vita entrando per la porta delle sue scelte artistiche. Sarebbe un percorso, immagino lungo, da fare. E includerebbe anche il cinema, dal neorealismo italiano a Il pranzo di Babette. Mi vengono in mente altri autori e altre opere che lui ha citato in altre occasioni, anche minori o meno noti o locali: dal Martín Fierro di José Hernández alla poesia di Nino Costa, a Il grande esodo di Luigi Orsenigo. Ma penso anche a Joseph Malègue e José María Pemán. E ovviamente a Dante e Borges, ma anche a Leopoldo Marechal, l’autore di Adán BuenosayresEl Banquete de Severo Arcángelo e Megafón o la guerra.

Penso in particolare proprio a Borges, perché di lui Bergoglio, ventottenne professore di Letteratura a Santa Fé presso il Colegio de la Inmaculada Concepción, ebbe una conoscenza diretta. Bergoglio insegnava agli ultimi due anni del Liceo e avviò i suoi ragazzi alla scrittura creativa. Ho avuto una esperienza simile alla sua, quando avevo la sua età, presso l’Istituto Massimo di Roma, fondando BombaCarta, e gliela racconto. Alla fine chiedo al Papa di raccontare la sua esperienza.

«è stata una cosa un po’ rischiosa — risponde —. Dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente i giovani volevano leggere le opere letterarie più “piccanti”, contemporanee come La casada infiel, o classiche come La Celestina di Fernando de Rojas. Ma leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e passavano ad altri autori. E per me è stata una grande esperienza. Ho completato il programma, ma in maniera destrutturata, cioè non ordinata secondo ciò che era previsto, ma secondo un ordine che veniva naturale nella lettura degli autori. E questa modalità mi corrispondeva molto: non amavo fare una programmazione rigida, ma semmai sapere dove arrivare più o meno. Allora ho cominciato anche a farli scrivere. Alla fine ho deciso di far leggere a Borges due racconti scritti dai miei ragazzi. Conoscevo la sua segretaria, che era stata la mia professoressa di pianoforte. A Borges piacquero moltissimo. E allora lui propose di scrivere l’introduzione a una raccolta».

«Allora, Padre Santo, per la vita di una persona la creatività è importante?», gli chiedo. Lui ride e mi risponde: «Per un gesuita è estremamente importante! Un gesuita deve essere creativo».

Frontiere e  laboratori

Creatività, dunque: per un gesuita è importante. Papa Francesco, ricevendo i Padri e i collaboratori della Civiltà Cattolica, aveva scandito una triade di altre caratteristiche importanti per il lavoro culturale dei gesuiti. Ritorno alla memoria a quel giorno, il 14 giugno scorso. Ricordo che allora, nel colloquio previo all’incontro con tutto il nostro gruppo, mi aveva preannunciato la triade: dialogo, discernimento, frontiera. E aveva insistito particolarmente sull’ultimo punto, citandomi Paolo VI, che in un famoso discorso aveva detto dei gesuiti: «Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti».

Chiedo a Papa Francesco qualche chiarimento: «Ci ha chiesto di stare attenti a non cadere nella “tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle”. A che cosa si riferiva? Che cosa intendeva dirci esattamente? Questa intervista è stata concordata tra un gruppo di riviste dirette dalla Compagnia di Gesù: quale invito desidera esprimere loro? Quali devono essere le loro priorità?».

«Le tre parole chiave che ho rivolto alla Civiltà Cattolica possono essere estese a tutte le riviste della Compagnia, magari con accentuazioni diverse sulla base della loro natura e dei loro obiettivi. Quando insisto sulla frontiera, in maniera particolare mi riferisco alla necessità per l’uomo che fa cultura di essere inserito nel contesto nel quale opera e sul quale riflette. C’è sempre in agguato il pericolo di vivere in un laboratorio. La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci».

Chiedo al Papa se può fare qualche esempio sulla base della sua esperienza personale.

«Quando si parla di problemi sociali, una cosa è riunirsi per studiare il problema della droga in una villa miseria, e un’altra cosa è andare lì, viverci e capire il problema dall’interno e studiarlo. C’è una lettera geniale del padre Arrupe ai Centros de Investigación y Acción Social (CIAS) sulla povertà, nella quale dice chiaramente che non si può parlare di povertà se non la si sperimenta con una inserzione diretta nei luoghi nei quali la si vive. Questa parola “inserzione” è pericolosa perché alcuni religiosi l’hanno presa come una moda, e sono accaduti dei disastri per mancanza di discernimento. Ma è davvero importante».

«E le frontiere sono tante. Pensiamo alle suore che vivono negli ospedali: loro vivono nelle frontiere. Io sono vivo grazie a una di loro. Quando ho avuto il problema al polmone in ospedale, il medico mi diede penicillina e strectomicina in certe dosi. La suora che stava in corsia le triplicò perché aveva fiuto, sapeva cosa fare, perché stava con i malati tutto il giorno. Il medico, che era davvero bravo, viveva nel suo laboratorio, la suora viveva nella frontiera e dialogava con la frontiera tutti i giorni. Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori. Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza».

Come l’uomo comprende se stesso

Chiedo allora al Papa se questo valga e come anche per una frontiera culturale importante che è quella della sfida antropologica. L’antropologia a cui la Chiesa ha tradizionalmente fatto riferimento e il linguaggio con la quale l’ha espressa restano un riferimento solido, frutto di saggezza ed esperienza secolare. Tuttavia l’uomo a cui la Chiesa si rivolge non sembra più comprenderli o considerarli sufficienti. Comincio a ragionare sul fatto che l’uomo si sta interpretando in maniera diversa dal passato, con categorie diverse. E questo anche a causa dei grandi cambiamenti nella società e di un più ampio studio di se stesso…

Il Papa a questo punto si alza e va a prendere sulla sua scrivania il Breviario. È un Breviario in latino, ormai logoro per l’uso. E lo apre all’Ufficio delle Letture della Feria sexta, cioè venerdì, della XXVII settimana. Mi legge un passaggio tratto dal Commonitórium Primum di san Vincenzo di Lerins: ita étiam christiánae religiónis dogma sequátur has decet proféctuum leges, ut annis scílicet consolidétur, dilatétur témpore, sublimétur aetáte («Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età»).

E così il Papa prosegue: «San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione. Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata».

«Del resto, in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso: una cosa è l’uomo che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia, un’altra quella del Caravaggio, un’altra quella di Chagall e ancora un’altra quella di Dalí. Anche le forme di espressione della verità possono essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio evangelico nel suo significato immutabile».

«L’uomo è alla ricerca di se stesso, e ovviamente in questa ricerca può anche commettere errori. La Chiesa ha vissuto tempi di genialità, come ad esempio quello del tomismo. Ma vive anche tempi di decadenza del pensiero. Ad esempio: non dobbiamo confondere la genialità del tomismo con il tomismo decadente. Io, purtroppo, ho studiato la filosofia con manuali di tomismo decadente. Nel pensare l’uomo, dunque, la Chiesa dovrebbe tendere alla genialità, non alla decadenza».

«Quando una espressione del pensiero non è valida? Quando il pensiero perde di vista l’umano o quando addirittura ha paura dell’umano o si lascia ingannare su se stesso. È il pensiero ingannato che può essere raffigurato come Ulisse davanti al canto delle sirene, o come Tannhäuser, circondato in un’orgia da satiri e baccanti, o come Parsifal, nel secondo atto dell’opera wagneriana, alla reggia di Klingsor. Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento».

Pregare

Pongo al Papa un’ultima domanda sul suo modo di pregare preferito.

«Prego l’Ufficio ogni mattina. Mi piace pregare con i Salmi. Poi, a seguire, celebro la Messa. Prego il Rosario. Ciò che davvero preferisco è l’Adorazione serale, anche quando mi distraggo e penso ad altro o addirittura mi addormento pregando. La sera quindi, tra le sette e le otto, sto davanti al Santissimo per un’ora in adorazione. Ma anche prego mentalmente quando aspetto dal dentista o in altri momenti della giornata».

«E la preghiera è per me sempre una preghiera “memoriosa”, piena di memoria, di ricordi, anche memoria della mia storia o di quello che il Signore ha fatto nella sua Chiesa o in una parrocchia particolare. Per me è la memoria di cui sant’Ignazio parla nella Prima Settimana degli Esercizi nell’incontro misericordioso con Cristo Crocifisso. E mi chiedo: “Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?”. È la memoria di cui Ignazio parla anche nella Contemplatio ad amorem, quando chiede di richiamare alla memoria i benefici ricevuti. Ma soprattutto io so anche che il Signore ha memoria di me. Io posso dimenticarmi di Lui, ma io so che Lui mai, mai si dimentica di me. La memoria fonda radicalmente il cuore di un gesuita: è la memoria della grazia, la memoria di cui si parla nel Deuteronomio, la memoria delle opere di Dio che sono alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. È questa memoria che mi fa figlio e che mi fa essere anche padre».

* * *

Mi rendo conto che proseguirei ancora a lungo questo dialogo, ma so che, come il Papa disse una volta, non bisogna «maltrattare i limiti». Complessivamente abbiamo dialogato per oltre sei ore, nel corso di tre appuntamenti il 19, il 23 e il 29 agosto. Qui ho preferito articolare il discorso senza segnalare gli stacchi per non perdere la continuità. La nostra è stata in realtà una conversazione più che un’intervista: le domande hanno fatto da sfondo, senza restringerla in parametri predefiniti e rigidi. Anche linguisticamente abbiamo attraversato fluidamente l’italiano e lo spagnolo, senza percepire di volta in volta i passaggi. Non c’è stato nulla di meccanico, e le risposte sono nate nel dialogo e all’interno di un ragionamento che qui ho cercato di rendere, in maniera sintetica, così come ho potuto.

 

chiara: è davvero lungo, anche con tutta la buona volontà, finirò di leggere un’altra volta

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” Woke ” ? —video, 12.21 —DIEGO FABBRI, Limes – 22 ottobre 2021 : Francia versus woke + ENRICO FRANCESCHINI, Gran Bretagna, “Woke”: la nuova parola d’ordine dei progressisti, REPUBBLICA, 22 GENNAIO 2021 +Wikipedia + altro

 

 

 

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anche la nostra premier ha detto a Trump di essere contro la cultura ” woke “. — Cosa è ?  Proviamo a capire qualcosa

 

 

 

 

 

 

DIZIONARIO INGLESE ITALIANO:

 

Immagine

 

 

WOKE = SVEGLIATO, RISVEGLIATO, anche
” stare allerta “, contro  ingiustizie della sociertà specie il razzismo.
” ben informato ” 

– ” al corrente  delle ultime nuove “

” Abbiamo bisogno di essere arrabbiati, e di stare svegli “

 

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REPUBBLICA.IT — 22 GENNAIO 2021

https://www.repubblica.it/esteri/2021/01/22/
news/woke_la_nuova_parola_d_ordine_
dei_progressisti_ecco_cosa_vuol_dire-
283739495/

 

 

Gran Bretagna, “Woke”: la nuova parola d’ordine dei progressisti: ecco cosa vuol dire

di Enrico Franceschini

 

Joe Biden (afp)

L’arrivo alla Casa Bianca sdogana anche quello che prima sembrava un insulto. Dice il premier britannico Boris Johnson voglioso di ponti con la nuova amministrazione Usa: “Non c’è niente di male a essere woke”. Un parola che allude al risveglio. Politicamente: diritti e barra al centro

 

LONDRA 

“Non c’è niente di male a essere woke”, dice Boris Johnson in un’intervista alla Bbc. “Joe Biden è un buon modello di woke per tutti noi”, afferma Lisa Nandy, ministro degli Esteri del governo ombra laburista. Mentre Priti Patel, ministra degli Interni britannica, recentemente si scagliava contro i capi di Scotland Yard a suo dire “troppo woke”: ma forse perché era rimasta indietro su come è cambiata la linea di Downing Street verso il nuovo presidente americano.

Parafrasando il Manzoni ci si potrebbe chiedere: woke, chi era costui? O meglio, cos’è? Da quanto se ne parla in questi giorni, è lecito pensare che sia un nuovo termine del gergo politico anglosassone. In realtà tanto nuovo non è: il suo primo uso risale agli Stati Uniti degli anni 40.

Ma a farlo tornare di moda è stato nel 2020 Black Lives Matter, il movimento per i diritti civili degli afroamericani. E a portarlo di attualità in questi giorni ha contribuito l’ingresso alla Casa Bianca di Biden, accompagnato dalla prima vicepresidente nera (oltre che prima donna a ricoprire l’incarico) della storia Usa.

Dal punto di vista grammaticale, woke è semplicemente il passato del verbo “to wake”: svegliare. Politicamente, evoca l’idea di un risveglio di stampo progressista: la “consapevolezza di problemi sociali e politici come il razzismo e la diseguaglianza”, secondo un dizionario dello slang di Washington. Il fatto che venga citato così frequentemente in coincidenza con l’avvio dell’amministrazione Biden lo fa considerare, dopo quattro anni di Trump e trumpismo, una sorta di nuova parola d’ordine della sinistra, americana e britannica, forse pure occidentale in senso più ampio.

Molti commentatori sulle due sponde dell’Atlantico sostengono che Biden influenzerà le forze progressiste in Europa, a cominciare dal Labour a Londra: lotta al crescente gap ricchi-poveri, impegno contro il cambiamento climatico, condanna senza mezzi termini del razzismo, difesa dei diritti delle donne e delle minoranze, tenendo tuttavia la barra al centro, senza un radicalismo alla Bernie Sanders o alla Jeremy Corbyn.

In questo senso, woke potrebbe diventare il suo slogan, la parolina con cui riassumere tutto quello per cui si batte e che rappresenta, equivalente lessicale dei cambiamenti fisici nell’Oval Office della Casa Bianca: dove è sparito il busto di Churchill che ci aveva messo Trump, mentre sono apparsi quelli di Robert Kennedy e di Martin Luther King.

 

A proposito: quando Barack Obama sostituì un precedente busto di Churchill, donato da Tony Blair a George W. Bush, l’allora sindaco di Londra Boris Johnson lo denunciò come “un insulto al Regno Unito” e colse l’occasione per definire Obama “un mezzo kenyota”, stavolta invece il suo portavoce si è limitato a dire che il presidente degli Stati Uniti ha diritto di mettere quello che vuole nel suo ufficio, la conferma che vuole fare dimenticare la sua amicizia con Trump e ricucire i rapporti con Biden.

Morale: c’è stato un tempo in cui la sinistra italiana si diceva “blairiana”, poi chi si diceva anche da noi orgogliosamente “corbyniano”. Il primo termine è tramontato dopo la guerra in Iraq, il secondo dopo la peggiore sconfitta laburista alle urne in 85 anni. Vedremo se ora anche per i progressisti della nostra penisola è venuto il momento di proclamarsi woke.

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WIKIPEDIA :

 

Woke, letteralmente “sveglio”, è un aggettivo americano con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali.

Il sostantivo wokeness significa “non abbassare la guardia”, sempre in riferimento alle emergenze sociali come razzismo o discriminazioni sessuali.

 

Originariamente il termine era un sinonimo dell’inglese awake (“sveglio”) proveniente dallo slang afroamericano. A partire dallo sviluppo del movimento per i diritti civili degli anni ’60 del XX secolo, woke ha assunto un’accezione politica ed è strettamente collegato al mondo dei social justice warrior ( ” guerrieri della giustizia sociale “).

Secondo il Dizionario Zanichelli online il recente revival del termine si deve alla canzone Master Teacher (2008) della cantautrice americana Erykah Badu il cui testo recita: I stay woke’e. Il termine è quindi stato utilizzato dai movimenti Black Lives Matter e #MeToo, soprattutto a partire dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Infatti le occorrenze del termine su Google hanno raggiunto il picco nell’estate del 2017.

Dal punto di vista del suo significato, il termine ha lentamente eroso il suo significato originario e oggi è utilizzato anche in senso dispregiativo o sarcastico, in particolare in riferimento ai tentativi mediatici di realizzare prodotti in linea con l’ideologia woke che di norma vengono puniti da uno scarso consenso di pubblico (da cui la frase get woke, go broke, letteralmente fai lo sveglio, prendi una sveglia, riferito ai flop di film, serie TV, fumetti o videogiochi ai quali è stata impressa una forte matrice woke, tanto più notata dai fan quando riguarda remake di opere del passato considerate “da aggiornare” secondo gli “standard” dettati dal politicamente corretto).

 

Dal 2020 in seguito a un discorso del senatore Tom Cotton l’ideologia woke è stata associata alla cancel culture come suo motore ideologico.

Il senso del termine è così polarizzato: i liberal lo impiegano con accezione positiva, mentre gli altri ambienti utilizzano il termine con accezione che va dal sarcasmo all’accostamento negativo con il politicamente corretto e la Cancel culture.

 

 

a chi fosse interessato:

da :

https://www.treccani.it/vocabolario/cancel-culture_(Neologismi)/

 

cancel culture

loc. s.le f. Atteggiamento di colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualche cosa di offensivo o politicamente scorretto e ai quali vengono pertanto tolti sostegno e gradimento. ♦ Attento a quel che dici, perché appena mi deludi ti cancello. Ti blocco, ti defalco, ti depenno, o – che l’Accademia della Crusca ci perdoni tutti – ti unfriendo. È la minaccia fantasma che oggi assilla le celebrità con maggior seguito sui social media, da Kanye West a Gordon Ramsey. Come in Se mi lasci ti cancello, il film di Michel Gondry in cui Kate Winslet fa rimuovere dalla sua mente Jim Carrey per non soffrire d’amore, quelli che una volta erano i supporter spesso acritici dei divi più in voga, oggi usano il potere dei social media per eclissare le star più prone alla gaffe, dando il via a quella che è stata chiamata la cancel culture, la cultura della cancellazione. (Giuliano Aluffi, Repubblica, 18 agosto 2018, p. 44, RCLUB) • La woke culture è legata alla call-out culture – quel denunciare e giudicare di cui parla Obama – e anche alla cancel culture, il boicottaggio dei personaggi pubblici che commettono errori. (Viviana Mazza, Corriere della sera, 1° novembre 2019, p. 13, Esteri) • Donald Trump si scaglia contro coloro che “vogliono distruggere la nostra storia” e “dividere il paese”, ovvero i democratici e coloro che praticano la ‘cancel culture’, la forma di boicottaggio culturale con cui si ritira il sostegno a prodotti e celebrità considerate negative. Il riferimento è ai manifestanti che, nelle ultime settimane, hanno chiesto la rimozione delle statue e dei simboli confederati. (Ansa.it, 4 luglio 2020, Mondo) • La cosa più ridicola della cancel culture, o chiamatela come diavolo vi pare, è la sua pretesa originalità. È dalla storia dei tempi che delle avanguardie, che si autodefiniscono tali, pretendono di avere la verità in tasca. C’e chi lo fa manifestando la violenza delle proprie intenzioni, e chi finge dietro ad un sorriso di volerti convincere e accettare solo a patto che tu condivida il suo punto di vista. La seconda razza è la peggiore. Perchè più insidiosa. I padri fondatori americani conoscevano il subdolo rischio, che guarda caso, nasce sempre sulle coste del continente nuovo e si tutelarono con il primo emendamento e la difesa ad oltranza del free speech. Che non vuol dire soltando libertà di parola, ma innanzitutto libertà di pensiero e di sua espressione. Sono libero di affermare che la famiglia tradizionale sia quella naturale, sono libero di affermare anche l’esatto contrario. (Nicola Porro, Giornale.it, 19 luglio 2020, Cultura) • La cancel culture è come “la folla che nel medioevo era in cerca di gente da bruciare”, ha detto Rowan Atkinson, “Mr. Bean”, il “buffone” di maggior successo della televisione. Teme la “spaventosa” pratica di mettere a tacere le opinioni impopolari, che paragona a chi sradicava eretici sul rogo. “E’ importante essere esposti a un ampio spettro di opinioni”, ha detto Atkinson a Radio Times. “Ma quello che abbiamo ora è l’equivalente digitale della folla medievale che si aggirava per le strade in cerca di qualcuno da bruciare”. (Foglio.it, 6 gennaio 2021, Editoriali).

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e buttar giù i monumenti…

 

 

 

Scenari. Così con la “cancel culture” anche i monumenti cambiano significato.

I “places studies” offrono una prospettiva che vede i monumenti prendere nuovi significati, si pensi a edifici fascisti come poste o stazioni

 

 

di Irene Baldriga lunedì 3 marzo 2025

 

 

Il murale di Mario Sironi nell'aula magna del rettorato della Sapienza a Roma

Il murale di Mario Sironi nell’aula magna del rettorato della Sapienza a Roma – Credit: Lautaro / Alamy Stock Photo

 

 

AVVENIRE, 3 MARZO 2025

APRI IL LINK

https://www.avvenire.it/agora/pagine/memorie-difficili-questione-di-spazio

 

 

 

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ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti” @ANPIRomaPosti / link sotto– h 12.00 20 aprile 2025 — La storia a noi sconosciuta di EUGENIO PERTINI, il fratello di Sandro Pertini + altro

 

 

link X di ANPIRomaPosti

https://x.com/ANPIRomaPosti

 

 

Fratello del futuro Presidente della Repubblica, #EugenioPertini, arrestato dai nazifascisti a #Genova venne prima torturato presso la #CasaDelloStudente e poi deportato a #Flossenbürg. Fu ucciso il #20aprile 1945 dalle #SS, a pochi giorni dalla #Liberazione. Aveva 51 anni.

 

 

segue dall’ANPI:
https://www.anpi.it/biografia/eugenio-pertini

 

Eugenio Pertini

Nato a Stella (Savona) il 19 ottobre 1894, ucciso nel lager di FlossenbŒrg il 20 aprile 1945.

 

Fratello del futuro Presidente della Repubblica Italiana, Eugenio fu colto a Genova (dove, vedovo, abitava con la figlia Diomira di 10 anni), dagli eventi del settembre 1943. Di sentimenti antifascisti, non si era però, fino ad allora, impegnato politicamente. Lo fece quando, nell’inverno, si diffuse la voce che il fratello Sandro era stato fucilato a Regina Coeli dai tedeschi. L’impegno di Eugenio nella Resistenza non durò molto.

Nell’aprile del 1944, mentre si trovava con la figlia in un ristorante genovese, fu arrestato e portato alla “Casa dello Studente“. Resistette agli interrogatori sotto tortura e, dopo qualche giorno, fu trasferito nel campo di Fossoli (MO). Seguì la deportazione nel campo di Bolzano e, il 5 settembre 1944, la partenza per il lager di Flossenbürg. Qui Eugenio morì poco prima che i deportati fossero liberati dagli Alleati. Secondo il racconto dei superstiti – riferito nell’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza – “le SS si accingevano ad evacuare il campo per sfuggire alla morsa incombente delle avanguardie alleate. Eugenio Pertini fu incolonnato con altri prigionieri. Claudicante, stremato dalle fatiche e dalle privazioni, non resse alla marcia. Più di una volta cadde e i compagni lo aiutarono a rialzarsi. Notato dalle SS, fu finito a colpi di fucile”. Portano il nome di Eugenio Pertini una via a Zimella (VR), Istituti scolastici e Circoli culturali a Verona, Varazze (SV), Trapani, Roma.

 

 

 

ANED DEPORTAZIONE– MARZO 2023

VIDEO, 9.97

Ricordo di Eugenio Pertini, parlano Matilde Piccoli Pertini, bisnipote e Diomira Pertini, figlia

 

 

 

*** Pare che Diomira Pertini- dopo la morte del padre nel ’45 – sia stata adottata dallo zio  Sandro Pertini. 

 

L’Avvocatura dello Stato non vuole far risarcire nemmeno la nipote di Sandro Pertini.

 

Come in altri casi simili si sta opponendo alla causa intentata da Diomira Pertini per la morte del padre Eugenio, che era il fratello dell’ex presidente della Repubblica e fu ucciso dai nazisti

Il campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania, dove fu ucciso Eugenio Pertini, fratello di SandroIl campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania, dove fu ucciso Eugenio Pertini, fratello di Sandro (Wikimedia/UsArmy)

Diomira Pertini, figlia di Eugenio Pertini, il fratello del presidente della Repubblica Sandro, ha fatto causa alla Germania per chiedere un risarcimento per la morte del padre, ucciso dalle SS naziste nel 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg, al confine tra Germania e Repubblica Ceca. Diomira oggi ha 90 anni: più che un riscontro economico, con la causa vuole ottenere il riconoscimento storico e morale del crimine di cui fu vittima il padre.

Come lei, negli ultimi anni più di mille familiari di vittime degli eccidi e delle stragi commesse dai soldati nazisti hanno fatto causa alla Germania. I processi sono lunghi e complicati, anche a causa della posizione dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta lo Stato nelle controversie legali e che si sta opponendo con ostinazione a tutte le richieste di risarcimento, compresa quella presentata dagli avvocati di Diomira Pertini.

 

SEGUE NEL LINK 

IL POST – 14 – 06-2024 

https://www.ilpost.it/2024/06/14/causa-avvocatura-stato-omicidio-fratello-pertini-lager/

 

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PER CHI FOSSE  INTERESSATO:

Diomira Pertini racconta lo zio Sandro

FONDAZIONE DE GASPERI.ORG

 

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FRANCESCO BOTERO — A PALAZZO BONAPARTE ROMA DA SETTEMBRE 2024 A GENNAIO 2025– Alcune immagini della mostra

 

 

 

 

L'enigma de “I Coniugi Arnolfini”, da Van Eyck a Botero | Barnebys Magazine

I coniugi Arnolfini di Van Eick, 1434

 

 

 

 

Fernando Botero, I coniugi Arnolfini ⋆ lo scrigno di pandora

Fernando Botero.  Coniugi Arnolfini, 2006 Olio su tela, 205×165 cm

 

 

 

 

Botero a Roma Courtesy Gruppo ArthemisiaBotero a Roma. Foto di Gianfranco Fortuna

 

 

 

 

 

 

 

 

Botero a Roma Courtesy Gruppo Arthemisia

Botero a Roma. Foto di Gianfranco Fortuna

 

 

 

 

 

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RACCONTO MILANO- PARIGI — DI DONATELLA D’IMPORZANO — Non è un augurio di Buona Pasqua, ma ci dà l’idea dei tempi in cui viviamo… e ancora abitiamo sulla terra !

 

 

 

Keplers model of the universe, 1619.

Una tavola dal  ” Mysterium cosmographicum “, 1596 di Giovanni Keplero. Sebbene non corretto, questa è stala la prima rappresentazione matematica del Cosmo.

Avrà lo stesso primato, la descrizione di Donatella, anche senza matematica ?

 

 

MILANO – PARIGI

Mi trovavo all’aeroporto di Milano in partenza per Parigi. Là avrei subito affittato un’auto e me ne sarei partito per le cattedrali della Normandia. Era aprile e sentivo già il vento e la salsedine dell’oceano. Ormai anche i miei più cari amici avevano rinunciato a convincermi che la Normandia non è bagnata dall’oceano. Le mie nozioni di geografia si erano da tempo organizzate su una base esclusivamente emotiva. Londra era molto più spostata a nord che nella realtà, quasi scompariva oltre la Caledonia per la barbarie della sua lingua, Milano nel cuore dell’Europa centrale, molto più in alto di Lione, nel centro degli affari e degli spionaggi – a questo ci tenevo- molto vicina a Mosca e alle sue cupole d’oro…Del resto, al giorno d’oggi, che importanza poteva avere sapere questo e quello ? L’aereo che stavo per prendere, lui sì, doveva sapere dove portarmi. E perché avrebbero dovuto imbrogliarmi? E poi a che scopo? La guerra fredda era da tempo terminata…certo, c’erano ancora le bombe nucleari ” russe ” da scoprire e disattivare…Ormai mi stavo infilando in un piano di alto spionaggio internazionale, uno dei temi preferiti delle mie fantasticherie, in cui io ero sempre affascinante come Sean Connery, ma ultimamente faticavo a mettere insieme una storia appassionante, mi trovavo in difficoltà, così…

Mi interruppi per ascoltare l’altoparlante che da qualche minuto andava blaterando delle assurdità : “…..est nella fila di sinistra… Parigi ovest nella fila intermedia…ripeto….” . Non mi curai di quella voce insinuante che, come in tutti gli aeroporti , sembrava non avere altro scopo che far sentire un po’ più estranee le persone che approdano nella confusione organizzata di tecnica e di efficienza che è un aeroporto. Guardai il biglietto che avevo ritirato all’agenzia, Parigi-Charles De Gaulle, era tutto in ordine.

Mi misi in coda per l’imbarco ( l’aereo era di una grande compagnia , magri vassoi e molta apparenza, ma il viaggio era breve). Mi congratulai con me stesso per avere una borsa leggera, molto trendy, pensai sorridendo. Avevo sempre considerato come esseri superiori quelli che riescono a viaggiare per il mondo così, come se uscissero di casa per una passeggiata. Finalmente anch’io ero entrato nel numero degli eletti, mi sentivo come James Bond all’inizio di una sua impresa, anche senza il caviale Beluga e il Dom Perignon.

I passeggeri in fila con me erano una massa piena di bagagli, come si preparassero ad un viaggio di trasferimento . Una biondina con l’aria preoccupata mi chiese se c’erano aerei che arrivassero in giornata a Parigi. Senza notare la stranezza della domanda, distratto da quell’aria tenera, la rassicurai finché non la vidi sorridere.

Salii sull’aereo, risposi in francese al benvenuto della hostess, sfoderandole un sorriso che sapevo affascinante, mentre mi immaginavo già nella dolce terra di Francia che per me si riassumeva nella Normandia e un pezzo di Bretagna.

Il posto era vicino al finestrino, sul fondo, quasi isolato: non potevo desiderare di meglio.

Non so se a tutti succede, ma io, quando vado in un posto che mi è particolarmente caro, comincio a parlare e addirittura a pensare nella lingua del paese di destinazione. Mi vengono in mente canzoni, brani di libri letti anche molto tempo prima, pezzi di film, insomma, è come se aprissi un archivio e mi ci buttassi a capofitto. “Douce France, cher pays de mon enfance…” canterellavo tra me e me ed intanto vedevo il tappeto di nuvole, su cui l’aereo proiettava la sua ombra, allontanarsi sempre più in basso. ” Le plat pays” di Jacques Brel, no, era il Belgio, ma la lingua era quella . Ogni volta partivo da “La grande illusione” di Renoir, la scena dell’incontro dei due comandanti mi metteva subito a posto, approdato in territorio francese.

Naturalmente il cielo era di un azzurro smagliante e mi ero lasciato sotto i piedi la nebbia della Val Padana. Potevo anche chiudere gli occhi e addormentarmi pian piano fino all’arrivo, cullandomi col mio repertorio di immagini e di suoni. Riuscii anche un po’ a sognare, con cattedrali bianche che si stagliavano in un paesaggio di verde e di mare, senza dimenticare il vento e la salsedine… la Francia, il paese che più ammiravo, dove tutto, anche la cosa più semplice, sembrava possedere uno charme innato, uno stile.

Sentii il carrellino passare, con le hostess che chiedevano ai viaggiatori cosa desiderassero. Non aprii nemmeno gli occhi e continuai in quel sonno leggero. Poi una hostess mi avvertì che eravamo arrivati. Ero tra gli ultimi e mi affrettai verso il portellone dell’uscita, ancora un po’ intontito. Nel tunnel verso l’aeroporto mi affiancò la biondina della partenza. Non riuscii a trattenermi e, nel salutarla come una vecchia conoscenza, le dissi: “Vede che siamo arrivati sani e salvi a Parigi! “. Mi lanciò uno sguardo indecifrabile che attribuii alla solita maleducazione che c’è in giro. Pregustavo già un bel calvados, anzi un calva, che mi avrebbe fatto sentire parigino della Rive Gauche. Appena sbarcato vidi subito che tutto era maledettamente diverso, piccolo, come se la grandiosa costruzione del Charles De Gaulle si fosse ristretta e immiserita. La gente che circolava era veramente straordinaria: la maggior parte vestita d’estate, anzi direi proprio sbracata, con un’aria da turista sulla via del ritorno, che sta cercando di spendere gli ultimi soldi rimasti o che raschia il fondo delle tasche alla ricerca dei centesimi per un caffè.

Erano anche straordinariamente allegri, un po’ eccitati, alcuni anche un po’ deliranti.

Mi tornarono in mente quelle strane parole dell’altoparlante, un rumore appena, ma che riusciva a farmi sentire improvvisamente insicuro.

Con un certo estraniamento mi fermai al primo ufficio informazioni e l’impiegato, al mio francese scolastico ma corretto, rispose in inglese. Una lingua che capivo, ma che non mi era mai piaciuta. Possibile che la Francia avesse abbandonato la sua passione per tutto ciò che è francese?

mario bardelli, per Donatella, aprile 2025

Dopo avermi guardato con un certo sospetto, l’addetto mi disse con un’ aria di insopportabile sufficienza: “Qui siamo a Saint Martin, Caraibi. Se lei viene da Milano, avrebbero dovuto dirle che da quando le località si spostano, non esistono più voli diretti “. Si fermò un attimo ad osservare la mia faccia, poi proseguì: ” Lei da qui può prendere un volo per Vancouver, e poi da lì andare a Mosca, tentando un Mosca-Parigi. Ormai viviamo un po’ alla giornata anche noi, sempre attaccati al computer. Questo aeroporto si sposterà fra tre giorni… finalmente anche noi viaggiamo. E perché mai dovremmo sempre contemplare gli altri? E chi l’ha detto che le località devono rimanere fisse? Flessibilità è oggi la parola chiave per tutto. Lei, per esempio, mantiene sempre stabile il suo volume? Da noi, forse per il caldo, c’è chi si restringe e chi si allarga…”

Sempre più sconvolto, continuavo ad ascoltarlo come fuori di me, con la voce metallica di un altoparlante che faceva da sottofondo.


” Caro signore-continuava implacabile l’impiegato-. oggi il computer mi dà Parigi nel deserto del Gobi, e se si affretta, domani pomeriggio lei dovrebbe essere al” Charles De Gaulle”. Non si dimentichi di specificare bene in quale parte di Parigi vuole andare, perché i vari arrondissements prendono strade diverse. Io mi sono riferito naturalmente a Parigi centro, ma se lei vuole andare a Parigi ovest deve prendere l’aereo per New York, a Parigi sud per Buenos Aires, per la banlieu dovrebbe tornare a Milano. E’ meglio stare molto attenti e seguire le istruzioni. Ancora meglio tenersi informati su Internet. Ma lei non ha sentito niente di questa improvvisa festa che ci è capitata? Non ha un computer tascabile? Non l’ha vista la gente com’è più felice e più libera? Ma lei viene proprio da una grande città?”.

 

Non risposi …una festa la chiamava, questa instabilità che sconvolgeva tutta la nostra geografia, quelle belle cartine delle elementari…che del resto non avevo mai potuto imparare, con tutti quei bei colori e la Francia tra l’azzurro e il viola, erano fatte a pezzi. E lui, poi, così allegro, che sarebbe magari tornato a casa da sua moglie, potenzialmente un topolino o un’orchessa… era uno sballo anche quello… Mi vedevo impegnato in spionaggi geografici, uno 007 del terzo millennio, intento a scovare dove stessero vagabondando le mie città…e le cattedrali, col vento e la salsedine – questo non si poteva tagliar via – … magari in Amazzonia, a stordirsi di caldo e di zanzare…Chi l’avrebbe detto che questo nuovo mondo ci avrebbe portato a vivere così, senza una terra dove poggiare il capo, presi a rincorrere lo spazio come fosse ormai l’unico gioco divertente? E questa la chiamavano magari globalizzazione. Pensai a cosa avrebbe fatto James Bond in una situazione simile e mi avviai verso il bar per ordinare un Martini ben secco, con tanta vodka.

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Buona Pasqua (speriamo) ————————-mario bardelli

 

 

 

bardelli, crocifisso, 2025, pastelli su carta, cm. 30×20

 

 

 

 

 

 

 

 

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Una bella stanza, anzi ” uno Stanzino delle matematiche “, agli Uffizi a Firenze, con una vista —la passerei volentieri lì la Pasqua, e voi ?

 

 

 

ANSA.IT  19 APRILE 2025
https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2025/04/19/uffizi-nuova-vita-per-lo-stanzino-delle-matematiche_7f97fd91-2f00-4f40-abfa-d2bed168e2d2.html

 

Uffizi, nuova vita per lo ‘Stanzino delle matematiche’

‘Restauro svela tesori spazio a fianco tribuna Buontalenti’

 

 

- RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Riaperto e completamente restaurato agli Uffizi lo Stanzino delle matematiche, collocato al fianco della Tribuna del Buontalenti e così chiamato per gli originali affreschi a tema scientifico che lo caratterizzano.

Per volere del granduca Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) nacque per accogliere la collezione degli strumenti scientifici iniziata dal padre Cosimo I: doveva ospitare apparecchiature ‘tecnologiche’, trattati su vari argomenti sempre attinenti alle scienze, carte geografiche, piante di città e modelli lignei di macchine da guerra e fortificazioni. Il soffitto fu affrescato tra il 1599 e il 1600 da Giulio Parigi: si riconoscono scene illustrative di celebri invenzioni e vi si celebrano Pitagora, Tolomeo, Euclide e Archimede.

 

 

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Il borgo di Castellaro –O Castellâ, in dialetto – è un comune di 1.253 abitanti ( dic. 2024 ), della provincia di Imperia + altro- libri sulla Liguria di Enzo Bernardini

 

 

 

 

 

così ne parla il FAI

Nell’Ottocento intorno a Castellaro c’erano olivi, siepi di rosmarino e capperi sui muri; il Novecento ha portato le serre dei fiori e le auto a sostituire i muli ma poco altro è cambiato in questo borgo affacciato sulla città di Taggia e sul torrente Argentina. Durante la visita approfondiremo la storia del borgo e andremo alla scoperta dei suoi beni. Si partirà dalla Parrocchiale per spostarsi nel vicino Oratorio dell’Assunta, indi visiteremo il Museo Parrocchiale e la Cripta. In tale occasione è prevista la presentazione del restauro della pittura murale “cambiasesca” venuta alla luce recentemente all’interno dell’Oratorio dell’Assunta. Gli Apprendisti Ciceroni® del Liceo Artistico Amoretti di Imperia faranno da corollario all’esperienza della visita accogliendo i visitatori sullo splendido acciottolato alla “genovese” davanti alla chiesa di San Pietro in Vincoli e all’Oratorio di N.S.dell’Assunta, per raccontare le bellezze del borgo ed illustrare (dimostrando ed illustrando) la tecnica di esecuzione di una pittura murale. Altre “bellezze” intorno a quelle aperte dal FAI sono il seicentesco Oratorio della Madonna del Carmine, e il Santuario della Madonna di Lampedusa con la sua storia miracolosa e i suoi lecci monumentali. Senza dimenticare l’olio extravergine di oliva Taggiasca e il vino Moscatello di Taggia, che si potranno acquistare nei punti vendita del borgo.

*** l’iniziativa è già stata !

https://fondoambiente.it/eventi/alla-scoperta-del-borgo-di-castellaro

 

 

 

 

 

 

 

segue da :

 

 

 

 

 

 

Castellaro (Imperia, Ligurie, Italie)

 

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

 

uno stemma trionfante !

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

CASTELLARO VISTO DA POMPEIANA  ( da dove vengono i miei nonni materni )

 

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

una bella foto di CASTELLARO-  250 mt da alt.

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

Castellaro  – non si dice che chiesa è–

 

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

Castellaro

 

 

 

 

da WIKI – link 

geografia fisica:

Il territorio comunale è situato lungo il crinale dell’entroterra di Taggia. I dintorni sono ricoperti da alberi di ulivo che risalgono parte della dorsale che discende dal monte Faudo. Tra le vette del territorio il Monte Sette Fontane (781 m) e il monte Rocche (213 m)

 

 

Castellaro – Veduta

Panorama di Castellaro — da Wiki
Davide Papalini – Opera propria

 

 

 

tutti i comuni della Provincia di Imperia: se partite da S. Stefano al mare- su:
Cipressa- Terzorio- Pompeiana- CASTELLARO

da : https://www.provincia.imperia.it/territorio/comuni

 

 

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una parte del centro storico
Davide Papalini – Opera propria

 

 

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Resti del Castello di Castellaro

 

 

 

 

 

       La chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli è visibile da tutti i lati! Ciò è normale poiché questa chiesa barocca fu costruita tra il 1619 e il 1634 sul sito dell’antico castello distrutto nel 1341 ! Siamo quindi nel punto più alto del paese.

       Proprio accanto ad esso si trova un altro edificio religioso: l’Oratorio di Nostra Signora dell’Assunta .

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

 

Chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli. Eretta in stile barocco tra il 1619 e il 1634 su disegno dell’architetto Vincenzo Martino, ove originariamente sorgeva l’antico castello distrutto nel 1341, contiene tra i diversi oggetti sacri due crocifissi  di cui uno dello scultore Anton Maria Maragliano; dello stesso scultore genovese è il gruppo ligneo di San Pietro liberato dal carcere.

 

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La Chiesa Parrocchiale- wiki

 

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

Abiside della chiesa parrochiale

 

 

 

 

Castellaro (Imperia, Liguria)

i carruggi di Castellaro

 

 

segue da wiki

 

 

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Santuario di Nostra Signora di Lampedusa

 

 

 

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Palazzo Arnaldi

 

 

undefinedPiazza Giacomo Matteotti nel centro del paese

 

 

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Il Municipio

 

TUTTE LE FOTO SOPRA SONO DA WIKIPEDIA DI
Davide Papalini – Opera propria

 

 

QUALCOSA ANCORA DEL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI LAMPEDUSA

 

 

      Questo santuario occupa una posizione straordinaria, isolato sul versante orientale della Valle Argentina , 1 chilometro a nord di Castellaro. Fu costruita a 370 metri di altitudine tra il 1602 e il 1619. Subì danni durante il terremoto del 1887 , durante il quale il tetto crollò sui fedeli e morirono 47 persone. Il suo sito è davvero incantevole. Si prega di notare che la circolazione delle auto è possibile tramite passaggi coperti posti a sinistra o a destra del complesso.

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

Nostra Signora di Lampedusa, Castellaro (Imperia, Liguria, Italia), 370 m. d’alt., 21 febbraio 2009.

 

 

 

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

Nostra Signora di Lampedusa, Castellaro (Imperia, Liguria, Italia), 370 m. d’alt., 21 febbraio 2009.

 

 

 

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

Nostra Signora di Lampedusa, Castellaro (Imperia, Liguria, Italia), 370 m. d’alt., 21 febbraio 2009.

 

 

 

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

Nostra Signora di Lampedusa, Castellaro (Imperia, Liguria, Italia), 370 m. d’alt., 28 aprile 2019.

 

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

 

Santuario di Nostra Signora di Lampedusa (Castellaro)

 

FOTO SOPRA: NOSTRA SIGNORA DI LAMPEDUSA A CASTELLARO–

DA:

https://www.bis.par-monts-et-par-vaux.eu/edifices_religieux_ligurie_13.html#lampedusa_castellaro

 

 

UNA BIBLIOGRAFIA:

libro di Enzo Bernardini, Villaggi di Pietra. Viaggio nell’entroterra della Riviera dei Fiori, San Mauro (TO), Tipografia Stige, 2002.

 

 

Villaggi di pietra. Viaggio nell'entroterra della riviera dei Fiori | Enzo Bernardini | Blu Edizioni | 2002

 

VI METTO QUESTO LINK PER VEDERE IL NUMERO INCREDIBILE DI LIBRI CHE ENZO BERNARDINI HA SCRITTO SULLA LIGURIA ( Archeologia, misteri… )

https://www.google.com/search?q=enzo+bernardini+++LIBRI+SULLA+LIGURIA

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LA 7 — DI MARTEDI’ –Dopo Luca & Paolo –Ascoltiamo:: +++ PIER LUIGI BERSANI e +++ EZIO MAURO– se vuoi vedi la lista

 

 

 

 

prima : La copertina Luca & Paolo

20.32 — Pier Luigi Bersani e insieme dopo:

Bersani ed Ezio Mauro

 

 

 

58  MINUTI — DIEGO DELLA VALLE

 

e di seguito  ELLY SCHLEIN

 

1 h 18 minuti — IL GIORNALISTA RAI ANTONIO DI BELLA  E
ALESSANDRO DI BATTISTA

 

1 h 25 minuti — MAURIZIO LANDINI

 

1 h 35  il giornalista RIZZO parla *** di Borghezio e quel periodo

insieme a FRANCESCO CANCELLATO, direttore di FANPAGE, SPIATO CON PARAGON

E ALTRO

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