Ilan Pappé si trova in Italia per promuovere il suo ultimo libro Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina. Dal 1882 a oggi (Fazi Editore), e ad annunciare l’uscita del prossimo La fine di Israele?.Lo storico, oggi professore di Storia all’Istituto di studi arabi e islamici e direttore del Centro europeo per gli studi sulla Palestina presso l’Università di Exeter, da diversi anni rappresenta una delle voci critiche più importanti sulla società israeliana. Ospite degli studi di Fanpage.it, abbiamo discusso del conflitto in corso a Gaza.
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NEL LINK DI FANPAGE TROVI IL TESTO DELL’INTERVISTA NEL CASO TROVASSI PIU’ SEMPLICE LEGGERLO
Vale la pena sapere cosa fare in caso di infarto mentre se sei solo o alla guida. Ci avete mai pensato Quando sei solo e hai un infarto. Cosa farai allora? Un post raramente valido che non può essere condiviso abbastanza spesso:
1. Prenditi una pausa di 2 minuti e leggi questo: Diciamo che sono le 17:25 e stai tornando a casa dopo una giornata di lavoro insolitamente dura.
2. Sei davvero stanco e frustrato. All’improvviso ti fa male il petto. Stanno iniziando a irradiarsi nel braccio e nella mascella. Sembra di essere pugnalati al petto e al cuore. Sei a pochi chilometri dall’ospedale o dalla casa più vicina. 3. Purtroppo non sai se riuscirai a farcela.
4. Forse hai seguito un corso di RCP, ma la persona che ha tenuto il corso non ti ha spiegato come aiutarti.
5. Come sopravvivi a un attacco di cuore quando sei solo? Una persona che si sente debole e con tachicardia forte ha solo circa 10 secondi prima di perdere conoscenza.
6. Ma puoi aiutarti TOSSENDO ripetutamente e con forza! RESPIRI PROFONDI prima di ogni tosse. La tosse dovrebbe essere ripetuta ogni secondo fino all’arrivo in ospedale o finché il cuore non riprende a battere normalmente.
7. La respirazione profonda fornisce ossigeno ai polmoni e i movimenti della tosse stimolano il cuore e la circolazione sanguigna. La pressione cardiaca aiuta anche a ripristinare un battito cardiaco normale. Ecco come le vittime di arresto cardiaco possono arrivare in ospedale per le giuste cure
8. I CARDIOLOGI affermano che se qualcuno riceve questo messaggio e lo trasmette a 10 persone, possiamo aspettarci di salvare almeno una vita.
9. PER LE DONNE: dovresti sapere che le donne hanno sintomi aggiuntivi e diversi. Raramente avvertono un dolore schiacciante al petto o dolore alle braccia. Spesso soffrono di indigestione e senso di oppressione sulla schiena in corrispondenza della linea del reggiseno, oltre ad affaticamento improvviso. Invece di postare barzellette, contribuisci a salvare vite umane diffondendo questo messaggio.
COPIA (tieni premuto il dito, clicca sul testo e seleziona copia, vai alla tua pagina e dove normalmente vuoi scrivere, seleziona nuovamente il dito e incolla) Ottimo a sapersi!!
” Racconta gli anni Venti e Trenta in larga parte attraverso le persone che vissero quel periodo: fascisti, antifascisti, socialisti, comunisti, anarchici. Il tema centrale è la violenza: ritrae vittime carnefici e spettatori. Senza la violenza, prima e durante il regime, il fascismo non avrebbe potuto prendere e mantenersi al potere. ”
( dal Prologo dell’autore ).
Rivoltelle, bombe a mano, manganelli e olio di ricino: questo era l’armamentario delle ‘squadracce’ fasciste che cento anni fa imperversavano per l’Italia, lasciando una scia di morte e di devastazione. Una violenza che sconvolse la penisola e ne paralizzò ogni reazione.
«Un libro coinvolgente, che immerge il lettore nel clima feroce dell’ascesa del regime e insieme fa riflettere sui fantasmi che sempre può liberare la domanda distorta di “sicurezza”, che ha ancora tanta presa sulla pancia delle persone.» – Benedetta Tobagi
La conquista del potere da parte del fascismo, cento anni fa, si caratterizzò per l’uso di una violenza smodata e senza limiti. Pestaggi, uccisioni, linciaggi, devastazioni furono sistematici nel ‘biennio nero’ 1921-1922, ma continuarono con la stessa brutalità anche dopo la marcia su Roma fino ad annientare l’opposizione politica nel paese. Questa brutalità così efferata provocò uno shock fortissimo: i socialisti e i comunisti, che si erano sentiti fino a quel momento sul punto di scatenare la rivoluzione, non seppero reagire e difendersi.
Ma l’effetto dirompente della violenza sul corpo della nazione venne sottovalutato anche dallo Stato liberale e dalle élites che, in un primo momento, avevano pensato di utilizzare i fascisti per liquidare il ‘pericolo rosso’. Se l’ascesa del fascismo fu efferata, altrettanto lo fu la sua caduta, con i venti mesi di guerra civile che portarono l’Italia sull’orlo del baratro. Per molto tempo gli storici si sono interrogati sul consenso al regime fascista e hanno dedicato poca attenzione all’uso della violenza da parte dei fascisti e al ruolo anche simbolico che questo ha avuto. John Foot, nel solco della migliore divulgazione inglese, ne ricostruisce la storia a partire da singole storie individuali, spesso dimenticate.
John Foot, docente di Storia contemporanea italiana, ha insegnato presso il Dipartimento di italiano dell’University College di Londra e insegna all’Università di Bristol. Tra le sue opere pubblicate in italiano, ricordiamo: Il boom dal basso: famiglia, trasformazione sociale, lavoro, tempo libero e sviluppo alla Bovisa e alla Comasina (Milano, 1950-1970), (Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1997), Milano dopo il miracolo. Biografia di una città (Feltrinelli, 2003), Fratture d’Italia (Rizzoli, 2009), Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia (Bur, 2010), Pedalare! La grande avventura del ciclismo italiano (Rizzoli, 2011) e La “Repubblica dei Matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978 (Feltrinelli, 2014; Ue, 2017).Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.
cortesia dell’editore, trovi nel link delle pagine da leggere– un certo numero
che ti permette se ti va come scrive l’autore
DI DIANELLA GAGLIANI- docente di Storia contemporanea all’Università di Bologna, è una dei massimi studiosi del fascismo e della Repubblica sociale italiana.
John Foot, Gli anni neri. Ascesa e caduta del fascismo. Roma-Bari: Laterza, 2022. X-437 pp.
Sono indubbiamente anni neri quelli compresi fra il 1919 e il 1945, per il predominio del nero nello spazio pubblico – dalle divise ai gagliardetti agli scenari delle adunate –, e anche, intendendo il nero in una accezione traslata, per le vite dei perseguitati politici e razziali e per quanti dovettero subire le guerre del fascismo (dai libici agli abissini, dagli spagnoli agli albanesi, dai francesi ai greci…). Questi due significati di nero sono compresenti e in qualche modo intrecciati nella ricostruzione di John Foot del periodo, fino alla cupa chiusa del 1945.
Al titolo italiano preferiamo, tuttavia, quello originale Blood and Power: The Rise and Fall of Italian Fascism, in quanto più coerente con il cuore dell’analisi, con la nuova politica inaugurata dal fascismo fin dai primi mesi del 1919 e con la violenza senza limiti che la caratterizzava e di cui l’A. dà largamente conto. Si può dire, anzi, che la parte più pregnante del libro si concentri su questa violenza estrema e sulle sue conseguenze. A differenza della violenza del movimento operaio, più proclamata che praticata e, comunque, più difensiva, la violenza fascista, come notava Curzio Malaparte che ben la conosceva, era organizzata, sistematica, scientifica: «Mussolini – scriveva Malaparte – combatte la sua battaglia politica, ma con la violenza, con la più dura, con la più inesorabile, la più scientifica delle violenze»; «le camicie nere non sono soltanto violente, sono spietate». E soprattutto, disprezzando e dileggiando l’avversario in quanto vigliacco, «panciafichista», «rinunciatario», lo giudicavano un nemico della nazione e, dunque, assimilabile al nemico esterno e, pertanto, passibile di qualsiasi insulto e brutalità. Emilio Gentile ha per primo messo a fuoco questi caratteri originari del fascismo e ce ne ha offerto ricche esemplificazioni. Senza dire che il tema della violenza ha acquisito negli ultimi lustri una nuova centralità, a partire dagli studi di Giulia Albanese, Matteo Millan, Camilla Poesio.
Cosa aggiunge il libro di Foot a queste analisi? Il suo merito è di ricostruire alcuni degli episodi centrali di violenza nell’ascesa al potere del fascismo (dai fatti di Palazzo d’Accursio di Bologna del novembre 1920 agli agguati in Toscana e alle stragi di Empoli del marzo 1921 e di Foiano dell’aprile 1921, alla marcia su Ravenna dell’estate 1922, alla strage di Torino del dicembre 1922, accanto a diversi altri eventi sanguinosi) e di seguirne gli esiti successivi. Merito del libro è anche quello di evidenziare le storie di diversi perseguitati ben oltre il momento di avvio della repressione, ripercorrendone anzi le vicende per tutto il Ventennio e oltre. Grazie allo stile narrativo proprio della storiografia anglosassone ne emergono quadri di sopraffazione e di angherie che sottolineano l’assenza totale di uno Stato di diritto e che non si arrestano davanti alla sconfitta totale dell’avversario e al suo completo disimpegno politico. È un accanimento che coinvolge anche i famigliari delle vittime oltre alla loro cerchia di amici. Alcune analisi condotte sui cosiddetti Casellari politici delle questure, per esempio per Parma, avevano già evidenziato questo tratto vessatorio e crudele del sistema repressivo fascista. Foot, tuttavia, inserisce queste storie di oppressione all’interno dell’impalcatura più generale del fascismo in una sorta di gioco di contrasto fra le traiettorie dei perseguitati e quelle dei persecutori: impoveriti fino alla miseria (perché impossibilitati a trovare un lavoro), angariati, obbligati al discredito e alla solitudine sociale i primi; pieni di onori e riconoscimenti e ricchezze i secondi.
Il divario tra il mondo dei vinti e quello dei vincitori percorre tutto il libro e serve a sottolineare un altro tema che è centrale nell’analisi di Foot, vale a dire il tema della memoria. Concordo pienamente con l’A. quando indica la manipolazione della storia e della memoria come un tratto distintivo del fascismo fin dalle origini. Il consigliere comunale nazionalista Giordani, le modalità della cui uccisione non risultarono mai chiarite, fu osannato immediatamente come un martire della bestialità socialista e, poi, gli si eressero statue, gli si intitolarono strade, mentre intorno ai dieci ammazzati e ai sessanta feriti socialisti fu alzato subito un silenzio totale che continuò negli anni successivi. Così per Bologna per i fatti di Palazzo d’Accursio, ma lo stesso criterio selettivo nella descrizione della realtà fu seguito per gli altri episodi di violenza con una operazione di disinformazione che costruiva eroi, da un lato, e mostri, dall’altro; morti di prima classe, da un lato, e morti di seconda classe, dall’altro. Emblematici i casi di Foiano, in provincia di Arezzo, e di Torino. In entrambe le situazioni non si conosce neppure il numero esatto delle vittime non fasciste (8 o 10, ma senz’altro di più, a Foiano; almeno 11, ma 22 per il capo squadrista Brandimarte, a Torino), mentre i morti fascisti (3 a Foiano, 2 a Torino) ebbero onori immediati e successivi.
Una violenza organizzata fino al terrore, una manomissione della storia, una fabbricazione partigiana della memoria costituirono i tre ingredienti di base del fascismo i quali incontrarono risposte fiacche e inadeguate da parte dell’antifascismo, a partire dal socialismo nelle sue diverse componenti. Ma fu soprattutto la debolezza dei valori liberali dello Stato liberale a definire l’elemento discriminante: continue nell’analisi sono le descrizioni delle connivenze, con lo squadrismo, dei corpi armati e di polizia statali, di prefetture e questure e della magistratura. Dopo il terrore di Foiano, per dire, «nessun fascista venne arrestato, ma 107 tra non-fascisti e antifascisti furono invece incarcerati» (p. 99). Per non parlare della stampa indipendente di parte moderata che iniziava, già nel 1921, ad allinearsi al fascismo accettandone la visione manichea.
La non robustezza dei valori liberali e la repressione del dissenso preesistevano alla nascita del fascismo: significativamente il libro si apre con la repressione di Augusto Masetti, l’anarchico emiliano che il 30 ottobre 1911 aveva sparato, ferendolo, al tenente colonnello Stroppa che invitava i soldati a partire per la guerra di Libia. Antimilitarismo e militarismo hanno percorso per decenni la storia d’Italia. Con il fascismo, tuttavia, si assiste a un salto di qualità, che la Prima guerra mondiale aveva anticipato. Si assiste a una brutalizzazione, non solo della politica, ma anche della vita quotidiana. L’A. non si sofferma sulle relazioni di genere, ma ci introduce in zone, da lui ben conosciute, come quelle sportive, dove – è il caso, nel 1934, della partita di calcio Inghilterra-Italia – la nazionale italiana, che in quell’occasione indossava la maglia nera anziché l’azzurra, sfoderò una violenza senza precedenti per arrivare al pareggio, comunque non raggiunto (pp. 246-247).
È una società violenta quella che ci mostra Foot. Non solo. È una società in cui ci si può vantare della violenza inflitta agli avversari e ai nemici. Brandimarte esaltò pubblicamente la sua direzione della strage di Torino (p. 157); Vittorio Mussolini, figlio del duce, descrisse con compiacimento gli incendi dei villaggi etiopi: «era un lavoro divertentissimo[…]. Bisognava centrare bene il tetto di paglia […]. Quei disgraziati che stavano dentro e si vedevano bruciare il tetto saltavano fuori scappando come indemoniati» (p. 238). E, analogamente, altri. All’ostentazione di forza, che è tracotanza, fa da pendant il grande silenzio che avvolge e a cui sono costretti gli oppositori, cancellati nel Ventennio dalla storia e dalla memoria (a meno di non ribadirne, ma come massa indistinta, la bestialità e la mostruosità). Il lavoro di Foot risponde anche a un intento riparatorio nei confronti delle vittime del fascismo, innanzitutto nominandole laddove possibile e, quindi, individualizzandole, poi ricostruendone le vicissitudini negli anni del Regime e, da ultimo, riproducendo, quando presenti, le iscrizioni delle lapidi del dopoguerra che finalmente le onoravano.
Assi Rahbani ( Antelias- Libano, 4 maggio 1923 – Beirut, 21 giugno 1986)
FAYROUZ CANTA ” BELLA RAGAZZA “
Fairouz & Assi Rahbani
Il compositore Assi Rahbani fu anche musicista e drammaturgo insieme al fratello Mansour. Sono loro ad avere composto la maggior parte delle canzoni interpretate da Fayrouz, moglie di Assi Rahbani.
E’ una melodia folk nata nella regione della “Grande Siria” in epoca antecedente la disgregazione dell’Impero Ottomano. Al retaggio culturale di tale regione si ascrive il Qudud Halabiya /قدود حلبي, letteralmente “metrica musicale di Aleppo”, un genere basato sui componimenti poetici in forma classica indirizzato sia all’ambito religioso sia alla società urbana sia agli strati popolari.
Anche quella in esame deriva da una melodia folk qududi nota nella prima metà dl XX secolo come Alʿazūbya / العزوبية , letteralmente Il celibato. Si comprende quindi come di versioni di questa canzone ce ne siano tante. Quella di Fayrouz è la più diffusa.
In arabo Siviglia è ‘išbīlya / إشبيلية ; nell’arabo locale šalb designa un uomo di Siviglia, al femminile šalbya. Si spiega così come in alcune traduzioni la ragazza “carina / graziosa / attraente” divenga la ragazza di Siviglia. D’altra parte occorre tenere presente che le origini del qudud sono marcatamente iberiche : risalgono al periodo di El Andalus / الأندلس , nome con cui gli arabi nel medioevo indicavano (e indicano ancora oggi alcune frange farneticanti) la penisola iberica, non la sola Andalusia. El Andalus era un riferimento culturale di prim’ordine per l’intero mondo arabo. Insomma, anche se Rahbani non intendeva connotare la ragazza con la sua origine, la traduzione alternativa non è peregrina.
E’ una canzone nota anche in Turchia, Iran, Grecia, Spagna, India, con un testo diverso.
Tra le elaborazioni memorabili, si segnalano: il live di Aleph con l’Orient Andalou all’Olympia di Parigi (sia Jihad Assad al qānūn sia Aleph al piano meritano davvero l’ascolto), l’esecuzione dei Mazzika, l’esecuzione dei Zawaya Ensemble. I videoclip sono riportati nella sezione dei link.
La quantità e la diversità delle elaborazioni è un indicatore della rilevanza di questa e di altre melodie arabe modali. Dietro una sonorità apparentemente semplice, naïf, che ad orecchie assuefatte alla musica tonale risulta sovente soporifera e stucchevole, si annida invece una struttura suscettibile di variazioni intriganti, al di là dell’estro creativo. Così come per altre espressioni di forme artistiche, da comprendere e meditare per essere colte nella loro essenza, anche la musica modale necessiterebbe di un accostamento più consapevole, tempo e mezzi permettendo.
Make love, not war si diceva tempo fa. Oggi chi proponesse lo slogan sarebbe bollato come un residuato sessantottino, un reperto imbalsamato di un’archeologia che parla a pochi. Non è questa la ratio alla base della proposta di far figurare questa canzone nel repertorio di AWS. La ratio è altra: la capacità di certa musica di veicolare non soltanto nuove e stimolanti sonorità ma soprattutto idee e proposte di dialogo (e , perché no?, anche di meticciato spinto) come antidoto allo scontro.
Nota testuale
Un testo integrale strettamente aderente all’interpretazione di Fayrouz non si trova in rete. A tale proposito occorre precisare che la ripetizione di strofe o di parte non è elemento da trascurare: in questa e in altre melodie arabe la ripetizione è spesso affidata al coro che affianca o si contrappone alla voce principale. Inoltre Fayrouz ha inciso due versioni leggermente diverse della canzone, la prima nell’album del 1987 “The Very Best of Fairuz” /نخبة من أجمل أغاني فيروز , la seconda nell’album del 1996 “Reminiscing with Fairuz”/فيروز والذكريات . E’ stata prelevata la seconda da qui . Basandosi sulla trascrizione è stato ricostruito il testo integrale fedele all’ interpretazione di Fayrouz nel videoclip indicato dal link.
Quanto alle traduzioni in inglese neppure una tra i siti di canzoni tradotte rende correttamente il testo in ogni sua parte. E’ stata reperita una traduzione decisamente più credibile, quella del musicista e musicologo statunitense di discendenza palestinese Ronnie Malley. Purtroppo il traduttore di google in questo caso non dà risultati accettabili, probabilmente per il fatto che molti termini sono tipici dell’arabo levantino. Si è quindi operato un ulteriore confronto ragionato con le altre traduzioni disponibili (quelle diverse ì, non derivate) sulla base di un criterio maggioritario, con l’ausilio di un dizionario arabo-inglese.
Una certa propensione all’investigazione, di matrice insulare, e l’acribia temperamentale hanno fatto il resto.
THE PRETTY GIRL
The pretty girl
with almond eyes
I love you from my heart,
oh, my heart, you’re my eyes.
I love you from my heart,
oh, my heart, you’re my eyes.
Near the bridge [1]
my love awaits
Breaking your thoughts,
my dear, is hard for me.
Breaking your thoughts,
my dear [2], is hard for me.
You appear and gesture,
and the heart is wounded
Days on my mind
and the memories come and go
Days on my mind
and the memories come and go
Under the pomegranate tree
my love talked with me
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed me.
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed me…
I love you from my heart,
oh, my heart, you’re my eyes…
Breaking your thoughts,
my dear, is hard for me…
Days are on my mind,
and the memories come and go
Days are on my mind,
and the memories come and go.
Under the pomegranate tree [3]
my love talked with me
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed [4] me
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed me.
You appear and gesture,
and the heart is wounded…
Days are on my mind,
and the memories come and go.
Under the pomegranate tree
my love talked with me.
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed me…
He sang to me songs, oh my eyes,
as he wooed me.
Traduzione italiana/ الترجمة الإيطالية / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös : Riccardo Gullotta
LA RAGAZZA CARINA
La ragazza carina
ha gli occhi a mandorla
Ti amo dal profondo del mio cuore
cuore mio, sei gli occhi miei.
Ti amo dal profondo del mio cuore
cuore mio, sei gli occhi miei…
Vicino al ponte
aspetta il mio amato
Interrompere i tuoi pensieri
mio caro, è gravoso per me.
Interrompere i tuoi pensieri
mio caro, è gravoso per me…
Appari e fai un cenno
e il cuore è ferito
I giorni nella mia mente
e i ricordi vanno e vengono
I giorni nella mia mente
e i ricordi vanno e vengono.
Sotto l’albero del melograno
il mio amore mi parlava
E mi cantava canzoni, oh occhi miei,
e mi faceva la corte.
E mi cantava canzoni, oh occhi miei,
e mi faceva la corte…
Ti amo dal profondo del mio cuore
cuore mio, sei gli occhi miei…
Interrompere i tuoi pensieri
mio caro, è gravoso per me…
I giorni nella mia mente
e i ricordi vanno e vengono
I giorni nella mia mente
e i ricordi vanno e vengono.
Sotto l’albero del melograno [1]
il mio amore mi parlava
E mi cantava canzoni, oh occhi miei,
E mi faceva la corte
e mi cantava canzoni, oh occhi miei.
Appari e fai un cenno
E il cuore è ferito…
I giorni nella mia mente
E i ricordi vanno e vengono.
Sotto l’albero del melograno
Il mio amore mi parlava.
E mi cantava canzoni, oh occhi miei,
e mi faceva la corte…
E mi cantava canzoni, oh occhi miei,
e mi faceva la corte…
[1] In tutte le culture semitiche il melograno è simbolo e augurio di prosperità e di fertilità. Nel Cantico dei Cantici l’amata è come un giardino di melograni in cui l’amato scende per accertarsi se è fiorito, metafora dei preliminari del connubio. Per l’Islam sunnita il Corano indica il melograno che con l’uva e il dattero sono doni della terra per l’uomo, chiamato a goderne. Per l’Islam sciita i grani rappresentano le lacrime del Profeta o di Fatima. Per le correnti mistiche dell’Islam, quali il Sufismo, il melograno è simbolo e richiamo della integrazione tra l’uno e il molteplice.
Il dipinto di Wassily Kandinsky “La vita colorata” lascia il Lenbachhaus e viene restituito ai legittimi eredi.
Emanuel e Hedwig Lewenstein morirono prima che i tedeschi occupassero i Paesi Bassi e deportassero gli ebrei. Oltre alla loro fabbrica di macchine da cucire, i coniugi di Amsterdam hanno lasciato anche una collezione d’arte, la cui opera principale è conosciuta come una delle mostre più importanti del Lenbachhaus di Monaco: “La vita colorata” di Wassily Kandinsky, dipinta nel 1907.
Dans cette toile empreinte de nostalgie peinte à Sèvres (il y représente notamment son chat Vaska), Kandinski recourt à la perspective aérienne afin de pouvoir entasser tous ses personnages. Il évoque le passé lointain où se côtoient des figures de la vieille Russie : de la babouchka au petit enfant en passant part le mendiant, du pèlerin au moine, du couple amoureux dans l’herbe au rameur, des figures saintes (mère portant son enfant, modèle de l’Oumilénie, Vierge de Tendresse, saints Boris et Gleb, cavalier représentant saint Georges, église en bois) ou tirées des contes, citadelle du Kremlin dominant la colline qui a une isba sur son flanc.
Vita colorata del 1907 è una delle prime opere importanti di Wassily Kandinsky, nonché un’opera chiave che segna la sua svolta verso l’astrazione e costituisce la conclusione di un gruppo di lavori per i quali Kandinsky si ispirò a vecchi motivi russi, come le famose illustrazioni di fiabe di Ivan Yakovlevich Bilibin. Il suo stile fu anche influenzato dal Puntinismo e dai Fauves. Vita colorata fu creata durante uno dei soggiorni di Kandinsky a Sèvres, in Francia. L’anno successivo, Wassily Kandinsky e la sua compagna Gabriele Münter trascorsero per la prima volta l’estate a Murnau am Staffelsee, un soggiorno che avrebbe cambiato per sempre lo stile pittorico di Kandinsky.
Il fulcro di questo caso di restituzione è la questione se Irma, separata da Robert Lewenstein, abbia effettivamente consegnato il dipinto all’asta volontariamente o se sia stata costretta a vendere sotto la pressione della persecuzione nazista. Secondo la valutazione pubblicata martedì dalla Commissione consultiva sui beni depredati dai nazisti (nota anche come Commissione Limbach), a cui è stato affidato il caso, non vi è alcuna prova che la consegna sia stata volontaria. La commissione ha quindi raccomandato la restituzione del dipinto di Kandinsky alla comunità degli eredi Lewenstein.
Nell’agosto del 2021, la città di Amsterdam ha restituito volontariamente agli eredi degli ex proprietari ebrei l’olio su tela Pittura con case, realizzato da Wassily Kandinsky nel 1909.
Wassily Kandinsky, Murnau, Strada con due donne, 1908, olio su cartone, 71 x 97 cm, collezione privata. Foto di pubblico dominio
*** pittura di case, 1909 non l’ho trovato nelle opere perché parziali;
“Grazie” a scavi occulti scoperta rara chiesa medievale a Napoli.
Sequestro di reperti già trafugati per imprenditore-tombarolo
Stava effettuando scavi clandestini nelle vestigia di un’importantissima e, soprattutto, sconosciuta chiesa medievale, in pieno centro a Napoli, sfruttando dei locali terranei nella sua disponibilità.
A scoprire il luogo di culto e chi stava portando avanti in segretezza le attività è stato un imprenditore che però è stato anche individuato dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Napoli e dal pool Beni Culturali della Procura di Napoli (coordinato dal procuratore aggiunto Filippelli).
La chiesa, del XI secolo, è esempio estremamente raro, sono pochissimi, infatti, gli esempi simili presenti in Italia.
L’edificio si trova a circa otto metri di profondità. Secondo gli inquirenti, si tratta di un ritrovamento con pochissimi precedenti in Italia
Una chiesa medievale, in pieno centro a Napoli e finora sconosciuta, è stata scoperta grazie a degli scavi clandestini. I carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale del capoluogo campano hanno sequestrato gli ambienti sotterranei, adiacenti a una struttura religiosa risalente all’XI secolo, e una grossa quantità di reperti trafugati dall’imprenditore-tombarolo ritenuto responsabile degli scavi occulti. Ma gli inquirenti sospettano che l’uomo possa averne già traslocata una parte in un altro luogo ancora sconosciuto.
La chiesa medievale sotto il centro di Napoli
La chiesa, databile all’undicesimo secolo, si trova a circa otto metri di profondità. Al momento, è visibile soltanto un’abside semicircolare affrescata, in discreto stato di conservazione, sulla quale è parzialmente identificabile l’iconografia di Gesù Cristo in trono, con una serie di decorazioni a velarium ( Nota in fondo ) e un’iscrizione dedicatoria in parte già decifrata. Dell’antico luogo di culto, fanno sapere i carabinieri, è emersa anche parte della pavimentazione, realizzata in lastre di marmo bianco di spoglio.
Gli scavi clandestini
La scoperta della chiesa, che restituisce al patrimonio pubblico i resti di un raro esempio di arte medievale, è stata portata avanti dall’imprenditore in piena segretezza. Ad accorgersi della sua attività sono stati però i carabinieri di Napoli e il pool Beni Culturali della procura. Le indagini degli inquirenti sono state affiancate anche dal supporto della Soprintendenza archeologica alle belle arti e al paesaggio del comune di Napoli. Gli esperti hanno ispezionato i numerosi locali di proprietà dell’imprenditore e sequestrato alcuni cunicoli sotterranei oggetto di scavi clandestini. Le attività di esplorazione sono state realizzate sotto un palazzo settecentesco vincolato come bene culturale perché considerato di particolare interesse storico-artistico.
Migliaia di reperti sequestrati
All’imprenditore napoletano sono stati inoltre sequestrati circa 10mila frammenti di ceramica, alcuni di epoca romana e altri di epoca medievale, probabilmente provenienti dal settore suburbano dell’antica città di Neapolis, riconducibili probabilmente ad altre aree non esplorate nel corso delle attività investigative. Sono stati inoltre sequestrati 453 reperti archeologici integri di epoca romana, tra cui crateri a figure rosse, anfore, lucerne e pipe in terracotta, monete di epoca romana e medievale. Il materiale recuperato e l’intera area sotterranea in sequestro saranno oggetto di ulteriori indagini e approfondimenti scientifici.
nota: ” a velarium “
Fig. 1 – Il finto velario nella parte inferiore dell’abside (foto di Unicity S.p.A.)
Fig. 2 – Il finto velario nella parte inferiore dell’abside (foto di Unicity S.p.A.).
Fig. 4 – Il finto velario nella parete settentrionale (foto di Unicity S.p.A.).
Gli affreschi della chiesa di San Nicola di Trullas non si limitavano a coprire le pareti dell’abside, delle volte a crociera e della controfacciata, ma si estendevano anche lungo le pareti laterali, su tutta la superficie muraria interna della chiesa. Nella parte bassa delle pareti sono ancora visibili tracce della pittura che riproduceva un “velario”, cioè un tendaggio (figg. 1-4).
La decorazione a velario imitava i tessuti reali dell’epoca, con funzione decorativa (in Sardegna sono presenti anche a Saccargia, SS. Trinità e a San Giovanni di Sinis). Talvolta, questa parte della decorazione poteva ospitare figurazioni allegoriche o “di genere” di carattere non sacro e si trattava dell’unico spazio ammesso in una chiesa per rappresentazioni non sacre (per esempio: Santa Maria Immacolata a Ceri, Lazio).
In Sardegna è stata costituita la Fondazione Sardegna isola del Romanico
GIORNATE NAZIONALI DEL ROMANICO SARDEGNA
21 – 22 settembre
28 – 29 settembre
05 – 06 ottobre
12 – 13 ottobre
Un grande festival dedicato all’arte e all’architettura del Medioevo italiano. Oltre cento tra cattedrali, abbazie, monasteri, chiese campestri di Sardegna, Sicilia e Lombardia aprono le loro porte per la prima edizione di Italia Romanica. Visite guidate, eventi ed esperienze dedicate a una straordinaria epoca interpretata da grandi scultori, pittori, architetti e ingegneri che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte italiana.
Per favorire la visita al grande Itinerario del Romanico Sardo, che presenta oltre 150 siti censiti, si è pensato di dare vita a 14 sub itinerari composti da chiese che si trovano nello stesso territorio, così da facilitare la vita al turista che ha scelto un luogo specifico in cui trascorrere la sua esperienza turistica in Sardegna, offrendogli una proposta di turismo culturale nei pressi di quel territorio. Allo scopo sono state realizzate delle guide, curate dal professor Andrea Pala, docente di Storia dell’Arte medievale presso l’Università di Cagliari, rivolte al grande pubblico e che si sviluppano tra gli itinerari del romanico delle aree urbane che nelle aree rurali, tra gli ambiti costieri che quelli dell’interno dell’Isola, promuovendo dinamiche di collegamento tra i diversi territori della Sardegna.
Marco Meloni (Pd): ‘Inaccettabile l’inerzia sui ritardi ai pagamenti dei supplenti’.
Il senatore dem: ‘La scuola è l’ultima delle priorità di questo governo’
ROMA, 03 ottobre 2024, 12:58
L ‘aula del Senato –
“Questa mattina la Sottosegretaria all’istruzione Frassinetti ha risposto alla mia interrogazione urgente presentata nel gennaio scorso, ben 9 mesi fa, sui ritardi dei pagamenti al personale supplente della scuola.
Un’interrogazione che arrivava dopo le centinaia di segnalazioni di docenti che, avendo preso servizio a settembre, a gennaio non avevano ricevuto il primo stipendio. Così è stato anche a luglio e nelle scorse settimane. La risposta del Governo è stata davvero deludente”. A dirlo, nell’Aula di Palazzo Madama, al termine dello svolgimento del sindacato ispettivo, è il senatore del Pd Marco Meloni.
“La sottosegretaria non ha smentito i ritardi e ci ha raccontato che le risorse per gli stipendi dei docenti precari sono state trovate. E’ stupefacente che il Governo elevi a grande risultato il fatto di aver, seppure con ritardo, pagato i docenti: come se per questa destra non sia scontato neppure che chi lavora abbia diritto a essere pagato”, continua il parlamentare dem. “In un contesto in cui i nostri docenti sono i meno pagati d’Europa e hanno visto ridurre negli ultimi 8 anni i loro compensi del 6%, in cui la percentuale di precari è aumentata in pochi anni del 70% e ci sono docenti idonei e vincitori di concorsi che ancora attendono di conoscere il loro destino, il nostro Paese – osserva Meloni – continua a essere tra gli ultimi in area OCSE per investimenti in istruzione. Questo Governo non interviene sulle procedure, ignorando anche i suggerimenti che arrivano dai sindacati, non investe sulle segreterie e sui dirigenti amministrativi e continua nella sua politica di tagli al sistema dell’istruzione”.
“La Scuola è l’ultima delle loro priorità. Tant’è che gli unici risultati che hanno ottenuto derivano dagli impegni presi dal centrosinistra negli scorsi anni, come i fondi PNRR. Per noi invece è il primo investimento da fare. Sulla legge di bilancio daremo battaglia, altrimenti questa maggioranza si assumerà pesantissime responsabilità sul futuro dei nostri giovani e del Paese”, conclude il Questore di Palazzo Madama.
‘Troppi professori precari’, l’Italia deferita alla corte Ue.
La Commissione: ‘Trattamento discriminatorio rispetto ai contratti a tempo indeterminato’
La Commissione Ue deferisce l’Italia alla Corte di giustizia Ue per non aver posto fine all’uso eccessivo di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie nella scuola.
I temi posti sono dunque due: l’abuso dei contratti a temine tra gli insegnanti e il riconoscimento anche a loro degli scatti di anzianità.
L’Italia, afferma la Commissione Ue, “non ha adottato le norme necessarie per vietare la discriminazione in merito alle condizioni di lavoro e l’uso abusivo di successivi contratti a tempo determinato“. Inoltre, la legislazione sullo stipendio degli insegnanti a tempo determinato nelle scuole pubbliche che “non prevede una progressione salariale basata sui precedenti periodi di servizio” costituisce “una discriminazione rispetto agli insegnanti assunti a tempo indeterminato”.
La Commissione ritiene che “gli sforzi delle autorità siano stati, finora, insufficienti”: di qui il deferimento.
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara risponde di aver sottoposto da tempo alla Commissione la necessità di rivedere il sistema di reclutamento dei docenti italiani “superando le rigidità della riforma PNRR che creano un’oggettiva discriminazione a danno dei docenti precari e non tengono conto dei numeri del precariato che sono cresciuti negli scorsi anni. Attendiamo fiduciosi che la parificazione dei diritti possa essere estesa ora anche alle forme di reclutamento. Siamo impegnati a risolvere problemi creati e lasciati irrisolti da precedenti governi in cui Pd e M5S hanno avuto ruoli decisivi. Il precariato, non è nato oggi”.
L’opposizione la pensa diversamente. “Nel 2017, grazie al lavoro del Pd , avevamo predisposto delle norme che avrebbero garantito di ridurre progressivamente il numero dei docenti precari, attraverso un sistema di formazione e reclutamento ben strutturato contestuale a una serie di concorsi. Purtroppo, per ragioni ideologiche e di bandiera, quel sistema è stato abolito”, afferma Irene Manzi, responsabile scuola del Pd. Il deferimento dell’Italia “è l’ennesima bocciatura per Giuseppe Valditara e per il governo Meloni sul fronte della scuola”, per il capogruppo M5S in commissione cultura alla Camera Antonio Caso.
Parla di “fallimento dei governi” anche la Flc Cgil, con la segretaria Gianna Fracassi. Soddisfatti del faro posto dall’ Europa sul precariato la Gilda, la Cisl, la Uil e l’Anief, ognuno propone ricette diverse per risolvere il problema. Il numero di docenti con contratto a tempo determinato è esploso negli ultimi anni. Erano 100 mila nel 2015-16, 135 mila nel 2017-18, 212 mila nel 2020-21, fino ai 235 mila del 2022-23, secondo i dati Tuttoscuola.
Quest’anno i sindacati calcolano 250mila precari, ma per il ministero dell’Istruzione sono 160mila.Il fenomeno non è omogeneo sul territorio: a fronte di un tasso di precarietà del 25% a livello nazionale, a Milano raggiungono il 37%, a Lodi addirittura il 43%. Più bassa l’incidenza al sud: a Napoli il 20%, ad Agrigento il 10%.
Mi insegnò l’unica cosa che dovevo imparare: saper amare, rispettare ed essere una Compagna. La vita come viverla non te lo insegna nessuno, lui me l’ha insegnato perché mi amava. Il nonno Secondo.
Roberto Carlos & Erasmo Carlos – Sentado á beira do caminho/Sentado a La vera Del camino/L’appuntamento – 1980. Essa musica foi originalmente gravada no ano de 1969 pelo cantor Erasmo Carlos, um de seus autores. Em 1972 foi traduzir para o Italiano com o nome de L’appuntamento e gravada pela cantora Ornella Vanoni. A partir daí muitas regravações, incluindo essa, com Roberto Carlos, autor também da musica e Erasmo Carlos.
Sentado a beira do caminho
(Roberto Carlos)
Eu não posso mais ficar aqui a esperar
que um dia, de repente, você volte para mim
Vejo caminhões e carros apressados a passar por mim
estou sentado à beira de um caminho que não tem mais fim
Meu olhar se perde na poeira dessa estrada triste
onde a tristeza e a saudade de você ainda existem
Esse sol que queima no meu rosto um resto de esperança
de ao menos ver de perto o seu olhar que eu trago na lembrança
Preciso acabar logo com isso
Preciso lembrar que eu existo
Vem a chuva, molha o meu rosto e então eu choro tanto
minhas lágrimas e os pingos dessa chuva
se confundem com o meu pranto
Olho pra mim mesmo, me procuro e não encontro nada
sou um pobre resto de esperança à beira de uma estrada
Preciso acabar logo com isso
Preciso lembrar que eu existo
Carros, caminhões, poeira, estrada, tudo, tudo
se confunde em minha frente
minha sombra me acompanha
e vê que eu estou morrendo lentamente
Só você não vê que eu não posso mais ficar aqui sozinho
esperando a vida inteira por você, sentado à beira do caminho
Preciso acabar logo com isso
Preciso lembrar que eu existo.
ORNELLA VANONI ( 1971 )
MINA CANTA ” SENTADO A’ BEIRA DO CAMINHO ” DI ERASMO CARLOS E ROBERTO CARLOS ( *** non sono parenti, come sapete )
Maria ti amo. Maria ho bisogno di te. Poi la stringo e la bacio, infagottato d’amore e di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua apparenza e del nostro amore. E la cosa continua bellissima per giorni e giorni. Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli, una gran tenerezza e una porta che si chiude.
Nelle case
non c’è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo
Succede qualcosa di strano
non c’è niente da fare
è fatale quell’uomo
incomincia a ammuffire
Ma basta una chiave
che chiuda la porta d’ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.
La chiave è tremenda
appena si gira la chiave
siamo dentro una stanza
si mangia si dorme si beve.
Ne ho conosciute tante di famiglie, la famiglia è più economica e protegge di più. Ci si organizza bene, una minestra per tutti, tranquillanti aspirine per tutti, gli assorbenti il cotone i confetti Falqui, soltanto quattrocento lire per purgare tutta la famiglia, un affare. Si caga, in famiglia, si caga bene, lo si fa tutti insieme.
Nelle case
non c’è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.
Quell’uomo è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.
Nelle case
non c’è niente di buono
c’è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.
Amore ti lascio ti lascio.
C’è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.
Laura, ti amo. Laura, ho bisogno di te. Con te io ritrovo la strada, le piazze i giovani, gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa con la cravatta. Sono molto cambiati, sono molto più belli. Le idee sì, le idee sono cambiate, e i loro discorsi e il modo di vestire. Gli esseri meno, gli esseri non sono molto cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare un po’ di medicina, fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di ecologia, a ore pressappoco regolari, ed esiste ancora il bar, tra un intervallo e l’altro. E poi l’amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi ora, una coppia e ancora tante coppie. Unica diversità un viaggio in India su una Due Cavalli. Due, come noi.
E poi ancora una porta
e ancora una casa
ma siamo convinti
che sia un’altra cosa
Perché abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale.
Perché è tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c’è sempre una casa
con altre aspirine e calmanti.
E di nuovo mi trovo a marcire
in un altra famiglia la nostra la mia
abbracciarla guardando la porta
è la mia poesia.
Amore ti lascio vado via.
C’è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza.
C’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Lidia, ti amo. Lidia, ho bisogno di te. Ma per favore, in un hotel meublè.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza.
C’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Frederic Edwin Church nasce nel 1826 e muore nel 1900. E’ innegabilmente il rappresentante più noto della Hudson River School, l’unico movimento di pittura americano che appartiene ancora alla pittura classica e non pone piedi nella modernità. Affascinato come tutti gli americani dalla forza infinita della natura, prova del percorso sublime creativo dell’Onnipotente, parallelo al culto poetico di Emerson per la natura, i suoi soggetti stupiscono con facilità centocinquant’anni dopo. Anche perché il mondo intatto che egli ebbe la fortuna di vedere è ormai definitivamente scomparso nella catastrofe ecologica coltivata dai suoi discendenti. Il ghiaccio dell’iceberg non è solo simbolo d’un Nord lontano e affascinante, è anche dura minaccia, come si evince dal relitto incagliato che ricorda, romantico e disperato, alcuni relitti di Friedrich. La luce rosa e azzurra ha curiose parentele con quella ricercata da quell’altro romanticone viaggiatore del Turner.
Argentina, l’eclissi anulare di sole vista dalla Patagonia.
Visibile da Puerto San Julian e anche dall’Isola di Pasqua in Cile
CARTINA DELLA PATAGONIA
La Patagònia è una regione geografica dell’America meridionale, che comprende l’estremità meridionale del continente. Divisa tra Argentina e Cile, ha un’estensione di oltre 900.000 km² (comprendendo la Terra del Fuoco), una popolazione di 1.740.000 abitanti (secondo l’ultimo censimento nel 2001) e una densità di 2,21 abitanti/km².
Il territorio della Patagonia è delimitato geograficamente ad ovest e a sud dalle Ande, e ad est da plateau e bassipiani. La regione deve il suo nome ai Patagoni, termine usato da Ferdinando Magellano per indicare i nativi di quelle terre (oggi identificati dalle tribù dei Tehuelche e degli Aonikenk), che lui scambiò per giganti.
La Patagonia Argentina è generalmente una regione di ampie pianure steppiche, alle quali si susseguono altopiani che raggiungono circa i 100 metri di quota e caratterizzati da un’enorme distesa ciottolosa priva di vegetazione.Verso le Ande il paesaggio ciottoloso cede il posto a formazioni rocciose caratterizzate da porfido, granito e lave basaltiche, la vita animale diventa più abbondante e la vegetazione più lussureggiante. Tra le depressioni di cui il plateau è intersecato trasversalmente, la principale è il Gualichu, a sud del Río Negro, seguita dal Maquinchao e Valcheta (attraverso le quali passano le acque del lago Nahuel Huapi, che alimentano il fiume Limay). Altre depressioni sono state occupate da laghi da più o meno vasti, quali il Lago Yagagtoo, il Lago Musters, il Lago Colhué Huapi ed altri si sono formati a sud di Puerto Deseado, nel centro della regione.
La cattedrale di Nostra Signora del Nahuel Huapi è un edificio religioso che sorge a San Carlos de Bariloche. Fu eretta in stile neogotico nel 1944. Il suo progetto si deve agli architetti Alejandro Bustillo e Miguel Angel Césari.
sao carlos de bariloche, quasi al confine con il Cile
I bacini lacustri lungo la Cordigliera sono stati scavati dai flussi del ghiaccio, compreso il Lago Argentino ed il Lago Fagnano, così come le baie litoranee quale Bahía Inútil.
I numerosi ghiacciai del Parco nazionale Torres del Paine sono una delle principali attrazioni turistiche Cilene, perché spettacolari e facilmente raggiungibili in barca. Dalla parte argentina tutta l’area fa parte del Parque Nacional Los Glaciares.
Il ghiacciaio Upsala è il più grande del Sudamerica, con una superficie totale di circa 900 km quadrati e termina nel Lago Argentino con un fronte largo oltre 10 km ed alto fino a 80 metri. Dato che la profondità del Lago Argentino in quel punto è poco inferiore ai 1000 metri, nella sua parte terminale il ghiacciaio galleggia nel lago e ciò favorisce il distacco di enormi iceberg che poi vanno alla deriva nel lago stesso.
I suoi campi glaciali occupano una superficie di 870 km². Il ghiacciaio si estende per una lunghezza di 60 km (ponendolo al secondo posto tra i ghiacciai più grandi dell’America meridionale, dopo il Ghiacciaio Pio XI), una larghezza di 10 km, e le sue pareti raggiungono l’altezza di 60 a 80 metri.
Il lago Nahuel Huapi si trova nella regione dei laghi, nella Patagonia settentrionale, fra le province di Río Negro e Neuquén, in Argentina, sulla cui sponda meridionale è situata la nota località turistica di San Carlos de Bariloche.
La Patagonia occidentale è il versante che si affaccia sull’Oceano Pacifico, caratterizzato da fiordi e da stretti con zone boscose. Il clima, generalmente, è molto umido. Il versante orientale è più caldo dell’occidentale, particolarmente in estate, mentre davanti alla costa ovest scorre una corrente marina fredda. La temperatura media annuale è di 11 °C e i valori estremi sono 25,5 °C la massima e −1,5 °C la minima, mentre a Bahía Blanca, vicino al litorale atlanticoed appena fuori dei confini settentrionali della Patagonia, la temperatura annuale media è di 15 °C e la variazione è molto maggiore. A Punta Arenas, nel sud estremo, la temperatura media è 6 °C e i valori estremi sono 24,5 °C la massima e −2 °C la minima.
Alla fine, il capitalismo maturo della globalizzazione è stato capace di traghettarci in un mondo dove le antiche divisioni di classe sono tornate a fare la differenza.
Cinquant’anni fa Paolo Sylos Labini pubblicò il Saggio sulle classi sociali, un libro fondamentale che rivoluzionò l’idea stessa della struttura sociale italiana, mettendo in luce come negli anni del boom economico si fosse formato un vasto ceto medio, non più proletario e non ancora borghese.In questo mezzo secolo nessuno è più tornato a indagare così in profondità la società e per molto tempo ci si è accontentati di dire che «le classi non ci sono più». Pier Giorgio Ardeni è ‘tornato sul luogo del delitto’, riprendendo il lavoro di analisi laddove lo aveva lasciato Sylos Labini. Il risultato della sua ricerca descrive i cambiamenti intervenuti e come l’Italia intera è ancora attraversata da differenze sociali che permangono forti e nette, che limitano la mobilità sociale, l’accesso all’istruzione, le possibilità e le opportunità.
Certo, il peso relativo delle classi è variato e con esso il loro peso ‘politico’ ma, ancora oggi, a differenze nel contesto di origine, nel titolo di studio e nella professione corrispondono disuguaglianze nella distribuzione del reddito.
Ed è proprio da questi aspetti che bisogna ripartire per ripensare la crisi della democrazia e della rappresentanza.
Una recensione del mio libro sul Domenicale di ieri del Sole 24 Ore ( 29 settembre 2024 ) da parte del vicedirettore del giornale mostra che non va proprio giù, ad un certo modo di pensare, che le classi esistono ancora, che la classe operaia c’è e che non è affatto vero che “siamo tutti ceto medio”
milkomarchetti.com -Zoomarine, Italy – TUTTE LE FOTO SONO DI
Anche i delfini sorridono (mentre giocano). E il sorriso è contagioso
di Pasquale Raicaldo
La scoperta dei ricercatori delle Università di Pisa e Torino: i tursiopi utilizzano un’espressione facciale a bocca aperta, durante le sessioni di gioco sociale, quando altri esemplari entrano nel campo visivo
Sorridono e si sorridono. Con un “sorriso” contagioso, un po’ come accade per noi esseri umani. Loro, i delfini, lo fanno per interagire durante il gioco sociale: un’espressione facciale a bocca aperta, che molto ricorda il nostro modo di ridere, che adottano quando si trovano nel campo visivo dei loro compagni di gioco, che nel 33% dei casi rispondono, a loro volta, aprendo la bocca.
Arriva da una ricerca dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Renne, una nuova evidenza che fa luce sulla comunicazione dei tursiopi, tra i cetacei presenti nel Mar Mediterraneo. I risultati, pubblicati sulla rivista iScience, ampliano le nostre conoscenze sul comportamento dei mammiferi marini, che non smette di sorprendere
£Ci sorprendiamo, e ci siamo in parte sorpresi, soprattutto perché i cetacei hanno una ridotta mobilità facciale, e dunque ridotta è anche la potenziale espressività, certamente non paragonabile a quella dei carnivori terrestri e, naturalmente, dei primati”, sottolinea Livio Favaro, docente di Biologia Marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, tra gli autori dello studio. Ma il sorriso, ancorché primitivo, c’è e si vede. Registrato, per l’esattezza, 1288 volte durante le sessioni di gioco sociale osservate in due ambienti controllati (lo Zoomarine di Pomezia, in provincia di Roma, e il Planète Sauvage di Port-Saint-Père, in Francia): quasi sempre, ovvero nel 92% dei casi, il cosiddetto open mouth si è verificato durante le sessioni di gioco tra i delfini. Di più: nell’89% dei casi l’espressione della bocca aperta è stata registrata quando il volto di un altro esemplare, compagno di gioco, era nel campo visivo.
Ce n’è abbastanza, insomma, per certificare la scoperta “di una espressione facciale distinta, la bocca aperta, nei tursiopi e di una risposta rapida degli esemplari alle espressioni facciali degli altri”, come sintetizza l’autrice senior ed etologa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa, che al tema del riso nel mondo animale aveva già dedicato, con il neuroscienziato Fausto Caruana, il libro Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale, in libreria per il Mulino, spiegando – tra l’altro – che “contrariamente a quanto vuole una tradizione bimillenaria, il riso non è affatto tipico dell’uomo, e non è necessariamente connesso allo humour”.
Non solo: la ricerca neurologica ha aiutato a individuare come sia nell’uomo, sia negli animali, l’attivazione di alcune aree del cervello è legata a contrazioni dei muscoli facciali assimilabili a una risata.Ora, però, la novità è che – insieme a scimmie, ratti, cani, leoni marini, iene, suricati e cavalli – sorridono, a modo loro, anche i delfini, dei quali erano noti, in letteratura scientifica, salti acrobatici e interazioni con oggetti, inseguimenti e contatti fisici. Non lo era, finora, quell’espressione un po’ così, che appare fatalmente presente nell’ampia documentazione – fotografica e video, quasi un album di famiglia (con sorrisi rigorosamente naturali, però) – che accompagna lo studio.
“Del resto i segnali a bocca aperta e la mimica rapida appaiono ripetutamente in tutto l’albero filogenetico dei mammiferi, il che suggerisce che la comunicazione visiva abbia svolto un ruolo cruciale nel dare forma a interazioni sociali complesse, non solo nei delfini ma in molti altri mammiferi nel corso del tempo”, annota ancora Palagi.“Siamo partiti dall’idea di analizzare il gioco dei tursiopi in una prospettiva multimodale, dalla componente visiva a quella tattile, fino alla comunicazione acustica”, racconta, ripercorrendo la ricerca, Favaro. “Sapevamo di avere a che fare con mammiferi che vivono in strutture sociali complesse. – aggiunge – E ci aspettavamo che il gioco fosse importante per mediare parte delle loro interazioni”. Quello che è emerso, nel corso dello studio, è l’evoluzione di un gesto nato per rappresentare una funzione specifica, il mordere, e fatalmente diventato altro. “Proprio così. – annuisce Palagi – Nei tursiopi la sequenza del morso si è interrotta, per lasciare solo la sua intenzione, senza contatto”. Ed è dunque diventata altro, in evidente analogia con la bocca aperta rilassata, che – spiega ancora la ricercatrice – “si vede nei carnivori sociali, nelle facce da gioco delle scimmie e persino nelle risate umane, è un segno universale di giocosità, che aiuta gli animali a segnalare il divertimento e a evitare i conflitti”.
Una risata salverà anche il mondo animale, parafrasando Chaplin.Ulteriore riprova a supporto della tesi, lo studio di diversi gruppi sociali di tursiopi in ambiente controllato – mentre interagivano in coppia e mentre giocavano liberamente con i loro addestratori umani – ha mostrato gli animali usano l’espressione della bocca aperta quando giocano con altri delfini, ma non sembrano usarla quando giocano con gli umani o quando giocano da soli con degli oggetti.
E se fosse un caso? “Non si spiegherebbe – ribatte Palagi – il fatto che la probabilità di imitare la bocca aperta di un altro delfino entro un secondo risulti, nel nostro studio, 13 volte più alta quando il ricevente vede effettivamente l’espressione originale. Le percentuali di risposta osservate nei delfini sono coerenti con quanto osservato in alcuni carnivori, come i suricati e gli orsi”. Pochi dubbi, a quanto pare. E l’intenzione di continuare a ‘leggere’ i comportamenti dei tursiopi. Arrivando, chissà, a decifrare le loro vocalizzazioni durante le interazioni ludiche.
“Una sfida intrigante – ammette Favaro – ma tecnicamente complessa, visto che in acqua non è semplice attribuire un suono a un animale specifico. Certo è – aggiunge – che delfini possiedono uno dei repertori vocali più vasti e complessi del regno animale e la funzione di molte vocalizzazioni emesse da questi animali è ancora sconosciuta”. Quanto basta per continuare a osservarli, anche quando ridono.
Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è un segreto in banca
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.
Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.
Quello che non ho è un orologio avanti
per correre più in fretta e avervi più distanti
quello che non ho è un treno arrugginito
che mi riporti indietro da dove sono partito.
Quello che non ho sono i tuoi denti d’oro
quello che non ho è un pranzo di lavoro
quello che non ho è questa prateria
per correre più forte della malinconia.
Quello che non ho sono le mani in pasta
quello che non ho è un indirizzo in tasca
quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte.
Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è di farla franca
quello che non ho sono le sue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.
ADAGIO DEL CONCERTO PER TROMBA, ARCHI E BASSO CONTINUO, IN RE MAGGIORE DI GEORG PHILIP TELEMANN (1681 – 1767) COMPOSTO TRA IL 1708 E IL 1714, GLI ANNI IN CUI SI TROVAVA A EISENACH come direttore dell’Orchestra e maestro di cappella.
ad Eisenach Telemannabitava nella Untere Prefigergasse ( Via del predicatore in basso ), che oggi è questa strada:
La Chiesa di San Giorgio dove lavorava Telemann oltre che nell’ex castello- costruita del XVI secolo, la torre du aggiunta nel 1902- Si trova sulla grande piazza del mercato
Il paese è distinto in due nuclei: in alto l’abitato di Gutula, che sorge sulla sommità di un ripido colle e su cui domina il castello dei conti Noceti; in basso il Borgo affacciato sul torrente da cui trae il nome. Il castello aveva una funzione di controllo della viabilità del fondovalle, importante per la presenza del fascio viario della via Francigena.
il comune di Bagnone nella provincia di Massa Carrara
Regione naturale e storica appartenente in parte alla Toscana (prov. di Massa e Carrara), in parte alla Liguria (prov. della Spezia) e in parte minore all’Emilia (prov. di Parma). Corrisponde al bacino della Magra e dei suoi affluenti e, benché i suoi confini non siano precisi, basandosi solo sulla tradizione, può essere compresa entro una linea che, partendo dalla costa presso Moneglia e attraversando il Passo del Bracco, raggiunga quello di Cento Croci, segua quindi lo spartiacque appenninico fino al Passo del Cerreto e al Monte Belfiore e scenda nuovamente al mare, a S di Montignoso, tra Massa e Pietrasanta. Nel territorio sono estese le colture di viti, ulivi e cereali; ampiamente praticato l’allevamento. Industrie chimiche.
*** A Ortonovo, in provincia della Spezia si trovano i resti dell’antica Luni, da cui trae il nome la Lunigiana
CARTINA DELLA LUNIGIANA
La Lunigiana fu abitata a partire dal Paleolitico ma il nome deriva da Luni, una colonia di Roma fondata nel 177 a.C. alla foce del fiume Magra. Dopo la caduta dell’impero romano (476) la zona fu occupata, in sequenza, da Ostrogoti, Bizantini, Longobardi e Franchi. Nell’802 l’imperatore Carlo Magno cedette alla famiglia degli Adalberti il possesso di gran parte della Lunigiana. Eredi degli Adalberti furono i Malaspina, che presero questo nome nel XII° secolo quando uno dei membri iniziò la dinastia, successivamente divisa nei due rami “spino secco” e “spino fiorito”. I nuovi signori costruirono numerosi castelli (tra cui Fivizzano, Fosdinovo, Massa, Pontremoli), alcuni dei quali ben conservati fino all’epoca attuale e visitabili.
3. Scipione (Gino Bonichi), Il Cardinal Decano, 1930 olio su tavola, cm 133,7×117,3 Roma, Galleria d’Arte Moderna
Una delle stagioni più originali della cultura artistica italiana della prima metà del XX secolo è rappresentata dall’espressionismo italiano degli anni Venti-Quaranta che, pur sviluppato in gruppi e sodalizi più o meno definiti e longevi, ha apportato alla ricerca artistica contemporanea un contributo di fondamentale rilievo.
A questa esperienza estetica e poetica a cavallo fra le due guerreè dedicata la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano, ospitata dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025 alla Galleria d’Arte Moderna e ideata in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025).
Con lo sguardo rivolto ai movimenti espressionisti internazionali, attraverso un dialogo suggestivo e stimolante tra la collezione della Galleria d’Arte Moderna, le opere provenienti da altre collezioni capitoline (Musei di Villa Torlonia, Casa Museo Alberto Moravia) e le opere provenienti dalla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, mai esposta nella Capitale, sarà possibile comprendere in modo sfaccettato la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi che hanno avuto come centro d’azione le città di Roma, Milano e Torino.
Fra gli artisti presenti:Afro, Arnaldo Badodi, Renato Birolli, Bruno Cassinari, Gigi Chessa, Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Carlo Levi, Mario Mafai, Giacomo Manzù, Marino Mazzacurati, Roberto Melli, Francesco Menzio, Ennio Morlotti, Fausto Pirandello, Antonietta Raphaël, Aligi Sassu, Scipione, Luigi Spazzapan, Ernesto Treccani, Italo Valenti, Emilio Vedova, Alberto Ziveri.
Alcuni artisti – come, ad esempio, Guttuso e Levi – si muovono all’interno di più d’uno di questi scenari, invitando a un approccio più fluido e trasversale che non strettamente topografico.
La mostra “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai BeniCulturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.
Il percorso espositivo inizia naturalmente da Roma, con la Scuola di via Cavour e alcune delle personalità che via via hanno definito variamente la “scuola romana” e le sue peculiarità tecniche e tematiche, non ultima quella del tonalismo. In origine l’incontro fra i giovani Scipione e Mafai, cui presto si avvicina la Raphaël, dà l’avvio a una pittura visionaria e onirica, animata da colori accesi e drammatiche lumeggiature, nutrita dall’ammirazione per Goya, El Greco, Bosch, ma anche per i moderni Kokoschka, Chagall, Derain, Dufy.
Roberto Longhi, recensendo la mostra del gruppo nella primavera del 1929, individua chiaramente nel sodalizio di via Cavour le derivazioni espressioniste francesi. Altri artisti si uniscono a una nuova e variegata koiné “neoromantica”, tra cui Mazzacurati, Pirandello, De Pisis, Melli, Afro, Mirko, Guttuso, Ziveri.
L’itinerario espositivo prosegue con alcuni dei protagonisti del gruppo dei Sei di Torino (1929-31), «una pattuglia giovane di anni e giovane di spirito» riunita attorno al carisma di Felice Casorati e alle personalità di Edoardo Persico e Lionello Venturi.
Attraverso le opere di Chessa, Galante, Levi, Menzio, e inoltre di artisti come Spazzapan e Sobrero, vicini al sodalizio, si esplora una pittura di chiara ispirazione “francofona”, incentrata sul colore, ispirata dalle ricerche impressioniste e postimpressioniste d’oltralpe.
Il percorso si conclude con il gruppo Corrente, protagonista dal 1938, a Milano, di un vigoroso e appassionato espressionismo lirico. Il gruppo di giovani artisti coordinati da Edoardo Persico (Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti e molti altri – come Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore, Franchina– che partecipano più o meno assiduamente alle attività della rivista e della Bottega omonime) esprimono una pittura inquieta ed emozionata, capace di «parlare alla gente di cose vive».
Il dialogo fra la collezione della Galleria d’Arte Moderna e la Collezione Giuseppe Iannaccone illumina l’una e l’altra di reciproche inedite reinterpretazioni, confermando come l’arte italiana fra le due guerre, tutt’altro che affetta da provincialismo, abbia intessuto feconde e proficue interazioni con gli orizzonti europei. Gli espressionisti italiani, in piena sintonia con le tendenze internazionali ma allo stesso tempo consapevoli dello specifico della tradizione nazionale, hanno dato luogo a un lessico originale e franco, capace di interpretare con efficacia le inquietudini del loro tempo.
MARIO MAFAI
1. Mario Mafai, Le case del Foro Traiano, 1930 olio su tavola, cm 40x50Roma, Galleria d’Arte Moderna
MARIO MAFAI
2. Mario Mafai, Donne che si spogliano, 1934 olio su tavola, cm 96,5×79 Roma, Galleria d’Arte Moderna
SCIPIONE
4. Scipione (Gino Bonichi), La via che porta a San Pietro (I borghi), 1930 olio su tavola, cm 41,5×49- Roma, Galleria d’Arte Moderna
5. Marino Mazzacurati, Ritratto d’uomo, 1941-1943 cera, cm 33x25x32,8 –Roma, Galleria d’Arte Moderna
ROBERTO MELLI (Ferrara, 21 marzo 1885 – Roma, 4 gennaio 1958), un esponente della Scuola Romana
6. Roberto Melli, Natura morta (Composizione), 1935 olio su tela, cm 58×68–Roma, Galleria d’Arte Moderna
LUIGI SPAZZAPAN
7. Luigi Spazzapan, Kyralina, 1930 tempera su carta e acquerello, mm 470x360Roma, Galleria d’Arte Moderna
EMILIO SOBRERO
ALDO SALVADORI
9. Aldo Salvadori, Natura morta, 1934 olio su tela, cm 44×59 Roma, Galleria d’Arte Moderna
GIACOMO MANZU’
10. Giacomo Manzù, Ritratto di Ada de Micheli, 1940-Testa femminile, 37x30x26,5 -Roma, Galleria d’Arte moderna
2. IMMAGINI DALLA MOSTRA DELLA COLLEZIONE IANNACCONE — MILANO
ARNALDO BADODI
Arnaldo Badodi, Caffè, 1940 olio su compensato, cm 48×58 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
RENATO BIROLLI
Renato Birolli, Gineceo, 1934 olio su tela, cm 70×65 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
MARIO MAFAI
Mario Mafai, Tramonto sul lungotevere,1929 olio su compensato, cm 41,3×50,8 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
ANTONIETTA RAPHAEL
Antonietta Raphaël, Veduta dalla terrazza di via cavour, 1929 olio su tavola, cm 21×27,4 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
SCIPIONE
Scipione (Gino Bonichi), Cavalli davanti al mattatoio, 1929 ca olio su tavola cm 35,8×41,5 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
ITALO VALENTI
Italo Valenti, Giovani greci, 1939 olio su tela, cm 40×50
Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
EMILIO VEDOVA
Emilio Vedova, Il caffeuccio veneziano, 1942 olio su tela, 43,2×55 cm Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
ALBERO ZIVERI
Alberto Ziveri, Il postribolo, 1945 olio su tela, cm 100×125
Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
Palazzo dei monaci a Seborga, probabile sede della zecca Jose Antonio – Opera propria
*** Seborga, e il suo territorio, anticamente fu una dipendenza dei monaci di Lerino
Abbazia di Lerino ( in francese: l’abbaye de Lérins sur l’ile Saint-Honorat )- L’isola si trova di fronte a Cannes. Idarvol – Fotografia autoprodotta
ZONA INTEMELIA–20 zone
1 Balzi Rossi 2 La Mortola, Villa Hanbury 3 Strada Romana di Latte 4 Sito episcopale di Ventimiglia 5 Sito San Michele 6 Città romana di Albintiminium, regione Asse, Nervia, Collasgarba 7 Seborrino e Sant’Andrea di Camporosso 8 Castelliere di Cima d’Aurin 9 Castelliere di Monte Cima Tramontina 10 Castelliere di Monte Abellio 11 Castelliere di Monte Altomoro 12 Castelliere di Monte Alto 13 Castelliere di Cima delle Fontane presso Ciaixe, Camporosso 14 Regione Santa Croce 15 Ritrovamenti nella piana di Ventimiglia 16 Località San Rocco Vallecrosia 17 Castelliere di Monte Nero (cime Merello e Sapergo) 18 Ritrovamenti comune di Bordighera 19 Necropoli area condominio Lucreziano 20 Sant’Ampelio sito costiero ed edificio sacro
Convëgno internaçionale de studio e reflescion in sciô patrimònio linguistico da region intemelia
A-i pròscimi 5 d’ottobre ghe saià à Ventemiggia un «Convëgno internaçionale de studio e reflescion in sciô patrimònio linguistico da region intemelia». L’iniçiativa a l’é organizzâ da l’Académie des langues dialectales de Monego, da-a Cumpagnia d’i Ventemigliusi de Ventemiggia e da-o Conseggio pe-o patrimonio linguistico ligure.
O convëgno o se tegnià da 9 à 16 h into sallon da parròchia de Sant’Aostin à Ventemiggia (ciassa Bassi 1), vexin a-a staçion di treni. Da 12 à 14 h ghe saià unn’interruçion pe-o disnâ.
O convëgno o l’à pe finalitæ de fâ o ponto tanto in sciô stato da reçerca comme in scê poscibilitæ de trasmiscion e valorizzaçion de varietæ linguistiche da region intemelia. Parteçipià i relatoî enonçiæ chì dabasso:
Claude Passet (L’étude scientifique du monégasque : état des lieux et desiderata); Alberto Sismondini (La «Cumpagnia d’i Ventemigliusi» dalla Barma Grande a Intemelion: verso i cento anni di studi sui dialetti dell’area intemelia); Werner Forner (Una classe nominale non antica nei dialetti intemeli (e altrove)); Dalila Dipino (Ai confini della Liguria occidentale: un’inchiesta sul campo); Andrea Capano (Un possibile arcaismo fonetico in ventimigliese: sull’esito -[b]- da -P-); Roberto Moriani (Il lessico pastorale brigasco nella toponomastica delle Alpi Liguri); Isabelle Albanese e Sylvie Leporati (Insegnare e trasmettere il monegasco, dalla scuola ai corsi per adulti); Rita Zanolla (Insegnare il dialetto a Ventimiglia? Uno sguardo fra passato e futuro); Stefano Lusito (Il caso del monegasco fra prerogative istituzionali, normazione linguistica e didattica: un possibile modello per le parlate liguri?); Giorgio Oddone (Le parlate liguri: segno di identità, dalla provincia al mondo).
La Salina di Comacchio, ricavata nell’antica foce del Po di Eridano, che fluiva a nord delle attuali estensioni vallive, rappresenta un biotopo di elevato valore naturalistico. Costruita nel 1796 per volere di Napoleone, venne realizzata da ingegneri d’Oltralpe che misero in atto un progetto di efficienza idraulica e produttiva; i lavori furono eseguiti da 3.000 soldati dell’Armata. Estesa su oltre 500 ettari ha sospeso la sua attività produttiva nel 1985. Regno di gabbiani e sterne, ben 9 specie vi nidificano regolarmente. La salina è una ricca risorsa naturale che ha contribuito a determinare caratteristici tratti identitari nelle comunità di appartenenza.
Sanremo –Venerdì 11 ottobre, invece, è stato organizzato al Teatro della Federazione Operaia (ore 17) l’11° concerto di San Romolo con il duo ‘pizzicante’ composto da Freddy Colt e Davide Frassoni. Verrà presentato l’inedito di Antonio Rubino dal titolo ‘Il fidanzato dei mulini a vento’, a cura dell’Accademia della Pigna.
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KODAK Digital Still Camera
Copertina: Re dei nani barbuto sorridente in piedi su un mucchio di ortaggi; Quarta di copertina: disegni di ortaggi, Pera buona Luisa d’Avranches, Susina regina Vittoria, Mela renetta del Canada (locandina) di Rubino Antonio – ambito lombardo (primo quarto XX)
(locandina) mietitore abbraccia una grande fascina di grano in un campo, sullo sfondo un uomo anziano nei campi- 1920-25 — di Rubino Antonio (prima metà sec. XX) Beni Culturali Standard (BCS)
segue da:
ARTRIBUNE 18 FEBBRAIO 2024
I dimenticati dell’arte. Antonio Rubino, giornalista per ragazzi e favolista
Poliedrico artista, disegnatore, scrittore, autore di storie per bambini e per adulti e anche regista e designer. Inventò una nuova macchina da presa, la sinalloscopica. Ecco chi era Antonio Rubino
uno dei fumetti di Antonio Rubino
Antonio Augusto Rubino (Sanremo, 15 maggio1880 – Bajardo, 1º luglio1964) è stato un disegnatoreitaliano precursore nell’attività di fumettista in Italia e importante illustratore, fra i fondatori del Corriere dei Piccoli, per il quale ideò la testata e numerosi personaggi oltre che le didascalie in rima in sostituzione dei tradizionali ballons americani.
Sin da adolescente si dedicò alla poesia e al disegno scrivendo all’età di diciassette anni un “Poema Baroko“, composto da di 1.300 terzine; riuscì a pubblicare qualche sonetto sulla rivista letteraria del Corriere della sera, La Lettura. Iniziò a dedicarsi al disegno nel 1902 caratterizzando il proprio lavoro in modo originale influenzato dal coevo stile liberty[
Laureatosi in legge a Torino, si dedicò al giornalismo e all’illustrazione lavorando per varie riviste e quotidiani come Il Secolo XIX, Il Risorgimento Grafico, Il Giornalino della Domenica e La Lettura.
Cameretta disegnata da Antonio Rubino per Industria Veneziana di Mobili Laccati, 1924 circa (Genova, Wolfsoniana)
«Giornalista per ragazzi, favolista, autore di libretti e di commedie, decoratore di ambienti, scenografo, attore, polemista, regista di disegni animati e persino, nei ritagli di tempo, raccoglitore di olive» – così Rubino si definisce nel Curriculum ridiculum. Ma fu anche poeta, pittore, illustratore, ceramista, compositore musicale.
Antonio Rubino fu autore di canzoni come Il soldato focillato, del 1919, su testo secondo alcuni di Cesare Pascarella, secondo altri di Gandolin.
Negli anni cinquantafu di nuovo ma per breve periodo al Corriere dei Piccoli, che abbandona ben presto; si ritirò definitivamente nel 1959 nel paese di Baiardo, dove morì nel 1964.
Amava definirsi “giornalista per ragazzi e favolista”, ma in realtà la sua figura è ben più significativa, in qualità di pioniere della diffusione del fumetto in Italia, già dall’inizio del Novecento. Nel 1907 Antonio Rubino (1880-1964) comincia a disegnare copertine del settimanale per bambini Il giornalino della Domenica, dopo un percorso artistico vicino al simbolismo e all’art nouveau, intrecciato alla sua attività di poeta, esercitata parallelamente ad una laurea in giurisprudenza. Ma l’affermazione come fumettista per il ragazzo originario di Sanremo, figlio di Giovanbattista, banchiere, botanico e cercatore d’oro, e di Maria Sarlandière, arriva l’anno seguente, quando Silvio Spaventa Filippi lo assume nella redazione del nuovo Corriere dei piccoli, il supplemento domenicale per bambini del Corriere della Sera, dove Rubino collabora fino al 1940. L’infaticabile disegnatore inventa diversi personaggi tra i quali Quadratino – uno dei suoi più famosi – Nonna Geometria, Pino e Pina, Viperetta,Nicoletta,Italino e Kartoffel Otto e si occupa della versione italiana di serie americane a fumetti come Fortunello, La Checca e Arcibaldo e Petronilla.
Chi era Antonio Rubino
Per questi ultimi Rubino sostituisce il “balloon”, cioè la nuvoletta, con didascalie in rima in fondo ad ogni vignetta.
” Le storie di Antonio Rubino”, scrive Emilio Varrà, “raccontano sempre disavventure in cui tutto è pronto a capovolgersi, a trasformarsi in un frenetico carnevale. Il grande fascino dello stile di Rubino”, aggiunge, “è tutto qui, nella capacità di raccontare una ‘geometria in rivolta’, dove le figure sono sì composte da forme regolari, ma queste non stanno mai ferme, si muovono sulla pagina come su una scacchiera impazzita, sempre pronte a diventare qualcos’altro”. La sua attività di fumettista prosegue anche durante la Prima guerra mondiale, collaborando a La Tradotta, il giornale di trincea per i soldati del fronte, mentre negli anni Trenta per Antonio iniziano nuove avventure: tra il 1932 e il 34 pubblica sul Corriere dei Piccoli i racconti illustrati di fantascienza Le cronache del futuro e nello stesso periodo dirige Topolino per la Mondadori. L’energia creativa di Rubino non si limita però ai bambini ma sconfina anche nel mondo degli adulti, grazie all’ambizioso poema in versi Il mistero del tempo– scritto tra il 1943 e il 1945- con una struttura in ventiquattro canti da sessanta versi l’uno, secondo una corrispondenza perfetta con le ore e i minuti di una giornata.
Antonio Rubino regista
Ma non basta: nel 1941 si cimenta con la regia cinematografica grazie al cortometraggio Il paese dei ranocchi, che vince un premio al festival del Cinema di Venezia l’anno successivo. Nel 1955 inventa un nuovo tipo di macchina da presa, detta “sinalloscopica”, sviluppata per integrare i colori, il suono e i movimenti nel film di animazione, con la quale realizza il documentario I sette colori. Inoltre nel corso della sua lunga e fortunata carriera costruisce diversi giocattoli e perfino La cameretta del bambino, disegnata nel 1924 in stile decò e oggi conservata alla Wolfsoniana di Genova. Nel 1962, due anni prima di morire, scrive Curriculum ridiculum, che conclude con questa frase, emblematica della sua personalità: “Se io sono nato poeta e pittore non ne ho nessuna colpa, non ne ho merito alcuno. Non ho fatto altro, durante i miei ottant’anni di vita, che seguire la mia sorte. Il mio motto è sempre stato questo: sequor naturam meam”.