Il numero 6/25 di Limes si intitola “Corsa alla Bomba” e sarà disponibile dal 12 luglio in edicola e in libreria.
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Di cosa tratta
La “guerra dei dodici giorni” fra l’Iran e un Israele pesantemente assistito dagli Stati Uniti non sarà ricordata tanto per i suoi modesti esiti tattici, ma anche e soprattutto per lo sconvolgimento globale che ha innescato. Perché ha sancito la fine della deterrenza nucleare: gli arsenali atomici non assicurano più la vita di chi li possiede, come Israele, o di chi potrebbe presto dotarsene, come l’Iran.
Siamo entrati nell’èra della Bomba quale arma di pronto impiego, come ottant’anni fa a Hiroshima e a Nagasaki: estremo rimedio per finire il nemico, o quantomeno una guerra. Ma in un contesto drasticamente diverso, segnato dalla proliferazione di potenze nucleari.
Questo scenario fa da sfondo al sesto volume di Limes del 2025, intitolato “Corsa alla Bomba”.
Il volume si apre con una rassegna di analisi sugli esiti tattici e sulle conseguenze strategiche, anche per la non proliferazione, della guerra israelo-americano-iraniana. Sia a livello regionale, dove i paesi arabi – a cominciare dall’Arabia Saudita – bramano l’atomica per difendersi da Iran e Israele e per tutelarsi dalla sopraggiunta inaffidabilità statunitense. Sia nell’ottica delle grandi e medie potenze esterne ma coinvolte nelle dinamiche mediorientali, come Stati Uniti, Russia, Cina e Turchia.
La seconda parte si concentra sullo stato dei molteplici fronti di guerra aperti dallo Stato ebraico, con un occhio particolare a Gaza: tragedia umanitaria che sta tra l’altro corrodendo la fibra morale di Israele, in prospettiva deteriorandone ulteriormente la sicurezza.
La terza e ultima parte analizza invece la realtà odierna della Repubblica Islamica d’Iran: la verosimile tenuta del regime dopo il conflitto per ora congelato, i fermenti sociali, le opzioni strategiche, l’esito del programma nucleare.
La bella Otero, Rusconi, Milano 1980 di Massimo Grillandi, giornalista, scrittore e poeta
foto del 1895
“Con un corpetto attillato e una gonna rossa scampanata che raggiungeva le caviglie Carolina mi apparve come un linguaggio vivente: la sua danza era messaggio, parola, allegoria. Mi fece pensare subito all’amore carnale, al corpo a corpo nella danza amorosa; intuii l’enorme potenziale scenico di quella giovannissima donna che senza alcuna preparazione tecnica né allenamento attraverso le evoluzioni della danza richiamava ossessivamente alla mente il tortuoso ondeggiare del serpente tentatore. Il suo corpo, i suoi gesti, il suo sguardo, il soffio vitale che emanava da lei arroventavano l’aria tanto che a un certo punto, preso da un impulso sconosciuto, le gridai: Basta, ora tu danzerai per me-!”
“Con un corpetto attillato e una gonna rossa scampanata che raggiungeva le caviglie mi apparve come un linguaggio vivente: la sua danza era messaggio, parola, allegoria”.
(Sirius Legrànge, direttore di teatro, che la vide esibirsi , diciottenne sconosciuta in cerca di una scrittura – come ricordato nella biografia scritta da Massimo Grillandi.
1980 — risptampato nel 1996
IMMAGINI DELLA GALIZIA BELLE, DI VINCENZO DE NUZZO-JUZAPHOTO. LINK
— SUBITO SOTTO
un’immagine della Galizia
A nord della Spagna la musica è fatta del rumore del vento e delle onde oceaniche che s’infrangono, del canto dei gabbiani, di cornamuse…” Vincent79
PONTEVEDRA ( la vedremo un giorno o l’altro — è stupenda )
foto EXPEDIA
Nacque in una famiglia povera e di modesta condizione sociale a Pontevedra in Galizia, ma si trasferì ancora bambina, assieme ai familiari, a Santiago de Compostela dove iniziò a lavorare come domestica. Subì – a quanto rivelò in seguito – uno stupro all’età di 10 anni che la rese sterile, e a quattordici anni se ne andò di casa assieme al suo ragazzo e compagno di danza, Paco, per lavorare come cantante e ballerina a Lisbona.
Nel 1890 fu protagonista di una trionfale tournée negli Stati Uniti e, di ritorno a Parigi due anni dopo era ormai la star indiscussa dei palcoscenici; si presentava in scena con abiti sontuosi e gioielli che ne risaltavano le forme a sostegno della sua fama di donna conturbante e fatale. Uno dei suoi più celebri costumi di scena prevedeva che le fossero incollate delle gemme preziose sul seno, e si disse anche che le cupole dell’Hotel Carlton di Cannes, costruito nel 1912, fossero state modellate sulla forma dei suoi seni (Hahn, 2003).
film– 1898– ::: foto + verso la fine un pezzetto di film in cui danza
Nell’agosto 1898, a San Pietroburgo, l’operatore cinematografico francese Félix Mesguich (che lavorava per la compagnia dei Fratelli Lumière) filmò uno spezzone di un minuto che mostrava un numero di danza della Otero (sulle note del “Valse Brillante” di Chopin), facendo di lei probabilmente «la prima stella della storia del cinema». Nel filmato compariva anche un ufficiale dell’esercito zarista, e quando venne proiettato al music-hall Aquarium, lo scandalo fu tale che Mesguich venne espulso dalla Russia.
Divenne molto amica della scrittrice Colette e della celebre ballerina della Belle Époque, Liane de Pougy, con la quale entrò in rivalità.
nota su
Liane de Pougy, una donna bellissima che apertamente mostrava la sua bisessualità…
Terminata la prima guerra mondiale, Otero si ritirò dalle scene, acquistò una proprietà con una sontuosa abitazione per un cifra equivalente a circa 15 milioni di dollari. L’attrice aveva accumulato negli anni, infatti, una cospicua fortuna che ammontava a circa 25 milioni di dollari, ma che consumò negli anni per sostenere uno stile di vista sofisticato e costoso. Morì in uno stato di estrema povertà a Nizza, in Francia, nel 1965 all’età di 97 anni.
fotografata nella stanza dell’Hotel dove resideva, poco prima di morire il 12 aprile 1965
Aris Dimitriadis lavora con orchestre mandolinistiche da oltre 20 anni. Come solista di mandolino, ha collaborato con numerosi gruppi e orchestre di musica classica, sia in Grecia che all’estero. Ha creato Attika per colmare una lacuna qualitativa nella scena mandolinistica greca contemporanea, basandosi su una lunga tradizione di eccellenza e professionalità, che in passato ha reso le orchestre greche rinomate a livello internazionale.
L’obiettivo principale di Attika è quello di diffondere la musica per mandolino a livello internazionale. Con un repertorio accuratamente studiato, Attika segue le orme delle grandi orchestre italiane e francesi che si dedicano a questo genere. Tuttavia, attinge anche a una vasta tradizione greca, in particolare alla musica popolare dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, proveniente dall’Eptaneso e da Atene. Attika è l’unica orchestra greca che interpreta musica che copre l’intero spettro degli ultimi cinque secoli: dal Rinascimento alla canzonetta italiana, dal Barocco al Romanticismo, dal Classico al Moderno.
La composizione dell’Orchestra è la seguente: Mandolini in La, Mandolini in Si, Mandola Alto, Mandola Tenore, Mandoloncello, Chitarre, Contrabbasso, Cembalo e Pianoforte. La maggior parte dei membri del suo team creativo sono musicisti professionisti, mentre gli altri sono amatoriali di grande talento e motivati. Hanno partecipato a numerosi concerti, festival e registrazioni in Grecia, Turchia, Italia, Regno Unito, Belgio, Taiwan, Albania e Ungheria, collaborando con artisti di varie nazionalità e background, tra cui il Teatro dell’Opera Nazionale di Atene, la Sala Concerti Kemal-Resit-Rey di Istanbul, il Festival di Musica Antica di Paros, il Festival Internazionale di Musica di Rodi, il Festival Internazionale di Musica di Nauplia e il Festival dell’Orchestra Mandolinistica di Cefalonia. Degna di nota è la prima esecuzione internazionale di PYLES di Pavlos Ventouras in collaborazione con l’Associazione dei Compositori Greci, la registrazione di ANAFORA STO MIKI di Vassiliki Nika e, naturalmente, le numerose partecipazioni a registrazioni di altri artisti
In una delle Domus de Janas, antichissime tombe che erano ritenute case delle Janas, le fate del folklore sardo, si trova una strana incisione a forma di labirinto. Perché in una tomba pre-nuragica gli antichi abitanti dell’isola lasciarono questo motivo?
Sono innumerevoli, in Italia, i luoghi che custodiscono antiche leggende e che nascondono creature magiche di ogni tipo, ma solamente in Sardegna si trovano le Domus de Janas. Si presentano come minuscole case scavate nella roccia e, secondo i racconti popolari più antichi, sarebbero le dimore delle Janas, ovvero delle piccole fatine dispettose quanto sagge che vivono in luoghi segreti al riparo dai raggi diretti del sole. C’è chi ancora oggi racconta che le Janas passino il tempo tessendo sui loro magnifici telai d’oro, vegliando sui sogni dei bambini e proteggendoli dalle cattive influenze notturne; altri sostengono come queste elargiscano le proprie ricchezze a chiunque possa dimostrare di possedere un cuore puro e virtuoso, mentre sono innumerevoli coloro che giurerebbero di averle viste in carne e ossa, intente a giocare o litigare con altre creature fantastiche come elfi e folletti.
In ogni caso, tali leggende hanno contribuito a mantenere viva l’atmosfera magica e misteriosa di queste antiche tombe, anche se la realtà storica che le circonda è ben diversa dalla fantasia delle storie popolari.
Questi piccoli alloggi erano tombe pre-nuragiche scavate nella roccia più di 5.000 anni fadagli abitanti del luogo grazie all’ausilio di picconi di pietra, e si trovano lungo tutto il territorio dell’isola, rappresentando un’importante testimonianza del culto funerario delle popolazioni dell’antichità.
Tra queste dimore magiche, di particolare rilevanza è la “Tomba del Labirinto”: una grotticella funeraria artificiale risalente al neolitico recente, circa 6.000 anni fa, che è stata studiata dall’archeologo Ercole Contu nel 1965.
La sua struttura fa parte di una piccola necropoli situata a Sa Menta, nella località di Luzzanas, comune di Benetutti (Sassari), scavata sul pendio di una collina isolata di tufo trachitico.
Attualmente l’ipogeo appare completamente coperto da sedimenti e il portello d’ingresso non è visibile poiché è stato sepolto sotto i depositi accumulatisi nel corso del tempo, ma l’accesso alla tomba è reso possibile grazie al crollo del tetto di una delle camere in cui essa è suddivisa. Di queste stanze, tre sono disposte attorno a un vano centrale dalla pianta ellittico-poligonale irregolare, caratterizzata da un modello planimetrico definito come a sviluppo centripeto.
All’interno del vano centrale, sulla parete sud-occidentale e alla destra di un portello, è presente un’incisione raffigurante un labirinto di tipo cretese, dal motivo circolare con sette circonvoluzioni con una tecnica d’incisione definita come “a polissoir” che sembra essere realizzata con uno strumento a punta sottile, presumibilmente di pietra o metallo, adatto a creare dei solchi netti, precisi, sottilissimi, ma profondi, con una sezione a forma di “V”.
È interessante notare come le pareti della tomba non siano state spianate e rifinite con la cura che si riscontra in altre Domus de Janas con incisioni, come ad esempio nella necropoli di Sos Furrighesos, Matteatu e Calancoi, e lo scarso riguardo nel processo di scavo si manifesta anche nelle zone che presentano solchi verticali e paralleli, lasciati dai picconi di pietra utilizzati durante le operazioni di escavazione.
Il labirinto e le altre incisioni presenti nella domus, inoltre, non facevano parte del progetto originale di costruzione di questa struttura, ma si ritiene che siano posteriori al periodo del Neolitico recente, che rappresenta l’epoca in cui sono state scavate la maggior parte delle 3500 Domus de Janas censite in Sardegna.
Il labirinto della tomba di Luzzanas
La datazione precisa del motivo a labirinto è ancora oggi oggetto di dibattito. Nel 1965,Ercole Contu lo attribuì all’età del Rame, anche se con qualche incertezza mentre, nel corso degli anni, sono state avanzate diverse ipotesi di datazione che vanno dalla metà del III millennio (2500-2000 a.C.), all’epoca protonuragica tra il 1500 e il 1000 a.C., finoall’età del Bronzo, all’orientalizzante antico (730-600 a.C.), e persino a epoche più recenti.
Tuttavia, la determinazione precisa della cronologia è solo uno dei molti problemi legati a queste incisioni, poiché altri aspetti complessi e interessanti includono l’etimologia e l’interpretazione del termine labirinto, l’origine del concetto stesso di labirinto e la sua diffusione, nonché il rapporto con le società di riferimento.
Dato il vasto campo di indagine, potremmo qui concentrarci principalmente sul problema dell’origine dello stesso, per riuscire a interpretare al meglio l’esegesi di quello di Luzzanas. In tal senso, emergono due approcci metodici distinti: uno basato sul “pensiero elementare” dell’etnologo tedesco Adolf Bastian, che suggerisce una presenza universale di bisogni spirituali e psichici comuni nelle diverse culture, legati a influenze climatico-geografiche e che trovano espressione grafica nel labirinto in tutto il mondo.
Il secondo approccio segue la “teoria della migrazione” di un altro etnologo tedesco, Friedrich Ratzel, che ipotizza connessioni storiche tra culture.
Secondo quest’ultimo metodo, Hermann Kern nel libro Labirinti. Forme e interpretazioni, 5000 anni di presenza di un archetipo individua l’origine del labirinto nella Creta minoica, da cui si sarebbe diffuso in Occidente, in Europa, Italia, Penisola Iberica e Inghilterra, così come in Oriente, in India, Giava, Sumatra e sulla costa sud-occidentale degli Stati Uniti.
Inoltre, suggerisce come il labirinto potrebbe essere una rappresentazione su scala ridotta dei percorsi di danze a piedi o a cavallo, facendo riferimento a fonti letterarie che menzionano tali pratiche coreografiche.
Il labirinto, quindi, come quello di Luzzanas sarebbe espressione di magia apotropaica realizzato per tenere lontani gli spiriti in quanto “i cattivi spiriti possono volare solo in linea retta, e non possono perciò trovare la strada lungo le circonvoluzioni di un labirinto; la complessità di un labirinto confonde un aggressore, lo affatica, lo ingannae lo svia” come afferma Kern nel suo saggio del 1981.
Il significato simbolico della battaglia rituale dei cavalieri e del percorso labirintico svolto in occasione di onoranze funebri evidenzia la separazione tra vita e morte, rappresentando la complessità del passaggio tra i due stati, che saranno sempre paralleli, ma più vicini di quanto si osi sperare.
Questi elementi simbolici incarnano il mito del continuo ritorno, simboleggiando sia il caos che l’ordine prestabilito. La “Tomba del Labirinto” a Benetutti sembra confermare questa interpretazione del simbolo, richiamando rituali iniziatici funebri osservati in diverse culture, soprattutto nelle isole del Pacifico, con intricate danze che guidano l’anima del defunto verso la nuova vita.
Il labirinto di Luzzanas diventa così una rappresentazione figurativa di complesse teorie sulla vita, la morte e la rinascita, incarnando un rito di passaggio dalla vita alla morte all’interno di una grotta funeraria artificiale.
Appare dunque ora verosimile supporre che esso rappresentasse un luogo dove è difficile entrare e da cui è difficile uscire: eppure, anche se con infiniti intoppi e molteplici circonvoluzioni, si esce.
Come suggerisce Ercole Contu, il motivo figurativo di Benetutti rappresenta la vita e la morte come concetti “indivisibili”, sottolineando che “bisogna morire per rinascere”, che sia una morte reale del corpo o una morte simbolica.
Il labirinto emerge, quindi, come simbolo che esprime la fede nell’aldilà e nella rinascita, offrendo una prospettiva di creazione di un nuovo essere per superare l’angoscia della morte che ha colpito la comunità. Un simbolo che aiuta a riequilibrare il sistema culturale messo in crisi proprio dall’evento luttuoso.
Domus de janas, Necropolis of Sas Concas, Oniferi, Sardegna
Pre historical necropolis Genna Salixi. Villa San Antonio. Oristano district. Sardinia. Italy.
Interior of a Domus de Janas, Necropolis of Montessu, Villaperuccio, Sardinia, Italy.
Caverna a spirale, zona archeologica Domus de Janas, dettaglio –
S’Acqua Salida and Corongiu, Pimentel, Sardinia, Italy. Civiltà pre-nuragica
Domus de Janas, Necropolis of Montessu, Villaperuccio, Sardinia, Italy. Prenuragic period, 3rd millennium BC. (Photo by DeAgostini/Getty Images)
Entrance of a Domus de janas (House of the Fairies/ Casa delle Fate), Necropolis of Sas Concas, Pre- Nuragic civilization, Oniferi, Sardinia, Italy.
Bonorva, province of Sassari. Necropolis or Domus de Janas of Sant’Andrea Priu. Sculpture known as “the Bull” ( Il toro ). (Photo By DEA / A. DE GREGORIO/De Agostini via Getty Images)
Italy, Sardinia Region, Alghero, province of Sassari, Necropolis or Domus de Janas of Santu Pedru, interior of hypogeum
Necropolis of Sant-Andrea Priu. Cultura di Ozieri (3200-2700 BC). Domus de Janas — Camere delle tombe. Bonorva, Sardegna, Italia
(Photo by: Universal History Archive/ Universal Images Group via Getty Images)
I siti archeologici e naturalistici inseriti nel progetto approvato dall’UNESCO :
Notizie e Lista dei siti.
Il riconoscimento dell’UNESCO, è un riconoscimento che non premia soltanto la bellezza arcaica delle “domus”, ma l’intero immaginario collettivo di un popolo che, cinquemila anni fa, costruiva templi per l’aldilà scolpendoli nella pietra viva.
Le Domus de Janas non sono semplici tombe: sono racconti in negativo, scolpiti dentro la terra. Sono labirinti di significati, con decorazioni simboliche, nicchie rituali e architetture planimetriche che riflettono un’intera cosmologia. Testimoniano l’intimo rapporto tra i vivi e i morti, tra i villaggi neolitici e i loro defunti, in un’epoca in cui la morte non era una fine, ma un passaggio.
Sparsi tra le campagne, sono spesso nascosti alla vista, questi antichissimi sepolcri – che sono oltre 2500 in tutta l’Isola – Il sito seriale riconosciuto dall’Unesco comprende diverse necropoli, in particolare nella Sardegna centro-settentrionale, e copre un arco temporale che va dal V al III millennio a.C., fino a lambire la civiltà nuragica.
«L’ingresso delle Domus de Janas nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco rappresenta un riconoscimento di straordinaria importanza per la Sardegna e per l’intera Italia – commenta la presidente della Regione Alessandra Todde.Con la loro diffusione capillare e la ricchezza simbolica di molti siti decorati le domus de janas testimoniano un’identità culturale profonda, oggi finalmente riconosciuta a livello internazionale».
ELENCO
1. Necropoli di Anghelu Ruju (Comune di Alghero)
2. Necropoli di Puttu Codinu (Comune di Villanova Monteleone)
3. Necropoli di Monte Siseri / S’Incantu (Comune di Putifigari)
4. Necropoli di Mesu e Montes (Comune di Ossi)
5. Necropoli di Su Crucifissu Mannu (Comune di Porto Torres)
6. Domus de janas dell’Orto del Beneficio Parrocchiale (Comune di Sennori)
7. Domus de janas della Roccia dell’Elefante (Comune di Castelsardo)
8. Parco dei Petroglifi (Comune di Cheremule)
9. Necropoli di Sant’Andrea Priu (Comune di Bonorva)
10. Necropoli di Sa Pala Larga (Comune di Bonorva)
11. Necropoli di Los Forrighesos (Comune di Anela)
12. Necropoli di Ispiluncas (Comune di Sedilo)
13. Necropoli di Mandras / Mrandas (Comune di Ardauli)
14. Necropoli di Brodu (Comune di Oniferi)
15. Necropoli di Istevene (Comune di Mamoiada)
16. Parco Archeologico di Pranu Mutteddu (Comune di Goni)
17. Necropoli di Montessu (Comune di Villaperuccio)
Francesca Melis, autrice del testo- forse della foto
area gialla– a maggioranza curda
linea verde –Grande Kurdistan
arancio -Curdi della Turchia- confini delle
province curde roccaforti del PKK in Turchia
pallino con un altro al centro– città roccaforti della Turchia
verde scuro- regione autonoma del Kurdistan nel 2008
verde più chiaro–zona sotto il controllo curdo
verde chiarissimo — zone rivendicate dai Kurdi
TESTO DA LIMES:
TURCHIA – PKK
Il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha annunciato la deposizione delle armi dopo oltre quarant’anni di lotta per l’emancipazione dalla Turchia. La storica decisione sarà foriera di importanti conseguenze nell’intera regione, in particolare in Siria e Iraq. La prima insurrezione del Pkk – considerato gruppo terroristico da Ankara e dai suoi alleati occidentali – risale al lontano 1984 sotto la guida del fondatore Abdullah Öcalan. Al termine di un congresso, il gruppo paramilitare ha annunciato di aver “portato a termine la sua missione storica”. Secondo Ömer Çelik, portavoce e braccio destro del presidente Recep Tayyip Erdoğan, si tratta di un “passo importante che libererà la Turchia dal terrorismo”.
Le armi utilizzate da oltre 40 anni per combattere contro l’Esercito di Ankara sono state bruciate, accatastate in mezzo a una valle tra le montagne del Kurdistan iracheno, nei pressi di Sulaymaniyya.
Il Pkk ha abbandonato la lotta armata, dichiarata contro lo Stato turco nei primi anni ’80.
“Al fine di garantire il successo pratico del processo per la pace e una società democratica e di condurre la nostra lotta con metodi politici legali e democratici, distruggiamo volontariamente le nostre armi come gesto di buona volontà e determinazione”, hanno affermato le 15 guerrigliere donne e i 15 militanti uomini che in divisa hanno riposto fucili e mitragliatori in una grande cesta per poi accendere un rogo simbolico, dopo che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan aveva già annunciato lo scioglimento nei mesi scorsi con un appello del leader Abdullah Ocalan, imprigionato dal 1999 e condannato all’ergastolo.
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Guardiamo qualche minuto la città diSulaymaniyya, vicino alla quale, rappresentanti del PKK hanno dato fuoco alle armi.
LA GRANDE MOSCHEA DI SULAIMAYNA distribuisce la cena a chi ne ha bisogno, la tradizione è iniziata nel 1820 e continua fino ad oggi
Nebbia sulla grande moschea
una strada della città durante il censimento, il primo dopo 37 anni
La città di Sulaimayna al tramonto
un primo gruppo del PKK distrugge le armi nel nord dell’Iraq, 11 luglio 2025
vedi sopra
QUALCHE BAZAR DI STRADA
UNA SPECIE DI ” TORTA ” DI DATTERI IN BELLA MOSTRA
La parola ” bazar ” deriva dal linguaggio degli antichi Parti, o lingua partica
lingua medio-iranica , membro estinto delle lingue iraniche occidentali del ramo indo-iranico delle lingue indoeuropee . Le lingue partiche ebbero origine nell’antica provincia della Partia (la parte nord-orientale dell’Iran moderno) e divennero la lingua ufficiale del periodo arsacide della storia dinastica persiana (III secolo a.C. – III secolo d.C. ).
Tra le prime testimonianze della lingua si contano oltre 2.000.ostraca (frammenti di ceramica con iscrizioni), in genere vendite di vino, rinvenuti durante scavi (1949-58) a Nisa , capitale arsacide vicino all’odierna Ashgabat in Turkmenistan.
La letteratura partica manichea è una fonte ricchissima per la lingua e include gli straordinari cicli di inni del poeta Mar Ammo (seconda metà del III secolo). La scrittura partica deriva dall’alfabeto aramaico .
*** articolo, recentemente aggiornato da Adam Zeidan .
Vai, boiadeiro, que a noite já vem
Guarda teu gado e vai pra junto do teu bem /( RITORNELLO )
Vai, boiadeiro, che sta arrivando la notte Metti via il tuo bestiame e raggiungi il tuo bene
De manhãzinha, quando eu sigo pela estrada
Minha boiada, pra invernada, eu vou levar
São dez cabeça, é muito pouco, é quase nada
Mas não tem outras mais bonitas no lugar
Al mattino presto, quando accompagno per la strada il mio gregge per passare l’inverno ( estate nostra ), sono dieci in tutto, è molto poco, quasi niente ma sono le più belle di tutto il posto.
Vai, boiadeiro, que o dia já vem
Leva o teu gado e vai pensando no teu bem ( ritornello )
De tardezinha, quando eu venho pela estrada
A fiarada tá todinha a me esperar
São dez filhinho, é muito pouco, é quase nada
Mas não tem outros mais bonitos no lugar
Verso sera, quando arrivo dalla strada stanno tutte insieme ad aspettarmi Sono dieci figliolini, è molto poco, è quasi niente Ma non ce n’é altri più belli dove sto.
Vai, boiadeiro, que a tarde já vem
Leva o teu gado e vai pensando no teu bem ( ritornello )
E quando eu chego na cancela da morada
Minha Rosinha vem correndo me abraçar
É pequenina, é miudinha, é quase nada
Mas não tem outra mais bonita no lugar
E quando arrivo al cancello di casa mia La mia Rosinha arriva correndo per abbracciarmi E’ piccolina, minuta, è quasi niente Ma non ce n’é altra più bella lì.
Vai, boiadeiro, que a noite já vem
Guarda o teu gado e vai pra junto do teu bem ( ritornello)
( traduz, di ch. )
Meu cigarro de paia
Meu cavalo ligeiro
Minha rede de maia
Meu cachorro perdigueiro
Il mio sigaro di paglia il mio cavallo leggero la mia rete di maglia il mio cane da caccia
il bracco portoghese è una cane che rende felici quelli che gli stanno intorno,
in italiano: ” bracco portoghese ”
Quando a manhã vai clareando
Deixo a rede a balançar
No meu cavalo, vou montando
Deixo o cão pra vigiar
Acendo um cigarro vez em quando
Pra esquecer de me alembrar
Que só me falta uma bonita morena
Pra mais nada me faltar
Que só me falta uma bonita morena
Pra mais nada me faltar
Quando il giorno inizia a farsi chiaro Lascio che la rete ( dove dormivo ) oscilli tranquilla Monto sul mio cavallo Lascio il cane a vigilare Accendo una sigaretta ogni tanto per scordami di ricordare Che mi manca solo una bella ragazza morena Perché non mi manchi più nulla. ( ripete )
regione del Nord-est, una delle 5 in cui si organizza il Brasile
Facciata della Chiesa di Venafro; si chiama CONCATTEDRALE O DUOMO DI VENAFRO– dedicato alla Beata Vergine Assunta in Cielo. Esso rappresenta il massimo tempio della città ed è anche una tra le chiese più grandi della regione. Risalente alla fine del V secolo, la chiesa fu costruita sotto il vescovo Costantino sul luogo di un precedente tempio pagano ed utilizzando materiali prelevati da altri monumenti di epoche precedenti (elementi romani e decorazioni cristiane, come il bassorilievo del vescovo Pietro di Ravenna:
BASSORILIEVO DI PIETRO DA RAVENNA-
Il bassorilievo del vescovo Pietro di Ravenna: un rilievo che, per il suo aspetto inconsueto, viene chiamato dagli abitanti “Marzo Settecappotti”).
Fu ricostruito nella seconda metà dell’XI secolo dal vescovo Pietro di Ravenna. Anche questo edificio ebbe una vita tumultuosa: fu spogliato di ogni bene dalle truppe di Federico II, fu danneggiato terremoti nel 1349 e nel 1456, venne incendiato su ordine dell’imperatore Ludovico e dovette dare ospitalità alle truppe di Carlo VIII nel 1495. Questo obbligò a continue modifiche, aggiustamenti e ricostruzioni.
Un’occhiata dall’alto alla città murata di Venafro e ai suoi dintorni, in Molise- Italia-
13.5 X 18.5– vista dal Regno di Napoli in prospettiva– di Giovanni Battista Pacichelli, pubblicata da Antonio Parrino e Michele Luigi Mutio, Napoli, 1703
.(Photo by DeAgostini/Getty Images)
Venafro dal Castello di Pandone
Soldati inglesi e americani nella seconda guerra mondiale a Venafro
Il ponte di accesso al castello di Pandone e la città di Venafro sullo sfondo
Una stupenda scultura sulle pareti della concattedrale della Beata Vergine Santa Maria Assunta in Cielo
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ADESSO VEDIAMO QUALCHE QUADRO FAMOSO DEL DUCA DI VENAFRO (XVI/ XVII secolo )
AMBROSIO ( AMBROGIO ) SPINOLA DORIA, duca di Venafro
La famiglia degli Spinola vantava antiche origini e grande potere e ricchezza in Genova.
Nel XVI secolo la Repubblica di Genova, fungendo da banchiere ufficiale della monarchia spagnola, aveva il controllo sulle finanze spagnole.
Nel 1602 con il fratello Federico entrò in contatto con il governo spagnolo come “condottiero” il che fu una vera scommessa per gli Spinola perché dovettero a loro spese creare un esercito di mille mercenari per il servizio di terra oltre ad uno squadrone di galee per la costa.
Nominato generale, ebbe difatti qui l’inizio della sua esperienza militare come soldato nell’Assedio di Ostenda il 29 settembre 1603. Le macerie della città vennero da lui conquistate, il 22 settembre 1604, dopo un anno di estenuanti combattimenti. Come ricompensa per gli sforzi compiuti il re di Spagna Filippo III nel 1605 lo nominò cavaliere dell’Ordine del Toson d’oro.
Gran parte della guerra nei Paesi Bassi si concentrò sugli assedi, contro il comandante Maurizio di Nassau a guidare le difese dei rivoltosi olandesi.
castello di Venafro con il ponte di accesso– anche questo è curioso
IL BEL PAESE DI VENAFRO VISTO DALLE MURA .. DEL CASTELLO ?
LA VENERE DI VENAFRO
Dell’epoca romana si hanno però i resti dell’acquedotto romano, del teatro, dell’anfiteatro e delle varie ville che furono costruite nella zona. E’ tra i resti di queste, che è stata rinvenuta una statua a grandezza naturale, la Venere di Venafro. Ritrovata negli anni cinquanta doveva far parte di un giardino e doveva probabilmente essere un elemento di una fontana. Oggi l’opera è ospitata al Museo Archeologico di Santa Chiara di Venafro.
VEDI SOTTO:
ANSA.IT / MOLISE / 7 LUGLIO 2025
Svelamento della Venere di Venafro supera le 5 milioni di views
L’opera al Padiglione Italia di Expo nella settimana del Molise.
Numeri da record per il video in cui viene mostrato lo svelamento della Venere di Venafro al Padiglione Italia di Expo 2025 Osaka, in occasione della settimana del Molise.
In poche ore le immagini della statua sono diventate virali sul web, superando abbondantemente le 5 milioni di visualizzazioni sulla sola piattaforma X, senza contare le decine migliaia ottenute anche sugli altri social del Padiglione Italia.
“Grazie per aver trasportato questi preziosi e autentici capolavori fino in Giappone e per averli esposti”, scrive un utente a corredo del post.
Il simulatore umanoide «HAL s5301» parla, suda, muove occhi e braccia come un malato in carne e ossa | Corriere.it
A Trieste, nell’ Ospedale di Cattinara– nel maggio 2023 — è stato installato il simulatore più avanzato nel mondo, si chiama Hal s5301, dotato di intelligenza artificiale, ha arti robotizzate e reazioni fisiologiche reali.
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E’ stato presentato questa mattina ( 8 maggio a Cattinara — TRIESTE — e farà parte dell’offerta formativa per gli studenti di medicina.
Prodotto da Accurate – Gaumard Scientific
— Hal, il primo paziente in Europa su cui simulare gli interventi
Prima operazione chirurgica fatta da un robot in modo autonomo.
Sul simulatore di un paziente, dopo l’addestramento con dei video
di Elisa Buson
Il robot che ha eseguito la prima operazione chirurgica in modo autonomo (fonte: XinHao Chen/Johns Hopkins University) –
Per la prima volta un robot è riuscito a eseguire un intervento chirurgico su un simulatore di paziente senza ricorrere ad alcun tipo di aiuto da parte degli umani.
Addestrato con video di interventi chirurgici, il robot Srt-h (Surgical Robot Transformer-Hierarchy) è stato in grado di asportare una cistifellea adattandosi in temporeale alle caratteristiche anatomiche del finto paziente, prendendo decisioni al volo e autocorreggendosi quando le cose non andavano come previsto.
Il risultato è pubblicato sulla rivista Science Robotics da un gruppo di ricerca guidato da Axel Krieger della Johns Hopkins University (Usa).
Lo stesso team aveva già sviluppato un altro robot chirurgo chiamato Star (Smart Tissue Autonomous Robot) che nel 2022 aveva eseguito il primo intervento chirurgico robotico autonomo su un animale vivo: in quel caso, però, si trattava di una procedura in laparoscopia e il robot aveva eseguito un piano chirurgico rigido e predeterminato, muovendosi tra tessuti che erano stati appositamente marcati per facilitargli il lavoro.
“Era come insegnare a un robot a guidare lungo un percorso accuratamente mappato”, spiega Krieger. Con il nuovo sistema, invece, “è come insegnare a un robot a percorrere qualsiasi strada, in qualsiasi condizione, rispondendo in modo intelligente a qualsiasi cosa incontri. Questo progresso ci porta da robot in grado di eseguire compiti chirurgici specifici a robot che comprendono veramente le procedure chirurgiche.
E’ una distinzione fondamentaleche ci avvicina significativamente a sistemi chirurgici autonomi clinicamente validi, in grado di operare nella caotica e imprevedibile realtàdell’assistenza effettiva al paziente”.
Costruito con la stessa architettura di apprendimentoautomatico di ChatGpt, Srt-h è anche interattivo: durante l’intervento risponde ai comandi vocali (come ‘afferra la testa della cistifellea’) e segue i suggerimenti (ad esempio ‘muovi leggermente il braccio verso sinistra’), proprio come un chirurgo alle prime armi che lavora con un mentore.
La procedura di rimozione della cistifellea eseguita nello studio prevede una sequenza di 17 compiti della durata di alcuni minuti. Il robot doveva identificare determinati dotti e arterie, afferrarli con precisione, posizionare strategicamente le clip e recidere le parti con le forbici. Srt-h ha imparato a eseguire ogni azione guardando video di chirurghi della Johns Hopkins che operavano su cadaveri di maiale.L’addestramento visivo è stato ulteriormente rafforzato con didascalie che descrivevano le attività.
Dopo aver guardato i video, il robot ha eseguito l’intervento con un’accuratezza del 100%: durante i vari compiti ha agito in modo imperturbabile e con la competenza di un chirurgo umano esperto, anche durante scenari imprevisti tipici delle emergenze mediche reali. Sebbene il robot abbia impiegato più tempo di un chirurgo umano per eseguire l’intervento, i risultatisono stati paragonabili a quelli di un chirurgo esperto.
“Il nostro lavoro – osserva il primo autore dello studio, Ji Woong ‘Brian’ Kim – dimostra che i modelli di intelligenza artificiale possono essere resi sufficientemente affidabili per l’autonomia in chirurgia, un obiettivo che un tempo sembrava lontano, ma che ora è chiaramente realizzabile”.
Ana Vidović (Karlovac, 8 novembre 1980) è una chitarrista croata. Studiò nella prestigiosa National Musical Academy in Zagabria, dove studiò col Professor Istvan Romer. Inoltre studiò all’Università di Zagabria. Già famosa, ricevette l’invito a studiare con Manuel Barrueco al Peabody Conservatory di Baltimora. Da allora vive negli Stati Uniti, dove lavora anche come insegnante privata.
Flute Partita in A minor, BWV 1013 by Johann Sebastian Bach (Transcritto per chitarra by Valter Despalj) 3:06 – Allemande 8:40 – Corrente
Violin Sonata No. 1, BWV 1001 by Johann Sebastian Bach (arr. per chitarra by Manuel Barrueco) 12:44 – Adagio 16:38 – Fuga 21:19 – Siciliana 24:25 – Presto
Karlovac fu danneggiata seriamente durante l’ultimo conflitto che imperversò nei Balcani negli anni 1990 e molti dei suoi monumenti vennero semidistrutti a causa dei separatisti serbi, che attaccarono la città, in quanto luogo strategico e sede di un’importante caserma della JNA. Tra gli edifici distrutti e poi ricostruiti figura anche la cattedrale di San Nicola, della chiesa ortodossa serba.
Storicamente l’industria più rilevante è quella relativa alla fabbricazione dellabirra (Karlovačko) alla quale è anche dedicata un’annuale festa che si tiene solitamente a settembre e che rappresenta una delle attrazioni turistiche della città.
Negli ultimi anni ha guadagnato grande importanza l’industria bellica: a Karlovac infatti è presente una fabbrica della HS Produkt, dove viene prodotta la pistola HS2000.
La Libia, come già sapevamo, è da tempo il nostro più evidente fallimento politico e morale. Al quale ieri si è aggiunta una beffa clamorosa con l’espulsione come «persona non grata» del ministro dell’Interno Piantedosi arrivato a Bengasi con un delegazione composta dai ministri di Malta e Grecia e capeggiata dal commissario europeo per le migrazioni Magnus Brunner.
Matteo Piantedosi e Saddam Haftar – Libyareview- VEDI LINK SOTTO SULL’INCONTRO ( 1 )
Neppure 15 giorni fa Piantedosi aveva ricevuto al Viminale in visita Saddam Haftar, figlio dell’uomo forte della Cirenaica, il feldmaresciallo Khalifa Haftar. Nell’occasione Piantedosi aveva dichiarato che «l’Italia e la Libia sono unite da un forte legame storico e dalla comune necessità di affrontare importanti sfide quali la gestione delle politiche migratorie. Noi intendiamo offrire il massimo supporto per una Libia stabile». A quanto pare non deve essere stato molto convincente se la risposta è stata l’espulsione.
E tutto questo nonostante l’Italia sia ormai comunque il maggiore partner economico della Libia.
Come mai Haftar ha deciso di prendere a calci il nostro ministro e quelli europei? Haftar punta a prendersi tutta la Libia, come ha tentato di fare in passato arrivando alla periferia di Tripoli dove oggi è insediato il fragile governo di Daibaba. Vuole dimostrare di essere l’uomo forte di un Paese rimasto diviso dopo la fine nel 2011 di Gheddafi. E lo fa nei suoi calcoli – vedremo se giusti o sbagliati- a un costo relativamente basso, prendendosi gioco di italiani ed europei che hanno dimostrato di contare sempre di meno nel Mediterraneo.
Il ragionamento di Haftar (ma non solo suo) è semplice: per due anni e oltre non hanno mosso un dito per fermare il massacro di Gaza e poi la guerra Israele-Iran figuriamoci se adesso devono venire qui a Bengasi a negoziare su migranti e diritti umani. Le colpevoli e a volte complici assenze della diplomazia europea si pagano, eccome.
HAFTAR VUOLE alzare il prezzo anche di una sua eventuale collaborazione con l’Europa. E questo appare un’altra evidenza dell’incapacità italiana ed europea.
L’assenza di una vera strategia politica libica ha portato all’ascesa del generale Haftar, ex ufficiale di Gheddafi che nei vent’anni di esilio in Usa è anche diventato cittadino americano. Il feldmaresciallo, che tiene in pugno la Cirenaica e l’Esercito Nazionale Libico (Lna), è sbarcato più volte a Mosca, invitato persino il 9 maggio alla parata della vittoria. Lui gioca una partita geopolitica che può disegnare nuovi equilibri nel caos libico. La Russia, dopo il parziale ritiro dalla Siria, ha scelto la Libia come nuovo avamposto africano e mediterraneo.
Ma la vera sorpresa è che Haftar ha mandato il figlio Saddam ad Ankara ricucendo con la Turchia che nel 2020 lo aveva bloccato alle porte di Tripoli. Haftar ha ottenuto forniture di droni turchi, addestramento per 1.500 uomini dell’Lna ed esercitazioni navali congiunte.
E COME SE NON bastasse un altro dei figli di Haftar è andato a Washington per saggiare gli umori di Trump, assai incline a privilegiare i rapporti con gli “uomini forti”. In sintesi la Turchia, che mantiene basi in Tripolitania, si propone come forza mediatrice per unificare le forze armate libiche.
Il sultano di Ankara ha delle strategie, a noi, a quanto pare, resta soltanto l’intrattabile Gomorra ( = La criminalità camorristica nella sua versione più spregiudicata e violenta, TRECCANI ) libica con capitale Tripoli.
L’Italia e l’Europa hanno fatto in Libia una scelta comprensibile nel breve periodo – soprattutto a scopi propagandistici presso l’opinione pubblica – ma miope.
Ammantato e imbellettato da accordi internazionali che dovrebbero fornire una copertura di legalità, l’Italia ha impiantato il “sistema libico”, ovvero un meccanismo di corruzione che prevede il versamento ai libici di somme di denaro da parte dell’Italia e dell’Europa in cambio della repressione violenta dei flussi migratori.
Così ci siamo trovati in mano non a uno stato, sia pure in ricostruzione e dotato di ingenti risorse energetiche che da sempre interessano Eni, ma siamo precipitati nelle cronache della malavita libica come dimostra il caso del generale Almasry, che abbiamo rimpatriato con un aereo dei servizi, lui noto torturatore e carceriere di migranti.
MOLTO CHIAROl’ultimo documento di Amnesty International:
«La cooperazione tra Unione europea e Libia è un fallimento morale e configura complicità in violazioni dei diritti umani delle persone migranti». La famosa cooperazione sulle migrazioni che sbandierano i nostri politici è in realtà una complicità in atti criminali. E quando sei complice e vorresti persino ottenere qualche cosa per fare bella figura con l’opinione pubblica il generale Haftar ti rimette subito al tuo posto. Il messaggio è chiaro.
( 1 )
IL MANIFESTO 13 GIUGNO 2025
Piantedosi vede Saddam Haftar. Avs: «Ha incontrato un criminale»
Migranti. Al centro il contrasto dei flussi. Governo in allarme per la rotta cirenaica. Contro il figlio del generale a capo della Libia orientale accuse di crimini di guerra
Foglio di via. Espulso da Bengasi per «gravi violazioni del protocollo e della sovranità nazionale».
Il ministro Piantedosi vola in Libia in cerca di intese per fermare i migranti insieme ai colleghi di Grecia e Malta e al commissario Ue Brunner. Ma questa volta la «persona non grata» è lui
La Libia oggi è un paese politicamente instabile e frammentato, segnato da divisioni territoriali e lotte di potere tra fazioni rivali. Dopo la caduta del regime di Muʿammar Gheddafi nel 2011, il paese non è riuscito a stabilire un governo unificato e stabile, e le istituzioni statali sono deboli e frammentate.
Situazione attuale:
Divisione politica e territoriale:
La Libia è divisa tra due governi principali: il Governo di Accordo Nazionale (GNA) con sede a Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, e il Governo di stabilità nazionale (GSN) con sede a Bengasi, sostenuto dal generale Khalifa Haftar.
conflitti La presenza di milizie armate e gruppi terroristici, come lo Stato Islamico, contribuisce alla violenza e all’insicurezza.
Crisi umanitaria:
La crisi politica e i conflitti hanno portato a una grave crisi umanitaria, con milioni di persone bisognose di aiuti.
Corruzione e traffici illeciti:
La corruzione e i traffici illeciti, compreso il contrabbando di migranti, sono diffusi e contribuiscono alla destabilizzazione del paese.
Interferenze esterne:
Paesi stranieri, come Turchia, Russia, Egitto e Emirati Arabi Uniti, sono coinvolti nella crisi libica, sostenendo diverse fazioni e alimentando il conflitto.
Contesto storico:
La Libia ha una storia complessa, segnata da dominazioni straniere, come quella ottomana e italiana, e da un lungo periodo di regime autoritario sotto Gheddafi.
La caduta di Gheddafi nel 2011 ha aperto una nuova fase di instabilità, con l’emergere di diversi attori politici e militari che si contendono il potere.
La Libia è un paese ricco di petrolio, ma la sua economia è stata gravemente danneggiata dai conflitti e dalla corruzione
” L’Italia conquistò la Libia strappandola all’Impero ottomano con la guerra italo-turca del 1911, e ne tenne il possesso sino al 1943, con la sconfitta definitiva sul fronte nordafricano durante la Seconda guerra mondiale “.
per chi volesse nel link da cui abbiamo copiato la frase sopra ( è al fondo dello scritto )
Michela Mercuri insegna Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano. Ha insegnato Storia contemporanea dei paesi mediterranei all’Università di Macerata dal 2006 al 2019, e in vari master. È inoltre ricercatrice dell’Osservatorio sul fondamentalismo e il terrorismo di matrice jihadista dell’Università della Calabria. Nel corso degli anni si è occupata molto nei suoi scritti della storia e della geopolitica del Mediterraneo e in particolare della Libia.
Da un ramo dell’albero della vita assai distante dal nostro è nata una forma di intelligenza superiore, i cefalopodi – ossia calamari, seppie e soprattutto polpi
Protendo una mano e allungo un dito, ed ecco che lentamente un suo braccio si srotola e viene a toccarmi. Le ventose mi si attaccano alla pelle, la sua presa è di una forza sconcertante. Una volta attaccate le ventose, mi abbraccia il dito attirandomi delicatamente verso l’interno. Il braccio è zeppo di sensori, centinaia su ognuna delle ventose, che sono decine. Mentre attira a sé il mio dito, lo assaggia. Pieno com’è di neuroni, il braccio è un crogiolo di attività nervosa. Dietro di esso, per tutto il tempo, i grandi occhi rotondi continuano a fissarmi.
Filosofia e polpi potrebbero sembrare due universi estremamente distanti: un po’ come il famoso Gli asparagi e l’immortalità dell’anima di Achille Campanile. La prima si occupa di visioni del mondo, pensieri profondi e approcci alla realtà (…) della nostra specie. I secondi al massimo fanno bella figura sulle tavole galiziane, con le patate. Essere riuscito a unire due mondi così diversi è già un primo merito di Peter Godfrey-Smith, filosofo australiano che insegna alla School of History and Philosophy of Science presso l’Università di Sydney.
Godfrey-Smith è un serissimo filosofo della scienza che ha pubblicato notevoli opere sulla filosofia della biologia, da Philosophy of biology (Princeton University Press, 2014) a Darwinian Populations and Natural Selection (Oxford University Press, 2009). Al di là della sua attività all’università, Godfrey-Smith è anche un ottimo subacqueo.Come praticamente tutti i subacquei prima di lui, è affascinato dal comportamento dei polpi. Un po’ perché, rispetto al resto della fauna subacquea e terrestre, i polpi sono decisamente alieni. La parentela tra molluschi (…) e cordati (che comprendono i vertebrati) risale a non meno di 6-500 milioni di anni fa, sul fondo degli oceani primordiali. Non solo: i polpi sono anche parenti molto stretti di animali non particolarmente noti per la brillantezza del loro comportamento, come chiocciole, mitili o patelle. Ciononostante, sono curiosi, imprevedibili, e ogni individuo è dotato di una personalità propria. Per questa ragione hanno attirato l’attenzione di studiosi e curiosi da tempo immemore; almeno da Aristotele, infatti, gli zoologi si sono accorti della peculiari proprietà di queste specie. Anche la scienza moderna si è occupata di polpi e uno dei centri di eccellenza è stato per molto tempo la Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli.
Dalle osservazioni in natura, spesso anedottiche (come quelle di Jacques-Yves Cousteau) si è passati a esperimenti controllati in acquari. In cui i polpi hanno dimostrato capacità e complessità degne di vertebrati molto più noti, da mammiferi a uccelli. Aprono i barattoli, fuggono da trappole e contenitori ermetici, fanno scherzi e dimostrano simpatie e antipatie per i ricercatori. Sottoposti a farmaci e droghe simili a quelle del mondo umano, hanno dimostrato (come risulta da un esperimento recentissimo) che alcune strutture, neuromediatori e comportamenti sono comparabili a quanto accade nei vertebrati.
La coscienza del polpo
In tutta questa pletora di osservazioni curiose e contorti esperimenti, Godfrey-Smith fa sentire la sua voce di filosofo, e cerca di andare al fondo di uno dei più intrattabili problemi della filosofia e biologia moderna, quello della coscienza e della mente; proprietà che facciamo già fatica ad attribuire a specie a noi vicine, come scimpanzé o delfini. Figuriamoci ai polpi. Molti ricercatori cercano di evitare la parola “intelligenza” per i polpi, perché pare loro di vedere e giudicare gli animali con gli occhi degli uomini (cioè di antropomorfizzare una specie evolutivamente lontanissima). Altri pensano che le prove siano deboli, o che concentrarsi sull’intelligenza non riesca a catturare altri aspetti importanti della biologia di questi animali. E la coscienza è un termine ancora più controverso.
Godfrey-Smith è tutt’altro che timido sull’argomento. E fa notare, sulle orme di uno dei fondatori della psicologia, William James, che per spiegare la nascita della mente e della coscienza dovremmo usare la stessa logica evoluzionistica che utilizziamo per la biologia più spicciola. Bene o male, dice, occhi, mani, apparati, cervelli umani nascono da strutture già presenti nella storia dell’evoluzione. Non si capisce perché la mente e la coscienza umana debbano uscire già formate, come Atena dal cranio di Giove.
” Il loro corpo ha molti più gradi di libertà del nostro e necessita di un apparato nervoso grande ed efficiente.” – Godfrey-Smith
Il risultato, secondo Godfrey-Smith, è che l’evoluzione stessa ha raggiunto il traguardo dell’intelligenza e della mente attraverso vie differenti: i cordati e i vertebrati terrestri hanno dato origine alle menti dei mammiferi (elefanti, primati e cetacei), da un gruppo di invertebrati nacque la mente dei polpi, veri pinnacoli delle capacità cognitive tra gli animali subacquei. Perché no?
L’esempio che si fa spesso, in questo caso, è quello dell’occhio. Da origini del tutto differenti, sono nati apparati visivi dalla struttura straordinariamente simile, quello dei vertebrati e quello dei cefalopodi (che, se vogliamo, è ancora più efficiente e meno soggetto a problemi del nostro). Perché la mente non potrebbe aver seguito la stessa procedura? E con essa, perché non spingersi a dire che assieme alla mente i polpi hanno anche una coscienza (qualsiasi cosa essa sia?). Godfrey-Smith cerca anche di spiegare perché, secondo lui, i polpi (e in parte seppie e calamari) abbiano un sistema nervoso così complesso da dare origine a una mente: il loro corpo ha molti più gradi di libertà del nostro e necessita di un apparato nervoso grande ed efficiente. Oppure un cervello così massiccio e brillante serve a catturare le prede, che per il polpo sono di molti tipi diversi, e sfuggenti.
Il libro, non enorme, è già una sorpresa per l’argomento e l’approccio. Se a questo si aggiunge la scrittura molto brillante e ricca di aneddoti, l’alternanza di alto e basso nella stesura del testo, le idee assolutamente stimolanti e ottimamente presentate, non si può che considerarlo un vero capolavoro della divulgazione scientifica. Vista la bravura della professionista, inutile dire che la traduzione è ottima. Altre menti è nella stessa collana, “Animalia”, di Al di là delle parole di Carl Safina (ed. orig. 2015, trad. dall’inglese di Isabella C. Blum, pp. 687, € 15,99). Ha, rispetto a questo, uno spessore scientifico maggiore, un’impostazione meno aneddotica e una scrittura meno emozionale. Se i prossimi prodotti saranno dello stesso livello, si può dire che l’editore Adelphi abbia decisamente tracciato un ottimo solco.
Audio racconto ACHILLE CAMPANILE – Asparagi e immortalità dell’anima
Racconto tratto dalla raccolta “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima”
Legge Luigi Bellanca
Achille Campanile (1899 – 1977), scrittore, drammaturgo sceneggiatore e giornalista italiano, celebre per il suo umorismo surreale e i giochi di parole.
L’economia della contea è stata pesantemente colpita dalle ristrutturazioni economiche operate negli ultimi decenni, che hanno comportato la chiusura di quasi tutte le miniere di carbone. Pesantemente colpita anche l’industria metallurgica, che aveva a Sheffield uno dei centri principali al mondo.
L’industria siderurgica di Rotherham, che contava oltre 10.000 dipendenti, ha cessato l’attività nel 1993. L’industria siderurgica sopravvissuta a Sheffield è ora largamente automatizzata e richiede un numero molto limitato di forza lavoro rispetto al passato. In conseguenza di ciò il South Yorkshire è stato inserito nella lista delle aree più depresse dell’Unione europea, beneficiando in tal modo degli aiuti del Fondo sociale europeo.
Regno Unito, avviata inchiesta su stupri dei primi anni 2000.
Il caso riguarda migliaia di minorenni britanniche, provenienti da contesti disagiati, abusate da uomini appartenenti a bande criminali pakistane
all’inizio, un piccolo video
Di: Telegiornale – Lorenzo Amuso/M.Mar.
Un’inchiesta sugli abusi sessuali compiuti da uomini appartenenti a bande criminali pakistane ai danni di migliaia di ragazzine all’inizio degli anni 2000 è stata avviata nel Regno Unito, su via libera del premier Keirr Starmer. Il caso era venuto alla luce nel 2011 grazie ad un’indagine giornalistica, ma per anni le autorità britanniche avrebbero chiuso un occhio per timore di apparire razziste.
Si parla di adolescenti vulnerabili, provenienti da contesti disagiati, le quali sono state circuite, plagiate e abusate sessualmente da adulti predatori. Le vittime erano minorenni britanniche, per lo più bianche, e venivano da città come Rotherham, Telford, Rochdale, nel nord depresso dell’Inghilterra. Le violenze risalgono fino ai primi anni 2000: in cambio di alcol e droga le ragazzine accettavano avance da uomini appartenenti a bande criminali, finendo – loro malgrado – nel racket della prostituzione.
Lo scandalo è uno dei peggiori mai accaduti nel Regno Unito moderno, sul quale finalmente verrà fatta piena luce, dopo mesi di tentennamenti e resistenza. Starmer ha infatti deciso di non attendere il rapporto della Commissione parlamentare (che lo scorso gennaio era stata incaricata di eseguire una verifica sul caso) e ha annunciato un’inchiesta pubblica per accertare fatti e responsabili.
Lo scandalo rischia di imbarazzare pesantemente il partito di Starmer, visto che molte delle amministrazioni locali interessate erano guidate dai laburisti, di cui da sempre la comunità pachistana rappresenta un fedele bacino elettorale.
Scandalo stupri minori, la mossa anti-Farage di Starmer: sì all’inchiesta sulle bande pachistane
Il premier cambia idea sull’indagine nazionale e annuncia di voler procedere sul caso delle oltre 1400 bambine e minori che nei decenni scorsi hanno subito violenza da parte di britannici di origine asiatica.
Dietro il caos globale si affaccia un mondo nuovo.
Multilateralismo. Il mondo è nella situazione in cui erano gli stati nazionali nell’Ottocento. È in corso un processo di democratizzazione, che in questo caso riguarda l’assetto delle relazioni internazionali e la distribuzione del potere e delle risorse a livello mondiale, e che tende a superare le precedenti forme monarchiche (unilateralismo) e oligarchiche
L’aggressione di Israele e Usa all’Iran – momentaneamente conclusa – ha reso ancora più evidente che il mondo attraversa una fase di caos sistemico, inedita nelle possibili conseguenze.
Paradossalmente, la causa profonda di questo caos è che dalla situazione odierna può emergere un mondo nuovo, che ha a cuore anche la parte migliore degli ideali moderni, soprattutto dopo l’Illuminismo e la rivoluzione francese: un mondo basato sulla coscienza della necessaria unità del genere umano. Un’unità che senza annullare la sconfinata pluralità dell’esperienza dei popoli, sia il frutto della coscienza degli umani della comunanza del proprio destino. Quando si dice “mondo multipolare e multilaterale” si intende questo.
Multipolare, cioè privo di una potenza dominante e caratterizzato da una pluralità di centri economici e culturali che cooperino ad affrontare i decisivi problemi comuni. E multilaterale, basato su un sistema di relazioni paritarie tra nazioni e aree del mondo, sul diritto internazionale e su un’Organizzazione delle Nazioni Unite completamente riformata.
Il comportamento dell’occidente in Ucraina e Medioriente, come l’aggressività verso la Cina, è il tentativo estremo di fermare la possibilità di questo mondo. Siamo in una fase storica di transizione. La potenza egemonica mondiale declina e con i suoi alleati si oppone al declino con tutti i mezzi, ma le forze in ascesa non hanno ancora accumulato la forza per determinare un equilibrio alternativo.
Quello dell’egemonia Usa è un declino lungo, iniziato con la sconfitta in Vietnam, e il modo in cui si consumerà non è scontato. A parte l’Europa, area ancora più declinante, gli interessi e le volontà degli Usa incontrano un’opposizione sempre più aperta ed efficace.
Alla fine de Il Lungo XX secolo, Giovanni Arrighi sosteneva che, dopo l’egemonia unilaterale Usa, nessun singolo paese avrebbe potuto sostituirla. Detenere un’egemonia mondiale significa accentrare il potere economico, geopolitico, diplomatico, militare e culturale necessario. Tutte queste dimensioni del potere sono diventate troppo grandi e complesse perché un singolo paese possa riunirle in sé. Chi teme che, se il declino Usa si compisse, sarebbe sostituito da un analogo potere imperiale cinese, può stare tranquillo.
La Cina non vuole farlo, la sua storia dimostra che non ha questa natura, ma non potrebbe farlo nemmeno se volesse. Nel futuro queste diverse dimensioni del potere saranno necessariamente distribuite tra diverse aree e nazioni.
Per questo anche la lettura del presente come “multimperialismo”, con cui si equipara l’imperialismo anglosassone a un neoimperialismo russo o cinese, è sbagliata, sia perché i comportamenti e gli approcci di Russia e soprattutto Cina alle relazioni internazionali sono molto diversi da quelli occidentali, sia perché oggi in uno scontro per l’egemonia mondiale nessun polo può avere la meglio. Siamo costretti dalla necessità a inventare un mondo nuovo e inedito, dando una forma razionale a processi che sono già in atto.
Il mondo è nella situazione in cui erano gli stati nazionali nell’Ottocento. È in corso un processo di democratizzazione, che in questo caso riguarda l’assetto delle relazioni internazionali e la distribuzione del potere e delle risorse a livello mondiale, e che tende a superare le precedenti forme monarchiche (unilateralismo) e oligarchiche. La possibilità di condividere e gestire con consapevolezza questa transizione non poggia su un approccio ottimistico, ma sull’oggettività di limiti e rischi che per la prima volta riguardano sincronicamente il mondo intero:
i terribili conflitti armati in corso, la crisi ambientale, la ridefinizione del rapporto tra umano e artificiale, l’insostenibilità strutturale delle diseguaglianze economiche, l’obsolescenza delle forme politiche moderne.
Questi rischi e limiti rendono necessaria una gestione condivisa a livello mondiale, pena l’implosione dei rapporti tra sistemi sociali e dei sistemi al loro interno. Questa tendenza alla democratizzazione delle relazioni internazionali è evitabile solo sottomettendo l’umanità al potere di una super élite che eserciti un dominio economico-militare.
La reazione occidentale al declino va in questa direzione, ed è quindi completamente irrazionale, segnata da una ‘follia’ in cui le continue oscillazioni di Trump e la cecità strategica dell’Europa sono il segno dell’impossibilità di riprodurre l’ordine esistente.
Il tentativo di fermare la storia attraverso guerre (militari e commerciali) e politiche di riarmo non potrà che accelerare la fine dell’egemonia occidentale, facendola accadere nel modo peggiore anche per cittadini e lavoratori.
Ciò che una volta veniva definita “Ragione” e che l’occidente (a volte giustamente) si attribuiva, è oggi presente nel Sud globale.
Se la situazione non è già precipitata nel rischio aperto di un conflitto mondiale è grazie alla saggezza mostrata dalla Cina e dalla leadership dei Brics, che non accennano a voler accettare una sfida per il dominio, soprattutto se schiacciata sul terreno militare. Se nascerà, il mondo nuovo sarà anche una sintesi originale tra la parte migliore della ragione occidentale e della ragione delle altre grandi civiltà.
La copertina del libro è di Simona Binni, affermata autrice di graphic novel
Che fine ha fatto la partita di carburante che forse poteva cambiare le sorti della guerra? E cosa c’entra un’organizzazione che aiutava i nazisti a fuggire in Argentina? Sono gli inquietanti interrogativi che irrompono nell’incontro fra due attempate spie che, nella Roma d’inizio millennio, rievocano i tempi passati, tra rancori e sospetti. In un’atmosfera che proietta i protagonisti negli Anni Quaranta e Cinquanta, a margine dei grandi eventi storici, riemergono paure e delusioni. Ma anche amore e passione, con due giovani che lottano per salvare il mondo e un marinaio chiamato ad affrontare una partita di calcio delicatissima. Un affresco che fra flashback e colpi di scena dalla Riviera, passando per Sanremo,si allarga senza confini, insieme con le speranze di un futuro migliore.
chi mi conosce anche superficialmente sa che non mi intendo di quadri, né vorrei..Per questo mi permetto di dire, in totale ingenuità, che Massimo Gilardi è– per me– un pittore così diverso, che da subito può anche non piacere.. Bisogna abituarcisi un pochino come a tutte le cose belle che poi si ” riscoprono ” guardandole. Grazie caro Massimo.
— e poi è della nostra Liguria ( noi ponentini che non siamo— tra i più apprezzati.. diciamo così ) e poi è davvero ” un compagno “– basta guardare il suo Facebook..
— è poi, per noi, è molto giovane, ha circa 60 anni e qualcosa.. un bimbo !
In Europa tutti si riarmano disordinatamente, ma per quale guerra e contro quale Nemico? L’America si preoccupa solo della Cina, mentre per molti, nel Vecchio Continente, il conflitto in Ucraina dimostra che la minaccia russa è incombente. La guerra, però, non è un destino.
Al termine dell’incontro “Il cantico della terra e la botanica politica” che si è svolto il 30 maggio 2025 a Citerna nell’ambito del Festival dei Cammini di Francesco, la giornalista Paola Caridi ha risposta a una domanda dal pubblico su cosa pensa di quello che sta succedendo a Gaza la gente di Israele, con riferimento anche a coloro che abitualmente manifestano contro il Governo.
Valerij Sokolov è considerato uno dei più interessanti violinisti della sua generazione. Nato nel 1986 a Kharkov in Ucraina giovanissimo nel 1999 si è aggiudicato lo Study Grant Prize al Concorso internazionale Pablo Sarasate di Pamplona , nel 2005 poi ha aggiunto anche il Grand prix al Concorso Internazionale George Enescu. Sokolov per questo suo talento è generosamente sostenuto dall’Accenture Foundation nell’ambito di un progetto dedicato ai giovani musicisti. Recentemente Sokolv si è esibito con la Philarmonia Orchestra, L’Orchestra National de France, la Chamber Orchestra of Europe. Si ricorda inoltre tra i maggiori successi conseguiti i recital tenuti al Teatro Mariinskij e ai Festival di Verbier e Colmar. Sokolov ha anche lavorato con eminenti direttori d’orchetra fra cui Vladimir Askenazij, Ivor Bolton, Hubert Soudant e Yan Pascal Tortelier. Si è esibito con orchestre di primo livello fra cui la Rotterdam Philarmonic Orchestra, la Tokyo Symphony Orchestra e alla Carnegie Hall ha eseguito per la prima volta negli Stati Uniti il Concerto di Boris Ticenko. La sua presenza è frequente nei festival fra cui quelli di Aspen, St Denis e Gstaad inoltre ultimamente per la prima volta si è esibito al Lincoln Center, ma anche a Essen, Vancouver e Hong Kong. Come interprete della musica da camera invece collabora regolarmente con i pianisti Kathryn Stott, Evgenij Izotov e Igor Levit mentre con i violoncellisti si accompagna a Leonid Gorokhov e Maximilian Hornung. E proprio Evgenij Izotov è considerato fra i più personali e brillanti giovani pianisti di San Pietroburgo. Esibitosi anche lui in tutto il mondo, Izotov ha vinto numerosi primi premi nei Festivals i musica da camera internazionali fra cui il Khumo Festival in Finlandia e il Festival Chopin in Karelia. E’ stato membro dei Virtuosi di San Pietroburgo per cinque anni e collabora oltre che con Sokolov anche con l’Atrium Quartetm quartetto di archi.
*** se aspettate qualche minuto, è una musica che riconoscete subito..
video, 36 min. ca –
Il soggiorno di Čajkovskij a Sanremo, dalla fine di dicembre 1877 alla metà di febbraio 1878, si colloca in un periodo cruciale della vita del compositore, che nella fitta corrispondenza indirizzata alle persone più vicine e legate a lui da rapporti di affetto e di lavoro rivela il complesso e a volte contraddittorio e tormentoso intreccio di sentimenti che agitavano il suo animo.
Le lettere alla baronessa Nadežda von Meck, al fratello Anatolij, alla sorella Aleksandra Davydova e ad alcuni tra i più importanti esponenti del mondo musicale russo, qui presentate per la prima volta in traduzione italiana, tra le descrizioni dell’ambiente, della vita quotidiana e della sua “anima malata”, ruotano sempre intorno a ciò che per il compositore è centrale: la sua musica e la possibilità di dedicarsi ad essa con tutte le sue forze, per poter “lasciare di se stesso un ricordo duraturo”.
E questo gli riuscì anche grazie al periodo sanremese, una tappa importante sulla strada del suo destino.
La sera del 31 dicembre 1877, Pёtr Il’ič Čajkovskij giungeva a Sanremo, dove sarebbe rimasto per due mesi. Quel lungo soggiorno fu la conseguenza di un susseguirsi di avvenimenti, l’ultimo dei quali (in senso cronologico) era stato il grave turbamento dovuto all’irrimediabile a crisi matrimoniale.
Grazie alla vita regolare, a volte noiosa, alla calma non turbata da nulla, e soprattutto grazie al tempo, che cura tutte le ferite, sono completamente guarito dalla mia follia. Io per alcuni mesi sono stato senza dubbio un po’ pazzo e solo ora, dopo essermi del tutto rimesso, ho imparato a confrontarmi obiettivamente con tutto ciò che ho fatto durante questa breve follia
Pёtr Il’ič Čajkovskij, Lettera al fratello Anatolij del 18 febbraio 1878
Durante l’asilo sanremese, “nodo singolare nella sua vita”, il grande compositore russo avrebbe scritto numerose lettere alle persone che più gli erano care: la baronessa Nadežda von Meck, innanzitutto, il fratello Anatolij, la sorella Aleksandra Davydova, i musicisti Nikolaj Rubinštein, Sergej Taneev, Pëtr Jurgenson e Karl Albrecht.
In questa intervista, la russista Marina Moretti ci racconta quel soggiorno e il contenuto delle lettere, svelandoci il senso dell’uno e delle altre.
Marina Moretti è nata a Sanremo. Slavista, traduttrice, da tempo si dedica alla storia dei rapporti tra la Russia e la Riviera Ligure. Ha curato le pubblicazioni I Russi a Sanremo (2005) e I Russi in Riviera (2021), ed è autrice di vari contributi a raccolte di saggi sull’emigrazione russa in Italia.
LETTERE DA SANREMO (1877-1878)
– Lettere alla baronessa von Meck
– Lettere alla sorella Aleksandra Davydova
– Lettere al fratello Anatolij Čajkovskij
– Lettere ad esponenti del mondo musicale russo
– Lettere a Nikolaj Rubinštejn
– Lettere a Sergej Taneev
– Lettere a Pëtr Jurgenson
– Lettere a Karl Albrecht
TCHAJKOVSKY PETR Il’ic Compositore russo a Sanremo
scritto dal musicista FREDDY COLT
Il 20 dicembre, nella corrispondenza epistolare con il fratello, il maestro russo si lagna principalmente del clima, che trova noioso e fastidioso: “Come si può passare un intero inverno senza freddo e neve? Oggi era caldo come da noi in luglio, e siamo alla fine di dicembre! “. Anche in successive lettere Tchajkovsky non mostra grande trasporto verso la località prescelta, anche se vi rimarrà fino al mese di febbraio del 1878. La ragione principale di questo atteggiamento é da ricercarsi, probabilmente, nelle difficoltà interiori e nel periodo di fragilità attraversato dal maestro, reduce da un matrimonio infelice con una propria allieva e parecchi altri dispiaceri.
Il grande compositore russo assieme a suo fratello Modest e di un ragazzo sordomuto di cui era precettore, nel giardino della Pensione Joly.
Già al principio del suo soggiorno il compositore decise di cambiare albergo perché I’ Hotel Victoria, segnalatogli dalla Guida Baedeker, gli risultò troppo affollato e costoso; cosi Tchajkovsky si trasferì nella ben più parca “Pension Joly” ( è il nome d’allora, derivato da quello del gestore; in seguito verrà ingrandito lo stabile e si chiamerà Albergo Quisisana. Diverrà, poi, Ufficio tributario battezzato ironicamente “Quisipaga” dai locali, dove lo raggiunse qualche tempo dopo suo fratello Modest con un ragazzo sordomuto di cui era precettore. Il compositore, a Sanremo, prese a lavorare con gran lena a due sue importanti opere: la Sinfonia n. 4 detta “La Russa” e il capolavoro Eugenio Onegin, di cui stava sviluppando l’ orchestrazione del terzo atto, com’egli stesso raccontò, in una lettera, all’amica e benefattrice Nadedza von Meck.
HOTEL VICTORIA SANREMO
La ricostruzione della vita sanremese di Tchajkovsky é possibile soprattutto grazie alla fitta corrispondenza che il musicista intratteneva con i propri cari rimasti in madrepatria, giacché giornali locali e cronache successive concedono pochi dettagli. Dalle lettere compulsate dal professor Cazzola sappiamo che il compositore russo frequentò il Teatro comunale “Principe Amedeo“, dove assistette alla rappresentazione del Faust di Gounod prima e del Barbiere di Siviglia poi, scoprendo inoltre che il pubblico – secondo le annotazioni dello spettatore straniero – era particolarmente rumoroso e accoglieva gli artisti con fischi e urli. Da un altra lettera apprendiamo che l’ illustre visitatore compì un’escursione a Coldirodi: “Oggi, con Modja e Kolja abbiamo fatto una passeggiata sui monti a dorso d’asino, alla cittadina di Cola [sic], dove c’ é un’ interessante galleria di quadri. Sulla via del ritorno ho raccolto un gran mazzo di viole”‘.
PENSIONE JOLYalla Foce nel 1865. In seguito l’edificio sarà ingrandito e diventerà Albergo Quisisana, prima di trasformarsi in Ufficio delle Tasse.
Si tratta ovviamente della Pinacoteca Rambaldi, della quale Tchajkovsky risulta essere rimasto, anche se non parrà vero, ben impressionato. Ma anche il giudizio su Sanremo muterà a seconda dell’umore: “il clima é incantevole, la località magnifica, i luoghi sono davvero meravigliosi, e tuttavia in provo stizza per non so che…“. Malgrado le inquietudini dell’artista, e persino la sua inclinazione all’alcool, l’ attività creativa sembra procedere senza intoppi. A Sanremo, di fatto, il grande russo insoddisfatto ultimò quella Sinfonia in Fa minore dedicata alla sua mecenate, la baronessa von Meck,alla quale descrisse epistolarmente il significato delle varie parti, dell’orchestrazione, dei colori: sicuramente riflesso delle sue meditazioni e del suo stato d’animo.. Azzardando un pochino, si potrebbe dire che anche le tinte della Riviera, gli alberi odiati, il clima troppo poco rigido, le rilassanti passeggiate al chiaro di luna, abbiano avuto una loro parte nella concezione dell’opera. Chissà !. Certo é che, per converso, non è che Sanremo abbia gran che ricordato I’ insigne visitatore: non un busto, non una targa, molto rari i tributi in musica. Qualsiasi altra città avrebbe istituito un Festival Tchajkovsky , un concorso di composizione o, come minimo, un memorial annuale in cui sentir risuonare le note de “la Russia” ad opera di un’orchestra sinfonica.
Riteniamo tuttavia significativo, segnalare che a metà anni trenta il celebre“Quartetto di San Remo” guidato dal maestro Aldo Ferraresi, uno dei massimi violinisti del Novecento, ebbe a incidere un disco a 78 giri su etichetta “La voce del padrone” per pubblicizzare il Casino Municipale anche oltreoceano, il cui programma non fu, magari, del tutto casuale: “Tchajkovsky Andante cantabile dal I° Quartetto in Re maggiore, op. 11“.
Partito alla volta di Firenze, al maestro russo non fece seguito alcun suo “pari” in ritiro artistico. A lungo si é favoleggiato circa una visita del compositore Richard Wagner al Kronprinz Federico Guglielmo II di Hohenzollern, in soggiorno curativo a villa Zirio nel 1887, immortalata in una celebre incisione di Hermann Nestel datata 1888″.
Peccato che l’ autore del Parsifal fosse morto a Venezia cinque anni prima, il 13 febbraio 1883.
**** NOTA SULL’AUTORE DELLO SCRITTO SOPRA :: FREDDY COLT
Freddy Colt, un grande musicista di Sanremo, al secolo Fabio La Cola.
Cerimoniere dell’Accademia, Accademico della Pigna per la Musicologia, fondatore e Membro effettivo CCBF dal 2007, Conservatore della Piccola Biblioteca, Presidente CCBF dal 2011. È musicista e scrittore, organizzatore ed editore. Ha pubblicato libri di storia musicale, araldica, scienze della tradizione, cultura locale e altro. Con il suo fondo librario personale di circa 2000 volumi ha dato l’avvio alla Biblioteca della Pigna. È inoltre Presidente del Circolo Ligustico, del Capitolo della Cultura, del Centro Studi S. Kenton, Vice Presidente della Federazione Operaia Sanremese (fondata nel 1851), Consigliere del Coordinamento di Associazioni per Sanremo.
Associazione Culturale “Colt Castle Book Fellowship” Piazza del Capitolo 1, 18038, Sanremo (IM)
FOTO MORESCHI
a Sanremo in via Matteotti 194 lo Studio è chiuso ma l’attività fotografica continua su appuntamento ai numeri:
Netanyahu chiude: le richieste di Hamas per la tregua non sono accettabili.
Il premier israeliano riunisce il gabinetto prima di volare da Trump. Khamenei riappare in pubblico dopo la fine della guerra con Israele. Ha partecipato a una cerimonia religiosa a Teheran
“Le modifiche richieste da Hamas alla proposta ci sono state trasmesse ieri sera e non sono accettabili per Israele.
Dopo una valutazione della situazione, il primo ministro Benyamin Netanyahu ha dato istruzioni di accogliere l’invito ai colloqui indiretti e di proseguire i negoziati per il ritorno dei nostri ostaggi, sulla base della proposta del Qatar alla quale Israele ha già dato il suo assenso.
La delegazione negoziale partirà domenica per i colloqui a Doha”. Lo ha dichiarato il premier israeliano in una nota diffusa dal suo ufficio.
La guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha partecipato oggi a una cerimonia religiosa a Teheran, secondo quanto riportato dai media statali. Si tratta della prima apparizione pubblica del leader iraniano dopo il cessate il fuoco con Israele del 24 giugno.
Un video trasmesso dalla televisione di Stato mostra Ali Khamenei che saluta i fedeli in una moschea durante una cerimonia in occasione dell’anniversario del martirio dell’Imam Hussein, una data importante per i musulmani sciiti. L’ultima apparizione dell’ayatollah risale al 18 giugno, durante un discorso registrato durante la guerra contro Israele.
La giornata di ieri:
I team negoziali di Hamas e Israele si preparano a colloqui indiretti attraverso i mediatori a Doha dopo la risposta positiva dell’organizzazione fondamentalista alla nuova proposta degli Usa. La leadership politica del gruppo che governa Gaza dal 2007 risiede nella capitale del Qatar, così come il capo negoziatore Khalil al-Hayya, mentre i delegati israeliani dovrebbero al massimo domenica mattina per il nuovo ciclo di colloqui, come ha confermato un funzionario israeliano. Obiettivo, un cessate il fuoco di due mesi durante i quali verranno trattati i termini per la fine del conflitto nella Striscia. L’apparato di sicurezza di Hamas ha già lanciato l’allarme tra le sue fila pubblicando una serie di istruzioni e un avvertimento diretto: “Israele potrebbe sfruttare il momento per compiere omicidi mirati, arresti e tentare di liberare ostaggi, prigionieri nella Striscia da 638 giorni, circa 20 su 50 ancora in vita.
Il gruppo palestinese ritiene che questi siano giorni particolarmente delicati, proprio a causa della speranza che scatti la tregua. Le linee guida raccomandano di “aderire alle procedure di sicurezza durante le comunicazioni e gli spostamenti, e a mantenersi costantemente pronti ad affrontare attacchi a sorpresa o operazioni speciali nell’enclave”. E sul terreno fonti mediche hanno reso noto che almeno 70 residenti di Gaza sono morti nelle ultime 24 ore nella Striscia a causa degli attacchi israeliani, mentre l’Idf ha spiegato di aver colpito e ucciso decine di terroristi in diverse zone della Striscia e di aver distrutto depositi di armi, lanciatori di missili e centri di comando delle fazioni armate palestinesi.
La Gaza humanitarian foundation (Ghf) ha dichiarato che due operatori umanitari americani sono rimasti feriti dallo scoppio di due granate lanciate su uno dei siti di distribuzione a Rafah, mentre i gazawi stavano ritirando i pacchi. Tsahal ha confermato l’attacco accusando di sabotaggio Hamas e altri gruppi armati palestinesi. E proprio la consegna degli aiuti fa parte dei tre emendamenti chiesti da Hamas al piano (‘migliorato’) Witkoff nella risposta consegnata al Qatar, rischiando di diventare terreno di scontro tra le parti. Hamas chiede che la gestione torni nelle mani dell’Onu e venga tolta alla Ghf, mentre Israele e gli Stati Uniti ritengono che il sistema precedente abbia consentito all’organizzazione di appropriarsi delle merci, non solo per l’uso dei miliziani e delle loro famiglie, ma soprattutto per essere rivendute al mercato nero lucrando e facendo impennare i prezzi a Gaza. Prima e durante la guerra. Finora le Nazioni Unite non hanno risposto alla richiesta della Gaza Foundation, inviata con una lettera al segretario generale Antonio Guterres, di collaborare nella consegna ai civili dell’enclave.
In serata i sistemi di difesa dell’Idf hanno abbattuto due razzi lanciati dal sud di Gaza verso la zona meridionale di Israele. Alle 22 ora locale, (le 21 in Italia), si riunisce il gabinetto di sicurezza israeliano: sul tavolo, prima di tutto, i contenuti della delega ai negoziatori che terranno i colloqui a Doha. Poi il premier Benyamin Netanyahu partirà per Washington dove sarà ricevuto dal presidente Donald Trump alla Casa Bianca.
Il premier nel corso della giornata ha anche sentito Giorgia Meloni, che ha richiamato l’urgenza di giungere a un cessate il fuoco che permetta il rilascio degli ostaggi ancora in vita e l’accesso pieno e senza ostacoli della popolazione civile all’assistenza umanitari. La premier italiana ha parlato al telefono anche conl’Emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al Thani, nel quadro dei contatti avviati sin dal vertice G7 di Kananaskis.
Nel frattempo a Tel Aviv e in altre città del Paese decine di migliaia di manifestanti si stanno unendo ai parenti degli ostaggi. Il Forum delle famiglie ha condannato le notizie secondo cui un accordo garantirebbe il rilascio solo di alcuni dei rapiti in più fasi. “In questo momento critico è vietato conformarsi alle liste di Schindler che vengono dettate, come se fosse impossibile riportarli indietro tutto”, ha dichiarato il Forum, citando la lista di Oskar Schindler dei dipendenti ebrei salvati dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti durante l’Olocausto. I familiari hanno dichiarato che il metodo di liberazione degli ostaggi attraverso liste e fasi crea “un’incertezza insopportabile”.
Il palazzo che oggi ospita il Museo del Settecento Veneziano viene costruito per volontà della famiglia Bon, esponente dell’antica nobiltà veneziana. Alla metà del Seicento essi ne affidano l’esecuzione all’architetto più celebre del periodo: Baldassarre Longhena, cui si deve anche la realizzazione di Ca’ Pesaro e della Basilica della Salute. Il monumentale progetto si dimostra tuttavia troppo ambizioso per le fortune dei Bon. Il palazzo, infatti, non è ancora terminato alla morte dell’architetto nel 1682 e poco dopo, vista l’incapacità della famiglia di sopportare le ingenti spese del cantiere, i lavori vengono bloccati e la fabbrica rimane incompleta. Nel 1750 Giambattista Rezzonico, di recente nobiltà – acquisita nel 1687 attraverso l’esborso di denaro –, compra l’edificio e ne affida i lavori di completamento a Giorgio Massari, all’epoca l’architetto di grido. Sarà questa famiglia a dare il nome al palazzo. I lavori vengono portati a termine in soli sei anni, in tempo per festeggiare la loro inarrestabile ascesa sociale culminata nel 1758, quando Carlo, figlio di Giambattista è eletto pontefice con il nome di Clemente XIII. La parabola dei Rezzonico è tuttavia assai breve e si consuma già con la generazione successiva.
Il Palazzo L’accesso principale dell’edificio era originariamente quello sul Canal Grande, attraverso la monumentale porta d’acqua. Uno sguardo alle facciate degli altri palazzi consente di valutare la grande novità delle soluzioni architettoniche adottate da Baldassarre Longhena in questa circostanza. L’architetto elabora la soluzione proposta per la prima volta da Jacopo Sansovino sulla facciata di Ca’ Corner della Ca’ Granda, abbandonando il tradizionale schema del palazzo veneziano che prevedeva, per la facciata, una struttura tripartita: un’infilata di finestre nella parte centrale e due ali ai lati. Il suo progetto invece riproduce su tutta la superficie un unico modulo architettonico, in questo caso dedotto da quello delle Procuratie Nuove di Piazza San Marco, ma riletto in chiave barocca, con un accentuato rilievo dei vari elementi a creare un contrastato gioco di luce e ombra. Le novità interessano anche la planimetria dell’edificio. Il tradizionale portico chiuso che negli antichi palazzi Veneziani attraversava in senso longitudinale l’edificio, dalla porta d’acqua a quella di terra, è qui interrotto da un cortile interno, una tipologia propria del palazzo di terraferma, che non veniva applicata a Venezia. La soluzione, pur nella sua semplicità, risulta efficace. Al posto di uno spazio buio, privo di alcuna valenza architettonica e scenografica, si crea una successione di zone di luce e ombra che dilata ulteriormente lo spazio e guida lo sguardo del visitatore verso lo stemma di famiglia, posto in piena luce sopra la fontana. Nel portego è oggi collocata una gondola realizzata nel XIX secolo, che presenta al centro il tradizionale “felze” una cabina smontabile che garantiva una comoda intimità ai viaggiatori.
Longhi compie il suo apprendistato come pittore di storia e di soggetti religiosi, per dedicarsi poi alle scene di vita quotidiana. Protagonisti dei suoi dipinti sono i cittadini veneziani, in genere mercanti e borghesi, ma non mancano dottori, lavandaie e precettori. Longhi riproduce con realismo e ironia le mode correnti e le abitudini dei suoi contemporanei.
«Fortunato sarà ugualmente il nostro comune amico celebratissimo Pietro Longhi, pittore insigne, singolarissimo imitatore della natura che, ritrovata una originale maniera di esprimere in tela i caratteri e le passioni degli uomini, accresce prodigiosamente le glorie dell’arte della Pittura, che fiorì sempre nel nostro Paese.»
Per l’opera del Longhi bisogna tener presente i costanti riferimenti al mondo teatrale, e può essere tracciato uno sviluppo parallelo tra l’opera del pittore e quella del commediografo Goldoni, quest’ultimo, attraverso il superamento della commedia dell’arte, crea un nuovo tipo di teatro ispirato alla vita reale, allo stesso modo l’artista, pittore principalmente dell’alta borghesia mercantile veneziana, propone nella sua pittura, un’attenta osservazione e la cronaca puntuale del costume sociale di un’intera epoca.
«… Longhi dipinse per i veneziani appassionati di pittura la loro stessa vita, in tutte le sue fasi quotidiane, domestiche e mondane. Nelle scene riguardanti l’acconciatura e l’abbigliamento della dama, troviamo il pettegolezzo del barbiere imparruccato, le chiacchiere della cameriera; nella scuola di danza, l’amabile suono del violino. Non c’è nessuna nota tragica…Un senso di profonda cortesia di costumi, di grande raffinatezza, insieme con un onnipresente buonumore distingue i dipinti del Longhi da quelli di Hogarth, a volte così spietato e carico di presagi di mutamento.»
L’opera, nome e tecnica: Convito in casa Nani, olio su tela.
La datazione: 1755 circa.
La collocazione: Venezia, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano.
La descrizione dell’opera: Il banchetto si svolge all’interno di una lunga sala illuminata a sinistra da alti finestroni rettangolari. Alla mensa a ferro di cavallo ricoperta di una candida tovaglia siede un gran numero di nobildonne e nobiluomini in ricchissimi abiti. L’ospite d’onore, indicato da una stella dorata, occupa il posto a capotavola. Sulla parte di fondo, a destra, sopra un tavolo di servizio, piatti dorati e vassoi sono pronti ad accogliere le pietanze, mentre in tutta la sala i camerieri sono indaffarati a servire ai convitati cibi e bevande. Bottiglie di varie fogge e dimensioni vengono prelevate dall’ambiente che si apre nel lato opposto alle finestre. Altri nobili osservano interessati dalle grate superiori, mentre qualche cagnolino si aggira tra i tavoli.
Pietro Longhi, “Convito in casa Nani alla Giudecca”, 1755 circa.
L’arcivescovo Clemente Augusto, fratello dell’Imperatore tedesco Carlo VII, follemente innamorato di Venezia, sotto le mentite spoglie di conte di Werth visitò la città nel 1755.
Il realistico dipinto del celebre pranzo di gala, tenuto in suo onore dai Nani Mocenigo nel loro sontuoso palazzo veneziano, testimonia gli usi e costumi legati ai banchetti e alla disposizione della tavola nella Venezia del Settecento, rivelandone lo sfarzo e la ricchezza.
(Museo Ca’ Rezzonico, Venezia)
Il banchetto a Casa Nani, dato in onore del loro ospite, Clemente Augusto, Elettore Arcivescovo di Colonia, il 9 settembre 1755
+++ verso il fondo, a chi interessa, un pezzetto dell’ultimo film di Pasolini, ” Salò, le 120 giornate di Gomorra, cui segue un intervento sul film del regista Pupi Avati.
1975
2015
“L’invisibile rivoluzione conformistica di cui Pasolini parlava con tanto accanimento e sofferenza dal 1973 al 1975, non era affatto un fenomeno invisibile. Chi ricorda anche vagamente le polemiche giornalistiche di allora, a rileggere questi ‘Scritti corsari’ può restare sbalordito. Il fatto è per Pasolini i concetti sociologici e politici diventavano evidenze fisiche, miti e storie della fine del mondo. Finalmente, così, Pasolini trovava il modo di esprimere, di rappresentare e drammatizzare teoricamente e politicamente le sue angosce.. di parlare in pubblico del destino presente e futuro della società italiana, della sua classe dirigente, della fine irreversibile e violenta di una storia secolare.” (Dalla Prefazione di Alfonso Berardinelli)
Pier Paolo Pasolini La saggistica. Scritti corsari
“lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca.”
Scritti corsari è l’ultimo libro pubblicato da Pasolini (fu in libreria subito dopo la sua morte, Pasolini ne aveva già revisionato le bozze presso l’editore Garzanti) ed è molto più che una raccolta di articoli, interviste, recensioni. Piuttosto un libro che il lettore deve ricostruire: “È lui che deve rimettere insieme i frammenti di un’opera dispersa e incompleta. È lui che deve ricongiungere i passi lontani che però si integrano.” Nati dall’occasione, questi scritti hanno una singolare unità, anche perché nei fili che ne compongono il tessuto è sempre ben visibile “l’arte scontrosa o mestiere” dell’autore.
“Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo.”
Il vero scandalo di questi scritti è nella loro severità. Essi toccano fatti che coinvolgono, in modo patente o oscuro, la vita e la coscienza di milioni di uomini. Sono duri, aspri, “scandalosi” argomenti che Pasolini affronta senza indulgenza, senza approssimazioni. Il lettore degno della “scandalosa ricerca” trova qui degli scritti di “attualità” certo non effimeri, in cui si cerca di decifrare la fisionomia degli anni a venire. La tragica morte dello scrittore e le reazioni che ne sono seguite rivelano la terribile qualità profetica, il sicuro presagio nascosti in questo libro.
8 luglio 1974. Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino
Pubblicato su «Paese Sera» col titolo «Lettera aperta a Italo Calvino: Pasolini: quello che rimpiango»
Caro Calvino, Maurizio Ferrara dice che io rimpiango un’«età dell’oro», tu dici che rimpiango l’«Italietta»: tutti dicono che rimpiango qualcosa, facendo di questo rimpianto un valore negativo e quindi un facile bersaglio. Ciò che io rimpiango (se si può parlare di rimpianto) l’ho detto chiaramente […]. Che degli altri abbiano fatto finta di non capire è naturale. Ma mi meraviglio che non abbia voluto capire tu (che non hai ragioni per farlo). Io rimpiangere l’«Italietta»? Ma allora tu non hai letto un solo verso delle Ceneri di Gramsci […], non hai letto una sola riga dei miei romanzi, […] non sai niente di me! Perché tutto ciò che io ho fatto e sono, esclude per sua natura che io possa rimpiangere l’Italietta. […] L’Italietta è piccolo-borghese, fascista, democristiana […]. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no. […] Io so bene, caro Calvino, come si svolge la vita di un intellettuale. Lo so perché, in parte, è anche la mia vita. Letture, solitudini al laboratorio, cerchie in genere di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e sostanzialmente perbene. Ma io, come il dottor Hyde, ho un’altra vita. Nel vivere questa vita, devo rompere le barriere naturali (e innocenti) di classe. Sfondare le pareti dell’Italietta, e sospingermi quindi in un altro mondo: il mondo contadino, il mondo sottoproletario e il mondo operaio. […] È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi anni fa, che io rimpiango (non per nulla dimoro il più a lungo possibile, nei paesi del Terzo Mondo, dove esso sopravvive ancora, benché il Terzo Mondo stia anch’esso entrando nell’orbita del cosiddetto Sviluppo). Gli uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro, come non erano coinvolti, se non formalmente con l’Italietta. Essi vivevano quella che Chilanti( Gli ultimi giorni dell’età del pane. Mondadori, 1974 ) ha chiamato l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari.Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita.Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita (tanto per essere estremamente elementari, e concludere con questo argomento). Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com’è la mia critica […]. Ho detto, e lo ripeto, che l’acculturazione del Centro consumistico, ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo10 (parlo ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono profondamente analoghe):il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico.La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento. È qui che si vivono i valori, non ancora espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto. Dal punto di vista del linguaggio verbale, si ha la riduzione di tutta la lingua a lingua comunicativa, con un enorme impoverimento dell’espressività. I dialetti11 (gli idiomi materni!) sono allontanati nel tempo e nello spazio: i figli son costretti a non parlarli più perché vivono a Torino, a Milano o in Germania. […] Naturalmente questa mia «visione» della nuova realtà culturale italiana è radicale: riguarda il fenomeno come fenomeno globale, non le sue eccezioni, le sue resistenze, le sue sopravvivenze. Quando parlo di omologazione di tutti i giovani […] enuncio un fenomeno generale. So benissimo che ci sono dei giovani che si distinguono. Ma si tratta di giovani appartenenti alla nostra stessa élite, e condannati a essere ancora più infelici di noi: e quindi probabilmente anche migliori. Questo lo dico per una allusione […] di Tullio De Mauro, che, dopo essersi dimenticato di invitarmi a un convegno linguistico di Bressanone, mi rimprovera di non esservi stato presente: là, egli dice, avrei visto alcune decine di giovani che avrebbero contraddetto le mie tesi. Cioè come a dire che se alcune decine di giovani usano il termine «euristica» ciò significa che l’uso di tale termine è praticato da cinquanta milioni di italiani. Tu dirai: gli uomini sono sempre stati conformisti (tutti uguali uno all’altro) e ci sono sempre state delle élites. Io ti rispondo: sì, gli uomini sono sempre stati conformisti e il più possibile uguali l’uno all’altro, ma secondo la loro classe sociale.E, all’interno di tale distinzione di classe, secondo le loro particolari e concrete condizioni culturali (regionali).
Oggi invece (e qui cade la «mutazione» antropologica) gli uomini sono conformisti e tutti uguali uno all’altro secondo un codice interclassista (studente uguale operaio, operaio del Nord uguale operaio del Sud): almeno potenzialmente, nell’ansiosa volontà di uniformarsi.
Infine, caro Calvino, vorrei farti notare una cosa. Non da moralista, ma da analista. Nella tua affrettata risposta alle mie tesi, sul «Messaggero» (18 giugno 1974) ti è scappata una frase doppiamente infelice. Si tratta della frase: «I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non aver occasione di conoscerli.» Ma: 1) certamente non avrai mai tale occasione, anche perché se nello scompartimento di un treno, nella coda a un negozio, per strada, in un saluto, tu dovessi incontrare dei giovani fascisti, non li riconosceresti; 2) augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti. Nessuno – quando sono diventati adolescenti e sono stati in grado di scegliere, secondo chissà quali ragioni e necessità – ha posto loro razzisticamente il marchio di fascisti. È una atroce forma di disperazione e nevrosi che spinge un giovane a una simile scelta; e forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso.
PER CHI VOLESSE LEGGERE ALTRO DEGLI SCRITTI CORSARI DI PASOLINI PUO’ APRIRE IL LINK SOTTO– è un pdf –che si può leggere senza poterlo copiare.
Le 120 Giornate di Sodoma – Pier Paolo Pasolini (1975) – Inferno – Memorias del Cine –
video, 14.53
PUPI AVATI –SUL FILM ” SALO’ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA “
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chiara:
” La morte non è nel non poter comunicare ma nel non essere compresi. “. Pasolini
ma, per rimanere nei nostri stracci, un malato mentale
l’avrebbe scritta così:
La morte non è nel non poter comunicare: la morte è nel poter comunicare e non essere compresi
chiara – dedica questa sua frase, ” con fervida preghiera di ascolto “, a quelli che stanno vicino ad un malato mentale– anche ad un malato fisico cui non manca mai un riverbero mentale del suo male —accompagnatori o amici che lo sentono o lo vedono. Anche, se non soprattutto, gli specialisti.
Ad ispirare la composizione del brano fu, secondo l’opinione più diffusa, il gerarca fascista Achille Starace, che aveva l’abitudine di passeggiare impettito in camicia nera, suscitando l’ilarità della popolazione.
ACHILLE STARACE ( 1889- 1945 ), uno dei capi del Fascismo italiano, il 21 luglio 1939
durante una prova di resistenza porta la sua bicicletta sulle spalle durante la marcia, per provare le sue qualità di capo.
Il brano dovette così fronteggiare la censura di regime, dato che l’allusione appariva piuttosto chiara.
Molti anni dopo la composizione del brano, segnatamente nel 1962, Gorni Kramer dichiarò però che il brano sarebbe stato ispirato dal maestro Pippo Barzizza, con il quale, nel 1939, ebbe una discussione durante un’esibizione al Kursaal di Viareggio
Le tradizioni degli Agreste e del Nordest e le pitture rupestri
Il modo migliore per comprendere questa teoria è osservare le differenze tra i vari disegni rupestri rinvenuti a Catimbau, che appartengono a due tradizioni distinte:
A nord-est, che comprende pitture risalenti a un periodo compreso tra ottomila e diecimila anni fa e che è stato caratterizzato per la prima volta nella Serra da Capivara da ricercatori come Niède Guidón;
E la tradizione agreste,che ha questo nome perché è stata caratterizzata per la prima volta in un luogo dell’entroterra del Pernambuco, non lontano da Catimbau. I dipinti di questa tradizione sono più recenti, risalenti a circa duemila anni fa.
Una pittura rupestre mostra una scena di danza a Loca das Cinzas, nella valle del Catimbau (Foto: Fellipe Abreu)
Oltre all’età, c’è una netta differenza nello stile dei disegni. Lo spiega Ana Nascimento, che afferma che una delle caratteristiche principali dei dipinti della tradizione nord-orientale è il movimento.
“È come se guardassi un cartone animato. E le figure sono piccole, rappresentano sempre scene di caccia, sesso… Nella tradizione nord-orientale si può sempre distinguere ciò che è antropomorfo (che rappresenta l’essere umano) da ciò che è zoomorfo” (che rappresenta gli animali), spiega la ricercatrice.
I dipinti della tradizione Agreste sono statici e molto più difficili da comprendere. “Nell’Agreste, non si riesce a identificare il movimento nelle scene. E quando è possibile identificare figure umane, queste sono di grandi dimensioni. Ad Alcobaça, c’è una figura umana alta quasi un metro. Ci sono pochissime figure zoomorfe (che rappresentano animali) e sono sempre prive di movimento”, aggiunge.
A Catimbau sono presenti disegni di entrambe le tradizioni. Il sito di Alcobaça è completamente dominato da dipinti della tradizione agrestiana; a Loca das Cinzas, il sito descritto all’inizio di questo rapporto, predominano i disegni della tradizione nordorientale, molto più antica. Per il ricercatore, queste differenze contribuiscono a corroborare la teoria secondo cui la regione fu occupata da diversi gruppi nel corso dei millenni.
Dipinti della tradizione rurale ( AGRESTE ) nel sito di Alcobaça (Foto: Fellipe Abreu)
SITO DEGLI UOMINI SENZA TESTA.. che sembra mostrare una scena di battaglia
I paesani :
La gente la chiama roccia dipinta. Quando i turisti passano, gli anziani dicono: ‘Questa gente è pazza! Cosa vedranno lassù? Un mucchio di rocce dipinte?’
“È un luogo speciale, con diverse iscrizioni rupestri risalenti a cinquemila o seimila anni fa. Questo aiuta a raccontare la storia di chi erano queste persone, di come è stato costruito il Pernambuco che conosciamo oggi”. ( Daniel Alves, che lavora come guida nella Valle del Catimbau da sei anni )
Un uomo cattura un animale in una scena della tradizione nord-orientale (Foto: Fellipe Abreu)
COME FOCALIZZARE LO STATO DEL PIAUI’ E DEL PERNAMBUCO, ENTRAMBI NEL NORDEST DEL BRASILE
IL PERNAMBUCO E’ MARROCINO E HA DUE CITTA’ SUL MARE : RECIFE E MACEIO’
IL PIAUI’ E’ IN GIALLO – CAPITALE E’ TERESINA- E VEDETE SEGNATA LA SERRA DELLA CAPIVARA
2. Le tradizioni del Nordest e le pitture rupestri di Capivara nello stato del Piauì.
La tradizione Nordest, che comprende pitture risalenti a un periodo compreso tra ottomila e diecimila anni fa e che è stato caratterizzato per la prima volta nella Serra della Capivara da ricercatori come Niède Guidón nello stato di Piauì. E’ un parco– quello della Capivara — che ospita il maggior numero di siti archeologici delle Americhe ed è Patrimonio dell’Umanità UNESCO ( ripetiamo)
Dipinti nella gola della Pedra Furada, Serra da Capivara (Foto: Fellipe Abreu)
SERRA DA CAPIVARA — (Foto: Fellipe Abreu)
Veduta aerea della Serra da Capivara
Disegno di due cervi, simbolo del Parco della Serra da Capivara (Foto: Fellipe Abreu)
SERRA DA CAPIVARA
SERRA DA CAPIVARA
CATENA MONTUOSA CATIVARA
TESTO E IMMAGINI SULLA SERRA DA CATIVARA NEL LINK SOTTO;
Eu fui pra Limoeiro
E gostei do forró de lá.
Eu vi um caboclo brejeiro
Tocando a sanfona, entrei no fuá.
No meio do forró houve um tereré
Disse o Mano Zé, aguenta o pagode
Todo mundo pode, gritou o Teixeira
Quem não tem peixeira briga no pé.
Foi quando eu vi a Dona Zezé
A mulher que é, diz que topa parada
De saia amarrada fazer cocó
E dizer: eu brigo com cabra canalha
Puxou da navalha e entrou no forró.
Eu que sou do morro, não choro, não corro,
Não peço socorro quando há chuá
Gosto de sambar na ponta da faca
Sou nego de raça e não quero apanhar.
LIMOEIRO è una città di 60.000 abitanti nel 2010– nello Stato del Pernambuco