Chi ha rifornito i nazisti di forni crematori? La dinastia di industriali Topf che lucrò sull’Olocausto, FOCUS, 14 giunto 2024 +ANNA FOA, Auschwitz. «Topf e figli»: la storia della fabbrica che inventò i forni crematori, AVVENIRE- 13 novembre 2018 + Altro

 

 

 

DA :

FOCUS.IT –CULTURA / STORIA – 14 giugno 2024

https://www.focus.it/cultura/storia/auschwitz-forni-crematori-la-dinastia-d-industriali-topf-che-lucro-sull-olocausto

 

Chi ha rifornito i nazisti di forni crematori? La dinastia di industriali Topf che lucrò sull’Olocausto.

 

Quando i nazisti aprirono Auschwitz si affidarono ai Topf per la fornitura di forni crematori sempre più efficienti per la “soluzione finale”.

 

 

 

Forno crematorio - Auschwitz

Ambizioni, rivalità e guadagni dei Topf, la cui azienda di famiglia fornì ai nazisti i forni crematori per l’olocausto attraverso l’articolo 

Bisogna recarsi a Erfurt, nella Germania centrale, per visitare un sito unico al mondo: si tratta infatti del solo monumento all’Olocausto all’interno della sede storica di un’azienda. Non un’azienda qualunque, ma quella che divenne il partner più affidabile per la produzione di forni crematori destinati ai campi di sterminio durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta della J.A. Topf & Figli, la cui sede è stata dichiarata monumento storico protetto dallo Stato della Turingia nel 2003, e ora centro commemorativo e didattico.

 

 

da qui segue in ” AVVENIRE “- martedì 13 novembre 2018

Auschwitz. «Topf e figli»: la storia della fabbrica che inventò i forni crematori.

 

È l’azienda che progettò i forni utilizzati nei campi di sterminio e produsse i sistemi delle camere a gas. Una pagina nera ricostruita grazie all’aiuto di uno dei figli dei proprietari

Anna Foa

Gli architetti di Auschwitz. La vera storia della famiglia che progettò l’orrore dei campi di concentramento nazisti - Karen Bartlett - copertina

Gli architetti di Auschwitz. La vera storia della famiglia che progettò l’orrore dei campi di concentramento nazisti

 

presentazione del libro da IBS

Questa è la storia scioccante di come furono creati i forni crematori e perfezionate le camere a gas che permisero l’eliminazione di milioni di persone durante l’olocausto. Alla fine dell’Ottocento, la Topf & Figli era una piccola e rispettata azienda a conduzione familiare con sede a Erfurt, in Germania, che produceva sistemi di riscaldamento e impianti per la lavorazione di birra e malto. Negli anni Trenta del secolo scorso, tuttavia, la ditta divenne leader nella produzione di forni crematori e, con l’avvento della seconda guerra mondiale, si specializzò nella produzione di forni “speciali”, destinati ai campi di concentramento. Durante i terribili anni dell’Olocausto, la Topf & Figli progettò e costruì i forni crematori per i campi di Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Belzec, Dachau, Mauthausen e Gusen. Gli uomini che concepirono queste macchine di morte non furono ferventi nazisti mossi dall’ideologia: a guidare i proprietari e gli ingegneri della Topf & figli furono piuttosto l’ambizione personale e piccole rivalità, che li spinsero a competere per sviluppare la migliore tecnologia possibile. Il frutto del loro lavoro riuscì a superare in disumanità persino le richieste delle SS. Ed è per questa cieca dedizione al lavoro che i fratelli Topf passarono alla storia con infamia. Il loro nome è ancora impresso sulle fornaci di Auschwitz.

 

 

DA QUI:

ARTICOLO DI ANNA FOA CHE PARLA ANCHE DEL LIBRO SOPRA

 

 

I forni crematori di Auschwitz

i forni crematori di Auschwitz

 

Nel marzo 2017 si inaugura ad Auschwitz una mostra sulla “Topf e figli”, l’azienda che produsse e perfezionò i forni crematori e i sistemi di ventilazione per le camere a gas usati nel campo. Un solo membro della famiglia Topf è presente, Hartmut, ormai ottantatreenne. Da oltre trent’anni contribuisce a mettere in luce le responsabilità dell’azienda della sua famiglia nello sterminio di milioni di esseri umani. Responsabilità emerse già nel dopoguerra, quando i cinegiornali di tutto il mondo hanno ripreso il logo dell’azienda inciso sui forni crematori di Auschwitz e il giovanissimo Hartmut ha saputo che cosa producesse l’azienda della sua famiglia.
Una storia che Karen Bartlet racconta in Gli architetti di Auschwitz. La vera storia della famiglia che progettò l’orrore dei campi di concentramento nazisti (Newton Compton, pagine 320, euro 12,90). Bartlet è una giornalista e scrittrice inglese, già autrice, in collaborazione con Eva Schloss, di Sopravvissuta ad Auschwitz, un libro anch’esso tradotto in italiano da Newton Compton.

Con questo libro affronta non più una memoria, ma la ricostruzione dettagliata della storia dell’azienda tedesca ‘Topf e figli’, del passaggio di quest’azienda a conduzione famigliare dalla produzione di impianti per la lavorazione della birra a quella di forni crematori sempre più grandi e sofisticati per le necessità dei campi di sterminio e di impianti per la ventilazione delle camere a gas. Accanto ai membri della famiglia Topf anche gli ingegneri e i progettisti che si impegnarono in questa produzione, i loro rapporti stretti con i nazisti, in particolare col comandante del campo di Auschwitz, Höss, il loro destino successivo alla sconfitta. Le fonti su cui Karen Bartlett si è basata sono l’archivio della ‘Topf e Figli’, ospitato all’Archivio di Stato della Turingia a Weimar, i documenti e le foto contenuti nel ‘Sito commemorativo Topf e Figli’ a Erfurt e quelli presenti nel sito di Buchenwald ed Auschwitz, oltre all’archivio della famiglia. Un libro di storia, quindi, basato su fonti rigorosamente d’archivio, non un romanzo. E vale la pena di sottolinearlo, dal momento che in questo volume non si parla solo di forni crematori, destinati ai morti, ma anche di camere a gas, destinate invece a chi ancora non era morto.

Quelle stesse camere a gas accuratamente distrutte dai nazisti quando abbandonano i campi ed altrettanto accuratamente negate dai negazionisti, loro eredi.

La storia dell’azienda è una storia di uomini comuni e di come la normalità può diventare complicità nel genocidio. Le premesse di questa scelta sono nell’anno della presa del potere da parte di Hitler, il 1933, quando i fratelli Topf proprietari della ditta e i loro manager, in un momento di grave crisi, aderiscono al partito nazista. La vera e propria collaborazione con i nazisti dell’azienda, fino ad allora una fiorente fabbrica locale nata nel 1878 e impegnata nelle attrezzature per la produzione della birra, inizia nel 1939, quando l’ingegner Kurt Prüfer realizza un innovativo forno mobile di cremazione riscaldato a olio. Tre di questi forni sono destinati al campo di Buchenwald, per sopperire al crescente numero di cadaveri da incenerire. Nell’agosto 1940 fu installato il primo forno ad Auschwitz. Nel 1941, la ditta rifornisce già quattro campi: Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen, Dachau. Prüfer è orgoglioso della sua invenzione: «Questi forni sono davvero rivoluzionari – scrive al direttore Ernst Wolfgang Topf – e posso supporre che mi concederete un bonus per il lavoro che ho fatto».

Un motivo, questo dell’orgoglio per il proprio lavoro, che ritroviamo fino alla fine della guerra e oltre, anche nelle difese giudiziarie del dopoguerra, e che ci riporta alla mente la banalità del male di cui parla Hannah Arendt.

I rapporti con i nazisti e con i campi, in particolare con Auschwitz, sono stretti: operai della ditta sono presenti nei campi per l’installazione e la manutenzione dei forni, e con altri dirigenti dell’azienda Prüfer incontra più volte le Ss ad Auschwitz per pianificare gli ampliamenti dei forni. Inoltre nel 1943 l’azienda si impegna nel perfezionamento del sistema di ventilazione per le camere a gas di Auschwitz. Prüfer conferma in un interrogatorio a Mosca di essere stato informato «che in queste camere a gas venivano uccisi prigionieri utilizzando fumi di cianuro».

Mentre la sconfitta nazista si faceva sempre più vicina e prevedibile, la Topf non ridusse la sua partecipazione ai meccanismi dello sterminio. All’inizio del 1945, mentre Auschwitz veniva liberata, Prüfer lavorava infatti a un vasto progetto per l’installazione delle camere a gas e dei forni a Mauthausen, che la sconfitta nazista rese inutile.

 

Uno dei fratelli Topf, Ludwig, si suicidò, l’altro restò nella zona americana dove elaborò una difesa volta a giustificare l’operato suo e dell’azienda.

Intanto questa era posta sotto l’amministrazione sovietica. Prüfer con altri dirigenti fu condannato dai sovietici a venticinque anni di carcere. Morì mentre era detenuto nel 1952. Gli altri furono scarcerati in seguito ad un’amnistia nel 1955.

Ernst Wolfgang Topf fu arrestato dagli americani e poi rilasciato per mancanza di prove. Dal 1946 al 1950 fu sottoposto a un processo di denazificazione, che fu archiviato perché «non aveva mai ricoperto nessun incarico o grado nel partito». Morì libero nel 1970.

Solo dopo l’89 la riesumazione degli interrogatori fatti dai sovietici a Prüfer agli altri dirigenti avrebbero provato in modo inconfutabile la portata del coinvolgimento della ‘Topf e Figli’ nel processo di sterminio.

Ma uno di questi ‘figli’, Hartmut Topf, ha contribuito attivamente a far emergere la memoria di quel coinvolgimento: «Ho ereditato il nome. Fortunatamente non ho ereditato l’azienda. Ma sentii di avere un obbligo. Da bambino mi vantavo di essere un Topf, e ora sento che è mio dovere raccontare la storia orribile della loro infamia. Devo dare il mio contributo. Questa è la mia responsabilità».

 

 

 

https://www.topfundsoehne.de/mam/ts/aktuelles/2021/fittosize_85_338_0_03b5e3acc040accadb06d641d8c4b849_hartmut_topf.jpg

www.topfundsoehne.de

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ERFURT, capitale della  – REGIONE : LA TURINGIA

 

 

DA::
AnnaMappa.com

 

LA TURINGIA , è uno dei sedici Stati federati (Bundesländer) della Germania. Si trova nel centro del paese ed è tra i più piccoli, con una superficie di 16 172,50 km² e quasi 2,2 milioni di abitanti (2014).
La sua capitale è Erfurt.

La caratteristica geografica principale è la Selva di Turingia (Thüringer Wald), una catena montuosa nel sud-ovest dello stato. Nel nord-ovest la Turingia comprende una piccola parte delle montagne dell’Harz. La parte orientale è per lo più pianeggiante. Il fiume Saale scorre attraverso questa pianura da sud a nord. Al di là del Saale, a est, si estende il paesaggio leggermente collinoso che rappresenta il tratto precollinare della zona occidentale dei Monti Metalliferi, parte

dell’antica regione dell’Osterland (= ” marca orientale “, è  uno stato tedesco  antico, oggi parte della Turingia e della Sassonia, tra i fiumi Elba e Saale, comprendeva la città di Lipsia )

 

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mappa regione nel secolo XIII

Tornando alla Turingia–

Lo stato prende il nome dai Turingi, una popolazione di origine germanica che occupò l’area attorno al V secolo. Dopo circa un secolo di regno autonomo, nel VI secolo la Turingia cadde sotto la dominazione francaGregorio di Tours narra che i re franchi, Teodorico I e il fratellastro Clotario I, nel 531 la invasero, deposero il re Ermanafrido e annetterono il regno a quello dei Franchi.
Interessante notare che il re longobardo Agilulfo, eletto alla fine del VI secolo, era di origine turingia, mentre la regina in carica Teodolinda era bavara.

segue nella ” Storia ” di Wikipedia

 

LE CITTA’ PRINCIPALI DELLA TURINGIA

  1. Erfurt
  2. Jena
  3. Gera
  4. Weimar
  5. Gotha

 

 

 

impo      ***  Alla fine della seconda guerra mondiale la Turingia rientrò nel settore di occupazione sovietico, entrando quindi a far parte della Repubblica Democratica Tedesca (RDT o Germania Est).

A seguito della ristrutturazione amministrativa della Germania Est, nel 1952 la Turingia fu divisa in tre distretti (ErfurtGera e Suhl) e abolita come Stato federale. Il ripristino avvenne con la riunificazione della Germania nel 1990.  *****

 

 

 

 

QUALCHE IMMAGINE DELLA REGIONE:

 

 

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CATTEDRALE DI ERFURT  E LA CHIESA DI SAN SEVERO- foto presa dalla ruota panoramica durante l’Oktober Fest

 

la ruota gigante gira anche nel periodo dei mercati di Natale

 

 

St.-Marien-Kirche in Gera-Untermhaus

Chiesa di Santa Maria  a Gera-Untermhaus (parte della città di Gera ), si trovava proprio sotto quello che era Il Castello di Orensteinù

Antica Ak, Gera (R Castello Osterstein, 1914 | eBay

Antica Ak, Gera (R Castello Osterstein, 1914 | eBay

 

 

Krämerbrücke mit Ägidienkirche (Erfurt)

Krämerbrücke mit Ägidienkirche (Erfurt)-
(lett.: «ponte dei bottegai») è un ponte abitato sul fiume Gera che sorge nel centro della città di Erfurt, in Turingia,  costruito nel 1325 sulle fondamenta di un ponte originario del XII secolo e contornato da edifici del XVII-XIX secolo, è uno dei principali monumenti medievali della città, nonché uno dei simboli della città stessa.
Dell’originario ponte in legno si hanno già notizie sin dal 1117; 
dato però che quel ponte era stato spesso colpito da incendi, due secoli dopo, nel 1325, venne deciso di sostituirlo dall’attuale ponte in pietra. Nel corso dei secoli, i 62 edifici originali furono ridotti agli attuali 32.

Neptuul – Opera propria

 

Un’altra foto del ponte con le case:

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Dguendel – Opera propria

 

 

un’altra foto troppo bella:

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Edifici che si affacciano sul Krämerbrücke
Dr. Bernd Gross – Opera propria

https://it.wikipedia.org/wiki/Kr%C3%A4merbr%C3%BCcke#/media/File:Kr%C3%A4merbr%C3%BCcke_in_Erfurt_25.JPG

 

 

 

Turingia – Veduta

Krämerbrücke, Erfurt

Eremeev – Opera propria

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5 maggio 2025 — Alberto Negri in audizione al Senato : “Non avete mai messo una sanzione a Israele. Quanti morti vi servono per muovere il c*?”. + VIDEO SU FRANZ FANON, PROF. RAMAIOLI + MASSACRO DI SETIF ( ALGERIA ) WIKIPEDIA + Università di Akhawayn University in Ifrane (AUI), in Marocco + altro

 

 

 

mi sembra che al min. 6.14 ca – riprenda quello già detto: finisce con la frase:
” Quanti morti volete per muovere il culo ? “

 

 

 

 

Copertina del libro I dannati della terra di Frantz Fanon

 

I dannati della terra
2007
Piccola Biblioteca Einaudi Ns
pp. XXXVIII – 232
€ 24,00
A cura di   Liliana Ellena
Traduzione di Carlo Cignetti
Prefazione a cura di Jean-Paul Sartre

 

 

Pubblicato per la prima volta nel 1961, a pochi giorni dalla morte del suo autore, I dannati della Terra è diventato un classico, fonte di ispirazione e modello di riferimento ancora oggi attuale.

 

Nel libro prendeva corpo la straordinaria tensione tra l’urgenza di offrire una prospettiva politica alle lotte di liberazione del Terzo Mondo e l’approfondimento dell’analisi del sistema coloniale, di cui quest’opera rimane un eccezionale documento storico. Il libro getta le sue radici nell’esperienza drammatica della rivoluzione algerina, anche se la sua prospettiva ne trascende di gran lunga i confini. Di fronte agli straordinari problemi che la società europea oggi affronta, alle prese con nuovi cittadini immigrati dal Terzo Mondo e nel tentativo di realizzare una convivenza multiculturale, la lucidità dell’analisi di Fanon sulle derive del nazionalismo e sui paradossi del postcolonialismo rimangono di grande rilevanza.

 

 

 

video, 18.35

MASSIMO RAMAIOLI E C. DE BLASI-FANON, I DANNATI DELLA TERRA

 

 

 

 

 

NOTA SU MASSIMO RAMAIOLI

 

Immagine

foto dal suo X dove è proprio carino…

 

 

Massimo Ramaioli

 

Massimo Ramaioli è Assistant Professor presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Al-Akhawayn University in Ifrane (AUI), in Marocco. In precedenza, è stato Assistant Dean della School of Arts, Humanities and Social Sciences e Assistant Professor nel Social Development and Policy Program presso la Habib University (HU) di Karachi, in Pakistan.  Si è laureato in Scienze Sociali per la Cooperazione e lo Sviluppo e ha conseguito un Master in Studi Afro-Asiatici all’Università di Pavia.

Ha poi ottenuto un Master in Studi Mediorientali alla School of Oriental and African Studies di Londra; e successivamente un dottorato di ricerca in Science Politiche presso la Syracuse University. La sua ricerca si concentra sull’Islam politico, studi Gramsciani, e teoria di relazioni internazionali. Vanta inoltre esperienze di ricerca e insegnamento presso il Center for International Exchange and Education di Amman, e ha studiato arabo a Tunisi, Damasco, Beirut e Fez.

 

biografia DA:
https://www.liberioltreleillusioni.it/chi-siamo/la-redazione/profilo/massimo-ramaioli

 

 

 

NOTA DI :

MASSACRO DI SETIF   GUELMA  KHERRATA

 

 

Carte des massacres de mai/juin 1945 à Sétif, Guelma et Kherrata

Houmouvazine – Karim Chaïbi, Atlas historique de l’Algérie, Editions Dalimen, 2012, 164 [1] Guy Pervillé, Atlas de la guerre d’Algérie, Editions Autrement, 2003, 17 (ISBN : 2746703017)  [2] OpenStreetMap.

 

 

 

Il massacro di Sétif e Guelma è stata una violenta repressione attuata dalle forze armate francesi e dai coloni europei in seguito ai moti indipendentistinazionalisti e anticolonialisti scoppiati in alcune località del dipartimento di Costantina ( vedi cartina sopra ), nell’Algeria francese l’8 maggio 1945.

 

In risposta alla repressione effettuata dalla polizia francese sui manifestanti durante una manifestazione nazionalista, scoppiarono una serie di disordini a Sétif che furono seguiti poi da una serie di attacchi ai coloni francesi nelle campagne circostanti che provocarono complessivamente 102 morti.

Le autorità coloniali francesi e i coloni europei scatenarono così un’ondata di massacri che costò la vita a 6 000-30 000 musulmani nella regione.

Sia lo scoppio che la natura indiscriminata della sua rappresaglia segnarono un punto di non ritorno nelle relazioni franco-algerine, dando il via al percorso che avrebbe portato allo scoppio della guerra d’Algeria del 1954-1962.

 

SEGUE DA/ in :

https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_S%C3%A9tif_e_Guelma#Bibliografia

 

 

IFRANE, MAROCCO — UN’IMMAGINE DELL’UNIVERSITA’ DI AL AKHAWAY, dove insegna MASSIMO RAMAIOLI, una persona da seguire per ” competenza e onestà ” ( così è parso a me, chiara, in questo primo video ascoltato )

L’Università Al Akhawayn di Ifrane è un’università marocchina indipendente, pubblica, senza scopo di lucro e coeducativa, impegnata a formare i futuri cittadini-leader del Marocco e del mondo attraverso un curriculum di studi umanistici in lingua inglese, orientato al mondo intero e basato sul sistema americano. L’Università valorizza il Marocco e coinvolge il mondo attraverso programmi di formazione e ricerca all’avanguardia, tra cui formazione continua e per dirigenti, che rispettano i più alti standard accademici ed etici e promuovono l’equità e la responsabilità sociale.

 

foto e testo da:
https://aui.ma/about-aui

***

 

 

immagini della città di IFRAN / IFRANE

 

Zaouia D'Ifrane, Middle Atlas, Morocco, North Africa

Ifrane, vista della città dalla cascata  Zaouia D’Ifrane, il nome in berbero èIfran, ⵉⴼⵔⴰⵏ, che significa Caverne. La provincia è omonima, il distretto è nella regione di Fès-Meknès.

È soprannominata la “Piccola Svizzera” ed è considerata la città più pulita del mondo secondo MBC New.

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Ifrane, nssaw tawahd – Opera propria

È un centro turistico invernale, per la presenza di piste da sci.

 

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un bosco di cedri del Libano narti nelle montagne dell’Atlante come originalmente
Miguel González Novo from Melilla, España – Bosque de cedros, montes del Atlas, Ifran

 

 

 

Ifrane, Middle Atlas Mountains, Morocco, North Africa

Getty Images- Ifrane

 

Azrou, Middle Atlas Mountains, Morocco

 

Ifrane si trova sui monti del Medio Atlante ad oltre 1.700 metri di altitudine.

  • Ad Ifrane si è registrata la più bassa temperatura mai avuta in Africa: ben -23.9 °C. Quest’evento risale all’11 gennaio 1935.

 

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Ifrane nell’inverno del 2006,  a gennaio
Vispec – Fotografia autoprodotta

 

 

Ifrane è stata fondata durante il protettorato francese nel 1929 proprio in ragione del suo clima alpino, con nevicate e freddo durante l’inverno e temperature fresche d’estate. La città era una sorta di colonia estiva, per le famiglie francesi, e inizialmente fu progettata, secondo il gusto dell’epoca, seguendo lo stile dei paesi alpini.

 

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Bernard Gagnon – Opera propria

 

 

Fu costruito anche un palazzo reale per il sultano Muhammad ibn Yûsuf. I primi edifici pubblici costruiti in città furono una chiesa, un ufficio postale e in seguito, un penitenziario, utilizzato come campo di prigionia per i soldati nemici durante la seconda guerra mondiale.

Accanto alle abitazioni occupate dagli europei, presto furono costruite abitazioni destinate ai marocchini che lavoravano presso le abitazioni degli occupanti. Questa zona, chiamata Timdiqîn, era separata dall’altra parte della città da una profonda gola.

Dopo l’indipendenza le proprietà francesi vennero man mano acquistate da proprietari marocchini. La città si sviluppò e fu arricchita con la costruzione di una moschea, un mercato comunale e abitazioni di proprietà statale. Allo stesso tempo la zona di Timdiqîn venne ristrutturata.

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una strada di Ifrane
https://www.flickr.com/photos/ennaimi/

 

Nel 1979 Ifrane divenne il capoluogo amministrativo dell’omonima provincia. Qui, nel 1995 ha aperto la Al Akhawayn University, un’università in lingua inglese, rilanciando la località come meta del turismo intero, non solo per il periodo invernale, ma anche per quello estivo.

 

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Al Akhawyn University, Ifran, Morocco
https://www.flickr.com/photos/bryanalexander/

immagine e testo da : https://it.wikipedia.org/wiki/Ifrane

 

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per chi volesse leggere, il ritratto di Wikipedia di Mohammed V è molto interessante

indipendenza del Marocco– intorno al 1957, quando Mohammed V assunse il titolo di re

Moḥammed V   ( Fès10 agosto 1909 – Rabat26 febbraio 1961) fu sultano del Marocco dal 1927 al 1953. Dopo un esilio tra il 1953 e il 1955, fu di nuovo riconosciuto sultano al suo rientro in patria e re del Marocco dal 1957 al 1961; apparteneva alla dinastia alawide.

Nel 1940 il governo di Vichy, sotto controllo nazista durante la Seconda guerra mondiale, emise molti decreti per escludere gli ebrei dalle funzioni pubbliche. Il sultano Mohammed V si rifiutò di far applicare le leggi antisemite in Marocco e, in segno di sfida, nel 1941 invitò tutti i rabbini del regno alle celebrazioni dell’anniversario della sua salita al trono.

Il 20 agosto 1953 la Francia obbligò Mohammed V e la sua famiglia all’esilio in Madagascar, a seguito dell’appoggio da lui dato agli indipendentisti dell’Istiqlāl che volevano l’indipendenza del Marocco. Un suo parente, Mohammed ben Arafa (nipote di Muhammad IV), fu posto sul trono.

Mohammed V e la sua famiglia furono trasferiti in Madagascar nel gennaio 1954. Mohammed V tornò dall’esilio il 16 novembre 1955, riconosciuto ancora come legittimo sultano dopo la sua opposizione attiva al Protettorato francese sul suo Paese.

Nel febbraio 1956 negoziò con la Francia e con la Spagna la piena indipendenza del Marocco. Tuttavia al Paese diventato indipendente mancavano alcuni territori (Tangeri, che gli verrà restituita a ottobre dello stesso anno, Sidi IfniTarfaya e Sahara Occidentale), lasciando deluse le aspettative degli indipendentisti dell’Istiqlāl. Nell’agosto 1957 Mohammed V assunse il titolo di re, in sostituzione del titolo di sultano.

Sin dai primi anni Mohammed V si impegnò per dare al Paese istituzioni democratiche, redigendo una prima bozza di costituzione, allo scopo di migliorare lo Stato marocchino con un particolare riguardo alla modernizzazione del Paese ed alla diffusione dell’istruzione e della cultura.

Il Marocco aderì all’ONU e alla Lega Araba, dichiarandosi solidale e dando sostegno politico agli algerini in lotta per l’indipendenza, ma questo non significò una rottura dei legami con la Francia, mentre fin da subito furono solidi e cordiali i rapporti con gli Stati Uniti.

Il Marocco provò a riconquistare Sidi Ifni, sotto occupazione spagnola, nell’ottobre 1957 con le armi, ma il conflitto fallì nel giugno 1958 per la reazione spagnola, sostenuta anche dai francesi. Ma, nonostante la sconfitta dell’intervento armato a Sidi Ifni, la Spagna, sempre nel 1958, restituì al Marocco la città di Tarfaya.

 

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Al centro il sovrano in visita al Lawrence Berkeley National Laboratory, fondato da Ernest Orlando Lawrence, negli Stati Uniti, nel 1957
autore: Marshcmb

fine nel link:  https://it.wikipedia.org/wiki/Muhammad_V_del_Marocco

 

Il Protettorato francese del Marocco  venne stabilito col trattato di Fès. Esso esistette dal 1912 quando venne formalmente istituito il protettorato, sino all’indipendenza (7 aprile 1956), e consisteva essenzialmente nell’area centrale del Marocco.

Protettorato francese del Marocco - Localizzazione

conquista francese del Marocco
LuzLuz31 – Opera propria

 

L'artiglieria francese a Rabat nel 1911

L’artiglieria francese a Rabat – Marocco- 1911
Grébert, photographer, Casablanca

 

 

Il Marocco sotto protettorati francese e spagnolo

Il Marocco sotto il protettorato spagnolo e francese/ autore: Kindime

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Roberto Mendes, Marujo– marinaio– musica di Bahia + Cabruera, Nordeste oculto

 

 

 

 

 

 

Cabruera- Nordeste oculto

 

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Ahmed Ahmed, Ruwaida, Amer GAZA, il reportage della rivista israeliano-palestinese +972mag ::: L’infanzia di Gaza uccisa con la fame: «Mio figlio piange per la fame. Mento e gli dico che porterò della farina» + DOTT. AHMED AL-FARRA – Ospedale Nasser di Khan Younis + rivista israeliano-palestinese:  +972mag

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO 10 MAGGIO 2025
https://ilmanifesto.it/linfanzia-di-gaza-uccisa-con-la-fame

 

 

 

 

 

 

L’infanzia di Gaza uccisa con la fame

 

 

 

 

 

 

La piccola Rahaf Ayad, 12 anni, insieme alla madre Shurooq, a Gaza City foto Getty Images/Khames Alrefi

La piccola Rahaf Ayad, 12 anni, insieme alla madre Shurooq, a Gaza City – Getty Images/Khames Alrefi

 

 

 

Ahmed Ahmed, Ruwaida, Amer

GAZA

 

Pubblichiamo il reportage della rivista israeliano-palestinese +972mag ( 1 )

 

La dodicenne Rahaf Ayad è così malnutrita che riesce a malapena a parlare. I capelli le stanno cadendo. Le sue costole sporgono. Riesce a malapena a muovere gli arti. Sbatte gli occhi lentamente, con le palpebre pesanti. Originaria di Al-Shuja’iya, nella parte orientale della città di Gaza, Rahaf vive ora con i suoi sette familiari in un’unica stanza nella casa di un parente nel quartiere Al-Rimal della città.

Shurooq, la madre di Rahaf, spiega che la salute della figlia ha iniziato a deteriorarsi rapidamente a causa della mancanza di cibo. «Se qualcuno la tocca o prova a muovere le braccia o le gambe, grida di dolore – racconta a +972 – Dice che le sembra che il suo corpo stia bruciando dall’interno. Chiede pollo, carne o uova, ma nei mercati non c’è nulla».

 

SHUROOQ e suo marito Rani, 45 anni, sono andati da una clinica all’altra in cerca di cure, integratori o solo consigli, ma il sistema sanitario di Gaza, devastato, ha offerto poco aiuto. «I medici ci hanno detto che ci sono centinaia di bambini come Rahaf e che l’unica cosa che può salvarli è un’alimentazione adeguata. Le ho comprato delle vitamine in una farmacia, ma quando sono tornata a comprarne altre una settimana dopo, erano finite».

 

I fratelli di Rahaf aiutano a prendersi cura di lei: le danno da mangiare, le fanno il bagno, la portano in bagno e le cambiano i vestiti. Quando il cibo è disponibile, la famiglia mette al primo posto i suoi bisogni. «Mangiamo solo dopo che lei ha mangiato – dice Shurooq – Quando abbiamo soldi, compriamo tutto quello che chiede. Ma ora non c’è nulla e quando troviamo qualcosa, non possiamo permettercelo».

 

 

 

Anche quando Shurooq riesce a trovare e a preparare alcuni dei pochi prodotti di base ancora disponibili a Gaza, come riso, lenticchie o pasta, Rahaf chiede a gran voce pollo, carne o uova, qualsiasi cosa che contenga le proteine di cui il suo corpo ha disperatamente bisogno. Alla fine, la fame vince e lei mangia qualsiasi cosa sia disponibile. «Le dico che il confine si aprirà presto e le porterò tutto quello che vuole – dice Shurooq, trattenendo le lacrime – La salute di Rahaf crolla ogni giorno. Sta morendo davanti ai miei occhi e non possiamo fare nulla».

Rahaf ama la lingua inglese. Un tempo sognava di studiare inglese all’università e di diventare insegnante. Ma la sua vita, come quella di centinaia di migliaia di bambini di Gaza, è stata distrutta dalla guerra di Israele. «Vorrei che i miei capelli tornassero – sussurra Rahaf – Voglio camminare e giocare con i miei fratelli come facevo prima».

Da più di due mesi Israele impedisce l’ingresso nella Striscia di Gaza di cibo, beni e forniture mediche. Le conseguenze sono catastrofiche: secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, oltre 70mila bambini sono ricoverati in ospedale per malnutrizione acuta e 1,1 milioni non hanno il fabbisogno nutrizionale minimo giornaliero per la sopravvivenza.

 

IL MINISTERO della salute palestinese a Gaza ha riferito che, al 5 maggio, almeno 57 bambini sono morti per complicazioni sanitarie legate alla malnutrizione dall’inizio della guerra e altri 3.500 sotto i cinque anni rischiano di morire di fame.

«Nelle ultime due settimane, la carestia si è intensificata in modo significativo – dichiara a +972    il dottor Ahmed Al Faraa, direttore del dipartimento di maternità e pediatria dell’ospedale Nasser – In questo periodo, abbiamo curato circa 10 bambini affetti da malnutrizione molto grave».

La dottoressa Ahed Khalaf, specialista in pediatria al Nasser, ha detto recentemente ad Al Jazeera di non aver mai visto casi così gravi di malnutrizione nei bambini: «Soffrono di avvelenamento del sangue, insufficienza d’organo, danni al fegato e ai reni, infezioni batteriche e microbiche e indebolimento del sistema immunitario».

Poco dopo che il 16 aprile il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che «al momento non è previsto l’ingresso di alcun aiuto umanitario a Gaza», i distributori di cibo locali e internazionali, un tempo un’ancora di salvezza per centinaia di migliaia di persone, hanno iniziato a chiudere uno dopo l’altro. Il 25 aprile il Programma alimentare mondiale ha annunciato di aver esaurito le scorte di cibo rimaste. Il 7 maggio la World Central Kitchen ha annunciato di «non avere più le scorte per cucinare i pasti o cuocere il pane a Gaza».

«L’assedio su Gaza è un assassino silenzioso di bambini e anziani – ha dichiarato Juliette Touma, portavoce dell’Unrwa, in un incontro con la stampa, il 29 aprile – Abbiamo poco più di 5mila camion con forniture salvavita che sono pronti ad arrivare. Questa decisione (di non farli entrare) minaccia la vita e la sopravvivenza dei civili di Gaza, che sono anche sottoposti a pesanti bombardamenti giorno dopo giorno».

Ibrahim Badawi, 38 anni, ha bisogno di almeno quattro chili di farina al giorno per sfamare la sua famiglia di nove persone. In questi giorni, fatica a trovarne anche un solo chilo: «Mi sento impotente quando i miei figli chiedono il pane e io non ho nulla da dare loro. A volte vorrei che io e i miei figli morissimo insieme in un attacco aereo, per non soffrire la fame e questa continua agonia».

 

BADAWI, sfollato da Beit Hanoun, nel nord di Gaza, vive in un rifugio di fortuna fatto di teloni e coperte sulla costa di Gaza City. Da quando Israele ha infranto il cessate il fuoco a marzo, Badawi non ha ricevuto un solo pacco di cibo. Lui e sua moglie, insieme al figlio maggiore Mustafa, 15 anni, si sono abituati ad andare a letto affamati per permettere ai bambini più piccoli di mangiare le piccole porzioni di riso o lenticchie che ricevono occasionalmente dalla cucina della comunità. «Il più piccolo, Abdullah, che ha quattro anni, piange per la fame, dicendo che gli fa male lo stomaco. Mento e gli dico che presto porterò della farina, così potrà dormire», si lamenta Badawi.

 

Ma anche se la farina fosse disponibile, Badawi non potrebbe permettersela. Fino alla fine di marzo, la maggior parte dei gazawi è sopravvissuta grazie a scorte di pane e prodotti in scatola, mentre i prezzi salivano. Ma poi la crisi si è aggravata: quando tutti i 26 panifici del Programma alimentare mondiale hanno chiuso per la carenza di farina e carburante, la farina bianca è diventata incredibilmente costosa. Un sacco da 25 chili, che prima della guerra costava 30 shekel (8,30 dollari), ora costa l’incredibile cifra di 1.500 (416 dollari).

«Ho preso in prestito denaro da vicini e amici molte volte per comprare la farina – dice Badawi – Ma ora tutti quelli che conosco sono al verde. I miei figli soffrono di coliche e indigestione. Se questa carestia continua, moriremo tutti di fame».

Hadia Radi, 42 anni, madre di sei figli, vive con la sua famiglia in una tenda di fortuna in Al-Wihda Street, a Gaza City. Come innumerevoli altre famiglie dell’enclave, da mesi affrontano fame e bombardamenti. Il 15 aprile un attacco aereo israeliano ha colpito a pochi metri dalla loro tenda, ferendo diversi membri della famiglia, tra cui Yamen, il figlio di 7 anni di Hadia, la cui gamba è stata rotta dalle schegge. Ora in cura nell’ospedale da campo Al-Saraya della Mezzaluna Rossa, il recupero di Yamen è complicato da una grave malnutrizione. «Ha perso 10 chili in due mesi – dice Radi a +972 – Dall’inizio del blocco non abbiamo mangiato altro che riso. Senza un’alimentazione adeguata, le nostre ferite non guariranno».

 

IL CIBO è ormai così scarso che anche i piccoli atti di gentilezza possono essere rischiosi. Di recente un vicino ha sentito Yamen piangere al telefono dalla tenda dell’ospedale, implorando la madre di avere del pane. La mattina dopo ha portato alla famiglia dieci pezzi di pane, nascosti in un sacchetto nero per non attirare occhi affamati. Radi ha nascosto il pane nella tenda come un tesoro: «Ogni giorno ne mandavo un pezzo a Yamen. Anche i suoi fratelli piangevano per averne un po’, ma io dicevo loro che i feriti dovevano venire prima».

Yamen continua a chiedere alla madre di fargli visita, ma Radi è bloccata dalle ferite riportate nell’esplosione: una gamba rotta che la lascia dipendente dalle stampelle. È altrettanto impotente nel raggiungere sua figlia Hannan, di 13 anni, curata nei reparti sovraffollati dell’ospedale Al-Shifa.

 

Hannan è stata colpita da schegge (ha perso un occhio) che l’hanno resa incapace di camminare. La mancanza di cibo ha reso estremamente difficile il recupero. «Ha bisogno di verdure, cibo sano e cure speciali per guarire – spiega Radi – Ma qui non c’è accesso a nulla di tutto ciò». Radi ritiene che Israele stia affamando Gaza per fare pressione su Hamas, ma dice che sono le famiglie normali a pagarne il prezzo: «Stiamo vedendo i nostri figli appassire e né Israele, né Hamas, né il mondo se ne preoccupano. Perché i miei figli dovrebbero morire di fame? Cosa abbiamo fatto per meritarci questo? Se non potete fermare la guerra, almeno aprite le frontiere. Non lasciateci morire di fame».

Anche Heba Malahi, 41 anni, vive in una tenda di fortuna in Al-Wihda Street a Gaza City da quando un attacco aereo israeliano ha distrutto la sua casa a Juhor ad-Dik nel 2023. Ora lei e suo marito Ribhi, 45 anni, saltano regolarmente i pasti per permettere ai loro sette figli di mangiare. Mahmoud, il figlio di sei anni della coppia, soffre di grave malnutrizione. «È sempre stanco. Non mangia, le ossa gli fanno male e i denti stanno iniziando a cadere – racconta Heba a +972 – La settimana scorsa ha chiesto l’elemosina per dei pomodori. Abbiamo venduto il nostro ultimo cibo in scatola solo per comprarne un chilo, lo abbiamo condiviso come unico pasto».

 

 

LA FIGLIA Ruba, 17 anni, desidera disperatamente cibi semplici come le patate, ma a 60 shekel al chilo sono praticamente irraggiungibili. «Netanyahu ci punisce solo per il fatto di esistere – dice Heba – Forse qualcuno come Trump potrebbe costringerlo ad aprire le frontiere prima che moriamo tutti di fame. Se la gente immaginasse i propri figli in questo stato, forse agirebbe.

Più a sud, a Khan Younis, Mona Al-Raqab è seduta con suo figlio Osama di cinque anni da oltre una settimana nel Nasser Medical Complex. Attualmente pesa solo nove chili. Sfollato più volte dall’inizio della guerra, con poco cibo e acqua pulita, il suo sistema digestivo ha quasi ceduto. «I medici cercano di nutrirlo – dice Al-Raqab – ma un bambino che cresce ha bisogno di cibo vero, di diversi tipi».

Qualche stanza più in là, Nagia Al-Najjar, 30 anni, veglia sul suo bambino Yousef, di cinque mesi, gravemente malnutrito, nella sua culla. Gli altri quattro figli sono rimasti con il padre nella loro tenda nel villaggio di Abasan, dopo che la loro casa nel quartiere Bani Suhaila di Khan Younis è stata distrutta. L’ospedale fatica a fornire latte artificiale in mezzo alla chiusura delle frontiere. «Non posso allattare perché mangio a malapena – dice Al-Najjar a +972 – Non riesco a trovare le parole per esprimere come mi sento come madre».

Il dottor Al Faraa ha spiegato che la mancanza di cibo ha causato aborti spontanei e neonati pericolosamente sottopeso con gravi deformazioni. Le famiglie ora macinano la pasta – o anche il riso e le lenticchie – per ottenere una farina di fortuna. «Non importa se io ho fame – dice Al-Najjar – Ma cosa hanno fatto i miei figli per meritarselo?».

 

 

NOTA SU IL MEDICO –

Ahmed Al-Farra capo-pediatra dell’Ospedale Nasser di Khan Younis

LINK QUI SOTTO DA X

11 maggio –h.  10.43

 

Dr. Ahmed Al-Farra, head of pediatrics and obstetrics at Nasser Hospital in Khan Younis, stated that the situation of children in the Gaza Strip is catastrophic, with an entire generation being targeted. Children are enduring alarming levels of starvation and malnutrition as a result of Israel’s complete siege and the ban on the entry of humanitarian aid, including food, baby formula, and essential supplies.

Il dottor Ahmed Al-Farra, primario di pediatria e ostetricia presso l’ospedale Nasser di Khan Younis, ha dichiarato che la situazione dei bambini nella Striscia di Gaza è catastrofica e che un’intera generazione è presa di mira. I bambini soffrono livelli allarmanti di fame e malnutrizione a causa dell’assedio totale da parte di Israele e del divieto di ingresso di aiuti umanitari, tra cui cibo, latte in polvere e beni di prima necessità. ( traduz. Google )

Immagine

 

(1) NOTA:

OSSERVATORE ROMANO.VA/ IT

7 APRILE 2025

Il caso editoriale di successo del web-magazine “+972”

Un laboratorio di coesistenza tra israeliani e palestinesi

 

da Tel Aviv
Roberto Cetera

Israeliani e palestinesi hanno in comune almeno una cosa: il prefisso telefonico, +972. È partendo da questa rara condivisione che un gruppo di giovani giornalisti israeliani e palestinesi decisero di intraprendere una nuova iniziativa editoriale all’insegna di una pacifica convivenza tra i due popoli e della denuncia della violenza connessa all’occupazione militare, chiamandola appunto “+972”.

SEGUE NEL LINK:

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Francesco✍️ Un Poetico Sentire©️ @Frances52779614 ci ha fatto conoscere un artista fotografo, indiano, davvero eccezionale: Swapnil Jedhe. Lo rigraziamo scusandoci di non pubblicare la poesia. E’ un sito davvero bello quello di Francesco, ch.

 

 

link su X di Francesco, 11 maggio, h. 10.45

Francesco✍️ Un Poetico Sentire©️ @Frances52779614

 

 

 

 

SEGUE DA :

STREET PHOTOGRAPHY MAGAZINE. COM 

https://streetphotographymagazine.com/article/interview-with-swapnil-jedhe/

 

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

https://www.facebook.com/f.stopindia/

 

Swapnil Jedhe

Nato e cresciuto a Pune, Swapnil Jedhe è di professione Art Director in un’agenzia pubblicitaria. Nel tempo libero, concentra la sua creatività nell’esplorazione dell’arte nascosta nelle nostre vite quotidiane attraverso la fotografia, cercando di catturare quei momenti magici e invisibili di scene ordinarie e quotidiane. Ha un senso della composizione distintivo e la maggior parte delle sue immagini presenta forme grafiche semplici e pulite. È membro del collettivo indiano di street photography That’s Life.

 

 

 

 

Intervista con Swapnil Jedhe

 

Swapnil Jedhe è stato il vincitore dello scorso anno al Miami Street Photography Festival, tenutosi solo pochi mesi fa, nel dicembre 2015. Il suo street style è sicuramente unico ed è diventato un esperto nel trasformare il caos e la confusione della vita cittadina in India in arte.

 

 

Questo mese siamo orgogliosi di presentarvi la prospettiva scritta e visiva di Swapnil sulla street photography nella seguente intervista, abbinata a una selezione delle sue fotografie.

Ashley: Raccontaci un po’ di te. Dove sei cresciuta? Come hai iniziato ad appassionarti alla fotografia in generale e cosa ti ha spinto a dedicarti alla street photography?

 

Swapnil: Sono nato e cresciuto nella splendida città di Pune, in India, nota per la sua cultura rilassata e cosmopolita. Ho completato la mia formazione in arti applicate. Ho sempre amato creare, fare arte. Attualmente lavoro come Art Director in un’agenzia pubblicitaria. Grazie a questo background accademico e professionale, sono sempre stato vicino all’arte. Ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia nel 2012, quando ho iniziato a scattare foto solo per rompere la routine e fare qualcosa di diverso. È stato allora che ho scoperto il mio amore per la fotografia, che col tempo si è trasformato nella mia passione. Un bel giorno, mi sono imbattuto per caso in “That’s Life”, un collettivo indiano di street photography. Ha entusiasmato il fotografo di strada in erba che è in me. Esplorare l’arte nascosta nella vita quotidiana ha alimentato la mia passione per la street photography. È stimolante e allo stesso tempo stimolante. L’idea di catturare quel “magico momento invisibile” da una scena dall’aspetto ordinario è una prospettiva entusiasmante per me. Andare a caccia di questi momenti è ciò che mi spinge ad andare avanti.

 

 

Ashley: Come descriveresti il ​​tuo stile di fotografia di strada?

 

Swapnil: Ah! È una domanda difficile per me. Dicono che il mio lavoro sia poetico, umoristico e originale. Sebbene le mie immagini abbiano composizioni semplici, è possibile distinguere il mio lavoro in due tipologie. Alcune immagini hanno una composizione grafica forte e pulita, mentre altre hanno un “disordine organizzato”. Inoltre, in molte di queste immagini sono riuscito a catturare il momento decisivo, che vorrei trasformare nella mia firma.

 

 

Ashley: Una cosa che ammiro molto della tua fotografia di strada è la tua capacità di catturare una scena con decine di persone, oggetti, animali, ecc. in movimento e trovare la composizione perfetta al momento perfetto. La definirei una combinazione tra l’essere un maestro della composizione e un esperto del “momento decisivo”. Cosa ne pensi? La composizione è un’abilità naturale per te o è qualcosa su cui lavori?

 

Swapnil: Di solito scatto solo quando qualcosa mi piace di più, che sia una storia o una scena. Infatti, mentre la guardo, ogni scena lascia che la nostra immaginazione crei una storia dietro di sé. Voglio che chi guarda si soffermi a guardare l’immagine e la osservi a modo suo. Per questo, cerco di organizzare il disordine visivo (che è e sarà sempre parte integrante dell’India e del suo paesaggio) nelle mie composizioni, in modo che gli occhi scorrano rapidamente lungo tutto il fotogramma. Altre volte, scatto un momento speciale, che possa evocare l’immaginazione dell’osservatore. I risultati variano quindi a seconda degli elementi presenti nell’inquadratura. In definitiva, le mie composizioni non nascono da sforzi deliberati, ma da un istinto naturale. Non penso troppo alla composizione mentre scatto :), piuttosto vedo una storia o un momento e lo catturo così come lo vedo.

 

 

Ashley: A proposito di tutte queste parti in movimento nelle tue foto, qual è il tuo posto preferito per scattare? Dove vai per catturare le tue scene di caos perfettamente composte?

 

Swapnil: Fotografo da ormai 4 anni, ma quasi tutte le foto del mio portfolio sono state scattate nella mia città natale, Pune. Di solito passeggio nella zona del mercato o esploro le strette vie della città vecchia.

 

Oltre a questo, adoro fotografare un parco vicino a casa mia, dove andavo a giocare da bambino. Lo sto documentando da due anni. Fotografando, ho scoperto e catturato molte storie e ho stretto molte amicizie in questo periodo. Si possono vedere sorrisi e dolore, pettegolezzi e solitudine, volti, espressioni, bambini, genitori, anziani… in una parola, la vita, ecc. Questo posto non mi delude mai.

 

 

 

 

NOTA : L’intervista continua nel link sopra che ripeto per comodità :
DOVE, INSIEME, TROVATE ALTRE FOTO DI QUEST’ARTISTA
ECCEZIONALE, secondo me

 

 

Interview with Swapnil Jedhe

 

 

 

Interview with Swapnil Jedhe

 

LINK CON L’INTERVISTA E ALTRE FOTO

https://streetphotographymagazine.com/article/interview-with-swapnil-jedhe/

 

 

 

 

ALTRE FOTO DA  LENS CULTURE. COM

 ** NEL LINK TROVATE ALTRE FOTO BELLISSIME !

https://www.lensculture.com/swapnil-jedhe?modal=project-158351

 

 

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+++ ANSAmed– 9 maggio 2025 :: Joseph Borrell, ex alto rappresentante dell Unione europea : ‘da ministri di Netanyahu chiare intenzioni genocide’. Ai paesi europei : ‘Vendete meno armi a Israele’

 

 

 

https://elpais.com/espana/2025-05-09/el-rey-en-los-premios-carlos-v-a-europa-hay-que-reinventarla-constantemente.html

 

 

 

https://www.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2025/05/09/borrell-da-ministri-di-netanyahu-chiare-intenzioni-genocide_c18ceedb-c117-41ab-81d1-5c6e25abea28.html

 

Borrell, ‘da ministri di Netanyahu chiare intenzioni genocide’

 

 

- RIPRODUZIONE RISERVATA

 

L’ex alto rappresentante Ue: ‘Vendere meno armi a Israele’

MADRID – “Tutti abbiamo sentito da ministri di Netanyahu propositi che sono chiare dichiarazioni di intenzione genocida”: è quanto detto dall’ex alto rappresentante Ue Josep Borrell, in un discorso pronunciato nel ricevere il premio europeo Carlo V, in Spagna.

“Poche volte io ho sentito un responsabile statale esprimere apertamente un piano che si avvicina così alla definizione giuridica di genocidio”, ha aggiunto Borrell, secondo cui a Gaza è in corso “la maggior operazione di pulizia etnica dalla fine della Seconda Guerra mondiale”.

Nel suo intervento, pronunciato di fronte al re di Spagna Felipe VI e ad altre autorità, Borrell ha ribadito la sua condanna sia “all’orrore di Hamas” sia “alla risposta di Israele”. E ha sostenuto che “l’Europa ha capacità e mezzi non solo per protestare, ma per influire sulla condotta”, ma “non lo fa”. Inoltre, ha invitato i Paesi europei a “fornire meno armi allo Stato israeliano”. “Eliminare esseri umani per la loro appartenenza a un gruppo etnico è uno dei maggiori orrori che l’umanità ha potuto commettere. E in questo noi europei siamo stati eccellenti e gli ebrei hanno pagato un prezzo altissimo.

Ma non sono stati i palestinesi a uccidere gli ebrei, e noi non abbiamo il diritto di far ricadere su di loro le nostre responsabilità o far pagare loro per espiare il nostro senso di colpa”, ha detto in aggiunga Borrell, che ha anche invitato i “giovani europei” a ricordare che “la pace non è lo stato naturale delle cose”.

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Mauro Biani @maurobiani / link sotto — 16.12 – 10 maggio 2025 # ultimogiornodigaza

 

 

 

 

 

#ultimogiornodigaza #gazalastday
Cosa cerchi?
Oggi per @repubblica

 

 

Immagine

 

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Roma, Pantheon contro il riarmo – 10 maggio 2025 –STOP REARM EUROPE + 2 video – 1. canale 10, min. 2.39 ; 2. Il fatto quotidiano, 5.28 min.

 

 

 

Foto Andrea Alfano / LaPresse Student’s demonstration against Italian minister Valditara and ReArm Europe plan. Turin, Italy – Thursday, April 4 2025 – News – Andrea Alfano / LaPresse

Foto Andrea Alfano / LaPresse Students demonstration against Italian minister Valditara and ReArm Europe plan. Turin, Italy – Thursday, April 4 2025 – News – Andrea Alfano / LaPresse

 

 

video,  2.39 — Roma–  al Pantheon contro il riarmo — 10 maggio 2025

VIDEO CANALE 10 – TV REEGIONE LAZIO- SERVIZIO DI GABRIELLA ROSSI TESORO

 

 

 

da : https://stoprearm.org/materials/

 

 

 

SEGUE FLAI-CGIL

Stop Rearm Europe, il 10 maggio a Roma la piazza contro il riarmo

 

 

 

 

 

 

Di seguito l’appello della campagna Stop Rearm Europe, da condividere e far girare.

 

Organizziamo un movimento europeo contro ReArm Europe! Facciamolo insieme.

Ci opponiamo al piano dell’Ue di spendere 800 miliardi di euro in armi. Saranno 800 miliardi rubati. Rubati alle spese sociali, alla salute, all’educazione, al lavoro, alla costruzione della pace, alla cooperazione internazionale, alla transizione giusta e alla giustizia climatica. Saranno un beneficio solo per i produttori di armi in Europa, negli Usa e in altri Paesi.

Renderanno la guerra più probabile, e il futuro più insicuro per tutti e tutte. Genereranno più debito, più austerità, più confini. Approfondiranno il razzismo. Alimenteranno il cambiamento climatico.

Non abbiamo bisogno di più armi; non abbiamo bisogno di preparare altre guerre. Abbiamo bisogno di un piano totalmente differente: sicurezza reale, sociale, ecologica e comune per l’Europa e il mondo intero.

 

 

La manifestazione di OGGI nella Capitale è stata promossa da circa 60 realtà, che vanno da Arci a Sbilanciamoci, da Ferma il Riarmo a Rete dei Numeri Pari, Transform!Italia, Attac Italia, Il Coraggio della Pace, Peacelink, Fairwatch, Un Ponte Per, Rete Italiana Pace e Disarmo, Emergency Roma, Cgil Roma e Lazio, Giuristi Democratici, Unione Inquilini, Forum per il diritto alla Salute, Disability pride, CIPAX – Centro interconfessionale per la pace, Pax Christi-Punto Pace Roma. E ancora: le associazioni studentesche “Rete della Conoscenza”, UdS, UdU, Link; il Coordinamento per l’educazione alla pace nelle scuole, la Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, la Casa Internazionale delle Donne e le sigle di giornalisti Rete #NoBavaglio e Info@Futuro.

Tra i partiti politici, invece, figurano, in alcuni casi anche con le loro sigle di giovani, M5S, Partito della Rifondazione Comunista, European Left, Alleanza Verdi Sinistra, Sinistra Italiana Lazio, Sinistra Anticapitalista Roma, Partito del Sud, Partito Socialista Roma, Sinistra Civica Ecologista. 

 

(PARTE BLU )   DA: https://www.unita.it/2025/05/10/

 

Let’s organize a European movement against ReArm Europe! Join us!

We oppose the EU’s plans to spend an extra 800 billion euros on arms. This will be 800 billion euros stolen. Stolen from social services, health, education, labour, peace building, international cooperation, from a just transition and climate justice. It will only benefit arms manufacturers in Europe, in the Usa and elsewhere.

It will make war more likely, and future less safe for everyone. It will generate more debt, more austerity, more borders. It will deepen racism. It will fuel climate change.

We do not need more weapons; we do not need to prepare for more wars. What we need is a totally different plan: real, social, ecological and common security for Europe and for the world.

Stand up against war. Stop ReArm Europ

 

 

+++++++

 

Stop Rearm Europe, il 10 maggio a Roma la piazza contro il riarmo

 

Appuntamento alle ore 10 al Pantheon. Adesioni da oltre 900 sigle in 18 Paesi Ue

 

Sabato 10 maggio 2025, alle ore 10, una delegazione della Flai nazionale sarà a Roma in Piazza del Pantheon per dire No al Piano di Riarmo europeo da 800 miliardi di euro. La mobilitazione è organizzata nell’ambito della campagna Stop Rearm Europe, che al momento ha raccolto più di 900 adesioni in 18 Paesi dell’Unione europea, di cui oltre 250 in Italia, fra sindacati, associazioni, comitati, partiti, movimenti e altre realtà della società civile.

Una pluralità di soggetti uniti da un obiettivo comune: fermare le politiche bellicistiche dell’Italia e degli altri Stati Ue costruendo un percorso di partecipazione dal basso, dentro e fuori le sedi istituzionali a tutti i livelli e che, attraversando vari appuntamenti, avrà il suo primo momento di mobilitazione europea coordinata nella settimana del 21 giugno, in occasione del vertice Nato all’Aja, con manifestazioni e azioni in diversi Paesi.

«Torniamo in piazza contro la guerra, contro tutte le guerre che portano lutti e dolore, che distruggono la democrazia e cancellano il pensiero critico – si legge nella nota diramata dalle realtà aderenti -. Torniamo in piazza per la Pace, per fermare il genocidio a Gaza e permettere l’ingresso degli aiuti umanitari, per chiedere che si persegua la via diplomatica per la risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina. Chiediamo che l’Italia e l’Europa investano sulle grandi sfide del futuro, per una società aperta, senza muri, per abbattere tutte le disuguaglianze e le discriminazioni, razziste, di classe e di genere, per la libertà e i diritti delle donne e di tutti, per una sanità ed istruzione pubbliche, per la tutela ambientale, sicurezza sul lavoro, occupazione di qualità e conversione ecologica e che rinuncino al Piano di Riarmo, che invece finanzierà un ‘Sistema guerra’ che ci riporterà indietro nella Storia».

«Bisogna fermare l’economia bellica – prosegue il comunicato – che minaccia di trasformare filiere produttive locali in fabbriche di armi; la cultura della militarizzazione e un controllo dei programmi didattici sempre più pervasivi nella scuola; l’isteria bellicista che alimenta razzismo e patriarcato; la deriva autoritaria del dl Sicurezza, che erode diritti civili e libertà d’informazione».

«Ci appelliamo a tutte le forze politiche e della società civile, al mondo della scienza, dei media, della cultura e dello spettacolo affinché si schierino contro il riarmo, la guerra, il genocidio, la repressione, l’autoritarismo – chiosa la nota -. E che siano con noi in piazza per la Pace il prossimo 10 maggio a Roma e nei prossimi appuntamenti in Italia e in Europa».


 

 

2.

video, 5.28

Il Fatto Quotidiano:

Manifestazione contro il riarmo Ue: “Chi prepara la guerra, farà la guerra”. Le voci dalla piazza

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Morro de San Paulo, è una cittadina dell’Isola de Tinharé che appartiene al comune di Cairù – nel sud dello stato di Bahia– ” morro ” è un piccolo rilievo, collina

 

 

 

 

 

L’arcipelago di Tinharé, situato nella parte sud dello stato di  Salvador- Bahia, è composto da tre isole maggiori e 23 piccole isole disabitate. Le tre isole abitate sono chiamate Cairú ( 1), isola di Boipeba ( 2) e isola di Tinharé ( 3). Quest’ultimo, che porta lo stesso nome dell’arcipelago, ospita il suo centro turistico Morro de São Paulo, attualmente una mata di Turismo con la maiuscola.

 

 

 

 

 

Ruins of Fortress of Tapirandu, Morro de Sao Paulo, Ilha de Tinhare, Bahia, Brazil.

fortezza di Tapirandu — Morro di San Paolo

 

Come si vede dalla cartina sotto, le spiagge di Morro de Sao Paulo non hanno nomi ma numeri : prima, seconda, terza, quarta.

 

 

 

 

A deserted tropical beach on Morro de Sao Paulo Island in Brazil

Tinhares, una spiaggia el Morro di San Paulo

 

 

 

 

 

mapa-tinhare-boipeba

cartina da : https://www.guiaeturismo.com/passeio-em-morro-de-sao-paulo-bahia

 

 

Morro de Sao Paulo — Isola di Talharés
da https://franks-travelbox.com/

 

 

 

 

 

Brazil, Bahia State, Morro de Sao Paulo, canoe by beach on island

Getty Images

 

 

 

 

 

Beach

getty images

 

 

 

 

 

Ruins of Fortress of Tapirandu

rovine del Forte di Tapirandu – Getty Images

 

 

 

 

Marinai del gruppo culturale Cairu

musica del Gruppo Marujos a Cairù

 

 

4 foto sopra  di Morro de Sao Paulo sono prese da :

https://real-estate-brazil.com/

 

 

 

Ilha de Tinharé | imagenseviagens.com.br/travelandimages.com

nel quadro piccolo ( a sin. in basso ) si vede la capitale dello stato di Bahia – che è Salvador – in rapporto all’arcipelago di Tinharé; da Salvador conviene partire per Tilharé, perché a Salvador si arriva con l’aereo. Oltre a vedere la bellissima città. Adesso ho visto che da Salvador si può andare in aereo a Morro di Sao Paulo

 

 

 

Farol do Morro de Sao Paulo ( Morro de Sao Paulo lighthouse...

Faro del Morro de Sao Paulo

 

 

 

Farol do Morro de Sao Paulo ( Morro de Sao Paulo lighthouse...

Il Faro

 

 

 

Tropical fruits and vibrant colors create a drink full of flavor!Morro de Sao Paulo - Bahia - Brazil

Aperitivo con frutta tropicale- un nuovo tipo di batida o caipirinha

 

 

 

Tropical Fruit Mix

la frutta base  e la cachaça  ( grappa di canna da zucchero )– si chiama ” batida ”
La caipirinha è fatto con il limon galego a fettine molto schiacciato con un pestello, ghiaccio tritato, zucchero di canna e cachaça — C’è anche ( c’era ai miei tempi– fine ’70/’80 )  la caipiroska in cui si mette la vodka invece della cachaça.
E’ molto facile da fare in casa.

 

 

 

 

Scenery with shallow water over sand in tropical beach in Morro de Sao Paulo, south Bahia state, Brazil

attualmente – che io sappia – le spiagge più belle sono  attrezzate perché sono diventate molto alla moda

 

 

 

A bowl full of lobsters.

piccole aragoste

 

 

 

Aerial view of Morro de São Paulo - Bahia - Brazil

vista aerea del Morro de Sao Paulo

 

 

 

Elevated view of beach in Brazil

Bungalow sulla spiaggia

 

 

 

Morro Sao Paulo Bahia enseada

 

 

 

 

A clothesline beach sarongs - Morro de Sao Paulo - Bahia - Brazil

vestiti colorati per la spiaggia

 

 

 

Gamboia Beach In Morro De Sao Paulo, Brazil

 

 

LO STATO DI BAHIA– cartina sotto –
CHE CONFINA A NORD CON LO STATO DI PERNAMBUCO / PIAUI’ /  MARANHAO – A OVEST CON TOCANTIS E GOIAS ;  A SUD CON LO STATO DI SPIRITO SANTO E MINAIS GERAIS – A EST CON L’OCEANO ATLANTICO E GLI STATI DI SERGIPE E ALAGOAS.

 

 

 

 

 

DA : https://www.istockphoto.com/it/

 

 

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nota:

Lo stato di TOCATINS

 

Tocantins – Localizzazione

 

Il Tocantins è uno Stato del Brasile fondato nel 1988. Mentre numerose altre città della zona risalgono al periodo del colonialismo portoghese, la capitale, Palmas, fu fondata solo nel 1989. Lo Stato, che ha lo 0,75% della popolazione brasiliana, è responsabile dello 0,5% del PIL brasiliano.

 

UN PAESAGGIO DELLO STATO DI TOCANTIS

 

 

LA VIA LATTEA VISTA DAL SUD DELLO STATO di TOCANTIS
foto di
Leonardo Palermo Gentile – Opera propria

ENTRAMBE LE FOTO SOPRA SONO DI :
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Tocantins?uselang=it

 

 

LA BANDIERA DELLO STATO DI TOCCANTIS=  “dove il sole splende per tutti”.
Al centro spicca perciò un sole di color arancione, con lunghi raggi simmetrici che simboleggiano il futuro dello Stato. Il bianco su cui campeggia il sole rappresenta invece la pace. Il blu in alto a sinistra e l’arancione in basso a destra simboleggiano rispettivamente le acque e il suolo del Tocantins

Opera propria – Lei Estadual / State Law

https://it.wikipedia.org/wiki/Tocantins_(stato)

 

fine nota sullo Stato di Tocantis– ci torneremo– è uno stato caratterizzato da numerose ribellioni…

 

 

 

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MAPPA POLITICA DI TUTTO IL BRASILE-

 

 

VEDETE CHE DOPO  ( a sud ) ESPIRITO SANTO ( in blu ) C’E’ RIO DE JANEIRO  IN ARANCIONE – E DOPO MINAS GERAIS C’E’ SAN PAULO  ecc.

*** LA CAPITALE DEL TOCANTIS E’ PALMAS, UNA CITTA’ NUOVISSIMA, ANCHE SE NELLO STATO CI SONO CITTA’ STORICHE

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9 maggio 2025 — #ultimogiornodigaza — L’EUROPA DELLA GENTE CONTRO IL GENOCIDIO : :: Wafa, ‘106 morti a Gaza in 24 ore per i raid dell’Idf’ Agenzia palestinese: salito a 52.760 bilancio totale dei morti, ANSA, 8 MAGGIO 25 –” NO, NEL NOSTRO NOME “

 

 

 

#gazalastday

 

 

 

E se i governi d’Europa, a partire dal nostro, tacciono – rendendosi così sempre più complici di una atrocità che ogni giorno appare sempre più un genocidio, una soluzione finale per il popolo palestinese –, noi cittadine e cittadini d’Europa dobbiamo prendere la parola in prima persona. Il silenzio di Ursula von der Leyen, il silenzio atroce di Giorgia Meloni e del suo governo risuonano come perentori atti di autoaccusa: complicità in genocidio, e complicità in nostro nome.

Allora, diciamolo forte:

semplicemente come umane e umani di fronte alla disumanità di un massacro senza fine.

no, non nel nostro nome!

Naturalmente è solo un sussurro, ma è l’inizio di un percorso dal basso per rompere il silenzio colpevole che ci fa complici di un governo criminale. A noi, cittadini di stati alleati con Israele, verrà chiesto conto di Gaza, della sua morte. E i nostri figli, i nostri nipoti, ci chiederanno: «ma voi dove eravate, cosa facevate, che dicevate, mentre Gaza si avviava alla soluzione finale?». Allora prendiamo la parola, in prima persona, prima che sia davvero troppo tardi.

 

#ultimogiornodigaza

 

 

 

 

Wafa, ‘106 morti a Gaza in 24 ore per i raid dell’Idf’

Agenzia palestinese: salito a 52.760 bilancio totale dei morti

- RIPRODUZIONE RISERVATA

 

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2025/05/08/

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DOMENICO GNOLI, ORESTE O L’ARTE DEL SORRISO. EDIZIONE ILLUSTRATA DALL’AUTORE.– IL SAGGIATORE, novembre 2024 + bella recensione di PAOLO CANTON ( notizie al fondo ) da DOPPIOZERO, 3 gennaio 2025

 

 

 

 

 

Davvero originale, fantasioso, sorprendente questo artista. Sembra che liberi del tutto la fantasia e la lasci lavorare da sola. ( Donatella )

 

 

**** per le nostre e i nostri  Donatelli  che sognano  un mondo migliore!

 

 

Oreste o l’arte del sorriso. Ediz. illustrata

Il Saggiatore, 2024

Chi provasse a cercare Terramafiusa sulle mappe di oggi non la troverebbe. Fino a un po’ di anni fa era un piccolo principato nascosto tra le montagne dell’Europa centrale. Lì, circondato da una corte di modesti funzionari, viveva Oreste, il principe di Terramafiusa, che imparò a sorridere all’età di vent’anni e che da allora non ha più smesso. Questa è la storia del suo sorriso e di come l’ha ottenuto, aiutato dai saggi sotterfugi di Lucien, il centenario pappagallo della nonna Palmira, dalla goffaggine del corpulento primo ministro Camillo, amante di pasti sostanziosi e lunghe pennichelle, e dall’amore di Violante, la bella dama di compagnia. 

Come nei suoi quadri, Domenico Gnoli riempie le tavole di dettagli minuziosi, spesso celati, a volte curiosi (che cosa ci fa il bassotto Marcantonio in questa storia?), che sembrano spingerci a guardare ancora e ancora, scoprendo sempre qualcosa di nuovo. In questo libro, l’unico che abbia scritto e illustrato, Gnoli racconta come, a volte, basti la diversa curvatura di un sorriso per cambiare il corso della storia e dare un nuovo senso al mondo.

 

 

 

UNA BELLA RECENSIONE  DI PAOLO CANTON

segue da:

DOPPIOZERO– 3 gennaio 2025

 

 

Domenico Gnoli racconta

Novalis, uno dei più importanti esponenti del romanticismo tedesco, considerava fosse essenziale dare alle cose un senso di solennità, alle realtà quotidiane una forma misteriosa. Questa sua lezione è stata magistralmente adottata da Domenico Gnoli.

Ho conosciuto l’opera di Gnoli nella prima casa editrice dove ho lavorato, che poco prima del mio ingresso aveva pubblicato una sontuosa monografia (testo di Vittorio Sgarbi) che recava in copertina un dettaglio di Chemisette verte, un quadro del 1967 che ritrae, appunto, il colletto rotondo e due bottoncini di madreperla di una camicetta di seta stampata ton sur ton a motivi floreali.

Niente di meno misterioso al mondo, vien da pensare, del dettaglio ingigantito di un capo d’abbigliamento. Ma – e non credo di essere io a dirlo, né da primo né da ultimo – quel che si deve guardare nella pittura di Gnoli non è quel che c’è, ma quel che manca.

 

k

 

[Un suo collezionista, Claude Spaak, drammaturgo e zio della più nota Catherine, lo disse con maestria nella postfazione al libro sopra citato: «Nella modesta stanza campeggiava sul cavalletto Letto bianco, coperta chiara, guanciale immacolato recante peraltro l’impronta di una testa, che mi sconvolse. Qualcuno ci aveva dormito senza turbare l’ordine delle lenzuola? Qualcuno aveva lasciato quel giaciglio per non tornarvi mai più? Qualcuno che forse si aggirava non lontano? Si pretendeva che Gnoli fosse il pittore dello sguardo e io scoprivo il pittore dell’assenza.»]

 

 

kRoba seria. Molto seria. Talmente seria da far pensare sia quasi impossibile trovare in un artista tanto rigoroso un segnale di allegria, umorismo, ironia. L’ombra di un sorriso.

 

 

Ero rimasto sorpreso, alcuni anni fa, nel trovare in vendita a un prezzo ragionevole l’edizione originale di un bel libro di grande formato, intitolato Orestes or the Art of Smiling by Domenico Gnoli, pubblicato da Simon and Schuster nel 1961.

 

Lo ordinai a scatola chiusa, non sapendo bene che cosa fosse (catalogo di una mostra? Libro illustrato? Raccolta di tavole incise?) e che cosa aspettarmi. Certamente, la copertina non rimandava affatto a un’atmosfera gaia:

 

(L’ IMMAGINE DEL COMMENTO E’ SOTTO )

un bel disegno a penna, ritoccato all’acquerello, con una mongolfiera (uno dei topoi dell’opera grafica di Gnoli) identificata da un cartiglio che riporta il numero 611 che sorvola una città rinascimentale, trasportando un giovane uomo ben vestito che, invece di guardare il panorama, sembra assorto in pensieri tutt’altro che lieti. Un seppia per il segno, un cilestrino e qualche tocco di paglierino a riempire, e il bianco della carta. Un segno fatto – sorprendentemente – di volute e tratteggi incrociati, fra il tardo Cinquecento e il primo Seicento, direi.

 

 

 

Il pacco viaggiò parecchio, il libro arrivò e si rivelò essere sontuoso e sconcertante: sul piano materiale, la sovraccoperta in carta naturale pesante (descritta sopra) celava una legatura con piatti in carta goffrata a imitazione della tela di lino e dorso in seta, con impressioni pastello al piatto e al dorso e un interno stampato con ogni possibile cura da Amilcare Pizzi, una delle glorie della buona stampa italiana, su una carta uso mano marcata; su quello artistico, una invenzione spiritosa che rivela in Gnoli una prodigiosa fantasia di illustratore che Vittorio Sgarbi definì a suo tempo “ariostesca”. Un libro che, in fondo, rivela un’anima segreta – e segretamente lieve – di un pittore che raramente sembra toccato dall’ironia, tutto teso, come scrivevo sopra, a “dare alle realtà quotidiane una forma misteriosa”.

 

Ma dal reale Gnoli dimostra di poter fuggire nella favola, scrivendo e illustrando Oreste, dove tornano tutti i temi più cari alla sua opera grafica, dal letto con i dieci materassi della principessa sul pisello, alle fantastiche architetture, alle gabbie vuote (che sono tantissime e stanno dappertutto: in cima a una collina o dentro un armadio aperto). E poi ci sono palchi di teatro affollati come le navi degli emigranti; un cavaliere romantico in bicicletta nella notte rischiarata dalla luna; uno straordinario campionario dei sorrisi che tappezzano come manifesti un’intera stanza; i teatrini imprevedibili in cui scorrono stravaganti avventure da affrontare con un sorriso, a volte coraggioso, a volte misterioso.

l
IMMAGINE SOPRA   La storia è ambientata a Terramafiusa, una città murata descritta in antiporta da un disegno “a volo d’uccello”, analogo alla monumentale Venezia incisa nel 1500 da Jacopo de’ Barbari.

 

 

L’IMMAGINE COMMENTATA E’ SOTTO

E a ricordarci la passione dell’artista per il teatro, nella pagina iniziale ci vengono presentati i personaggi principali, posti sui rami di una pianta a metà strada fra l’albero delle vanità del Barone Rampante e l’albero di Jesse, fra due muri che fanno da quinte;sopra quello di destra si affaccia un personaggio che guarda: è Domenico Gnoli stesso, nell’unico ritratto di sé che ci abbia lasciato nella sua opera grafica.

 

k

Da qui si comincia a dipanare la storia di Oreste, il principe malinconico, divenuto sovrano del regno alla morte della nonna Palmira, bisbetica, dispotica e litigiosa, protagonista di rumorosissimi battibecchi con il suo consigliere, il pappagallo Lucien, che spaventavano a morte il piccolo Oreste, il quale trovava consolazione e conforto fuggendo nella foresta e ascoltando il canto degli uccelli.

 

La prima decisione di Oreste da sovrano è promulgare una legge che impone il silenzio in tutto il regno. Terramafiusa si trasforma nel paradiso del viaggiatore ferroviario dei nostri tempi: tutti parlano a bassa voce, la musica diffusa è proibita e l’unico suono ammesso è, appunto, il canto degli uccelli. Il pappagallo Lucien, reo di avere una voce sgraziata e sonora, viene relegato in una gabbia e lasciato lì a vegetare.

 

 

 

 

k

 

Ma, come in ogni favola che si rispetti, le cose non vanno sempre per il verso giusto: per rimettere le cose al loro posto serviranno gli interventi di Lucien e di Violante, una dama di compagnia segretamente innamorata di Oreste, che aiuteranno il principe malinconico a trovare il suo sorriso. In quale modo e dopo quali avventure ci riuscirà, lo taccio. Ricordo solo l’aggettivo “ariostesco” attribuito all’opera grafica di Gnoli ma riferibile anche, senza alcun dubbio, alla sua scrittura.

 

 

Vale, però, la pena fare una riflessione su un momento molto importante della vicenda narrata da Gnoli: una situazione che, con il senno di poi, potrebbe essere definita “preveggente” quando, invece, sono convinto che si trattasse nelle intenzioni dell’autore solo del desiderio di creare una situazione surreale e allo stesso tempo ridicola e disperata.

 

Il pappagallo Lucien, privato del suo importante incarico di consigliere, allontanato da Terramafiusa e imprigionato, grazie all’aiuto di Violante scava un tunnel segreto, ma, invece di cercare la libertà, dopo l’immane sforzo di scavo

 

( IMMAGINE SOTTO )

 

finisce per scegliere di spendere tutte le proprie risorse – cioè, le penne della sua coda, desiderate da un custode che sogna di diventare un capo pellerossa – per avere accesso al Padiglione delle Gioie Speciali, nel quale un untuoso imbonitore di nome Gaston si dà da fare per appagare il suo desiderio di sentirsi gratificato, amato, festeggiato. Una grottesca e farlocca fiera delle vanità che ricorda molto da vicino qualcosa di quotidiano per tutti noi.

 

 

A ventitré anni dalla pubblicazione, esce l’edizione italiana di questo libro illustrato, per i tipi del Saggiatore. La traduzione del testo, di Maria Baiocchi, è impeccabile. Più discutibile quella della forma del libro. La scelta del formato ridotto è comprensibile, anche se per il prezzo di copertina di 35 euro non è difficile trovare in libreria albi illustrati di grande formato; quel che fatico a comprendere è la scelta di un formato di proporzioni diverse dall’originale, che ha obbligato l’impaginatore a tagli delle immagini un po’ troppo arditi, con mutilazione di piedi e di becchi, taglio di cartigli, riduzione degli spazi marginali, producendo una generale sensazione di “costrizione”. Le leggi dell’economia della produzione libraria sono ferree, ma non ineludibili al punto da imporre il sacrificio delle caratteristiche originali dell’opera: una progettazione tecnica più attenta avrebbe risparmiato un fastidio a quei pochi che hanno avuto per le mani l’edizione originale ed evitato quella che credo sia una certa mancanza di rispetto per l’autore e un aspetto fondamentale della sua opera, sacrificato sull’altare dell’economia produttiva e forse anche dell’uniformità di caratteristiche di una collana. Il libro rimane bello e godibile e di questo difetto si accorgeranno in pochi. Ma è comunque un peccato.

 

<confronto Terramafiusa.jpg>, L’ORIGINALE E L’ATTUALE 

 

 

 

che faccia simpatica che ha !

Paolo Canton

editore

Paolo Canton è nato e vive a Milano. Studia teoria economica alla Bocconi e si laurea con una tesi sul settore dell’editoria periodica. Inizia a lavorare nel 1985, alla Franco Maria Ricci Editore.

Nel 1997, insieme Giovanna Zoboli, fonda Calamus, una società di comunicazione tuttora attiva. Per la propria clientela, Calamus sviluppa progetti che coinvolgono diversi illustratori e realizza, insieme a Guido Scarabottolo, una collana di piccole strenne natalizie: I libri a naso.

Da questa esperienza, nel 2004 nasce la casa editrice Topipittori che a oggi ha 200 titoli in catalogo, alcuni dei quali tradotti in decine di lingue, e ne pubblica circa 20 all’anno. Nel novembre 2011 è stato nominato Chevalier dans l’Order des Arts et des Lettres dal ministero della Cultura francese. Insegna progettazione del libro alla Scuola internazionale di Illustrazione “Stepan Zavrel”, Storia del libro e dell’illustrazione e Metodologie di progettazione per la comunicazione visiva allo IED di Torino; e tiene regolarmente workshop alla HAW di Amburgo e alla FILJI di Città del Messico.

NOTA — wokkshop — in senso proprio = laboratorio,  traslato: un gruppo di persone che si riunisce per lavorare insieme su temi specifici

da : CHEFARE
https://che-fare.com/network/paolo-canton

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CARLA CERATI, IMPEGNO SOCIALE E POLITICO — dal blog di SARA MUNARI — altra grande fotografa / Link sotto ” Musa Fotografica ” + altro su Basaglia

 

 

segue da : SARA MUNARI BLOG:

Carla Cerati, impegno sociale e politico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SAGGIATORE, FEBBRAIO 2024

 

Morire di classe (1969) da tempo non era più reperibile nelle librerie. Abbiamo deciso di ripubblicarlo ora, nella sua integrità, perché possa testimoniare alle nuove generazioni quale fosse la condizione dei malati mentali prima della rivoluzione di Franco Basaglia, di Franca Ongaro Basaglia e di tutte le donne e gli uomini che insieme a loro hanno operato per scardinare quel sistema. Un lavoro collettivo che ha segnato una svolta epocale nella gestione della salute mentale e ha portato all’approvazione della legge 180. (Alberta Basaglia, Luca Formenton)

Ringraziamo Elena Ceratti e Gianni Berengo Gardin per la collaborazione alla nuova edizione di questo libro «simbolo».

 

Franco Basaglia (Venezia, 1924-1980) è stato uno psichiatra e neurologo italiano, principale promotore della riforma psichiatrica in Italia, divenuta legge nel 1978. Il Saggiatore ha pubblicato Scritti (2023) e Morire di classe (curato insieme a Franca Ongaro Basaglia, con le fotografie di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin; 2024).

 

 

Conferenze brasiliane raccoglie gli interventi tenuti da Franco Basaglia in Brasile l’anno prima della sua scomparsa. In questa sorta di testamento intellettuale, Basaglia riflette pubblicamente sul significato complessivo dell’impresa che ha attraversato la sua vita, discute le proprie idee e il proprio approccio alla malattia mentale e analizza retrospettivamente i passaggi che hanno portato alla riforma del sistema di cura psichiatrica.

Quando, tra il giugno e il novembre del 1979, Franco Basaglia si reca a San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte per dialogare con studenti, professori, medici, psicoterapeuti e sindacalisti, la realtà che lo circonda è in una fase di grande mutamento: il mondo è ancora diviso in blocchi, ma l’onda degli anni sessanta ha già prodotto trasformazioni storiche significative, tra cui, in Italia, l’introduzione del divorzio, la regolamentazione dell’aborto, l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e l’approvazione della «legge 180», che ha chiuso gli ospedali psichiatrici e istituito i servizi di salute mentale. In questi incontri il medico parla di una società che deve imparare a prendersi cura di ciascuna persona e di una psichiatria che deve uscire dagli ospedali ed entrare nella vita delle persone, per «essere nel mondo» concretamente. Nel confronto complice e critico con il pubblico, Basaglia illustra come il cambiamento debba iniziare da ognuno di noi: come sia necessario affrontare la contraddizione dei rapporti con l’altro, dare valenza positiva al conflitto, alla crisi, all’indebolirsi dei ruoli e delle identità; perché solo così le difficoltà potranno diventare occasioni di crescita per se stessi e per la società. 

Le parole di Basaglia sono un appello che giunge intatto anche a noi. Questo libro non rappresenta infatti solo una testimonianza storica, ma è un invito a riscoprire un pensiero che sfida ancora oggi le convenzioni e i soprusi, spingendoci a costruire un mondo più giusto e inclusivo.

 

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Ti scrivo, ti scrivo! di Roberto Rododendro — una favola orientale dalle ” Mille e una notte , XXI secolo- oggi ” — ( datata 2023 ) – ” inviolata restando soltanto la memoria “.

 

 

 

Bella questa poesia che racchiude come in un fiore, la turpitudine e la meraviglia della vita e della morte.- Donatella ( commento )

 

 

Fotogiornalismo. Dead or alive?Letizia Battaglia — Palermo, 1976 –
courtesy Galleria Cesare Manzo, Pescara-Roma

 

 

 

Ti scrivo, ti scrivo!
la città ad oriente
(e il Signore Iddio piantò un giardino ad Oriente
in Eden, e laggiù pose l’uomo che aveva creato
e Caino si allontanò dalla presenza del Signore
e abitò nella terra di Nod, a Oriente di Eden)
Genesi
A un mercato delle pulci
di una città orientale
così ad oriente orientata
che non si raggiunge mai
che solo esiste all’alba
e per raggiungerla bisogna
invertire l’ordine del tempo
così che al giorno si sussegua il giorno
perché cammina cammina
incontro al sole
con le piaghe ai piedi
la gola riarsa il cervello un fuoco
ma sempre torna la notte
A quel suck
di quella città tanto orientale
che non sempre esiste
perche il sole non nasce tutti i giorni
stanco incarognito sporco debilitato
così rattristato sporco disorientato
che ormai nasce solo al tramonto
giusto per morire
Era un mercato come tanti
visto da vicino
con donne che vendono pane
bambini fatti storpi che bevono vino
ladretti che frugano le tasche
con dita leggere
e i morti lasciati nella polvere
un po’ disfatti un po’ risorti
Io ci sono stato e c’era
un negozietto sporco sporco
con perline all’ingresso tintinnanti
per le mosche che cozzano contro
tenaci organizzate come legioni
c’era un vecchio d’età indefinita
da poter essere bambino
o donna col fiore negli anni
occhi verdi e vuoti
uno sguardo vivace e limpido
un po’ turpe che guardava oltre me
oltre la porta tintinnante oltre la vita
oltre tutto se qualcosa ancora c’è
oltre nulla se più nulla avanza
con orbite vuote
come una casa da sempre disabitata
o mai costruita
Ma era lì e lì entrai
per un caso o una maledizione
come un miracolo che beatifica
o un delitto oltre l’ignobile
ma non si sa mai
in quel bazar io rovistai da solo
perchè io solo c’ero e non sapevo
quel che volevo
o non volevo trovare mai
col vecchio cieco gli occhi limpidi
forse un bambino dagli occhi vecchi
o una ragazza dagli occhi vuoti
colmi di tutto
che mi picchiava con il bastone
nodoso e antico come un albero secolare
che mi picchiava sulla testa e sulle mani
su tutto il corpo
che bestemmiava oscenità
come un angelo seduto a un crocevia
che sputava preghiere sublimi
ed in ginocchio mi supplicava
la testa nella polvere
In quel tugurio della città orientale
cosi ad oriente da non esistere mai
fatta di polvere e di sterchi
e da niente d’altro che nuguli di mosche
picchianti all’impazzata sulle perline
creando un suono un suono multiplo
sembrava un organo di chiesa
trovai due specchi concavi
di pietra dura levigata e lucida
sotto strati di polvere e di tempo
perchè quel giorno nacque un’alba
ed una sola dopo tanti anni
limpida e luminosa sulle pietre concave
D’incanto o d’incubo
mentre il bambino dagli occhi opachi
piangeva urlando
o il vecchio il capo nella polvere
mi percuoteva col bastone nodoso e millenario
o la fanciulla coi pochi giorni in fiore
rideva sguaiata
le vesti alzando sui fianchi stanchi
e le mosche entravano sciamando
come due specchi essendo
le pietre concave levigate e lucide
come in un occhio in un volto antico
mi vidi dentro da cima a fondo fin dall’inizio
dal primo giorno di tutti noi
o l’ultimo che fosse dei miei
e neanche un angolo buio
neanche un angolo
e nemmeno uno spiraglio di luce
Scappai urlando verso occidente
cosi a occidente tanto era lontano
che non raggiunsi mai il buio che cercavo
E sono ancora là
dove sono sempre stato
dove sono nato
bambino e vecchio gli occhi bianchi
e donna con gli anni in un fiore racchiusi
che percuote col nodoso bastone e duro
alla cieca le mosche
che mi scorticano l’anima nidificando
inviolata restando soltanto la memoria.
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” GENOCIDIO DI GAZA ” +++ IL DOCUMENTO SCRITTO DI LEE MORDECHIAI, ISRAELE, PROF. UNIVERSITA’ GERUSALEMME – PUBBLICATO SUL SUO SITO X — +++ ( L’abbiamo scoperto da ::: ) ROBERTO DELLA SETA, Lee Mordechai: «Un archivio del genocidio contro l’oscuramento» — Intervista allo storico israeliano, autore di un resoconto dettagliato, a partire dal gennaio 2024, delle pratiche militari israeliane e dei loro effetti

 

 

La testimonianza di Lee Mordecai è eroica. Non credo che sia facile testimoniare in questo modo la realtà del suo Paese, in mezzo ad un’opinione pubblica a maggioranza favorevole all’annientamento dei Palestinesi. Ha scelto di non stare in silenzio, atteggiamento che hanno invece le “nostre” democrazie occidentali, con i loro presunti valori. L’Europa, sorta dalle tragedie immani di due guerre mondiali, non osa dire una parola, agendo in modo totalmente opposto ai suoi famosi principi, che si possono riassumere in ” mi parli no”. Che vergogna!
DONATELLA ( Commento )

 

 

 

LEE MORDECHAI
Professore associato presso  @HebrewU;  si occupa di storia bizantina, storia ambientale, la peste giustinianea e l’evento del 536. Le opinioni sono personali. ( traduz. Google)

 

Immagine

FOTO E PROFILO DAL SUO X-
LINK :
https://x.com/leemordechai

 

nota:   Hebrew University  @HebrewU  link X
La principale istituzione accademica e di ricerca israeliana, al servizio di 25.000 studenti provenienti da 90 paesi ( traduz. google dal link X)

 

 

DAL SUO X —

*** IL DOCUM, IN INGLESE, SE AVETE LA TRADUZ. AUTOMATICA…

testimonianza della guerra Israele – Gaza  — DOCUMENTO COMPLETO
https://witnessing-the-gaza-war.com/

 

DI SEGUITO E’ TRASCRITTO DAL DOCUMENTO– traduz. automatica

leggi il documento completo in inglese

https://witnessing-the-gaza-war.com/wp-content/uploads/2025/03/Gaza_English-v6.6.0-9.3.25.pdf

È possibile leggere il  documento completo qui sopra (alcune parti sono aggiornate al periodo giugno 2024-marzo 2025) oppure concentrarsi su uno qualsiasi dei capitoli seguenti per approfondire argomenti specifici.

 

 

 

Capitoli del documento

Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2024

Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2024

Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 9 marzo 2025

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ingrandisci

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2024

Appendici

Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2024

Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2024

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testo   n. 1 – traduz. automatica

RIEPILOGO- PRIMO CAPITOLO ( vedi sopra )

Ultimo aggiornamento:1 29 novembre 2024

 

Io, Lee Mordechai, storico di professione e cittadino israeliano, testimonio in questo documento della situazione a Gaza mentre si stanno svolgendo gli eventi. L’enorme quantità di prove che ho visto, molte delle quali sono citate più avanti in questo documento, mi è stata sufficiente per credere che Israele stia commettendo un genocidio contro la popolazione palestinese a Gaza. Spiego di seguito perché ho scelto di usare questo termine. La campagna di Israele è apparentemente la sua reazione al massacro di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi nel contesto del lungo conflitto tra israeliani e palestinesi, risalente al 1917 o al 1948 (o ad altre date). In ogni caso, le lamentele e le atrocità storiche non giustificano ulteriori atrocità nel presente. Pertanto, considero la risposta di Israele alle azioni di Hamas del 7 ottobre del tutto sproporzionata e criminale.

I paragrafi di questo riassunto contengono il riassunto di sezioni molto più lunghe, un paragrafo per ciascuna sezione. Ogni sezione include da decine a centinaia di riferimenti che portano alle prove a supporto su cui baso la mia valutazione. Questa versione del documento amplia notevolmente la versione precedente del 18 giugno 2024 , aggiungendo molti contenuti e prove alle sezioni esistenti, aggiungendo nuove sezioni (un’appendice sulla metodologia e un focus sulla campagna di ottobre-novembre 2024 nel nord di Gaza) e rispondendo alla discussione da essa avviata. Data l’enorme quantità di materiale e l’espansione della guerra, in questa versione passo dall’aggiornamento dell’intero documento a un modello che aggiorna le sezioni separatamente, a partire dall’inizio.

Nell’ultimo anno, Israele ha ripetutamente massacrato i palestinesi a Gaza, uccidendone oltre 44.000 – di cui almeno il 60% donne, bambini e anziani – al momento in cui scrivo. Almeno centomila altri sono rimasti feriti e più di 10.000 risultano ancora dispersi. Esistono ampie prove degli attacchi indiscriminati e sproporzionati di Israele durante la guerra, così come numerosi esempi di massacri e altre uccisioni. Molte istituzioni internazionali hanno duramente criticato la condotta bellica di Israele.

Israele ha attivamente tentato di causare la morte della popolazione civile di Gaza. Israele ha creato la carestia a Gaza come politica di fatto e l’ha usata come arma di guerra, causando la morte accertata di decine di civili (principalmente bambini) per fame. Israele ha creato carenze di acqua, medicine ed elettricità. Israele ha anche smantellato il sistema sanitario e le infrastrutture civili di Gaza. Di conseguenza, un numero maggiore di persone muore per patologie curabili e procedure mediche difficili come amputazioni e cesarei vengono eseguite senza anestesia. Il tasso di mortalità complessivo a Gaza è sconosciuto, ma è quasi certamente molto più alto del bilancio ufficiale delle vittime.

Il discorso israeliano ha disumanizzato i palestinesi a tal punto che la stragrande maggioranza degli ebrei israeliani sostiene le misure sopra menzionate . La disumanizzazione è stata guidata dai più alti funzionari statali israeliani e continua a essere sostenuta attraverso le infrastrutture statali e l’esercito. La disumanizzazione è ampiamente diffusa anche nella società civile più ampia. Parlare dei palestinesi con un linguaggio genocida è legittimo nel discorso israeliano. La disumanizzazione si traduce in abusi e violenze diffuse nei confronti dei palestinesi detenuti e dei civili di Gaza e delle loro proprietà, il tutto con conseguenze pressoché nulle. La stragrande maggioranza dei contenuti disumanizzanti è condivisa dagli stessi israeliani ed è confermata dalle testimonianze palestinesi delle loro esperienze.

Le prove che ho visto e discusso indicano che uno degli obiettivi più probabili di Israele è la pulizia etnica della Striscia di Gaza, parziale o totale, allontanando il maggior numero possibile di palestinesi. Membri chiave del governo israeliano hanno rilasciato dichiarazioni a conferma di questa intenzione, e diversi ministeri israeliani hanno pianificato o lavorato per facilitare tale obiettivo, talvolta persuadendo o facendo pressione su altri stati. Israele ha già bonificato parti significative della Striscia di Gaza con demolizioni e sgomberi, tentando anche di distruggere il tessuto della società palestinese prendendo di mira deliberatamente istituzioni civili come università, biblioteche, archivi, edifici religiosi, siti storici, fattorie, scuole, cimiteri, musei e mercati. Finora oltre il 60% degli edifici nella Striscia di Gaza è stato distrutto o danneggiato.

Uno degli scopi della guerra, secondo il governo israeliano, è il rilascio degli ostaggi, circa 101 dei quali rimangono prigionieri di Hamas. Le prove dimostrano che, rispetto alla pulizia etnica, questa non è una priorità per il governo israeliano. Ad oggi Israele ha rilasciato sette ostaggi attraverso operazioni militari, uccidendone molti altri direttamente o indirettamente attraverso le sue azioni. Inoltre, ci sono numerose prove che Israele abbia bloccato i negoziati per il rilascio degli ostaggi o abbia tentato di ostacolarli in numerose occasioni. Membri del governo israeliano hanno anche attaccato le famiglie degli ostaggi e i loro collaboratori hanno tentato di impedire loro di esprimersi politicamente.

 L’attenzione globale su Gaza, e talvolta su Libano, Iran e Siria, ha distolto l’attenzione dalla Cisgiordania. Lì, le operazioni israeliane, condotte attraverso i suoi militari o i suoi coloni dall’inizio della guerra, hanno portato all’uccisione di oltre 700 palestinesi, alla pulizia etnica di almeno 20 comunità locali, nonché a un forte aumento dei livelli di violenza, abusi e umiliazioni nei confronti dei palestinesi da parte sia dello Stato israeliano che dei coloni ebrei.

Tutto quanto sopra è stato reso possibile grazie al forte sostegno della maggior parte dei media mainstream in Israele e in Occidente, principalmente negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania. Fin dall’inizio della guerra, Israele ha condotto una campagna informativa che ha enfatizzato gli orrori degli attacchi del 7 ottobre con affermazioni fattuali sia affidabili che inaffidabili, flussi di informazioni limitati da Gaza, voci critiche screditate al di fuori di Israele e un dibattito interno limitato per mobilitare l’opinione pubblica israeliana intorno alla guerra. Di conseguenza, i media e il dibattito israeliani rimangono prevalentemente e acriticamente a favore della guerra, con molte istituzioni e individui che si autocensurano. I media mainstream negli Stati Uniti condividono gran parte di questo approccio. Indagini approfondite sulla campagna diffamatoria israeliana contro l’UNRWA e sui persistenti dubbi sul numero delle vittime palestinesi rivelano che entrambi i casi sono propaganda infondata. Tutto quanto sopra normalizza la violenza e le azioni israeliane presentandole come legittime, distoglie l’attenzione dalla realtà di Gaza e contribuisce alla disumanizzazione dei palestinesi.

Il sostegno pressoché totale degli Stati Uniti è stato fondamentale per la condotta della guerra da parte di Israele. Questo sostegno si è concretizzato in aiuti militari, dispiegamento di risorse militari e di altro tipo, supporto diplomatico ferreo, soprattutto presso le Nazioni Unite, e svincolando Israele dai meccanismi di controllo e di seria responsabilità statunitensi. Nonostante una retorica a volte critica, di fatto gli Stati Uniti hanno fornito a Israele un sostegno senza precedenti. I dissidenti negli Stati Uniti – sia dipendenti pubblici che gruppi consistenti della società americana – hanno avuto poca o nessuna influenza sulla politica statunitense.

Esamino eventi più specifici in tre sezioni approfondite come casi di studio di molti dei temi descritti sopra:

  1. Il secondo raid all’ospedale al-Shifa a fine marzo 2024
  2. Le proteste studentesche negli Stati Uniti nell’aprile e nel maggio 2024
  3. L’operazione militare nella Striscia di Gaza settentrionale nell’ottobre e novembre 2024 (in corso)

Le prove che ho visto e che descrivo di seguito mi sono state sufficienti per credere che ciò che Israele sta attualmente facendo alla popolazione palestinese di Gaza sia coerente con la definizione di genocidio così come la intendo io. Nelle due appendici del documento, spiego le mie motivazioni per l’utilizzo di questo termine e discuto la mia metodologia.

 

 

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IL MANIFESTO  6 MAGGIO 2025
https://ilmanifesto.it/lee-mordechai-un-archivio-del-genocidio-contro-loscuramento

 

 

Lee Mordechai: «Un archivio del genocidio contro l’oscuramento»

 

Israele-Palestina Intervista allo storico israeliano, autore di un resoconto dettagliato, a partire dal gennaio 2024, delle pratiche militari israeliane e dei loro effetti: «Molti oggi in Israele e nel mondo non vedono i palestinesi come esseri umani. Questo ha reso legittima l’idea che dalle parole si possa passare ai fatti»

 

Bambini palestinesi rincorrono un camion di aiuti a Gaza foto Ap/Jehad Alshrafi

Bambini palestinesi rincorrono un camion di aiuti a Gaza – Ap/Jehad Alshrafi

 

«Molti oggi in Israele e nel mondo, anche in Europa, non vedono i palestinesi come esseri umani a pieno titolo, con diritti, speranze, sogni, affetti. Questo pensiero diffuso incoraggia alcuni israeliani ad agire in modi profondamente immorali. Non so in che misura la disumanizzazione dei palestinesi si traduca in atti concreti, ma il punto chiave è che ha reso legittima l’idea che dalle parole si possa passare ai fatti».

A PARLARE COSÌ è Lee Mordechai, storico israeliano che insegna all’Università di Gerusalemme. Dal gennaio 2024, approfittando di un periodo sabbatico trascorso all’Università di Princeton, ha dedicato buona parte del suo lavoro a stendere un resoconto dettagliato e continuamente aggiornato dei metodi e degli effetti della guerra di Israele a Gaza. Bearing Witness to the Israel-Gaza War( Testimoninaza della guerra tra Israele e Gaza )– il titolo del documento – è un rapporto tecnico, quasi un “verbale” dell’orrore che si sta consumando nella Striscia.

Documenta, sulla base di un ricchissimo apparato di fonti – filmati, testimonianze dirette, resoconti di soggetti terzi come le agenzie umanitarie: «tutte fonti verificate», sottolinea Mordechai -, uccisioni, distruzioni, atti di crudeltà gratuita compiuti dalle forze militari israeliane a Gaza e anche in Cisgiordania,

e descrive la marea montante di «parole pubbliche» che nutre questa violenza dilagante:

 

dal gruppo di medici israeliani che inneggia ai bombardamenti sugli ospedali di Gaza a un drone che imita il pianto di un neonato per attirare persone da colpire, dai 127mila follower ( coloro che seguono un sito sui media ) che condividono l’immagine di un bambino di Gaza con paralisi cerebrale morto di fame rappresentata come sequel del film E.T.,  a un rabbino della città santa ebraica di Tsefat che indica nei gazawi la personificazione di Amalek, simbolo nella Torah di ogni malvagità, e ne invoca l’annientamento.

 

«Ho voluto raccontare i fatti da ‘cronista’ – così Mordechai – usando le mie competenze di storico e adottando un linguaggio non emotivo, ma questo lavoro nasce da una spinta civile e politica: è per me una forma d’impegno sul tema dei diritti umani ed è anche una dichiarazione di amore verso il mio paese».

Che nomi dare al modo in cui Israele sta conducendo la guerra a Gaza? Mordechai rinuncia al distacco da storico, per lui è un immane crimine di guerra: «Le azioni condotte da Israele nella Striscia – scrive nel rapporto – soddisfano le condizioni che in base alla Convenzione di Ginevra identificano i reati di genocidio, pulizia etnica, punizione collettiva».

 

ISRAELE, documentano le pagine di Bearing Witness, persegue nei fatti e nelle intenzioni un progetto di eliminazione dei palestinesi dalla Striscia in quanto gruppo etnico e usa sistematicamente come arma di punizione collettiva contro un intero popolo il controllo sui flussi di cibo, medicine, elettricità verso Gaza. In meno di un anno e mezzo di guerra le persone uccise a Gaza sono state almeno 50 mila: di queste, per ammissione anche di funzionari pubblici israeliani, almeno due terzi erano civili (7mila bambini).

 

Questa strage di civili non ha uguali nelle guerre di questo secolo. Particolarmente devastante è stata l’opera di smantellamento delle infrastrutture sanitarie, con centinaia di interventi chirurgici e parti cesarei avvenuti in condizioni del tutto disumane e di altissimo rischio senza elettricità né possibilità di anestesia.

 

Dialogando con Lee Mordechai e scorrendo il suo rapporto, si capisce che ha scelto di impegnarsi in questo lavoro perché ritiene che la copertura della guerra di Gaza da parte dei media israeliani e occidentali sia in buona misura parte inaffidabile e incompleta: «Vi sono eccezioni, ma in generale quasi tutti i media, anche quelli apparentemente critici nei confronti del governo Netanyahu, hanno offerto un racconto ‘normalizzato’ di questa guerra e dei modi criminali in cui viene condotta. In Israele i media hanno del tutto oscurato la tragica crisi umanitaria creatasi a Gaza».

 

MORDECHAI VEDE nella guerra di Israele a Gaza il segno di una degenerazione profonda dello Stato e della società israeliane:

«Israele non è mai stata un esempio di democrazia e società aperta, la popolazione ebraica gode da sempre di maggiori diritti rispetto agli israeliani palestinesi. Ma ora è molto peggio. Nel 2000 mi arruolai nell’Idf, l’esercito israeliano: si combatteva contro nemici palestinesi, erano gli anni della seconda Intifada, ma i comportamenti disumani di molti soldati nella guerra attuale allora sarebbero stati impensabili. Un’analoga incapacità di discernere tra bene e male contagia tutta la società israeliana: oggi oltre il 60% degli ebrei israeliani si oppone agli aiuti umanitari a Gaza».

Non ha o comunque non dà risposte su quali siano le radici storiche e culturali di questo processo di “imbarbarimento”: «So che alcuni vedono le premesse di quanto sta accadendo nella stessa idea sionista. Ma cos’è il sionismo? È un termine troppo vago e indefinito: quasi nulla collega il sionismo dei coloni della Cisgiordania con quello degli ebrei della diaspora o dei ‘liberal’ israeliani. Per questo nel mio rapporto non uso mai né questa né altre parole con significati controversi: sionismo, antisemitismo».

Sul futuro Mordechai non è ottimista. Chiediamo della soluzione dei due Stati o quella di un unico Stato binazionale: «Non so. Oggi sembrano più vicine altre prospettive: la cacciata dei palestinesi dal fiume Giordano al mar Mediterraneo o il consolidamento in Israele di un sistema di apartheid. Io vorrei che qualunque fosse l’esito di questi ottant’anni di guerra, si basi su valori di eguaglianza e giustizia. Ma è un traguardo lontanissimo, sia politicamente e sia perché nel mio paese è sempre più forte l’idea di supremazia ebraica».

 

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Prima pagina de Il Manifesto di ieri, 6 maggio, TUTTO PER UNO ! + vignetta di Maicol

 

 

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FEDERICO BERTONI, Tomaso Montanari, ciechi alla meta di un disciplinato capitale umano. Un’analisi della brutale regressione che ha trasformato un sistema concepito per istruire a un solido pensiero critico in un incrocio di aziendalismo e baronato: «Libera università», da Einaudi – IL MANIFESTO 4 maggio 2025- ALIAS DOMENICA

 

 

 

Copertina del libro Libera università di Tomaso Montanari

Einaudi 2025
Vele
pp. 136
€ 13,00

 

 

 

 

IL MANIFESTO  – 4 MAGGIO 2025
https://ilmanifesto.it/tomaso-montanari-ciechi-alla-meta-di-un-disciplinato-capitale-umano

 

Alias Domenica

Tomaso Montanari, ciechi alla meta di unm disciplinato capitale umano

Fra potere e sapere Un’analisi della brutale regressione che ha trasformato un sistema concepito per istruire a un solido pensiero critico in un incrocio di aziendalismo e baronato: «Libera università», da Einaudi

 

Federico Bertoni — Università di Bologna — Home Page

foto- Università di Bologna

 

Federico Bertoni ( Bologna 1970 ), 

è Professore Ordinario di Teoria della Letteratura presso l’Università degli Studi di Bologna. Fra i suoi lavori ricordiamo: Realismo e letteratura. Una storia possibile, Einaudi, 2007 e La verità sospetta. Gadda e l’invenzione della realtà, Einaudi 2001.

da :https://www.ledizioni.it/autori/federico-bertoni/

 

 «Non è il momento di tacere: è il momento di dare l’allarme». In realtà non è mai il momento di tacere, soprattutto all’università, che dovrebbe essere la fonte stessa dello spirito critico e che invece, ogni giorno di più, ristagna in una palude di consenso, conformismo, acquiescenza, rassegnazione, preda ormai imbelle di quelle che Spinoza chiamava «passioni tristi».

Però Tomaso Montanari ha ragione fin dalla prima riga del suo pamphlet appena uscito per le «Vele» EinaudiLibera università: «questo non è un momento qualunque», e bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: l’Italia è governata «da un partito di matrice fascista», la reazione alle mobilitazioni studentesche contro il genocidio a Gaza è stata «una violenta repressione», e l’università, come altri settori vitali per la tenuta democratica e l’equilibrio dei poteri, rischia «di essere messa alla catena del potere esecutivo».

Il libro è scritto dall’interno, anzi dal cuore del mondo accademico (Montanari è rettore dell’Università per Stranieri di Siena), ma la sua vera posta in gioco è parlare «a chi sta fuori», perché l’università è da sempre un microcosmo esemplare, un modello in scala, un laboratorio in cui certi processi politico-sociali si mostrano in anticipo o in forma amplificata.

Di qui, un appello sottotraccia rivolto al mitico uomo della strada: caro concittadino, qui si parla anche di te; l’università non è la torre d’avorio del cliché, ma un termometro della libertà del paese; e se andrà definitivamente in malora, se tradirà il suo spirito critico e sovversivo, se diventerà un ufficio di collocamento per piazzare manovalanza a basso costo, non solo sfumeranno le ultime possibilità che lo studio sia un diritto e un mezzo di emancipazione sociale, ma anche la qualità democratica della vita pubblica verrà gravemente degradata. Del resto, quanto siano fragili le conquiste democratiche lo sta mostrando drammaticamente il quadro politico globale, Stati Uniti in testa, dove infatti censure, intimidazioni e licenziamenti stanno colpendo l’università ad alzo zero.

Dunque un libro polemico, appassionato, dichiaratamente «militante», che però cerca di traguardare il presente alla luce del passato, ricostruendo con puntualità storica alcune fasi salienti nella dialettica tra università e potere:

la riforma Gentile, il giuramento fascista, la fase costituente, la legge sull’autonomia del 1989, la legge Gelmini del 2010, l’ignavia (o la complicità) del centrosinistra, fino ai pessimi provvedimenti del governo attuale. A guidare l’argomentazione sono due parole-chiave, «libertà» e «autonomia», di cui Montanari addita il nesso organico nell’articolo 33 della Costituzione, tra primo e sesto comma: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; «Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Un baluardo antifascista con cui rispedire al mittente qualunque attacco dei potenti o dei loro tirapiedi.

Per chi conosce le cose dall’interno, ci sono due aspetti che il libro tocca ma che rischiano di finire un po’ in secondo piano, perché fanno meno notizia rispetto allo scontro frontale con il potere politico. Il primo è la responsabilità dell’università stessa, che negli ultimi decenni ha fatto davvero del suo peggio per ridursi in questo stato. In realtà Montanari lo sa bene, perché «siamo noi professori a doverci battere il petto, per aver supinamente accettato un modello universitario assai più dedito a formare un disciplinato “capitale umano” che non ad alimentare un solido e attrezzato pensiero critico».

C’è infatti un nesso stringente, assolutamente decisivo, tra la vulnerabilità agli attacchi politici e l’involuzione neoliberale di cui tutto il corpo docente è stato complice o corresponsabile. Perché la libertà accademica non è minacciata solo dal nemico esterno, ma anche e soprattutto dal nemico interno, che è l’universitario stesso nel momento in cui introietta un modello di sapere acritico, disciplinato, asservito alla competizione, alla misurazione quantitativa, agli indicatori prestazionali, a una qualità intesa solo in senso procedurale, cioè come quality assurance ( = garanzia di qualità ) di marca aziendale.

Se trasformiamo l’università in una macchina tecnocratica governata da oligarchie sempre più opache, azionata da un grottesco connubio di aziendalismo e servitù volontaria, in cui gli spazi del dissenso vengono sterilizzati, non possiamo stupirci che l’autonomia si riduca a un fatto puramente contabile (far quadrare il bilancio) e la libertà della scienza a una delle tante lettere morte della Costituzione, ben prima delle rozze incursioni di qualche neofascista al potere.

Il secondo aspetto è il ruolo decisivo dei fattori materiali, che lo scontro ideologico rischia talvolta di offuscare. Per cambiare davvero l’università, serve forse meno idealismo e più materialismo storico. Non ci può essere libertà di pensiero senza affrancamento dai bisogni e da un sistema ferocemente gerarchico.

I fattori materiali sono innanzitutto i finanziamenti, non solo scarsi e ulteriormente tagliati da questo governo, come denuncia Montanari, ma sempre più vincolati a un perverso sistema premiale: un «progettificio» in cui l’accesso alle risorse è eterodiretto, spesso controllato da stakeholders ( = parti interessate ) e interessi privati, con tanti saluti alla libertà di ricerca e al bene comune.

 

Anche la tragedia umana e civile del precariato si coglie materialmente nella parcellizzazione delle figure precarie che di legge in legge, di riforma in riforma, si sono accumulate nel corso degli anni, una giungla di contratti e profili giuridici differenziati che stroncano alla base, non dico una coscienza di classe, ma qualunque mobilitazione solidale e organizzata.

Il tutto si innesta poi su un apparato gerarchico tardo-feudale come quello dell’università, che le riforme degli ultimi decenni non hanno fatto che peggiorare.

L’uomo della strada probabilmente non lo sa, ma la legge Gelmini del 2010, reclamizzata con il brand «riforma antibaronale», ha ristretto ancor più il potere al vertice, in un mostruoso incrocio di aziendalismo e baronato: rettori autocrati, consigli d’amministrazione potentissimi, organi di rappresentanza aboliti o svuotati, precariato messo a sistema, tutto il potere accentrato nelle mani dei professori ordinari. Chissà se dall’abisso di questa «brutale regressione», come la chiama giustamente Montanari, ci sarà mai modo di risalire, per costruire davvero l’università libera e antifascista disegnata dalla Costituzione, l’università come bene comune, spazio extraterritoriale in cui progettare ancora l’utopia.

 

 

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grazie, come sempre, alla bella Donatella ! — Zélia Gattai ( 1916- 2008 ), genitori e nonni italiani, nasce a San Paulo in Brasile. Per trentanni è la compagna dello scrittore Jorge Amado. Inizia a scrivere storie dai suoi ricordi nel 1979 a 63 anni

 

 

 

Donatella, a  Milano, qualche tempo fa-

 

 

 

Anarchici, Grazie A Dio - Gattai Zelia | Libro Sperling & Kupfer 09/2002 - HOEPLI.it

da : 
https://www.hoepli.it/libro/anarchici-grazie-a-dio/9788820034405.html

 

 

“Anarchici, grazie a Dio” è il fresco e brioso racconto dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autrice, trascorse fra ristrettezze e sacrifici, ma colorate di emozioni e ricche di avvenimenti. E’ l’odissea di una grande famiglia di italiani emigrati in Brasile alla fine del 1800, personaggi dalla straordinaria vitalità, coraggiosi sognatori che avevano lasciato la patria per poter sopravvivere o sperando di costruire un mondo migliore. Sullo sfondo scorrono gli eventi storici di quegli anni: la fondazione della Colonia Cecilia, primo esperimento di comunità socialista in Brasile, al quale parteciparono anche i nonni paterni dell’autrice, il proliferare delle riunioni operaie e delle associazioni anarchiche, la vicenda di Sacco e Vanzetti, l’instaurarsi del fascismo in Italia… Avvenimenti pubblici e privati che la memoria intreccia in un vivace affresco, completato da deliziose foto d’epoca.

 

 

Zélia Gattai

São Paulo 1916 – Salvador 2008

 

 

 

Ritratto di Zelia Gattai. Cortesia di Acervo Fotográfico Zélia Gattai/Fundação Casa de Jorge Amado.

 

 

Jorge Amado - Wikipedia

foto : Jorge Amado nel 1935

 

JORGE AMADO- all’anagrafe Jorge Leal Amado de Faria
( Distretto di Itabuna10 agosto1912 – Salvador de Bahia6 agosto2001),

 

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La casa di Ilhéus dove Jorge Amado trascorse l’infanzia e l’adolescenza. Il palazzo fu costruito in stile neoclassico sul finire degli anni Venti dal padre, João Amado Faria e ospita dal 1997 la Casa de Cultura Jorge Amado.

 

Ilheus (BA)

Sono sicuro che alla maggior parte dei lettori che hanno letto “Ilhéus” verrà subito in mente “Gabriela, cravo e canela” (1958), un romanzo classico di Jorge Amado.

Fu in questa città, immortalata nell’opera, che Amado trascorse la sua infanzia e adolescenza. Il Centro Storico ospita il Centro Culturale Jorge Amado , la dimora in cui visse lo scrittore durante quel periodo e dove scrisse “Il paese del Carnevale” (1931). Inizialmente si trattava di una modesta casa, ma il padre dell’autore vinse alla lotteria e ampliò la residenza.

Centro Culturale Jorge Amado a Ilhéus BahiaCentro Culturale Jorge Amado, a Ilhéus

 

I visitatori di Ilhéus potranno anche vedere le statue dell’autore e visitare due luoghi celebri raffigurati in “Gabriela”, realmente esistiti: il famoso Bar Vesúvio e il Bataclan, un ex cabaret, oggi discoteca, ristorante e spazio culturale.

 

 

 

 

Gabriella garofano e cannella - Jorge Amado - copertina

Gabriella garofano e cannella

 

 

 

Enciclopedia delle donne

pubblicato nel 2012 — rivisto nel 2023

https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/zelia-gattai

 

 

 

 

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Casa de Jorge Amado, Largo do Pelourinho
Salvador , Bahia

 

 

 

 

 

Fondazione Casa Jorge Amado Salvador

Fondazione Casa Jorge Amado Salvador –
da : https://www.fuiserviajante.com/bahia/pelourinho-salvador/

 

 

 

 

Di Antonella Rita Roscilli ( al fondo il suo libro )

 

 

 

 

Le tre razze di Carybé (1911-1997) -a sinistra:  l’europea, in centro gli Africani, a destra gli Indios, i Nativi Americani- vedi sotto

 

nota _

CARYBE’  – Héctor Julio Páride Bernabó  (Lanus, Argent. 7 febbraio 1911- Salvador, Bahia, 2 ottobre 1997) è stato un artista , ricercatore , scrittore , storico e giornalista argentino-brasiliano

Il suo soprannome e nome artistico , Carybé , un tipo di piranha, deriva dal suo periodo negli scout.  Ha prodotto migliaia di opere, tra dipinti, disegni, sculture e schizzi. Era un Obá de Xangô , una posizione onoraria presso Ilê Axé Opô Afonjá

fine nota

 

 

 

 

Scrittrice, memorialista e fotografa, Zélia Gattai ama definirsi “contadora de histórias” (raccontatrice di storie) e pubblica 11 libri di memorie, 3 favole, 1 romanzo e una fotobiografia. 

Nasce a São Paulo, nipote e figlia di emigranti italiani, “liberi pensatori” che hanno attraversato l’oceano alla ricerca di una vita migliore portando con sé i loro ideali.

Il padre Ernesto Gattai è meccanico e appartiene a una famiglia toscana che alla fine del secolo XIX partecipa al sogno della Colonia Cecilia, un esperimento socialista e anarchico, voluto da Giovanni Rossi, nel Paraná.

 

La madre, Angelina da Col, è operaia ed è di una famiglia veneta cattolica giunta in Brasile per lavorare nelle piantagioni di caffè, dopo l’abolizione della schiavitù, avvenuta nel 1888.

 

Ultima di cinque figli, Zélia trascorre l’infanzia e l’adolescenza in mezzo alle prime manifestazioni operaie e anarchiche nei quartieri degli immigrati. Insieme ai genitori partecipa alle riunioni politiche nei locali delle Classi lavoratrici ove vende i giornali socialisti «La Difesa» e «La lanterna».

 

Durante la dittatura di Getulio Vargas ( 1937- 1945 ), suo padre viene gettato in carcere e torturato, con l’accusa di essere un sovversivo. Quando ne esce, la sua salute è minata a tal punto che muore di febbre tifoide nel 1940, all’età di 54 anni.

 

 

Una bella foto di Bahia, il Pelourinho, anche se la casa di Jorge Amado l’avete già vista.

 

 

nota :

Pelourinho era un nome comune con il significato di “colonna di pietra o di legno, collocata in luogo centrale o pubblico dove i criminali venivano esibiti e puniti” (Dizionario Houaiss). 

Pelourinho divenne il luogo della gogna dove gli schiavi venivano puniti e frustati in pubblico.

 

 

 

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Altra foto di Bahia– Vista do Largo do Pelourinho em Salvador –  foto §André Urel – Opera propria

 

 

 

Mappa dei quartieri di

Mappa dei quartieri di Salvador, Bahia– Porto
André Koehne – Opera propria

 

 

 

Porto ( un aspetto ) di Salvador, Bahia
Pedro Mello | Fotógrafo– instagram.com

 

 

 

 

Foto Manu Dias/AGECOM

il porto di Salvador

 

 

 

 

 

la stessa foto, dettaglio

Foto Manu Dias/AGECOMPorto di Salvador
Wikipedia

 

 

Salvador-de-Bahia-favela-©-oltreilbalcone | oltreilbalcone

Una favela di Salvador
foto di Corinna Agostoniu. Oltre il Balcone

 

 

 

Salvador de Bahia: spiagge, capoeira e favelas – Viaggio nel Mondo

Una stradina di Salvador–
Travel Magazine

 

 

«Tu sei la mia speranza» dice il padre prima di morire  alla figlia.

Ciò spinge Zélia a impegnarsi ancor più e a lottare per la giustizia. Nel maggio 1945 partecipa ai movimenti per i diritti sociali e collabora alla preparazione dei comizi per l’amnistia dei prigionieri politici.

 

Jorge Amado e la moglie Zélia Gattai ( entrambi reduci di un matrimonio finito male ) nella loro casa di Rio, nella Baixada Fluminense, all’epoca una zona un po’ fuori di Rio, nel 1945

 

 

In questa occasione ( lotta per l’aministia dei prigionieri politici ) conosce lo scrittore Jorge Amado che già è molto noto e ha patito il carcere e l’esilio per l’impegno nella sinistra brasiliana. I suoi libri sono stati sequestrati e bruciati nella pubblica piazza. Zélia li ha letti tutti. Considera Jorge un uomo coraggioso e pieno di fascino.

L’amore tra i due nasce con la complicità di una canzone di Dorival Caymmi, amico di Jorge e con una singolare dichiarazione di amore, alla quale assiste un illustre amico: Pablo Neruda.

Inizia così la loro vita in comune e Zélia collabora con Jorge occupandosi della revisione dei testi dei romanzi.

 

Lo sostiene anche nella campagna elettorale come deputato alla Camera federale, ove viene eletto nel 1946:

rimangono memorabili le leggi da lui proposte sul diritto d’autore e la libertà di religione,“a clausola pétrea”* (disposizione non emendabile), cosa che ci mostra  il profondo rispetto che lo scrittore aveva per le classi subalterne, che sapeva molto legate alle religioni afro-brasiliane.

 

A Rio de Janeiro l’anno successivo nasce il figlio João Jorge, ma quando il partito comunista (PCB) viene dichiarato illegale, Zélia è costretta all’esilio con la sua famiglia.

 

Dal 1948 al 1952 vive a Parigi (frequenta il corso di Lingua e Civiltà Francese alla Sorbonne) e poi si trasferisce con Jorge in Cecoslovacchia ove nasce Paloma Amado, la seconda figlia.

 

In questo periodo inizia l’amicizia con intellettuali e artisti come Pablo Picasso, Nicolas Guillén, Jean Paul Sartre, Anna Seghers e Simone de Beauvoir con la quale stringe un’amicizia che durerà nel tempo.

 

Scrive Simone de Beauvoir (La forza delle cose):

 

«Per Zélia provai una simpatia immediata. Lei doveva alla sua origine italiana una natura e una freschezza giovanili, aveva molto carattere e comunicativa, uno sguardo acuto, la lingua pronta. Trovai molto tonica la sua presenza, anzi è una delle poche donne con le quali abbia riso!».

 

Durante l’esilio Zélia si dedica all’arte della fotografia e registra ogni momento importante della vita dello “scrittore di Bahia”.

 

Quando torna in Brasile, insieme a Jorge abita a Rio de Janeiro e, pur non essendo iscritta al PCB, ne è militante: viene designata per la raccolta dei fondi e organizza, anche nelle favele, seminari nei quali racconta l’esperienza vissuta durante l’esilio. Rimane comunque e sempre una “libera pensatrice”.

 

Nel 1963 insieme ai figli e a Jorge sceglie di vivere a Salvador, nel quartiere di Rio Vermelho e qui rimane fino alla morte di Jorge, avvenuta nel 2001.

 

 

Veduta della spiaggia di Rio Vermelho.

una foto del quartiere ( bairro ) Rio Vermelho ( Fiume rosso ) nel 2005
IKAROW – Flickr

 

 

 

Mapa de Salvador detalhado no entorno do Rio Vermelho.

Mappa di Salvador, intorno a Rio Vermelho– c’è anche la spiaggia ” Rio Vermelho ”
André Koehne – Opera propria

 

 

 

 

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Largo de Santana nel quartiere di notte, sullo sfondo l’acarajé de Dinha, oggi quartiere bohémien di Salvador- Dinha è quello sgabiotto sulla destra dove preparano da mangiare.
nota : L’Acarajé è una specialità gastronomica della cucina africana e afrobrasiliana, simile al falafel arabo del Medio Oriente; l acarajé è un alimento rituale dell’orixá Iansã

 

 

 

non definito

Una donna di Salvador che vende i suoi acarajé per strada–

 

 

 

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Festival Jemanjà ( la dea del mare  di origine africana: Iemanjá, creatrice dell’acqua e origine della vita, è considerata la madre di tutti gli dei e di tutti gli uomini e il suo nome, che in yoruba suona come Yeyé omo ejá, significa “madre i cui figli sono pesci”.  E’ identificata sincreticamente con Nostra Signora della Concezione, ossia, Maria, madre di Gesù- Un metodo che gli schiavi hanno dovuto adottare per sopravvivere all’invasione nelle loro teste delle religione cristiana, una volta deportati in Sud America.

 

alt="Celebrazione della festa di Iemanja"

Festa di Jemanjà a Bahia

Nel Mare per Iemanjà si buttano fiori bianchi, la gente si veste di bianco, e il 31 dicembre a Rio, facevano anche piccoli altarini nella sabbia, con una o più candele accese, a volte davanti ad un’immagine di Jemanjà o di Maria.

alcune foto sono di : https://www.laglobetrotter.it/festa-iemanja-salvador-bahia/

 

 

 

CASA DI ZELIA E JORGE AMADO A SALVADOR, BAIRRO RIO VERMELHO.
ADESSO E’ UN MUSEO

 

 

 

Casa di Jorge Amado e Zélia Gattai al Rio Vermelho che adesso deve
essere un museo in loro onore

 

 

 

Questa sarebbe l’entrata di servizio dove portano i pacchi, e dove passano persone non importanti-

 

 

Nel giardino sono depositate le ceneri dei due scrittori

giardino : Ana Beatriz Farias è una famosa giornalista della Globo, la maggiore rete televisiva brasiliana,  è anche la maggiore televisione commerciale dell’America Latina, e la seconda nel mondo dopo l’ American Broadcasting Company.
https://en.wikipedia.org/wiki/TV_Globo

 

 

Salvador da Bahia– i famosi azulejos di origine portoghese

 

 

 

La camera degli sposi..

Janelas Abertas

 

 

azulejos– piastrelle di ceramica

Casa do Rio Vermelho, em Salvador, preserva a história de Jorge Amado - Verso - Diário do Nordeste

Foto Diàrio di Nordeste

 

 

 

Vou na Janela

 

 

 

A Casa do Rio Vermelho

 

Seduto al tuo fianco
nella panca di azulejos
all’ombra della manguera ( l’albero del mango )
aspettando che la notte arrivi
per coprire di stelle i tuoi capelli
Zélia di Euà avvolta di luna:
dammi la tua mano, dammi il tuo sorriso,
felice e allegro nel tuo bacio,
alloro e ricompensa.

 

 

 

A Casa do Rio Vermelho

 

 

 

«Per 56 anni Jorge Amado é stato mio marito, il mio maestro, il mio amore». Questa frase Zélia Gattai ama ripeterla in tutti i discorsi ufficiali. La famosa casa, piena di ricordi e oggetti acquistati in ogni parte del mondo, sta per divenire oggi un Memoriale aperto al pubblico. In quella casa entrarono persone comuni e amici illustri del mondo intero come Frida Kahlo, Diego Rivera, Lina Wertmuller, Marcello Mastroianni, Sofia Loren.

 

 

 

 

 

Manu, artesão do ferro retorcido e do latão, foi escolhido por Jorge para fazer um Exu, a fim de enfeitar o jardim: o Compadre vai ser o guardião da casa, disse Jorge.
Lá estava ele, emorme, formoso, de cauda virada, chifrinhos e estrovenga, Exu pra ninguém botar defeito, nem mesmo Carybé, se roendo de inveja.
Não tardou muito, um recado de Mãe Senhora pedia que Jorge fosse vê-la, com a maior urgência.
A mãe-de-santo havia sabido da existência do Exu em nosso jardim e estava horrorizada. Tu não tem juízo, seu Jorge? Onde já se viu botar dentro das portas um orixá forte desses, sem o fundamento? Não quis nem ouvir Jorge, tentando lhe explicar que colocara a escultura no jardim apenas como decoração. Se tu não tem cabeça, eu tenho, disse Mãe senhora, encerrando a bronca.
No dia seguinte, mal o sol levantara, apareceu na porta Loló, emissário de Senhora. Trazia uma enorme sacola, dentro dela o necessário para assentar o santo: um galo preto, um litro de azeite-de-dendê, um litro de cachaça, farofa amarela e alguns charutos. Cavou a terra, fez uma valeta em torno da escultura, nela atirou os charutos, despejou o dendê, a cachaça, a farofa e o sangue do galo de pescoço decepado na hora.
Até hoje sigo as instruções de Mãe Senhora: às segundas-feiras, infalivelmente, chova ou faça sol, dou de beber ao meu compadre, despejo meio copo de cachaça sobre ele, assobio uma música que Verger me ensinou e, com isso, dou por completada a obrigação. Nas minhas ausências Aurélio me substitui.

Zélia Gattai em A Casa do Rio Vermelho.

 

traduzione automatica

Manu, artigiano del ferro contorto e dell’ottone, è stato scelto da Jorge per fare un Exu ( 1) , con lo scopo di decorare il giardino: il Compadre sarà il custode della casa, ha detto Jorge.
Eccolo lì, addormentato, bello, con la coda ribaltata, corna e strovenga, Exu perché nessuno trovasse qualche difetto, nemmeno Carybé, che si sta rovinando d’invidia.
Presto, un messaggio di Madre Signora chiedeva a Jorge di andare a trovarla con la massima urgenza.
La madre di santo aveva saputo dell’Exu nel nostro giardino ed era inorridita. Non hai buon senso, Jorge? Dove si è mai visto gettare dentro casa un orishà forte come questo, senza fondamento? Non ha nemmeno voluto ascoltare Jorge, cercando di spiegargli che avevo messo la scultura in giardino solo come decorazione. Se tu non hai testa, io sì, ha detto Madre signora, finendo così la sgridata.

No dia seguinte, mal o sol levantara, apareceu na porta Loló, emissário de Senhora. Trazia uma enorme sacola, dentro dela o necessário para assentar o santo: um galo preto, um litro de azeite-de-dendê, um litro de cachaça, farofa amarela e alguns charutos. Cavou a terra, fez uma valeta em torno da escultura, nela atirou os charutos, despejou o dendê, a cachaça, a farofa e o sangue do galo de pescoço decepado na hora.

Nel giorno dopo, appena il sole era apparso, arrivò alla porta Lolò, un emissario della Madre. Aveva una borsa enorme, dentro tutto quello che occorreva per ” aggiustare ” il santo: un gallo nero, un litro di olio de dende’, un litro di cachaça, della farofa gialla, qualche sigaro. Scavò un po’ la terra intorno alla statua, buttò i sigari, versò l’olio di dendé, la grappa, la farofa e il sangue del gallo cui aveva tirato il collo al momento.

Ancora oggi seguo le istruzioni di Madre Signora: il lunedì, infallibilmente, piove o c’è il sole, do da bere al mio compare, gli verso mezzo bicchiere di cachaccia, fischietto una canzone che Verger mi ha insegnato e con questo ritengo di aver aftto quello che dovevo.  Nelle mie assenze Aurelio mi sostituisce.

Zélia Gattai, nel libro ” La casa del fiume rosso ”

 

 

 

 

Zélia esordisce come memorialista nel 1979, all’età di 63 anni, con il libro Anarchici grazie a Dio,nel quale scrive i ricordi legati ai genitori, alla sua infanzia e adolescenza ricche di avvenimenti legate alla vita degli emigranti italiani a São Paulo agli inizi del Novecento. È un grande successo con 200.000 copie vendute in Brasile. Rete Globo ne ricava una fortunata miniserie diretta da Walter Avancini.

 

Da questo momento in poi, utilizzando un linguaggio diretto e intriso di emozione, Zélia racconta le incredibili memorie sue, della famiglia Gattai, della famiglia Amado e di tanti amici. Fra le sue opere ricordiamo Un cappello da viaggio (1982), il libro di fotografie Reportagem incompleta (1987), con traduzione in francese a cura di Pierre Verger, Giardino d’inverno (1988), Chão de meninos (1992), La casa di Rio Vermelho (1999), Città di Roma (2000), Jonas e a sereia (2000), Códigos de família (2001), Jorge Amado um baiano sensual e romântico (2002), Vacina de sapo e outras lembranças (2005), Cronaca di una innamorata (2007).

 

aggiungo:

Presentazione del libro “Zélia Gattai e l’immigrazione italiana in Brasile” di Antonella Rita Roscilli- RADIO RADICALE

 

La materia prima di quasi tutta l’opera letteraria di Zélia è la sua stessa memoria che le permette di riscattare un secolo di vita delle sue radici familiari attraverso uno stile semplice e preciso. Dalle narrazioni emerge una vitalità contagiante, un canto di amore alla vita, sì, aspra e piena di ostacoli, ma fatta per essere vissuta con generosità, affrontata senza alcun senso drammatico.

«Continuo a trovare grazia nelle cose e nelle persone. Continuo ad avere curiosità della vita e mi sento immune dalle amarezze e dai rancori».

Anche per questa qualità della sua persona e della sua scrittura Zélia viene considerata oggi la più grande memorialista brasiliana ed è di fondamentale aiuto nella ricostruzione dell’emigrazione italiana a São Paulo fra Otto e Novecento.

Sue sono le fotografie più importanti che esistono oggi di Amado: 30.000 negativi circa si trovano nella Fondazione Casa de Jorge Amado, la casa azzurra di quattro piani nel centro storico di Salvador, polo culturale amorevolmente diretto dalla poetessa Myriam Fraga che ospita il fondo Amado e il fondo Gattai.

Nel 2002 Zélia entra a far parte dell’Accademia Brasileira di Letras di Rio, di Salvador e di Ilhéus.

La sua carriera letteraria è costellata di successi e riconoscimenti internazionali (Commendatore di Arti e Lettere in Francia, il Gonfalone d’Argento della Regione Toscana; il grado di Grande Ufficiale della Stella della Solidarietà italiana, concessole dal Presidente Giorgio Napolitano nel 2007 e consegnato da Michele Valensise, ambasciatore d’Italia in Brasile; la Laurea Honoris Causa presso la Universidade Federal da Bahia).

Zélia Gattai, Anarchici, Grazie a Dio Milano, Sperling & Kupfer 2002
Zélia Gattai, Un cappello da viaggio Milano, Sperling & Kupfer 2006
Antonella Rita Roscilli, Zélia de Euá, Rodeada de Estrelas Salvador, Casa de Palavras 2006

Fondazione Jorge Amado (sito ufficiale)

 

Referenze iconografiche: Ritratti di Zelia Gattai. Cortesia di Acervo Fotográfico Zélia Gattai/Fundação Casa de Jorge Amado.

 

 

(1) nota su 

Eshu (detto anche EsuExúElegua o Elegba) è una delle divinità più rispettate nella religione yoruba e nei culti sincretici correlati, quali santeria e candomblé, in cui è talvolta identificato con Sant’Antonio o San Michele, spesso viene confuso con il demonio e considerato una personificazione del male.

segue:

https://it.wikipedia.org/wiki/Eshu

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Gad Lerner Facebook — Roberto Gressi intervista Gad Lerner sul Corriere del 4 maggio ’25 sul libro di Antonio Padellaro ” Antifascisti immaginari “, Paper First 2025 + altro + video sul col. Montezemolo

 

 

 

INTERVISTA RIPORTATA DA :

Gad Lerner Facebook  – link

 

 

 

” FACCE DA VENTOTENE ” ( Travaglio ) ?  CHE ERRORE MINIMIZZARE IL PERICOLO DELLE DESTRE NAZIONALISTE

 

Condivido una mia intervista al Corriere della Sera pubblicata domenica 4 maggio 2025 a firma di Roberto Gressi. Il libro di Antonio Padellaro da cui prendo qui le distanze si intitola “Antifascisti immaginari”, edito da Paperfirst.

 

Antonio Padellaro, nel suo libro, mette alla berlina gli «antifascisti immaginari», e dice che tu che lo critichi, Gad Lerner, o non lo hai letto o non lo hai capito.

«Antonio resta un amico, ci siamo già sentiti e, come chiede lui, ci confronteremo guardandoci negli occhi. Ma il dissenso è netto e non da ora: già due anni fa lui chiedeva agli antifascisti di prendersi un alka seltzer, un antiacido».

Di che cosa lo accusi?

«Di non vedere quanto sia facile piegarsi a nuove forme di autoritarismo. Gli italiani si abituarono al fascismo e il regime durò vent’anni. Li apra, gli occhi. In Wisconsin una giudice viene arrestata per aver protetto un immigrato. Netanyahu caccia il direttore dello Shin Bet, scatenando la protesta popolare. In Turchia Erdogan incarcera il sindaco di Istanbul, per impedirgli di vincere le elezioni. Nell’Ungheria di Orban si vietano le manifestazioni Lgbtq+. E Putin poi… Paesi una volta democratici arretrano, il fascismo chiedeva il giuramento ai professori, ora Trump attacca le università non omologate alla linea del governo e le priva dei finanziamenti».

Ma l’attacco è al piagnisteo delle dolenti «facce da Ventotene».

«Me li immagino Padellaro e Marco Travaglio che ne parlano tra loro, si danno di gomito e sghignazzano per la battuta. Mario Monti ha scritto sul Corriere della Sera: «Quel che avviene in America oggi, se non prendiamo le distanze, può essere più pericoloso di quel che è avvenuto in Italia fra il 1922 e il 1943». Il suo è un allarme reale o è anche lui una faccia da Ventotene?».

Nel libro però si criticano gli «al lupo al lupo» che rievocano lo spettro della marcia su Roma.

«Le democrazie scricchiolano, non si risponde a questo pericolo con una goliardia da tarda età, fuori tempo massimo. Antonio coglie un punto, esiste anche una retorica che rischia di banalizzare la Resistenza, ma non si affronta il problema con lo sberleffo del suo pamphlet. E tanto meno con la denigrazione della democrazia, con la quale la destra è cresciuta e che a destra declinano con «non ha vinto la Resistenza ma gli alleati», oppure con «ci furono atrocità da tutte e due le parti». È una mistificazione della storia. Antonio, tu ci sei stato a via Tasso, hai visto che cosa vuol dire essere torturati e la barbarie della rappresaglia, e ti sei commosso».

 

Nel mirino del libro però ci sono i «professionisti» dell’antifascismo.

«Bah. Mi ha colpito un passaggio della prefazione di Travaglio al libro di Antonio. Cito: «Oggi l’uomo forte non indossa più l’orbace o la camicia nera: veste la grisaglia del tecnico». E indica come pericolosi autocrati i due «Supermario», Monti e Draghi. Ma davvero? Ma dai! Certo, poi è importante l’autorevolezza con la quale si richiama la necessità della memoria. Sergio Mattarella non si stanca mai di esserne un esempio».

 

Freddezza a sinistra sulla commemorazione delle Foibe.

«Chino il capo di fronte a quella tragedia. Ma non mi sfugge che la destra abbia voluto quella celebrazione, anche come collocazione temporale, per paragonarla strumentalmente alla Shoah».

 

C’è anche una frangia dell’antifascismo che sfocia nell’antisemitismo.

«Credo sia un errore importare il conflitto del Medio Oriente ai cortei del 25 aprile. Ma la storia ci dice ben altro sul fascismo. Mesi prima che la Brigata ebraica sbarcasse a Taranto, c’erano già 800 ebrei italiani che combattevano il nazifascismo, a cominciare dai fratelli Rosselli».

 

Non salvi nulla del libro di Padellaro?

«È vero che pretendere da Meloni di dichiararsi antifascista equivarrebbe a chiederle di mentire. Non sarebbe sincera, è un fatto. Per il resto il suo libro mi sembra dedicato e rinchiuso nel nostro piccolo cortile, quello artefatto dei talk show. Mente fuori ci sono i tuoni, i fulmini, gli allarmi, le bufere».

 

Provocazione o rivendicazione che fosse, quella di Giorgia Meloni sul manifesto di Ventotene, la reazione della sinistra non è stata un po’ goffa?

«Altra banalizzazione. Io ricordo bene la reazione in Aula di Federico Fornaro, dura, indignata e poi commossa fino alle lacrime. Ha detto: «Meloni si inginocchi davanti alla memoria di chi ha scritto il manifesto di Ventotene». Fu su quell’isola che Spinelli, Rossi e Colorni, confinati lì dal fascismo, gettarono le basi per un’Europa federale, contro i nazionalismi che avevano prodotto due guerre mondiali».

 

Fuori dai denti, perché hai lasciato il Fatto quotidiano?

«Ci sono stato cinque anni. Riconosco a quel giornale grande indipendenza, dà notizie scomode, mai mi ha censurato. Ma trovavo non più sopportabile l’indulgenza verso Trump, Putin e le destre nazionaliste. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua».

Roberto Gressi

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona

antonio padellaro dal Facebook di Lerner

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dal nostro blog con il commento di Donatella

ANTONIO PADELLARO, ANTIFASCISTI IMMAGINARI, PAPERFIRST 2025 -pp. 96 — Prefazione di MARCO TRAVAGLIO

 

 

 

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Media– video, 2.39

“Antifascisti immaginari”, Antonio Padellaro presenta il suo nuovo libro: in libreria e in edicola con il Fatto

IL FATTO QUOTIDIANO — VIDEO  2,39–18 aprile 2025

https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/04/18/antifascisti-immaginari-antonio-padellaro-nuovo-libro/7955372/

 

 

 

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+++  notaWIKIPEDIA – LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo - Wikipedia

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (Roma26 maggio 1901 – Roma24 marzo 1944) è stato un ufficiale italiano, comandante del Fronte Militare Clandestino, martire alle Fosse Ardeatine e Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Montezemolo fece parte della delegazione italiana che trattò direttamente col feldmaresciallo tedesco le condizioni del cessate-il-fuoco nella capitale il 10 settembre 1943 sulla via Tuscolana seguito ai sanguinosi scontri ingaggiati spontaneamente da militari e civili per tentare di impedire l’occupazione tedesca di Roma. Calvi nominò Montezemolo a capo dell’Ufficio affari civili del Comando della Città Aperta, incarico nel quale durerà pochi giorni, perché si rifiutò di prestare giuramento alla RSI.

Infatti già il 23 settembre le forze germaniche – prendendo a pretesto un’aggressione compiuta da alcuni militi italiani della guarnigione della Città Aperta ai danni di loro uomini – rompono gli indugi e si impossessano dei comandi della Città Aperta: irrompendo nel Ministero della Guerra, arrestano Calvi, mentre Montezemolo – d’accordo col suo superiore – riuscì a fuggire, vestendo abiti civili e passando dai sotterranei del ministero, per darsi alla clandestinità.

 

Montezemolo decise di celarsi sotto il nome di “ingegner Giacomo Cataratto” poi cambiato in “professor Giuseppe Martini”. L’8 ottobre viene avvicinato da emissari del Regio Governo che gli ordinano di prendere contatto diretto con Brindisi. Già il 10 ottobre 1943 riesce a ristabilire il contatto radio con Brindisi, e da lì ottiene l’incarico di comandare il Fronte Militare Clandestino, che avrebbe dovuto organizzare e coordinare le formazioni partigiane romane con diramazioni in tutta Italia.

Il Fronte Militare Clandestino, già creato dal Generale Giacomo Carboni, era composto da Ufficiali, Sottufficiali e Soldati (e soprattutto Carabinieri) come lui rimasti fedeli al giuramento verso la Corona.

I comandi alleati conferiranno in seguito a Montezemolo anche l’incarico di curare per conto del XV Gruppo d’Armate i collegamenti con il neonato CLNAI, nel Nord-Italia.

In clandestinità, con la collaborazione di pochi fidatissimi uomini (fra cui il suo capo di Stato Maggiore Ugo de Carolis), Montezemolo si sposta continuamente, evitando accuratamente di fornire al controspionaggio e alla polizia tedesca e fascista elementi che potessero coinvolgere i suoi familiari, tanto per proteggerli quanto per evitare che – se catturati – potessero essere usati come ostaggi per ricattarlo

 

Il 10 dicembre 1943, come comandante riconosciuto dal governo Badoglio a Bari, dirama a tutti i raggruppamenti militari nell’Italia occupata dai nazifascisti la circolare 333/op, nella quale vengono indicati gli obbiettivi dell’organizzazione clandestina e le direttive per la condotta della guerriglia per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo e il suo inserimento tra le nazioni democratiche.

Parola d’ordine della sua organizzazione militare era “guerra al tedesco et tenuta ordine pubblico”, e le direttive erano “organizzare segretamente la forza per assumere al momento opportuno l’ordine pubblico in Roma a favore del governo di Sua Maestà il Re“.

La sua organizzazione diventava così direttamente concorrente ai GAP, e – in caso di arrivo delle truppe alleate o improvvisa ritirata di quelle dell’Asse, i suoi uomini e in particolare i Regi Carabinieri avrebbero dovuto garantire l’occupazione dei nodi strategici (radio e ministeri) prima che eventuali bande partigiane non monarchiche potessero appropriarsene

Montezemolo vieta di compiere attentati dinamitardi e omicidi contro i tedeschi: “nelle grandi città – scrive infatti il Colonnello – la gravità delle conseguenti rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la guerriglia”. La nota – che fa parte di un ordine d’operazioni intitolato “Direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia”, prosegue: “Vi assume preminente importanza la propaganda atta a mantenere nelle popolazioni spirito ostile ed ostruzionistico verso il tedesco, propaganda che è compito essenzialmente dei partiti; e l’organizzazione della tutela dell’ordine pubblico, compito militare sia in previsione del momento della liberazione, sia per l’eventualità che il collasso germanico induca l’occupante ad abbandonare improvvisamente il territorio italiano”

Quando cominciano le persecuzioni naziste contro gli ebrei della capitale, Montezemolo si adopera per far trovare documenti falsi e salvacondotti alle migliaia di ebrei sfuggiti al “sacco” condotto dalle SS contro la comunità israelitica di Roma.

Montezemolo si adopera alacremente per coordinarsi con gli altri elementi del CLN romano e in particolare con Giorgio Amendola, del PCI, con il quale pianifica anche le operazioni militari successive allo sbarco di Anzio, operazioni che non avranno inizio per l’incapacità alleata di marciare risolutamente sulla capitale. Il Fronte Militare Clandestino era comunque stato determinante per fornire ai Gruppi di Azione Patriottica esplosivi, dati e informazioni fondamentali per gli attacchi contro le linee ferroviarie usate dai tedeschi per rifornire le truppe sulla Linea Gustav. Secondo Roggero, lo sforzo di coordinazione con tutte le forze politiche antifasciste presenti a Roma all’indomani dello sbarco di Anzio sarebbe stato determinato anche dal “timore di una insurrezione pilotata dai soli comunisti”.

Nonostante la collaborazione fra Fronte Militare e CLN, secondo Giorgio Bocca “Montezemolo e i suoi sono fuori, a volte contro il movimento unitario, non ne condividono la politica, tentano una concorrenza di tipo decisamente reazionario. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo è un ufficiale virtuoso e capace. In vita e in morte lui e i suoi più stretti collaboratori sono degni di ammirazione. Ma il giudizio storico sul movimento, il giudizio dei fatti, è negativo: esso è un freno alla Resistenza nazionale, un motivo di confusione e paralisi”.

Anche Corrias  sostiene che “le dicotomie fra i due schieramenti non tardarono a manifestarsi”, essendo obbiettivo del FMC quello di raccogliere informazioni e garantire l’ordine pubblico in caso di ritirata tedesca, mentre per “le altre componenti militari della Resistenza, nella quasi totalità espressione della militanza di sinistra (…) l’obbiettivo andava ben oltre la consegna della città al Governo Badoglio”.

 

Le ipotesi sulla cattura

 

 

Alcune insistono sulla possibilità che Montezemolo sia stato lasciato catturare dal governo di Brindisi. I suoi buoni rapporti – nonostante la sua dichiarata fede di “anticomunista sfegatato” – con i dirigenti comunisti potrebbero essere stati all’origine dell’invio da Brindisi come superiore, il 10 gennaio 1944, del generale Quirino Armellini – fedelissimo di Pietro Badoglio…

Secondo un carteggio tra l’avvocato Tullio Mango e il suo assistito Herbert Kappler, scoperto da Sabrina Sgueglia e pubblicato dal libro “Partigiano Montezemolo” di Mario Avagliano, l’uomo che aveva dato ai nazisti l’informazione decisiva per giungere alla cattura di Montezemolo fu Enzo Selvaggi, anche lui esponente monarchico della Resistenza, fondatore e direttore del giornale «Italia Nuova». In base a un appunto “stilato, verosimilmente, dopo un colloquio di persona con l’ex capo delle SS di Roma” dall’avvocato Mango, risulta che Kappler “cercava Montezemolo, assolutamente irrintracciabile. Arrestato Enzo Selvaggi, fu interrogato dalle SS per quattro ore e ottenne la libertà rivelando che il giorno successivo Montezemolo si sarebbe recato a pranzo da De Grenet”.

 

Armellini inviò una comunicazione a Brindisi chiedendo che Montezemolo fosse scambiato con qualche prigioniero tedesco di pari importanza, ma Badoglio non dette seguito alla richiesta.


 

videografia :

  • Emiliano Crialesi, “Montezemolo, il Colonnello della Resistenza” – Documentario DVD – 52 min. – Pandarosso produzioni – 2013

 

TRAILER DEL DOCUMENTARIO : ” MONTEZEMOLO, IL COLONELLO DELLA RESISTENZA–

video, 6.41

++qualche piccolo pezzo non si sente.

 

Bibliografia

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” …stringimi fra le braccia / baciami / baciami a lungo / baciami / più tardi sarà troppo tardi / la nostra vita è ora …” — Jacques Prevert ( parole ) e Wal-Berg ( musica ) + canta Marianne Oswald, 1935 e EDITH PIAF, 1960

 

 

[1935]
Versi di Jacques Prévert, nella raccolta intitolata “Histoires et d’autres histoires” pubblicata nel 1963.
Musica di Wal-Berg (1910-1994), nome d’arte di Voldemar Rosenberg, compositore e direttore d’orchestra originario di Odessa.

 

 

Jacques PRÉVERT – Embrasse-moi

 

 

Marianne Oswald, 1935

 

 

 

 

CANTATA  MERAVIGLIOSAMENTE :: EDITH PIAF

 

 

C’était dans un quartier de la ville lumière
Où il fait toujours noir où il n’y a jamais d’air
Et l’hiver comme l’été là c’est toujours l’hiver
Elle était dans l’escalier
Lui à côté d’elle elle à côté de lui
C’était la nuit
Ça sentait le souffre
Car on avait tué des punaises dans l’après-midi
Et elle lui disait
Ici il fait noir
Il n’y a pas d’air
L’hiver comme l’été c’est toujours l’hiver
Le soleil du bon dieu ne brill’ pas de notr’ côté
Il a bien trop à faire dans les riches quartiers
Serre-moi dans tes bras
Embrasse-moi
Embrasse-moi longtemps
Embrasse-moi
Plus tard il sera trop tard
Notre vie c’est maintenant
Ici on crèv’ de tout
De chaud et de froid
On gèle on étouffe
On n’a pas d’air
Si tu cessais de m’embrasser
Il me semble que j’mourais étouffée
T’as quinze ans j’en ai quinze
A nous deux on a trente
A trente ans on n’est plus des enfants
On a bien l’âge de travailler
On a bien celui de s’embrasser
Plus tard il sera trop tard
Notre vie c’est maintenant
Embrasse-moi !

 

 

 

 

 

TRADUZIONE DI  Bernart Bartleby.

JACQUES PREVERT-ABBRACCIAMI

 

Era in un quartiere della città-luce,
dove fa sempre buio non c’è mai aria
e inverno come estate li’ fa sempre inverno
Lei era sulle scale
e lui accanto a lei e lei accanto a lui
era notte
c’era odore di zolfo
perché nel pomeriggio avevano ucciso le cimici
e lei diceva a lui
fa buio qui
non c’è aria
e inverno come estate fa sempre inverno qui
Il sole del buon Dio non brilla qui da noi
ha fin troppo da fare nei quartieri dei ricchi
stringimi fra le braccia
baciami
baciami a lungo
baciami
più tardi sarà troppo tardi
la nostra vita è ora
qui si crepa di tutto
dal caldo e poi dal freddo
si gela si soffoca
non c’è aria
se tu smettessi di baciarmi
credo che ne morrei soffocata
hai quindici anni ho quindici anni
insieme ne abbiamo trenta
a trent’anni non si è più giovani
si lavora
possiamo baciarci
più tardi sarà troppo tardi
la nostra vita è ora
baciami!

 

 

IMMAGINI DAL FILM DI ETTORE SCOLA,  1977

 

 

UNA GIORNATA PARTICOLARE

in famiglia, pronti per andare a vedere Hitler, appena arrivato a Roma, lei non va, troppe faccende!

 

 

le immagini da un film, bello, di Ettore Scola, 1977, con Sophia Loren e Marcello Mastroianni–

 

 

trama : 


Tutti si stanno preparando in alta uniforme per andare a sentire il discorso che il fuhrer terrà in piazza dei Fori Imperiali. Il condominio ormai era deserto, la portiera era pronta con la sua radio a sintonizzarsi per ascoltare anche lei il discorso.
Soli nel condominio rimarranno una casalinga, Antonietta  (marito con sei figli,) e un ex annunciatore della radio, Gabriele , cacciato via dalla radio perché omosessuale.
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Marco Travaglio @marcotravaglio/ link sotto — 17.00 – 4 maggio 2025– a FIRENZE! 12 maggio a Firenze – ( informazioni sotto ) –+++ 2 video con Travaglio

 

 

LINK X DI MARCO TRAVAGLIO

Marco Travaglio @marcotravaglio

 

– a FIRENZE!

Lunedì 12 Maggio 2025 TEATRO CARTIERE CARRARA – FIRENZE Ore 21.00

Ultimi Biglietti disponibili:::

bit.ly/3FbBLvW Vi aspetto!

 

 

Immagine

PRESENTAZIONE NEL VIDEO di 1 minuto

 

Marco Travaglio racconta, nel consueto stile satirico, gli ultimi cinque anni di storia italiana: ovvero come i poteri marci della politica, della finanza e dell’informazione hanno ribaltato il voto degli italiani del 2018, dal cambiamento alla restaurazione, dalla questione morale e sociale all’Ancien Régime e alla guerra infinita, rovesciando il governo Conte2 e consegnando l’Italia all’ammucchiata di Draghi, che ha spianato la strada al ritorno delle vecchie destre riverniciate da nuove dietro il volto di Giorgia Meloni
https://bit.ly/44v3vnb

 

 

video, 22 min. ca –

“I migliori danni della nostra vita” – Intervista a Marco Travaglio

Intervista telefonica a Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, a cura di Giulio Fortunato.

 

 

 

 

Marco Travaglio racconta, nel consueto stile satirico, gli ultimi anni di storia italiana: ovvero come i poteri marci della politica, della finanza e della sottostante “informazione” hanno ribaltato il voto degli italiani ogni volta che chiedevano un cambiamento e l’hanno trasformato in restaurazione, facendo risorgere l’Ancien Régime nelle forme più varie: quelle tecnocratiche di Monti e Draghi, quelle finto-progressiste di Letta e Renzi, quella destrorsa di Meloni&C. risorta dopo il Conticidio, cioè il rovesciamento dell’unica formula di buon governo in grado di battere la destra. Sullo sfondo, l’eterna sovranità limitata dell’Italia genuflessa ai falchi europei e agli Stati Uniti, che ci trascinano regolarmente in guerra contro i nostri interessi a suon di bugie: da quelle sui ceti più deboli da colpire per far quadrare i bilanci dei ricchi e dei ladri, a quelle sull’Ucraina, la Russia, Israele, Hamas e la Cina.

 

 

 

Marco Travaglio (Torino13 ottobre 1964)

 

biografia ed altro

https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Travaglio#Altri_progetti

 

 

ultimo libro del ’24:

Ucraina, Russia e Nato in poche parole, Roma, Paper First, 2024, 

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La Repubblica 30.04. 2014 ::: MASSIMO RECALCATI Omosessualità chi ha paura di un libro a scuola ( ” Sei come sei ” di M. G. Mazzucco ) + MELANIA MAZZUCCO, Il mio libro messo all’indice-

 

 

 

per informazioni sul fatto accaduto,: Liceo, gruppi che hanno denunciato di destra e ultradestra ecc.

 

REPUBBLICA 28 APRILE 2014

https://roma.repubblica.it/cronaca/2014/04/28/news/
giulio_cesare_protesta_omofoba_nel_liceo_
romano-84689517/

 

 

 

Prima R2

 

Omosessualità chi ha paura di un libro a scuola ( ” Sei come sei ” di M. G. Mazzucco )

MASSIMO RECALCATI

 

QUELLI della mia generazione si ricorderanno forse improbabili corsi di educazione della sessualità di tipo botanico. Uno strano “esperto della materia” mostrava dei semi sulla cattedra.

E LE loro possibili combinazioni da cui sarebbero scaturiti i caratteri del nuovo nato. I corpi sessuali in carne ed ossa restavano coperti e solo enigmaticamente allusi. Erano anni dove la censura morale prevaleva ottusamente provando ad esorcizzare il demone del sesso. Era l’Italia cattolico-fascista che dopo la contestazione del ‘68 avrebbe però ben presto lasciato il posto ad un altro padrone.

Questo nuovo padrone — quello che Pasolini denominava negli anni Settanta “nuovo fascismo” — non agirà più in nome della censura ma offrirà una immagine della libertà senza limiti.

Il suo imperativo non risponderà più alla logica del dovere e del sacrificio ma a quella di un godimento senza argini.

Nel nostro ultimo ventennio questa rappresentazione della libertà troverà la sua enfatizzazione più radicale e, al tempo stesso, più fatua. È una constatazione banale: basta girare in un qualunque aeroporto italiano per trovarsi davanti agli occhi corpi di donne seminude e ammiccanti a promuovere prodotti coi quali non hanno alcuna relazione di senso.

La discreta solitudine dei semi sulla cattedra ha lasciato il posto ad una proliferazione di immagini sessuali o a sfondo sessuale che hanno ormai invaso la nostra vita più ordinaria. Ecco perché la denuncia nei confronti di alcuni professori del liceo Giulio Cesare di Roma che avevano proposto ai loro allievi un percorso di letture su temi di attualità, tra cui quella della differenza di genere, non può non colpire.

Non l’opportunità dell’iniziativa di quei docenti — ai miei occhi totalmente legittima — ma proprio l’atto che la vuole denunciare come “pornografica”.

Il nuovo fascismo sembra qui lasciare il suo passo ad un ritorno del vecchio. L’ideale di una sessualità anatomicamente e naturalmente

eterosessuale, una educazione morale rigidamente normativa, accompagnata dall’omofobia e dall’esaltazione della virilità, sono stati invocati contro i professori degeneri.

Grave errore di giudizio. Come non vedere che se c’è una salvezza dallo scempio iperedonista che ogni giorno ci invade facendo dei corpi erotici carne da macello, se c’è una salvezza dalla violenza che scaturisce da una rappresentazione tutta fallica della sessualità, essa non è nel ritorno ad un Ordine giustamente defunto, ma proprio nel libro, nella lettura, nella vita della Scuola.

È attraverso, il libro, la lettura, la Scuola che si gioca infatti la vera prevenzione ai rischi della barbarie e della dissipazione in un godimento senza soddisfazione.

Il libro incriminato non è un libro pornografico, ma un libro che racconta la storia di una formazione e di una filiazione. Un libro di letteratura non è mai pornografico ma, casomai, erotico nel senso che anima il desiderio di sapere.

Resta sullo sfondo la vera questione: come si può parlare a Scuola di sessualità senza ricorrere alla tristezza dei semi sulla cattedra e al suo moralismo implicito, ma senza nemmeno — come accade oggi — ridurre tutto all’altrettanto arida descrizione senza veli della spiegazione scientifica di come, per esempio, funzionano gli organi genitali.

L’educazione alla sessualità dovrebbe preservare sempre il velo del mistero. Cosa di meglio allora della letteratura e della poesia? La sessualità senza amore ha il fiato corto sia essa cosiddetta omosessuale o eterosessuale.

Quando invece l’amore feconda il sesso non c’è mai gesto erotico che rischi l’oscenità. Sia esso cosiddetto omosessuale o eterosessuale.

 

 

DIFESA/ATTACCO  DELL’AUTRICE DEL LIBRO CONDANNATO

Sei come sei - Melania G. Mazzucco - copertina

Sei come sei

MARTEDI’ 29 APRILE 2013

Prima

Il mio libro messo all’indice

 

“SEI COME SEI” LETTO IN UN LICEO ROMANO, DENUNCIATI I PROFESSORI

MELANIA MAZZUCCO

NON pensate che questa storiaccia romana riguardi solo un romanzo, i professori del liceo classico Giulio Cesare, qualche censore benpensante e un manipolo di militanti di estrema destra.

Riguarda e coinvolge tutti quelli che credono che in questo paese si abbia ancora il diritto di scrivere di tutto, di informare, e di dare ai ragazzi gli strumenti per elaborare delle opinioni, per riflettere sul mondo e su di sé,
per discutere di pregiudizi, paure e discriminazioni — insomma di scegliere il loro futuro e vivere con libertà.

La minaccia di denuncia penale agli insegnanti che hanno osato far leggere il mio “ Sei come sei  “agli studenti, nell’ambito del programma ministeriale di educazione al contrasto dell’omofobia, è un atto di grave intimidazione squadrista, che merita di essere preso sul serio.

NON per l’accusa ridicola di oscenità rivolta al romanzo, che conterrebbe scene pornografiche inadatte alla lettura di minorenni. Nel romanzo si parla anche di sesso. Con realismo, perché la storia lo pretende.

Ma non c’è nulla che possa turbare un ragazzo del 2014, che su internet avrà avuto modo di informarsi con molta meno fatica circa l’arte amatoria.

Del resto, se studia biologia, avrà già imparato che in natura non necessariamente la generazione ha bisogno di esemplari di sesso diverso, che cosa sono le creature ermafrodite, e via dicendo.

Se studia latino, leggerà a scuola gli epigrammi di Catullo e Marziale, e scoprirà

il significato della parola fellatio.

Se legge l’Eneide, scoprirà che due ragazzi possono amarsi; se legge la Divina Commedia, che nel Medioevo un sodomita poteva essere considerato il migliore degli insegnanti… Insomma, proprio in classe la letteratura gli potrà sembrare non solo un dovere, ma una finestra sulla varietà del mondo, e gli insegnerà a capirlo, e immaginarlo.

Però sono convinta che la vera ragione dell’accusa e del tentativo di censurare il romanzo non sia quella che viene proclamata. Questa è solo un pretesto. Ciò che scandalizza davvero di Sei come sei non è l’oscenità, ma proprio il contrario. Cioè l’assoluta normalità della famiglia di Eva, dei suoi genitori (due uomini), dei sentimenti che li legano fra loro e alla loro figlia. Voluta, cercata e amata.

È la normalità del loro amore che risulta oscena a chi crede di poter stabilire quale amore è lecito e quale non lo è, quale insieme di persone può essere definito famiglia e quale non può. Anzi, non deve.

Per questo, si vuole che i ragazzi non leggano Sei come sei ; che non sappiano che si può amare in molti modi e vivere di conseguenza, e che per la legge una bambina come Eva è invisibile o clandestina.

I libri non bruciano da tempo, in Italia. L’Indice dei Libri non esiste più. È stato soppresso nel 1966 — l’anno in cui sono nata, libera.

Era servito a impedire non tanto la circolazione di testi eretici, non conformi ai dogmi o giudicati pericolosi e nocivi alla salute dell’anima, quanto delle scoperte scientifiche, delle idee politiche e morali, e delle visioni del mondo che quei libri potevano diffondere. È stato abolito perché l’elenco aveva finito per comprendere il meglio della letteratura e del pensiero occidentale, e i libri proibiti circolavano impunemente.

Chi vuole impedire a un ragazzo di sedici anni di discutere Sei come sei non può impedirgli di informarsi altrove. Di incontrare nella realtà, e non in un libro, una Eva in carne e ossa, e le duecentomila e più famiglie italiane come la sua. Oggi si cerca di far credere che la letteratura sia solo un passatempo innocuo, un intrattenimento frivolo e quasi superfluo. Questa storiaccia brutta rende a un romanzo del XXI secolo l’onore di sentirsi utile — perfino necessario.

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Una poesia di Pablo Neruda per l’ultimo amore appassionato, in un momento di assenza ( Rivista Grado Zero/ link sotto ) + la storia di questo amore — DA: EBELBARAT ( Rosario, Argentina, 1957), La Revista del Siglo

 

 

 

segue da :

RIVISTA GRADO ZERO. WORDPRESS.COM- 8 marzo 2016

 

 

di BEATRICE MORRA  – link sotto

 

 

 

Matilde Urrutia: "Las mujeres del poeta" - La Revista del Siglo

Pablo Neruda e Matilde Urrutia.

 

 

 

 

Poesia di Pablo Neruda a Matilde Urrutia.

 

Introduzione di Beatrice Morra

Tante furono anche le donne di Pablo Neruda. Nel 1927, console onorario in Birmania, sposò sull’Isola di Giava Maryka Hagenaar, dalla quale ebbe una bambina che morì in tenera età, e dalla quale divorziò nel 1943 per sposare Delia del Carril.

Fu Matilde, però, cantante cilena, sua ultima moglie, a far esplodere in fiumi di inchiostro le più belle parole d’amore mai state scritte. Ma come la relazione di Mosca con Montale, così la relazione di Pablo e Matilde fu complicata.

Quanto è difficile amare un poeta? Le inquietudini, le incertezze, i dubbi che tanto li allontanarono sono immortalati in una poesia di costernata malinconia, di vividissima assenza:

 

 

Matilde, dove sei? Ho avvertito quaggiù
tra la cravatta e il cuore, più su
una certa malinconia intercostale:
era che tu all’improvviso non c’eri.
Mi è mancata la luce della tua energia
e ho guardato divorando la speranza,
guardato il vuoto che è senza di te una casa
non restano che tragiche finestre.
Da tanto è imbronciato il tetto ascolta
cadere antiche piogge sfogliate,
piume, quanto la notte ha catturato:
e così ti aspetto come una casa deserta
e tornerai a trovarmi e ad abitarmi.
Altrimenti mi fanno male le finestre.

 

*****

 

 

AUTOBIOGRAFIA DI MATILDE URRUTIA

 

La mia vita con Pablo Neruda - Matilde Urrutia - copertina

La mia vita con Pablo Neruda

 

Le memorie di Matilde Urrutia (1912-1985), la donna che ispirò Pablo Neruda un amore appassionato che rimase vivo e saldo negli anni, costituiscono un’importante testimonianza non solo sulla figura del grande poeta cileno, ma anche sugli anni difficili eppure straordinari che la coppia visse insieme in più paesi di due contintenti. Matilde racconda l’uomo Neruda e l’avventurosa storia del loro amore, sorto quando Pablo era ancora legato alla seconda moglie, Delia del Carril, dai loro incontri clandestini a Berlino, a Nyon, a Roma, a Parigi, fino al “paradiso” del loro amore, il lungo soggiorno sull’isola di Capri in una casa finalmente tutta per loro.

commento di Valentina, 14 febbraio 2012

 

 

******

 

ALCUNE PAGINE DELL’AUTOBIOGRAFIA DI MATILDE URRUTIA -PUBBLICATE DA EBELBARAT SULLA RIVISTA  ” La Revista del Siglo “– Link sotto

 

 

segue da  EBELBARAT  ( Rosario, Argentina, 1957 )

 

Ebel Barat

 

EbelBarat  è un poeta, narratore e sceneggiatore. È nato e vive a Rosario, ma il suo legame con la campagna e la sua passione per i viaggi sono evidenti nella ricchezza di luoghi, aneddoti e nelle forti personalità dei personaggi che caratterizzano la sua scrittura.

segue:
https://www.ebelbarat.com/biografia-ebel-barat/

 

 

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COLLAGE DI IMMAGINI DI ROSARIO IN ARGENTINA
Bleff – Opera propria

 

 

 

LA REVISTA DEL SIGLO-

” LE DONNE DEL POETA ” :  MATILDE URRUTIA–

LINK SOTTO: EBELBARAT

traduzione automatica

 

 

 

 

«Las mujeres del poeta»: Matilde Urrutia – La Revista del Siglo

 

 

Era la prima volta, ma ci è voluto un po’ di tempo perché lo si sapesse.

Anche tu ti sei preso i tuoi anni migliori, tanto quanto me. E lo sapevamo allo stesso tempo, perché è così che deve andare. Me lo raccontò quando ero a Berlino, te lo ricordi? Mi hai detto che non volevi più separarti da me.

Sono stati due o tre giorni di grande felicità, sai?

Lì a Berlino, con Jorge Amado, con Nicolás, sempre innamorato della sua Cuba. Come ti sei preso cura di Nicholas. E Nazim? Che bell’uomo, Nazim. Fu lui ad avvisarmi che in camera da letto mi aspettava un piccolo regalo. E ti trovo, seduta sul letto, con quella lenta malizia che non perderai mai.

E poi mi sono sentito così spaventato, così incerto. Dover separarmi da te senza sapere cosa fare. Che ne sarebbe di noi?

Fino a quei giorni a Nyon, lì in riva al lago, dove i gabbiani ci seguivano perché davamo loro le briciole di pane che chiedevamo ogni mattina alla signora del piccolo hotel. Come abbiamo intrattenuto quella donna! Ci ha persino perdonato per aver riso sulle scale quando non riuscivamo ad arrivare in camera da letto.

Sì, ci è voluto un po’ di tempo prima che lo si sapesse. Forse mi ci sono voluti dieci anni per imparare a contemplare quella tua testa e quelle tue mani, quel tuo corpo che amo. Perché amo il tuo corpo, Pablo. Tutto ciò che dici e fai passa attraverso quel tuo corpo di cui conosco così bene il calore e il peso. Cosa farei senza quel modo affascinato di guardare le cose del mondo, gli uccelli e i segreti del mare? Per quella stessa voce che non si stanca mai di fare scherzi con me.

Quanto amore…e quanta follia, ricordi? Ti ricordi le cene sul piccolo balcone con vista sul lago? E le lunghe risate. Forse dovremmo tornare a Nyon e vedere se è ancora una cittadina così semplice e accogliente.

Dicono che Capri non sia cambiata poi tanto; anche se ormai i turisti ci vanno tutto l’anno. Eri il mio capitano. Un capitano che mi scrisse i suoi versi.

 

 

https://www.larevistadelsiglo.com/arte-y-cultura/matilde-urrutia-las-mujeres-del-poeta/

 

Il libro era in cinquanta copie, erano bellissime. Forse è stato allora che ho iniziato a essere la tua segretaria, a lavorare con te sulla tua parola che denunciava tutto, che denunciava l’ingiustizia, proprio come adesso. E smettetela di preoccuparvi tanto che le cose potrebbero non essere così terribili come dicono. Guarda, Panda si arrabbia se ci vede tristi.

Lui se ne è sempre preoccupato, fin da quando era bambino. Ha trascorso la sua vita con la sua angoscia per le bocche affamate, per il freddo e la pioggia in tante povere case del nostro Cile. Non agitarti, ci devono essere molti soldati fedeli a Salvador. Saprà come fare perché non “piova su Santiago”

Sull’isola non pioveva quasi mai. Quanto è bella quell’isola. A Capri ho capito che dovevo accompagnarlo, che la mia vita, che avevo costruito con cura e che credevo bella, stava perdendo senso.

La casa di Erwin era come casa nostra, con il suo focolare dove cucinavo le tortillas sulla brace, nascosto lì nella strada superiore, vicino alla piazza da cui si vedeva il mare.

Era meglio vederlo dall’alto perché le poche volte che siamo scesi non ti piaceva. Questo mare è muto, mi disse. Avresti voluto che ruggisse come fa qui.

Oggi ti preparerò anche una bella frittata e smetterai di guardarmi in quel modo, come se non ne avessi mai abbastanza di studiarmi. Penso che lui rida sempre un po’ di me. Tuttavia, è molto serio quando contempla questo mare così caratteristico di Isla Negra, sembra più un marinaio in cerca di terra.

Quando mi guardi hai sempre la stessa faccia, come se ti divertissi moltissimo. Sì, lo so, sono la sua ragazza dai capelli lunghi, con tutti i capelli in disordine.

A Capri mi chiamavano la medusa, ti ricordi? E a te “il commendatore”

Sì, lo so che ricordi tutto e basta! Smettila di guardarmi in quel modo.

 

Carta de Pablo Neruda a Matilde Urrutia - La Hora

FOTO DA LA HORA

 

 

Il cane di González Videla era riuscito a impedirgli di entrare in Francia, nella sua amata Francia, e andammo sull’isola. Era la nostra luna di miele. Non riuscivi a smettere di ridere. Neanche io.

Sebbene fosse molto serio quando la luna ci sposò. Sull’isola pensavano che fossimo pazzi, ma la gente ci amava. Quanto era bella l’isola senza i turisti, tutta per noi. Lei ha partecipato alla progettazione dell’abito da sposa del Commendatore Neruda, con strisce verdi e nere. La sarta ci disse di sì, ma di come ci guardava.

Quella notte hai detto alla luna con tutta serietà che non potevamo sposarci sulla terra e che lei, la musa di tutti i poeti, ci avrebbe sposati in quel momento e che noi avremmo rispettato quel matrimonio come il più sacro. Poi mi ha messo l’anello e abbiamo guardato muoversi la grande bocca della luna.

Abbiamo avuto appena il tempo di fare l’amore, il sole era già sorto quando ce ne siamo ricordati.

Alla fine, grazie al fatto che quel cane non lo lasciava entrare a Parigi, ci siamo sposati sull’isola. Quello fu il nostro vero matrimonio, quello della luna. E guarda, da allora siamo potuti andare a Parigi tantissime volte. Alla fine tutto funziona, non credi? A Parigi c’era di tutto. Quella storia di comprare animali domestici dal veterinario e poi lasciarli alle mie cure.

E i nostri viaggi in giro per il paese. Ricordo sempre quei giorni nel sud, nel sud del sud. A Punta Arenas durante la tosatura. Nessuno di quei cento lavoratori ci prestò attenzione. Volevo già andarmene. Era come se non esistessimo. Mi hai detto: “Non preoccuparti, ragazza riccia, succederà qualcosa”. E all’improvviso smettono di lavorare e si mettono in fila davanti a noi, seguendo quel rituale modesto e serio tipico delle persone dure; E senza preamboli inizi a leggere loro le tue poesie. È stato fantastico, Pablo. I volti di quelle persone erano trasfigurati. I solchi duri si trasformarono in dolce fascino. Vedi come lo dico bene. Alla fine ho dovuto imparare a dire le cose correttamente, perché ho trascorso la mia vita con te.

Profumi di tenerezza, gli dissi tanto tempo fa a Berlino, e lui mi rispose di stare attento perché suonava come poesia.

Ecco come mi piace, quando ride. Quello che dicono là fuori non può essere poi così grave.

Perché non vai a prepararti uno dei tuoi drink e poi mettiamo su i nostri tanghi preferiti e balliamo come se fossimo a Capri?

Mi hai costituito tuo erede, guarda lì, sul tavolino, c’è il tuo testamento, che tanto amo. Mi ha reso erede di molte cose, forse troppe, anche se non mi stancherò mai di ricevere i suoi doni. Dai, preparati qualcosa da bere, per le cose che mi hai lasciato, ce n’è una che per me è molto importante.

Che cosa è quale?

E sì, caro amico. È solo quello

Va’ e prendimi qualcosa di buono da bere e da ballare, così potrò realizzare la cosa più bella che mi hai lasciato, così potrò sempre realizzare quel detto: “Morte all’inferno e vita non ci separino”.

 

 

apri qui

TESTO ORIGINALE IN SPAGNOLO

 

 

 

 

ALCUNE IMMAGINI  DELLE CASE DI MATILDE E PABLO NERUDA

 

 

  1. ISLA NEGRA

CHILE-NERUDA-HOUSE

La casa di  ” Isla Negra ”  oggi è un Museo. Il nome si riferisce ad una roccia che spunta nelle vicinanze; si chiama ” isla “, ma non è un’isola.

da Wikipedia, Isla Negra

Isla Negra è un’area costiera nel comune di El Quisco , nel Cile centrale , a circa 70 km su strada a sud di Valparaiso e 110 km su strada a ovest di Santiago.

 

 

 

indefinito

costa rocciosa di Isla Negra  nella regione di Valparaiso

 

 

indefinito

La casa di Neruda, una delle tre in Cile
Michaël Lejeune – Autofotografato

 

 

CHILE-NERUDA-CASAS

 

 

View of a sculpture in the house of Chil

 

 

da Wikipedia

2. La Chascona

 

è stata costruita per Matilde,  Chascona era il sopranome che  lui le dava per tanti capelli ( ” criniera o testa selvaggia ), una parola quechua, non spagnola.
La casa è a Santiago.

Dopo il colpo di stato del 1973 che portò alla caduta di AllendeLa Chascona venne allagata e distrutta dai militari, ma fu poi rimessa in piedi e sistemata da Matilde che morì nel 1985, 12 anni dopo Neruda.

 

Tourists leave La Chascona, house of Chilean poet and 1971 Nobel Literature Prize laureate Pablo Neruda, in Santiago, on April 6, 2022. - Chilean...

 

 

CHILE-LITERATURE-NERUDA-HOUSE-LA CHASCONA

 

 

CHILE-LITERATURE-NERUDA-HOUSE-LA CHASCONA

 

 

CHILE-LITERATURE-NERUDA-HOUSE-LA CHASCONA

 

 

DA : SORELLE SU MARTE.IT – link sotto

 

3.  LA SEBASTIANA A VALPARAISO

 

città di marinai e poeti a un centinaio di chilometri da Santiago.  La Sebastiana è aggrappata sul cerro Florida, una casa super panoramica con vista privilegiata sull’oceano e sulle notti di Capodanno, famose a Valparaiso per i fuochi d’artificio. Vi si arriva dopo una faticosa salita se non si prendono i mezzi pubblici. L’arredamento ricorda l’interno di una nave con pareti curvilinee e arredi in tema. Pablo Neruda amava riempire la casa di amici e mangiare su tavole finemente apparecchiate con bicchieri di vetro colorati, “nei quali – diceva – l’acqua aveva un sapore migliore”.

In tutte e tre le case è presente un angolo bar con il bancone dove il poeta, travestito da barman preparava per gli amici il Coquelon, cocktail a base di cognac, cointreau, champagne e succo d’arancia. Anche La Sebastiana fu vandalizzata dopo il golpe militare e successivamente rimessa in ordine dalla Fondazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA CASA LA BASTIANA A VALPARAISO

da:

SORELLE SU MARTE.IT

https://www.sorellesumarte.it/esperienze/pablo-neruda-e-le-sue-case-in-cile/#4731-casa-neruda-2/4387

 

 

 

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FORUM DISEGUAGLIANZE E DIVERSITA’ ::: ” VORREI CHE TUTTI QUELLI CHE PASSANO DI QUI LA LEGGESSERO O ALMENO L’APRISSERO PER DARE UNO SGUARDO- “

 

FORUM DISEGUAGLIANZE E DIVERSITA’- E’ SU FACEBOOK E SU X

https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/il-forumdd/

 

 

Il ForumDD - Forum Disuguaglianze Diversità

Il ForumDD – Forum Disuguaglianze Diversità Obiettivo del Forum Disuguaglianze e Diversità è disegnare politiche pubbliche e azioni collet-

tive che riducano le disuguaglianze, aumentino la giustizia sociale e favoriscano il pieno sviluppo di ogni persona (diversità), e costruire consenso e impegno su di esse.

 

Grazie all’alleanza fra cittadini organizzati e ricerca (un think tank assolutamente originale), ragioni e sentimenti presenti in una moltitudine di pratiche possono aiutare a trasformare paura e rabbia nell’avanzamento verso una società più giusta.

 

Assemblea ForumDD

Il Forum Disuguaglianze e Diversità o ForumDD è:

 

  • un’alleanza culturale e politica autonoma centrata sull’articolo 3 della Costituzione;
  • un “think and do”, un luogo originale che mette insieme saperi di mondi diversi, organizzazioni di cittadinanza attiva e ricerca, prassi e teoria, sperimentazione e aspirazione sistemica;
  • un costruttore di ponti fra culture diverse, fra comunità sperimentali e istituzioni.

 

Scopri come è composto il ForumDD

LA STORIA

Il Forum Disuguaglianze Diversità è stato presentato durante una partecipata conferenza stampa il 16 febbraio 2018 presso la Fondazione Basso. Il progetto si propone di costruire un luogo di pensiero e confronto per informare, discutere e disegnare politiche pubbliche e azioni collettive che riducano le disuguaglianze, economiche, sociali e di riconoscimento, aumentino la giustizia sociale e ambientale e favoriscano il pieno sviluppo di ogni persona in coerenza con l’articolo 3 della Costituzione Italiana.

 

Nel primo biennio ci siamo occupati di ricchezza. Nel secondo biennio di istruzione. Oltre ai due tematismi specifici già menzionati, ci siamo dati quattro linee di azione: assieme per uno scopo: ovvero alleanze con altre organizzazioni di cittadinanza, ricercatori e/o istituzioni volte a conseguire attraverso azioni collettive e pubbliche un particolare risultato; la ricerca; le collaborazioni europee ed internazionali; la formazione. Una menzione a parte per la comunicazione, funzione trasversale attraverso la quale diffondiamo le nostre idee e le nostre proposte, i dati e le analisi sulle disuguaglianze, le idee e le proposte di altri con cui dialoghiamo.

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APPELLI. Sulla sanità «non possiamo restare in silenzio». Presentato in Senato l’appello firmato da oltre 130 associazioni a difesa della sanità pubblica. La mancanza di fondi, le assicurazioni private, il mercato farmaceutico e l’autonomia differenziata i veri nemici del diritto universale alla salute. Il Manifesto, 30 aprile

 

 

 

 

IL MANIFESTO 30 APRILE 2025
https://ilmanifesto.it/sulla-sanita-non-possiamo-restare-in-silenzio

 

Appelli

Sulla sanità «non possiamo restare in silenzio»

 

 

L interno dell'ospedale Lotti di Pontedera nel 2011

L’interno dell’ospedale Lotti di Pontedera nel 2011, foto Ansa – Ansa

 

 

 

Andrea Capocci

 

 

È stato presentato oggi in Senato il documento «Non possiamo restare in silenzio», che chiede alla politica azioni concrete per salvaguardare il diritto universale alla salute.

 

Non si tratta del primo appello in materia, ma questo è rilevante per almeno due motivi.

Il primo è l’ampio numero delle associazioni coinvolte.

L’altro è la natura qualificata del mondo di provenienza.

L’appello infatti riunisce comitati e intellettuali che da anni praticano la materia. Alla sua elaborazione hanno partecipato, tra gli altri, l’Associazione Salute Diritto Fondamentale, il Laboratorio Salute e Sanità, l’associazione “Salute internazionale”, il “Forum Diseguaglianze e Diversità”, il Gruppo Abele e CittadinanzAttiva. Il documento può così mettere a fuoco questioni centrali ma spesso trascurate dal dibattito sul diritto alla salute

Certo, i riferimenti al cronico sottofinanziamento del Ssn e alla necessità di nuove iniezioni di personale non mancano. Il nostro «è un sistema che costa meno di tutti gli altri e produce più salute di tutti gli altri, e i confronti internazionali ce lo dimostrano» dice l’ex-ministra della sanità Rosy Bindi, intervenuta nell’incontro al Senato. 

 

Ma il documento punta il dito sui fondi integrativi, le assicurazioni sanitarie private ormai sdoganate anche in una parte del mondo sindacale e della sinistra.

Fu proprio il fallimento delle mutue professionali a stimolare l’istituzione della sanità pubblica nel 1978.

Da allora, i fondi dovrebbero integrare le prestazioni garantite dalla sanità pubblica mentre troppo spesso si sostituiscono ad essa.

«Tra i fondi iscritti all’Anagrafe – spiega il documento – quelli realmente integrativi sono solo il 4%».

Ne consegue la «moltiplicazione delle prestazioni erogate, con il conseguente rischio di aumento di prestazioni e diagnosi inappropriate», cioè inutili. In più, i casi più gravi e meno lucrativi rimangono a carico della sanità pubblica, che così svolge il ruolo della bad company

 

Il documento sottolinea un’altra questione che le famiglie conoscono bene ma che la politica regolarmente ignora: la non autosufficienza. Per cambiare l’approccio al problema oltre a favorire la domiciliarità, secondo gli estensori è necessario garantire

«un governo pubblico del settore dell’assistenza residenziale e semiresidenziale e un’adeguata presenza di strutture pubbliche in un ambito attualmente dominato dalle imprese private».

 

Un altro bubbone che divora fette crescenti della spesa sanitaria è quello dei farmaci, ovviamente a tutto vantaggio delle grandi aziende multinazionali. Con 24 miliardi, rappresenta un quinto della spesa totale a carico dello Stato. Spesso però il prezzo non corrisponde al valore terapeutico, troppi farmaci sono giudicati “innovativi” senza reali evidenze e troppo spesso si ricorre al farmaco “di marca” pur in presenza di un generico della stessa efficacia ma meno costoso. E farmaci che per legge dovrebbero essere gratuiti, come i contraccettivi, in troppe Regioni sono ancora a carico delle donne che ne fanno uso.

 

Il documento sottolinea l’urgenza di portare a compimento la riforma delineata nel Pnrr e finora rimasta largamente incompiuta realizzando le Case di comunità in cui integrare servizi sociali e sanitari «il cui governo deve essere necessariamente pubblico».

«Un percorso formativo specialistico universitario al pari degli altri professionisti del Ssn, e la possibilità di far parte, come loro, della dirigenza medica del Ssn» dovrebbe rimettere i medici di famiglia (oggi lavoratori autonomi) sullo stesso livello professionale dei medici del Ssn. 

 

Non manca un capitolo sulla salute sul lavoro, questione storicamente trascurata. Il documento segnala il peggioramento di tutti gli indicatori. «La ‘causa delle cause’ – vi si legge – è rappresentata dal modo di produzione, dalle condizioni di lavoro, dalla precarietà, dagli appalti al massimo ribasso e dalla diffusione dei subappalti» e «le strategie delle industrie che in nome del profitto promuovono prodotti e scelte nocivi per la salute».

Infine, il documento chiede di escludere la materia sanitaria da quelle su cui le Regioni potranno chiedere l’autonomia differenziata: “già oggi – si legge – la sanità pubblica paga il prezzo di un processo di forte differenziazione regionale, di un ‘federalismo d’abbandono’». Non un appello settoriale, dunque, ma un piano d’azione radicale. La politica, anche quella di sinistra, è avvertita. Astenersi perditempo.

 

 

 

TRA LE 130 ORGANIZZAZIONI  FIRMATARIE DELL’APPELLO- METTIAMO IL LINK DEL :

 

Forum Disuguaglianze Diversità

 PERCHE’ CI E’ NOTO –OLTRE AD AVERNE FIDUCIA

*****   Gruppo di Coordinamento, presieduto da Fabrizio BarcaElena Granaglia e Andrea Morniroli, e si avvale di uno staff.

https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/lappello-non-possiamo-restare-in-silenzio-la-societa-civile-per-la-sanita-pubblica/

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video, 18 min. ca- SKY ATLANTIC ( link sotto ) —1. VIDEO:: Arianna Finos, serie visionaria : ” M. Il figlio del secolo ” — Antonio Scurati e Luca Marinelli, attore principale–Repubblica, 28  settembre 2024 ++ 2. ALCUNI VIDEO :: qualcosa del film del regista Joe Wrigh

 

 

 

Antonio Scurati

FOTO Biografiaonline

Antonio Scurati (Napoli25 giugno 1969) è uno scrittore e filosofo italiano.A
ll’Università degli Studi di Bergamo, professore a contratto, coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Sempre presso l’Università di Bergamo insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Nel 2005 diviene ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione e nel 2008 si trasferisce all’Università IULM di Milano, dove è professore associato e svolge attività nell’ambito del Laboratorio di Scrittura Creativa e del Laboratorio di Oralità e Retorica nelle lauree triennali. Nella stessa università è anche co-direttore del master di scrittura Arti del racconto, insieme a Gianni Canova, in cui tiene corsi dedicati all’epica e alla scrittura narrativa basata su documenti.

altro in Wikipedia

 

 

M. Il figlio del secolo - Antonio Scurati - copertina

 

M. Il figlio del secolo

Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.
«Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei “puri”, i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come “intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”. Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l’uomo che più d’ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell’Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d’inventato non c’è nulla. Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D’Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l’autore attinge, ma soprattutto per l’effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un’opera senza precedenti nella letteratura italiana. Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.»

 

 

DA QUI — VIDEO, 18 min. ca — link sotto

REPUBBLICA.IT — 28  settembre 2024 — 18.07- 

 

‘M. Il figlio del secolo’, il dialogo in esclusiva tra Antonio Scurati e Luca Marinelli: “Il nostro Mussolini sordido e brutale, un fascino che inganna ancora oggi”

 

 

 

 

Il duce immaginato e quello incarnato, Antonio Scurati e Luca Marinelli, l’autore e l’attore seduti l’uno accanto all’altro. Il travolgente romanzo sull’ascesa di Mussolini si è trasformato in una serie visionaria, diretta da Joe Wright. Una delle opere più belle viste alla Mostra di Venezia, in onda a inizio 2025 su Sky Atlantic.

Arianna Finos ha dialogato con loro al Lido, un confronto che parte da ‘M’, il libro Premio Strega di Scurati, arriva all’Italia di oggi, alla democrazia a rischio, passando per l’incontro (di Marinelli) con il romanzo, l’approccio all’interpretazione del Duce, l’idea (di Scurati) di un racconto del fascismo in un’ottica antifascista, l’obiettivo di “far sentire quanto quell’idea sciagurata fosse stata e continui a essere seduttiva”.  Riprese e montaggio di Rocco Giurato

DA QUI — VIDEO, 18 min. ca — link sotto

REPUBBLICA.IT — 28  settembre 2024 — 18.07- 

 

APRI QUI

https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2024/09/28/video/antonio_scurati_luca_marinelli_m_il_figlio_del_secolo-423522595/?ref=vd-auto&cnt=1

 

 

 

 

*****

TRAILER  SERIE VISIONARIA– SKY ATLANTIC

 

 SKY  TRAILER UFFICIALE
IL  FIGLIO DEL SECOLO

video, 1.04

 

Luca Marinelli è Mussolini dal  romanzo storico di Antonio Scurati dallo stesso titolo

 

 

EPISODIO 1 : NASCE IL FASCISMO

 

 

EPISODIO 2 – NITTI LIBERA MUSSOLINI DAL CARCERE

 

EPISODIO 3 IL FASCISTA RAGIONEVOLE E RISPETTABILE

 

 

video, 2.44

EPISODIO 3PRESENTAZIONE DELLE GERARCHIE FASCISTE

 

 

 

EPISODIO 6LA VITTORIA DI MUSSOLINI

 

 

 

 

EPISODIO 8 –RESPONSABILITA’ POLITICA

 

 

 

video, 4.07

EPISODIO 8 –(di nuovo !, mi pare  che il film sia stato fatto due volte )
IL DUCE CENSURA I GIORNALI

 

 

 

 

LINK SKY PER LA SERIE : https://www.youtube.com/watch?v=0v7IMaOrAQE- 

APRI QUI

 

*** ne pubblicheremo altri, magari, comunque su YouTube, più o meno al  link sky sopra , dovreste trovarli

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REPUBBLICA, 5 ottobre 2013/ link sotto — –FABIO GAMBARO INTERVISTA JACQUES LE GOFF, famoso storico francese, a proposito di PAPA BERGOGLIO + altro + tre pezzetti del film di Zeffirelli ( 1972 )

 

 

Jacques Le Goff: una vita per la storia

Jacques Le Goff ( Tolone, 1º gennaio 1924 – Parigi, 1º aprile 2014 )

 

San Francesco d'Assisi - Jacques Le Goff - copertina

Laterza 2002

“Nell’attrattiva che su ogni storico esercita la tentazione di raccontare la vita di un uomo (o di una donna) del passato, di scrivere una biografia che si sforzi di raggiungere la sua verità, Francesco è stato ben presto l’uomo che più di qualunque altro ha suscitato in me ildesiderio di farne un oggetto di storia totale, storicamente e umanamente esemplare per il passato e il presente”(Dalla Prefazione). Jacques Le Goff è tra i massimi storici viventi del Medioevo. (2002 )

 

 

 

 

 

Jacques Le Goff
“Il Papa vuole cambiare la Chiesa
proprio come fece San Francesco”

 

Lo storico francese, che a San Francesco d’Assisi ha dedicato un saggio, racconta la povertà e la risata, simboli del santo

 

 

di FABIO GAMBARO

 

LA   REPUBBLICA     05 ottobre 2013  / LINK

 

 

 

ASSISI- PARROCCHIA SAN FRANCESCO D’ASSISI

 

GIOTTO-  LA LEGGENDA DI SAN FRANCESCO

 

 

 

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UN DIPINTO ATTRIBUITO A CIMABUE
Tavola di San Francesco, Museo della Porziuncola
Attribuito a Cimabue- link

 

 

 

L’INTERVISTA:   

 

 

PARIGI

Le Goff:   “Prima di essere l’autore del Cantico delle Creature, San Francesco è l’uomo che dice no al denaro”.

Per Jacques Le Goff, l’appello alla povertà è il tratto fondamentale del santo d’Assisi. Il celebre storico francese, che al poverello ha dedicato un importante saggio intitolato San Francesco d’Assisi (Laterza), lo ricorda commentando le ultime dichiarazioni di papa Bergoglio:

 

Le Goff :: “Al di là della complessità del personaggio, San Francesco rappresenta la condanna vivente del denaro. Figlio di un mercante che aveva viaggiato molto tra l’Italia e la Francia, da dove peraltro importò il nome Francesco, nulla sembrava predisporlo alla scelta di povertà. Il rifiuto della ricchezza fu innanzitutto l’espressione di una rivolta nei confronti del padre, ma poi vi diede anche un valore sociale e collettivo, quando si spogliò dei vestiti e dei beni materiali davanti al Vescovodi Assisi”.

Evocando una chiesa della povertà, il Pontefice si muove nel solco della più autentica tradizione francescana?

Le Goff : “Direi di sì. In un periodo di crisi economica, dove la povertà aumenta mentre una minoranza non cessa di arricchirsi, la figura di San Francesco acquista una forza tutta particolare. Anche il santo d’Assisi immaginava una Chiesa della povertà contrapposta alla Chiesa dei potenti. Fu però un sogno che non riuscì a realizzare. Dato che era un cristiano molto pio, accettò di fare delle concessioni al papato. Insomma, alla fine non è riuscito a riformare la chiesa”.

 

Papa Francesco può riuscirvi?

Le Goff :: “Il Vaticano è ancora un simbolo di ricchezza. Tentare di combattere il denaro sul piano simbolico come su quello concreto è un’impresa molto difficile. Il pontefice però ha cominciato a muoversi in questa direzione. Ad esempio, rendendo pubblici i conti della banca vaticana, un fatto molto importante in nome di quel rinnovamento che vuole rendere la Chiesa più trasparente e più vicina agli uomini. Proprio come voleva San Francesco. Naturalmente, per riuscirvi dovrà scontrarsi con il carattere intrinsecamente monarchico della Chiesa”.

 

Nel suo libro, lei sottolinea la dimensione della gioia e del riso in San Francesco. È un aspetto decisivo?

Le Goff ::“Certamente. La dimensione gioiosa del poverello è un vero elemento di novità e di rottura, perché fino ad allora tutto il cattolicesimo si era costruito in contrapposizione al riso. La regola benedettina intimava di non ridere. Il riso era considerato nemico di Dio. Francesco invece ride liberamente, esprimendo così un modo diverso e più gioioso di rapportarsi al mondo. Questo tratto è evidente anche in Papa Bergoglio. A differenza di Benedetto XVI, Francesco è un papa che parla, proprio come il santo che parlava a tutti, perfino agli uccelli”.

 

Le Goff : Perché San Francesco continua ad affascinarci?

“Perché veicola atteggiamenti e valori considerati essenziali dalla maggior parte del mondo cristiano. La critica del denaro e dei banchieri, la povertà e la solidarietà rendono San Francesco molto vicino alle nostre preoccupazioni, specie in tempo di crisi. Ispirandosi a lui, il Pontefice diventa l’uomo della semplicità e dell’apertura che molti cercano nella Chiesa da sempre, senza trovarlo”.

 

 

 

 

CANTO XI DEL PARADISO DI DANTE ALIGHIERI– vedi Nota al fondo

 

Intra Tupino e l’acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende

onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, là dov’ ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole

Non era ancor molto lontan da l’orto,
ch’el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;

e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l’amò più forte.

Questa, privata del primo marito,
millecent’ anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;

né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;

né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che ’l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.

Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l’umile capestro.

Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi’ di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;

ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.

Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimita
fu per Onorio da l’Etterno Spiro
la santa voglia d’esto archimandrita.

E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,

e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l’italica erba,

nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l’ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.

Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch’el meritò nel suo farsi pusillo,

a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’amassero a fede;

e del suo grembo l’anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.

Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;

e questo fu il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com’ el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.

Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote
che per diversi salti non si spanda;

e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l’ovil di latte vòte.

Ben son di quelle che temono ’l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.

Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò ch’è detto a la mente revoche,

in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra’ il corrègger che argomenta

“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”».

 

 

DA :

Edizione: La Commedia secondo l’antica vulgata
a cura di Giorgio Petrocchi
Casa Editrice Le Lettere
Firenze, 1994

MANCA L’INIZIO DEL CANTO CHE TROVATE NEL LINK:

*** chi parla di Francesco è San Tommaso
https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Paradiso/Canto_XI

 

 

 

NOTA SUI PRIMI VERSI DI DANTE SU FRANCESCO:

 

Il fiume Cascio nella Piana di Valfabbrica

 

In questi versi si spiega che tra i fiumi Topino e Chiascio (quest’ultimo scende dal monte Ausciano dove il beato Ubaldo si ritirò in eremitaggio) digrada la fertile costiera del monte Subasio, dalla quale Perugia riceve il calore estivo e il freddo invernale dal lato di Porta Sole; dalla parte opposta del monte ci sono invece Nocera Umbra e Gualdo Tadino, in posizione svantaggiosa.
Da questa costiera del monte, dove essa è meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (San Francesco), come il Sole vero e proprio sorge talvolta dal fiume Gange (all’equinozio di primavera, quando è più luminoso).
Perciò, se qualcuno parla di quella città, non la deve chiamare Ascesi (Assisi), ma Oriente, poiché ha dato i natali al Santo.

 

 

ALTRO :

REGIONE UMBRIA –
VALFABBRICA, PROV. DI PERUGIA

https://www.halleyweb.com/c054057/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/313

 

 

TRAILER UFFICIALE DEL FILM DI ZEFFIRELLI RESTAURATO — IN USCITA NELL’OTTOBRE 2024

 

 

7 minuti ca

del film non restaurato– molto piacevole — anche noi ” sogniamo ”  di fare così con Netanyahu…

 

 

 

video, 14 min. ca-

San Fr4ancesco dal Papa

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#ultimogiornodigaza – Mobilitiamoci il 9 maggio –il giorno per l’Europa e per la sua unificazione — per un’azione dal basso, online per Gaza che ” senza il mondo Gaza muore, ma anche noi moriamo con lei. Noi italiani, europei, umani. “

 

 

 

 

 

 

 

#ultimogiornodigaza. L’Europa contro il genocidio: un appello per il 9 maggio

 

 

 

segue da:

MINIMA MORALIA– 29 APRILE 2025

https://www.minimaetmoralia.it/wp/mondo/ultimogiornodigaza-leuropa-contro-il-genocidio-un-appello-per-il-9-gennaio/

 

 

La data scelta dai promotori di una lettera pubblica per un’azione diffusa, dal basso e online, ha un preciso significato. È il 9 maggio, la giornata in cui tradizionalmente si celebra l’Europa e il suo processo di unificazione.

Non è certo casuale. “Senza il mondo Gaza muore. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani.” La scelta di utilizzare le potenzialità della rete – i social, i canali video, i siti – ha un preciso obiettivo: allargare la partecipazione anche a chi non scende in piazza, ma esprime da mesi il proprio disagio, il senso profondo di impotenza sulla strage in corso e sull’inazione dei governi, soprattutto di quelli europei e occidentali.

Non a caso la parola chiave usata, lo hashtag da diffondere nella rete, spinge sulla responsabilità individuale e collettiva: #GazaLastDay, #UltimogiornodiGaza. Dopo ben oltre cinquantamila palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane, di cui almeno un terzo bambini, e un territorio, quello di Gaza, quasi completamente distrutto dai bombardamenti. I firmatari sottolineano “la consapevolezza che noi siamo loro. E che a noi – italiani ed europei – verrà chiesto conto della loro morte. Perché a compiere la strage è un nostro alleato, Israele. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto, e la giustizia internazionale”.

 

 

 

La mobilitazione per il 9 maggio: l’Europa contro il genocidio

Spezziamo la solitudine e l’impotenza come individui e come associazioni.
Facciamo diventare Gaza protagonista della giornata dell’Europa.
Facciamolo con una mobilitazione generale sui social: Instagram, Facebook, X.

Inondiamo il web di post.
Quando? Tutto il giorno del 9 maggio (dalla mattina alla notte)

 

 

Come?

a) Pubblichiamo sui nostri social gli hashtag: #ultimogiornodigaza #gazalastday

b) postiamo quel che vogliamo, che ci rappresenta:
brevi video (con versi, canzoni, letture, riflessioni…); disegni; un cartello con una frase; una foto; una vignetta;
l’immagine del logo dell’iniziativa (che abbiamo realizzato e che vi abbiamo inviato) etc.

c) e infine condividiamo, condividiamo, rilanciando più post possibili con gli hashtag #ultimogiornodigaza #gazalastday

 

Che sia un diluvio.

***

 

 

Appello Ultimo giorno per Gaza

Il 9 maggio è la Giornata dell’Europa: ma è anche l’ultimo giorno di Gaza. Perché il tempo sta finendo, per questa terra nostra. Questa terra del Mediterraneo, il mare che ci unisce.

Per questo, in quella giornata in cui ci chiediamo chi siamo, vi chiediamo di parlare di Gaza, di farlo ovunque vorrete. E di farlo, tutte e tutti, sulla rete: su siti, canali video, social.

E sempre con l’hashtag #GazaLastDay, #UltimogiornodiGaza.

Senza il mondo Gaza muore. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani.

Per rompere il silenzio colpevole useremo la rete, che è il solo mezzo attraverso cui possiamo vedere Gaza, ascoltare Gaza, piangere Gaza.

Perché possano partecipare tutte e tutti, anche solo per pochi minuti. Anche chi è prigioniero della sua casa, e della sua condizione: come i palestinesi, i palestinesi di Gaza lo sono. Perché almeno stavolta nessuna autorità e nessun commentatore allineato possa inventarsi violenze che occultino la violenza: quella fatta a Gaza.

Sulla rete, e non solo. Per chi vuole mettere in rete ciò che succede nelle piazze e nelle comunità che si interrogano, assieme, su come fermare la strage.

Con la consapevolezza che noi siamo loro. E che a noi – italiani ed europei – verrà chiesto conto della loro morte. Perché a compiere la strage è un nostro alleato, Israele. Per ripudiare l’Europa delle guerre antiche e contemporanee, per proteggere l’Europa di pace nata da un conflitto mondiale, esiste un solo modo: proteggere le regole, il diritto, e la giustizia internazionale. E soprattutto guardarci negli occhi, e guardarci come la sola cosa che siamo. Umani.

Aggiungiamo tutte le parole che vorremo usare all’hashtag #ultimogiornodigaza #gazalastday.

Senza scomunicarne nessuna, senza renderne obbligatoria nessuna. Per chiamare le cose con il loro nome.

Ora è il momento di costruire una rete di senza-potere determinati a prendere la parola. E il 9 maggio è la prima tappa di una strada assieme.

Perché la strage, perché il genocidio, abbiano fine. Ora.

Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Giuseppe Mazza, Tomaso Montanari, Francesco Pallante, Evelina Santangelo

 

 

 

Adesioni

Ubah Cristina Ali Farah
Alessandra Algostino
Massimo Amato
Alessandra Annoni
Benedetta Argentieri
Dunia Astrologo
Stefania Auci
Ada Barbaro
Laura Silvia Battaglia
Enrico Bellavia
Leila Belhaj Mohamed
Marta Bellingreri
Nabil ben Salameh
Elisabetta Benigni
Francesca Biancani
Mauro Biani
Alberto Bobbio
Alessandro Bonaccorsi
Alba Bonetti
Sara Borrillo
Daniela Brogi
Vasco Brondi
Lucio Brunelli
Pino Bruno
Giosuè Calaciura
Annalisa Camilli
Giorgio Canarutto
Enrico Campanati
Paola Capriolo
Luca Casarotti
Eduardo Castaldo
Pietro Cataldi
Giuseppe Cederna
Ascanio Celestini
Vanni Codeluppi
Francesca Coin
Vittorio Cosma
Gianluca Costantini
Chiara Cruciati
Toni Cutrone (Mai Mai Mai)
Mari D’Agostino
Luigi Daniele
Emma Dante
Danilo De Biasio
Daria Deflorian
Maurizio De Giovanni
Beniamino Deidda
Roberta De Monticelli
Nicoletta Dentico
Fabio Deotto
Giacomo Di Girolamo
Giovanni Di Leo
Alessandra Di Maio
Rosita Di Peri
Davide Enia
Lorenzo Fazio
Carlo Feltrinelli
Luigi Ferrajoli
Lorenzo Flabbi
Marcello Fois
Marina Forti
Paolo Fresu
Nadia Fusini
Claudio Gallo
Giovanna Garrone
Fabio Geda
Chiara Geloni
Gennaro Gervasio
Lorenza Ghidini
Fabrizio Gifuni
Emanuele Giordana
Paolo Giordano
Alessandra Gissi
Giuseppe Giulietti
Francesca Gorgoni
Graziano Graziani
Michelangelo Gruttadauria
Luca Guadagnino
Mariangela Gualtieri
Alfredo Guardiano
Sveva Haertter
Francesca Incardona
Franco Ippolito
Claudio Jampaglia
Rula Jebreal
Sergio Labate
Nicola Lagioia
Filippo Landi
Vincenzo Latronico
Stefano Liberti
Loredana Lipperini
Luciana Littizzetto
Emanuele Lo Cascio
Luigi Lo Cascio
Viola Lo Moro
Alessio Mamo
Francesca Manieri
Francesca Mannocchi
Fiorella Mannoia
Franco Marcoaldi
Tina Marinari
Triestino Mariniello
Ilaria Masieri
Alfio Mastropaolo
Francesco Mazzucotelli
Giordano Meacci
Anna Meli
Fausto Melluso
Chantal Meloni
Beatrice Merz
Riccardo Michelucci
Giuseppe Milici
Rossella Milone
Sabina Minardi
Luisa Morgantini
Alba Nabulsi
Anna Nadotti
Valerio Nicolosi
Chiara Nielsen
Riccardo Noury
Matteo Nucci
Dalia Oggero
Raffaele Oriani
Erasmo Palazzotto
Francesca Panzeri
Valentina Pazé
Paolo Pecere
Carla Peirolero
Livio Pepino
Martina Piperno
Don Dino Pirri
Vincenzo Pirrotta
Pietro Polito
Silvia Pozzi
Alberto Prunetti
Radiodervish
Ali Rashid
Monsignor Giovanni Ricchiuti
Alice Rohrwacher
Nello Rossi
Carlo Rovelli
Monica Ruocco
Alessandra Sarchi
Stefano Savona
Gea Scancarello
Attilio Scarpelliini
Nello Scavo
Igiaba Scego
Toni Servillo
Elettra Stamboulis
Martina Stefanoni
Silvia Stilli
Francesco Sylos Labini
Massimiliano Tarantino
Saskia Terzani
Saverio Tommasi
Alberto Tonini
Tiziana Triana
Valentina Uberti Aber
Nadeesha Uyangoda
Daniele Vicari
Francesco Vignarca
Simona Vinci
Santiago Zabala
Hamid Ziarati
Giulia Zoli

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video, 1h 58 –Alessandro Barbero ( inizia al min. 4.58 ) – Speciale 25 Aprile 2025 — organizzato da : PRIMO PIANO CORREGGIO ( PP )–

 

 

*** come al solito, dice cose che non si trovano sui libri

 

 

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Una bella edizione di – Hasta Siempre,Comandante (Cuba) –dai ” Cuerda Fusion “– + altro da ” Canzoni contro la guerra ” su Carlos Puebla ( il compositore )

 

 

 

Cuerda Fusion:

Basso : Ernesto Castellanos Soler
Piano : Anayansi Miranda Ramirez
Percussioni : Yenis Toledo Garcia
Chitarra : Xatvieli Calderon
Violino e Direzione: Luis Felipe Hector Diaz

 

 

 

 

 

 

segue da :
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=42560

 

Carlos Puebla - Musica, video, statistiche e foto | Last.fm

Carlos Pueblas

foto: Last.fm

 

Carlos Manuel Puebla Concha (Manzanillo11 settembre 1917 – L’Avana12 luglio 1989) è stato un cantautore cubano.

Nato in una famiglia modesta, intraprese diversi mestieri durante la sua gioventù (carpentiere, meccanico, lavoratore di canna da zucchero, calzolaio), ma presto incominciò ad interessarsi alla musica, specialmente alla chitarra. Imparò come suonarla da autodidatta, senza un insegnante.

Dall’inizio degli anni cinquanta, Puebla cantava le difficili condizioni di vita del suo popolo e sfidava la dittatura di Batista con canzoni come Plan de macheteEste es mi pueblo e Pobre de mi Cuba. I suoi testi erano seri e diretti.

La Rivoluzione gli ispirò nuove canzoni, come Y en eso llegó FidelLa Reforma AgrariaDuro con élYa ganamos la pelea e Son de la alfabetización.

Nel 1965, la notte dopo il discorso di Fidel Castro che annunciava l’uscita di Che Guevara dal governo e la sua partenza da Cuba, Puebla, colto dall’emozione, compose quella che diventò poi la sua opera più celebrata, Hasta Siempre, una vera e propria dichiarazione di amore e speranza verso il Che.

Il 12 luglio 1989 morì a L’Avana dopo una lunga malattia all’età di 71 anni.

Sulla sua lapide :

«yo soy esto que soy, un simple trovador que canta (“Io sono quello che sono, un semplice trovatore che canta”)»

 

 

Composta da Carlos Puebla, 1965
Titolo originale: Canción al Che
Guajira
Conosciuta anche come Hasta siempre Comandante
Interpretata assieme a Los Tradicionales

 

 

 

parte di un’intervista a Carlos Puebla

– Qual’e la storia della canzone “Hasta siempre Comandante”?

– Fu nel 1965, quando Fidel nella Piazza della Rivoluzione, lesse la lettera di commiato del Che. Quello fu molto suggestivo e presto mi misi a lavorare: durante la notte scrissi quella canzone.
Il giorno dopo la mostrai a mia moglie Rosalba e chiamai a “Los Tradicionales” per provarla. Volevo trasportare il messaggio del Che verso altre terre del mondo per continuare ad offrire il suo contributo alla lotta rivoluzionaria. Non avevo dubbi che in quei Paesi sarebbe rimasta la sua cara presenza.

– Non sembra essere una canzone di lutto.

– Non e’ una canzone di lutto. E’ una canzone contadina che esprime speranza, molto epica e sentita, con l’atmosfera che esige.
La canzone percorse -e percorre- il mondo: fu inclusa nel film Stato d’Emergenza, di Costa Gavras, divenne un inno della lotta in Vietnam e nell’America Latina, ed anche in manifestazioni in Europa.
In Spagna mi sorprese sentirla in un concerto nel teatro Monumental.
Il pubblico accendeva gli accendini illuminando il teatro mentre si cantava la canzone.

(Da un’intervista a Carlos Puebla)

 

 

TESTO E TRADUZIONE

HASTA SIEMPRE  ( = per sempre )

Aprendimos a quererte
desde la histórica altura
donde el sol de tu bravura
le puso un cerco a la muerte.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Tu mano gloriosa y fuerte
sobre la historia dispara
cuando todo Santa Clara
se despierta para verte.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Vienes quemando la brisa
con soles de primavera
para plantar la bandera
con la luz de tu sonrisa.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Tu amor revolucionario
te conduce a nueva empresa
donde esperan la firmeza
de tu brazo libertario.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

Seguiremos adelante
como junto a ti seguimos
y con Fidel te decimos:
hasta siempre Comandante.

Aquí se queda la clara,
la entrañable transparencia,
de tu querida presencia
Comandante Che Guevara.

inviata da DonQuijote82 + CCG/AWS Staff – 11/10/2012 – 09:31


Lingua: Italiano

Versione italiana da informagiovani.it

PER SEMPRE

Abbiamo imparato ad amarti
sulla storica altura
dove il sole del tuo coraggio
ha posto un confine alla morte.

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua cara presenza,
Comandante Che Guevara.

La tua mano gloriosa e forte
spara sulla storia
quando tutta Santa Clara
si sveglia per vederti.

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua cara presenza,
Comandante Che Guevara.

Vieni bruciando la nebbia
come un sole di primavera,
per piantare la bandiera
con la luce del tuo sorriso.

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua cara presenza,
Comandante Che Guevara.

Il tuo amore rivoluzionario
ti spinge ora a una nuova impresa
dove aspettano la fermezza
del tuo braccio liberatore.

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua cara presenza,
Comandante Che Guevara.

Continueremo ad andare avanti
come fossimo insieme a te
e con Fidel ti diciamo:
Per sempre, Comandante!

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua cara presenza,
Comandante Che Guevara.

inviata da DonQuijote82 – 11/10/2012 – 09:34

 

 

Cuba, Carretera Nacional 45.

Cuba, Carretera Nacional 45.  ( Strada centrale di Cuba )

 

La canzone nacque come una risposta alla lettera di addio a Cuba scritta da Che Guevara nel 1965. Il 3 ottobre di quello stesso anno, Fidel Castro rese pubblica una lettera priva di data scrittagli da Guevara diversi mesi prima, in cui questi riaffermava la sua solidarietà con Cuba, ma dichiarava anche la sua intenzione di abbandonare l’isola e di andare a combattere altrove per la Rivoluzione.

Carlos Puebla ha composto il testo della canzone come una risposta alla lettera (la quale è conosciuta come la Carta de despedida del Che). Quasi come un menestrello, Puebla ha citato nel testo tutti i momenti fondamentali della vita del Che: l’invasione della Sierra Maestra, la Battaglia di Santa Clara, e poi ancora l’amore del Che per la Rivoluzione e il sentimento di dispiacere dei cubani per la sua partenza.

La struggente musica si basa sulle note del tradizionale son cubano ed è composta da una serie di redondilla, strofe di quattro versi ottonari, di cui alcune con rima assonante e la maggior parte con rima consonante.

Esistono più di 200 versioni della canzone di Carlos Puebla, e molti sono gli artisti che l’hanno interpretata. Tra i più noti: Compay Segundo y Los Calchakis, Nathalie Cardone, Robert Wyatt con Ricky Gianco, i NomadiIvan Della MeaCasa del VentoDaniele SepeMaria CartaEnrico CapuanoLos OlimareñosÁngel Parra, Soledad Bravo, Óscar Chávez, Inés Rivero, Silvio RodríguezMaría FarandouriBoikotBanda Bassotti, Walter César, Zebda, Xesco Boix, Wayna Taki, Verónica Rapella, Rolando Alarcón, Los Machucambos, Julio César Barbosa, Radio Obrera, Celso Piña, Ixo Rai, Wolf Biermann, George Dalaras, Giovanni Mirabassi e Al Di Meola, Ahmet Koç, Mohsen Namjoo, Enrique Bunbury, Interitus Dei, gli Strachy Na Lachy con la loro versione polacca “List Do Che”. – it.wikipedia.

 

 

per chi la volesse suonarla

Hasta la victoria

 

 

 

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Cosa è successo durante di funerali di papa Francesco. L’incontro tra Trump e Zelensky (e Macron) e il video di Putin su Kursk e l’apertura negoziale del Cremlino sull’Ucraina. I passi avanti e gli ostacoli per arrivare a una tregua. Il ruolo della Corea del Nord. Il quadro più ampio dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. L’attesa per le celebrazioni del 9 maggio.

In collegamento Orietta Moscatelli e Alfonso Desiderio. Puntata registrata il 28 aprile 2025.

 

 

 

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