Max Ernst
Litografia su carta
11 1/8 pollici per 9 pollici
Max Ernst
Max Ernst – Untitled (Flipping, 1934
Lithograph on Paper
11 1/8in. by 9in
DA:
Litografia su carta
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DONATELLA D’IMPORZANO:
Vedendo le ” turrette” dell’Etna, costruite pietra su pietra, mi è venuto in mente un grande manufatto, anch’esso costruito allo stesso modo, che si trova a Monte Bignone a Sanremo. C’è una targa che lo definisce “castellaro”, cioè un posto fortificato costruito dagli antichi Liguri, forse per difendersi da eventuale invasioni di altre popolazioni. E’ un argomento che mi ha sempre affascinato ma su cui penso che ci siano pochi studi ( oltre alla mia ignoranza).
SEGUE:
CENNI STORICI SULLA LIGURIA DI PONENTE
Quella del castellaro è una forma di insediamento del popolo degli antichi liguri posta su alture,
i cui versanti terrazzati svolgevano funzioni abitative, agricole e di protezione dal dissesto.
I reperti ritrovati svelano un’economia basata principalmente sulla pastorizia a cui si affiancava
la coltivazione di cereali e legumi, la raccolta di frutti selvatici e coltivati come il melo.
Il Castellaro di Zignago si estende tra il monte Dragnone ed il monte Fiorito, una dirupata e suggestiva rocca naturale che domina
alcuni collegamenti montani tra la Val di Vara, la Val di Magra e del Taro, posto a controllo di una vasta area e di vie di transito verso la pianura padana.
Il complesso di Zignago conosce una grande vitalità dal Bronzo Finale e durante la prima età del Ferro.
Le strutture protostoriche individuate ed i reperti fanno pensare alla presenza stabile
sul territorio di famiglie che si sostenevano con una economia di tipo agro-silvo-pastorale.
Lo studio dei semi individuati ha evidenziato la coltivazione di cereali tra cui orzo, farro, grano saraceno, e legumi.
Abbandonato intorno al 1000 a.C., tra il VI e il VII secolo i Bizantini eressero un castello e una torre di vedetta
per controllare l’eventuale arrivo di truppe longobarde, tracciando un sentiero ancora visibile.
Nel XII secolo i signori di Vezzano vi costruirono invece una fortificazione che serviva da controllo dei loro vasti domini.
La colonia greco-focese di Massalia dall’VIII sec. estese la sua influenza sulla Liguria di Ponente grazie alle basi di Tauroentio, Olbia, Antibes e Nizza (Iustin., XLVIII,3,8 e 5) ed il Portus Herculis Monoeci ne sarebbe stato il punto di massima espansione verso l’ oriente italico (Strabo, IV,1,5 e Amm. Marcell., XV,10,9).
Secondo alcuni studiosi i coloni di Marsiglia, dopo le sconfitte ad Imera nel 480 dei rivali Cartaginesi e a Cuma nel 474 degli Etruschi, avrebbero intensificato la loro colonizzazione (Scymn-pseudo, orbis descrip., 201-3,215-9) sin al IV-III sec. quando i loro possessi sarebbero stati accerchiati da invasori Celti:
per alcuni ricercatori invece i GRECI di Marsiglia avrebbero urtato contro un sistema di forti liguri, detti Castellieri o Castellari, che ne avrebbe fermato l’espansionismo (v.Riccardo Urgese Rolandi nelle Considerazioni sui castellari della Liguria in “Rivista di Studi Liguri”, XLVIII, 1977, nn. 1-4
Altra ipotesi fu divulgata da E. Bernardini in Liguria-itinerari archeologici (Roma, 1981, p.49 seg.) ove fu ricostruito un mappale della presunta muraglia di castellieri atti a difendere il sistema pagense dei Liguri, organizzati in una serie di conformazioni territoriali rette da tribù [gli “Intemeli” per il territorio di Ventimiglia (da Monaco-Mentone a Sanremo circa estendendosi alla dorsale del Tenda), gli “Ingauni” per il vasto agro di Albenga, i “Sabazi” per il complesso cui oggi fanno capo i sistemi demici di Vado e Savona]
G. MOLLE in un un lavoro edito a Milano nel 1971 – Oneglia nella Storia – aveva dubitato di questa guerra di frontiera fra Greci e Liguri nel IV-III sec. a. C., sia perché l’archeologia ha riportato tracce di una pacifica commercializzazione di prodotti massalioti nei castellari del Ponente sia per il fatto che i grecismi ” MAGAGLIO” [che deriva da un tipo di zappa greco, la MAKELLA (in latino Ligo: la nostra rara e antica riproduzione è tratta da AA.VV., Hesiodi Ascraei…[opera omnia], Amstelodami, apud G. Gallet, 1701, inter pp. 260-261) il cui nome attuale, attraverso i millenni, salva restando la tipologia dell’attrezzo, si evolse (caso isolato in Italia) nell’italiano / ligure ponentino, di evidente connotazione dialettale, “MAGAGLIO”, donde il verbo “MAGAGLIARE” sia nel significato proprio di “lavorare il campo o l’orto” sia nell’accezione proverbiale, con timbro critico” di “non far vita da fannullone e dedicarsi ad un lavoro utile quanto faticoso”] e ” CARASSA” [un sistema di sostenimento pei vitigni] e la tecnica colturale marsigliese della colombara (per olio da combustione ed unguenti) paiono introdotti pacificamente nel Ponente ligure ad opera di coloni greci.
Le ultime indagini sui reperti suggeriscono che dal VI sec. agricoltori greco-marsigliesi si siano insediati senza contrasti nel territorio degli Intemeli, non lungi dall’odierno confine costiero tra Francia ed Italia. All’imboccatura della val Nervia, presso l’omonima frazione di Ventimiglia, gli archeologi han scoperte, in località Collasgarba tracce di un oppido (centro fortificato ligure preromano) con reperti di ceramica massaliota (N. LAMBOGLIA, Le prime vestigia di Albintimilium preromana, in “Rivista di Studi Liguri”, XIV, 1948, pp. 119-28).
Verso il IV-III sec. a.C. dalla Gallia Belgica gruppi di Nervii si sarebbero poi qui insediati in pace colle genti autoctone ed avrebbero trasmesso al luogo, al suo torrente e ad un pagus o villaggio sul tratto terminale di questo il loro etnico sotto forma di idronimo ( P.W.R.E., su Nervii – Holder, 726): la Petracco Sicardi, studiando il territorio, si è imbattuta in voci galliche che testimoniano ancora altre pacifiche infiltrazioni in siti agricoli e pastorali della val Nervia (Toponomastica di Pigna in Dizionario di Toponomastica Ligure, Bordighera, 1962, p. 105, n. 319)
Nell’agro di Sanremo si cita per primo il supposto CASTELLARO DEL MONTE CAGGIO sulla cui cuspide si trova un terrapieno costituito da pietre e terra dove si è individuata una costruzione quadrangolare (6 m. x 6 m. circa) che fu portata a fine servendosi di grosse pietre a secco discretamente squadrate.
Nella stessa area si sono individuati poi frammenti ceramici realizzati con la tecnica ad impasto.
SEGUE UN BRANO NEL LINK:
POI:
( finalmente )
CASTELLARO DI MONTE BIGNONE
CASTELLARO DI MONTE BIGNONE
ANTICHE ROVINE SOTTO LA CIMA DI MONTE BIGNONE
MONTE BIGNONE– CARTINA
CARTINA : Bignoneconsorzio.it (Il Consorzio Forestale di Monte Bignone)
Intemeli, Tribù Ligure che abitava i territori, “valli e monti” del Ponente ligure, in particolare, in quelle zone comprese tra il fiume Roia e il torrente Nervia, essi erano e “sono” quindi tra le etnie Europee una delle più antiche.
REGIONE DEGLI INTEMELI
Gli Intemeli, erano e “sono”, i discendenti più diretti della Specie, Homo Sapiens-Sapiens “Cro-Magnon” che abitavano i Balzi Rossi 14.000 anni fa, da questa località sul mare, si spostavano lungo i crinali e i “valloni” per cacciare. Quando iniziarono l’allevamento di capre, pecore, ecc., (7.000 a.C.circa) iniziarono anche la pratica annuale della transumanza nelle valli adiacenti il monte Bego.
PIANTA TRATTA (E RITOCCATA) DA “RIVISTA INGAUNA INTEMELIA”, X, 1955
Il CASTELLARO DI MONTE BIGNONE presso Sanremo presenta i relitti di due edifici grossomodo quadrangolari, di circa 5 m. per lato e sprovvisti sia di porte che di finestre.
Il sondaggio archeologico di uno di questi edifici ha permesso di notare che i muri erano stati fatti in modo da presentare da un duplice paramento (esterno ed interno) entro cui era stato costituita un’intercapedine di terra e pietre minuzzate.
All’interno si vide che gli spigoli di questo complesso erano stati arrotondati forse per conferire maggiore solidità all’edificio.
Non si sono scoperte tracce di alcun pavimento ma piuttosto quelle di un focolare di forma ellittica.
SEGUE UN CASTELLARO RITROVATO ALLA ” VILLETTA ” ( SANREMO )- LINK SOTTO
https://liguriaponente.wordpress.com/
Una canzone di alcuni decenni fa diceva, con speranzosa certezza : “Bomba o non bomba, noi arriveremo a Roma”. Ci si riferiva, in quel momento storico, al pericolo di attentati. Credo che attualmente, nella situazione internazionale attuale, non si possa far più sfoggio di così sfacciato ottimismo.
ECCOLA !
Partirono in due
ed erano abbastanza,
un pianoforte e una chitarra
e molta fantasia.
E fu a Bologna
che scoppiò la prima bomba,
fra una festa e una piadina
di periferia.
E bomba o non bomba noi..
arriveremo a Roma,
malgrado voi.
A Sassomarconi
incontrammo una ragazza
che viveva sdraiata
sull’orlo di una piazza,
le dicemmo ‘Vieni,
dolce sarà la strada’,
lei sfogliò il fiore
e poi ci disse ‘No’.
Ma bomba o non bomba noi..
arriveremo a Roma,
malgrado voi.
A Roncobilaccio
ci viene incontro un vecchio,
lo sguardo profondo
e un fazzoletto al collo,
ci disse ‘Ragazzi in campana,
qui non vi lasceranno andare,
hanno chiamato la polizia a cavallo’.
Ma bomba o non bomba noi..
arriveremo a Roma,
malgrado voi.
A Firenze dormimmo
e un intellettuale,
la faccia giusta
e tutto quanto il resto,
ci disse ‘No, compagni, amici,
io disapprovo il passo,
manca l’analisi
e poi non c’ho l’elmetto’.
Ma bomba o non bomba noi..
arriveremo a Roma,
malgrado te.
A Orvieto poi
ci fu l’apoteosi,
il sindaco, la banda
e le bandiere in mano,
ci dissero
“L’autostrada è bloccata,
e non vi lasceranno passare,
ma sia ben chiaro che noi,
noi siamo tutti con voi”.
E bomba o non bomba voi..
arriverete a Roma,
malgrado noi.
Ma rallentammo a lungo
e poi ci fu un discorso,
il capitano disse
“Va bene, così sia”,
e la fanfara poi intonò
le prime note
e ci trovammo propio
in faccia a Porta Pia.
E bomba o non bomba noi..
arriveremo a Roma,
malgrado voi.
La gente ci amava
e questo è l’importante,
regalammo cioccolata
e sigarette vere,
bevemmo poi del vino rosso
nelle mani unite
e finalmente
ci fecero suonare.
E bomba su bomba noi..
siamo arrivati a Roma,
insieme a voi
DALL’ALBUM DEL 1977
DA :
ROCKIT.IT
https://www.rockit.it/antonellovenditti/album/sotto-il-segno-dei-pesci/17603
Dedicato alla città eterna.
Quanto sei bella Roma quand’e’ sera
quando la luna se specchia
dentro ar fontanone
e le coppiette se ne vanno via,
quanto sei bella Roma quando piove.
Quanto sei bella Roma quand’e’ er tramonto
quando l’arancio rosseggia
ancora sui sette colli
e le finestre so’ tanti occhi,
che te sembrano dì:
quanto sei bella.
Oggi me sembra che er tempo
se sia fermato qui,
vedo la maestà der Colosseo
vedo la santità der cupolone,
e so’ piu’ vivo e so’ più bbono
no nun te lasso mai Roma
capoccia der mondo infame,
na carrozzella va co du stranieri
un robivecchi te chiede un po’de stracci
li passeracci so’usignoli;
io ce so’nato Roma,
io t’ho scoperta stamattina.
Antonello Venditti, all’anagrafe Antonio Venditti (Roma, 8 marzo 1949), è un cantautore italiano.
È considerato fra i più popolari e prolifici cantautori della cosiddetta “scuola romana”.Dal 1972, anno del suo esordio discografico, ha condensato nel suo repertorio canzoni d’amore e d’impegno sociale. Con quasi 40 milioni di copie, è uno tra gli artisti italiani con il maggior numero di dischi venduti.
OPERE
da:
Un cultore del territorio, Daniele Russo, le ha censite una per una nell’ultimo decennio arrivando a identificare 376 turrette distribuite nelle diverse aree dell’Etna. In una dettagliata pubblicazione Russo ha elencato anche la ripartizione -versante per versante- e le diverse tipologie.
“Muragghiu” ragusano
STESSO LINK PER LE ALTRE FOTO SOTTO
da qui segue da :
PIRAMIDI DELL’ETNA – LINGUAGLOSSA, CATANIA
https://fondoambiente.it/luoghi/piramidi-dell-etna?ldc
Alle pendici del vulcano più alto d’Europa, tra i territori di Linguaglossa e Adrano, sorgono decine e decine di strutture piramidali immerse nell’amena campagna etnea. Secondo alcuni esperti – in particolare l’egittologa francese Antoine Gigal che dopo aver sentito parlare delle piramidi ha deciso di volare dal Cairo fino a Catania per studiarle – le strutture dovrebbero essere più di quaranta e sono tante, al momento, le ipotesi sulla loro genesi e datazione, dal mito alla storia.
Le cosiddette “Piramidi dell’Etna” presentano una struttura a gradoni o conica, su base rotonda o quadrata. Sono state realizzate con la tecnica della posa delle pietre a secco, utilizzando blocchi di roccia vulcanica.
Le strutture possono essere alte fino a quaranta metri, caratterizzate da scale, gradoni e talvolta altari sommitali. Nonostante le diverse forme, sembrerebbe che tutte le piramidi abbiano una vista privilegiata sull’Etna. In un primo momento, si supponeva che fossero destinate ad attività di tipo prevalentemente agricolo e che fossero, addirittura, di recente costruzione.
Tuttavia, ricerche più approfondite hanno permesso di rilevare l’effettiva datazione delle stesse: sarebbero antecedenti allo sbarco del popolo greco in Sicilia, dunque retrodatate a migliaia di anni fa.
La scoperta di antichi sentieri e di rudimentali tecnologie per la canalizzazione delle acque, attigui al sito archeologico, rende lo stesso un vero e proprio rompicapo per gli studiosi e gli appassionati della materia.
Sarebbero due, in particolare, i popoli che concorrono al titolo di costruttori delle piramidi siciliane: primi tra tutti i Sicani, artefici di ulteriori strutture piramidali situate, questa volta, nella Sicilia centrale, il cui periodo di attività coincide con quello precedente all’arrivo dei Siculi sull’isola, ossia il XV sec. a.C.;
l’altra popolazione concorrente agli stessi meriti, secondo un’ulteriore ipotesi, sarebbe quella dei Šekeleš (o Shekelesh), una tribù della confederazione dei Popoli del Mare, provenienti dalla zona del Mare Egeo e che secondo alcuni archeologi coinciderebbe con gli antenati dei Siculi o, addirittura, coi Siculi stessi.
Al centro di miti, leggende e curiosità, le “Piramidi dell’Etna” rappresentano sicuramente un enorme patrimonio culturale che rischia spaventosamente di scomparire a causa dell’edilizia molesta. L’associazione Free Green Sicilia – Beni Culturali nell’agosto 2018 ha lanciato un appello per salvare le misteriose piramidi dell’Etna da speculazioni edilizie e piani regolatori che potrebbero cancellare per sempre queste testimonianze del passato. Alcune di queste, tra l’altro, si trovano in terreni privati, dunque risulta quasi impossibile accedervi e questo rende molto più ardua qualsiasi prassi attuabile per la loro conservazione.
ANTOINE GIGAL :
«Sapevo dell’esistenza di una decina di piramidi da alcuni fotografi italiani, ma durante la nostra missione esplorativa ne abbiamo trovate circa una quarantina – spiega l’archeologa francese – tutte le piramidi, nonostante le diverse forme, avevano un sistema di rampe o scale d’accesso alla cima con vista privilegiata sulla sommità dell’Etna, un fattore che potrebbe fare pensare a un culto di adorazione del vulcano».
SEGUE DA:
https://catania.liveuniversity.it/2022/04/29/piramidi-etna-turrette/
Le Turrette sono manufatti architettonici conosciuti come Piramidi dell’Etna, simili ai Sesi di Pantelleria, ai Nuraghi della Sardegna e uguali alle Piramidi di Güímar, nelle isole Canarie. Si tratta di strutture a gradoni o coniche, su una base rotonda o quadrata, realizzate con blocchi di roccia vulcanica, secondo la tecnica della posa delle pietre a secco.
La presenza dei Šekeleš (o Shekelesh)– una delle tribù dei Popoli del Mare -in Siciliasarebbe testimoniata dal ritrovamento di anfore presso il Monte Dessueri vicino Pozzillo, in provincia di Caltanissetta, identiche a quelle trovate ad Azor, nei dintorni di Giaffa in Israele. Inoltre, questo popolo si sarebbe spinto fino alle coste delle isole Canarie, dove sono stati trovati manufatti molto simili a quelli etnei.
dal MUSEO DI AZOR IN ISRAELE —
DA : https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Azor_Museum?uselang=it#/media/File:Azor-V2-1987.jpg
Opera propria
–
SIGNIFICATO DI PAROLE :
PATRIARCATO
In antropologia, tipo di sistema sociale in cui vige il ‘diritto paterno’, ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo. La famiglia estesa dominata dal patriarca sarebbe stata, secondo alcuni antropologi evoluzionistici dell’Ottocento (H.J.S. Maine, N.-D. Fustel de Coulanges), l’istituzione centrale della società primitiva basata sulla parentela. Essa avrebbe formato un gruppo corporato che reclutava i propri membri per agnazione (discendenza per linea maschile). Questa tesi fu ripresa da S. Freud, secondo il quale la società umana ebbe origine dall’orda patriarcale dominata dal padre o dal maschio più anziano.
TRECCANI 1-
https://www.treccani.it/enciclopedia/patriarcato/
patriarcato 2- TRECCANI
s. m. [der. di patriarca; nel sign. 1, dal lat. mediev. patriarchatus]. – 1. a. Dignità, grado di patriarca, nella Chiesa. b. Il periodo in cui un patriarca esercita la sua autorità. c. Il territorio su cui si estende la sua giurisdizione. d. Il palazzo in cui risiede.
2. Tipo di organizzazione familiare a discendenza patriarcale, in cui cioè i figli entrano a far parte del gruppo cui appartiene il padre, dal quale prendono il nome, i diritti, la potestà che essi trasmettono al discendente più diretto e vicino nella linea maschile.
3. estens. Complesso di radicati, e sempre infondati, pregiudizi sociali e culturali che determinano manifestazioni e atteggiamenti di prevaricazione, spesso violenta, messi in atto dagli uomini, spec. verso le donne.
HUME
Intervento del Prof. Ricolfi a Quarta Repubblica (Min. 29)
Esaurite le lacrime e le indignazioni, chiuso il ciclo degli innumerevoli esercizi retorici che hanno provato a dire il nostro sgomento, sarà il caso – prima o poi – di riflettere anche sui dati che descrivono la violenza sulle donne. Non ce ne sono abbastanza per formulare una diagnosi inattaccabile, ma quei pochi che ci sono bastano a sollevare interrogativi importanti.
Il dato più importante, ben noto agli studiosi da quasi un decennio, è il cosiddetto “paradosso nordico”: come mai i tassi di violenza sulle donne più alti si riscontrano nei paesi considerati più civili, o addirittura in quelli più avanzati in materia di parità di genere?
Non tutti lo sanno, ma nei civilissimi paesi scandinavi, in Germania, in Francia, nel Regno Unito, le donne rischiano la vita più che in Italia. In Europa solo Irlanda e Lussemburgo hanno tassi di uccisione delle donne minori che in Italia. E se allarghiamo lo sguardo alle società avanzate non europee, solo in Giappone le cose vanno meglio che in Italia: paesi come Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Corea del Sud hanno tutti tassi di uccisione maggiori di quelli italiani.
Come mai?
Qualcuno ipotizza che alla base possa esservi un maggiore consumo di alcol. Altri che il problema possa essere la presenza di immigrati, o di stranieri di fede islamica. Ma i dati non sembrano facilmente conciliabili con queste ipotesi. Se vogliamo capire, dobbiamo cercare altrove.
Questo altrove potrebbe essere la sopravvivenza del patriarcato, come si sente affermare ogni volta che una donna viene uccisa da un partner possessivo. Certo. Ma sfortunatamente, anche questa ipotesi è difficilmente conciliabile con i dati. Qualcuno può plausibilmente sostenere che i paesi scandinavi siano società patriarcali? O che lo sia il Regno Unito? O il civilissimo e ultra-avanzato Canada?
Del resto è il caso stesso dell’Italia a mettere in dubbio la teoria del patriarcato. Diversi dati, dagli stupri ai femminicidi, suggeriscono che la violenza sulle donne sia maggiore nel Centro-nord che nel Sud. Se ne deve dedurre che il patriarcato è in via di estinzione nelle regioni del Mezzogiorno, mentre prospera in quelle centro-settentrionali?
Quando si è affezionati a una teoria, si trova sempre un modo di salvarla, anche contro le evidenze empiriche. Il caso della teoria del patriarcato non sfugge alla regola. Quando si è scoperto che gli stupri dilagavano in Svezia, qualcuno ha provato a spiegare le cose così: proprio il fatto di avere reso il paese molto più civile con riforme dall’alto precoci ha provocato la reazione degli uomini, che non erano pronti ad accettare tanta libertà per le donne. Di qui una sorta di contraccolpo (backlash): la violenza sulle donne sarebbe una sorta di reazione del maschio, spiazzato dalla libertà e intraprendenza femminile dopo le riforme illuminate degli anni ’70 e ’80.
Se si accetta questa lettura, si dovrebbe anche ipotizzare una straordinaria lentezza del maschio del Nord: possibile che cinquant’anni non gli siano bastati per assorbire lo shock della liberazione della donna? Mah…
Eppure esiste anche una spiegazione più semplice, per quanto più difficile da accettare. Una delle radici della violenza sulle donne nelle realtà più avanzate potrebbe essere proprio il loro essere avanzate. Quando si parla del grado di civiltà raggiunto da un sistema sociale, infatti, troppo sovente si dimentica che l’aspetto centrale delle società avanzate è la cultura dei diritti. E la cultura dei diritti è una cosa meravigliosa, ma ha anche effetti collaterali perversi. Ad esempio: l’educazione è permissiva, i genitori iper-proteggono i figli, gli insegnanti si colpevolizzano per gli insuccessi dei ragazzi. Sicché una parte di questi ultimi si convince di avere un fascio di diritti fondamentali, o quasi naturali: successo formativo, abitazione, consumi, status, divertimento, sesso. Naturalmente, succedeva anche prima che si desiderassero tutte queste cose. Ma non erano considerate diritti, bensì conquistepossibili, spesso costose in termini di sforzi, e sempre esposte al rischio di fallimento.
In breve, e detto brutalmente: nelle società “arretrate” i giovani sanno (e accettano) di poter fallire, in quelle avanzate non sono preparati all’eventualità. E il momento più critico è proprio quello della ricerca del partner sentimentale, perché quella è la prima sfida in cui i genitori – per quanto ricchi, potenti, dotati di conoscenze – non possono intervenire, né supplire alle inadeguatezze di un figlio. Per diversi ragazzi, quello di essere rifiutati dalla donna che desiderano può essere il primo vero trauma della loro vita, proprio perché è il primo scacco in cui la rete di protezione familiare è fuori gioco.
Da questo punto di vista, non stupisce che negli Stati Uniti – dove l’iper-protezione dei giovani da parte di genitori, insegnanti, istituzioni culturali ha assunto tratti grotteschi e dimensioni patologiche – per una donna il rischio di essere uccisa sia 7 volte quello dell’Italia.
Così come non stupisce l’inquietante sincronismo con cui, negli ultimissimi anni, sono aumentati sia il numero di donne uccise (quasi + 20% fra l’era pre-Covid e oggi) sia il numero di denunce e arresti di minorenni per omicidi, violenze sessuali, lesioni, percosse, danneggiamenti, risse, rapine in strada, minacce, solo per citare alcuni esempi da un recente rapporto della Polizia criminale.
La mia è solo un’ipotesi, naturalmente, ma non mi sento di escludere che, sotto questi repentini cambiamenti, non vi sia solo un deficit di consapevolezza dei diritti e del valore delle donne (un guaio cui la scuola può tentare di porre rimedio), ma una degenerazione della cultura dei diritti, che ha reso tanti maschi del tutto incapaci di fare i conti con il rischio di fallire.
*** sono cose che è meglio saperle – chiara
video, 1.57 — Salvini parla a Grosseto alla palestra di Vannacci su Netanyahu e il pubblico si risente
ANSA.IT / GROSSETO– 23 NOVEMBRE 2024 – 20.34
https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/11/23/vannacci-lancia-il-movimento-politico-nel-calendario-la-vignetta-su-egonu_1a76dc12-9edb-4e61-a06f-4754bdbb6236.html
PAOLA EGONU– foto da Fanpage / Link
Il mondo al contrario, ispirato a Roberto Vannacci e al suo libro bestseller, si fa movimento politico.
Ma non sarà un partito e non rappresenterà un’Opa sulla Lega di Matteo Salvini. Lo ha chiarito lo stesso Vannacci, ex generale ed europarlamentare eletto da indipendente con il Carroccio, tenendo a battesimo la nuova ‘creatura politica’ a Marina di Grosseto, in un sala di hotel gremita e addobbata con bandiere italiane.
Sul palco, oltre a Vannacci sono intervenuti anche (in videocollegamento) il leader del Carroccio Matteo Salvini, il segretario di Indipendenza Gianni Alemanno, Francesco Toscano di Democrazia sovrana popolare, oltre a generali, ambasciatori, vertici del neo movimento politico, e anche un discendente di Giuseppe Garibaldi e chi, fieramente, si è definito “fascista” acclamato dal pubblico.
L’associazione culturale ‘Il mondo al contrario’ diventa movimento politico
https://vs.ansa.it/sito/video_mp4_export/x20241123152528178.mp4
“Uno tsunami”, lo ha definito Vannacci, per un appuntamento che “segna il passaggio da movimento culturale a politico, perché passa dal seguire uno scrittore al seguire un politico. Vogliamo radunare tutti coloro che si riconoscono nel Mondo al contrario e nelle idee in esso contenute – ha detto l’ex generale -. Non è un partito, state tranquilli. Chi dice che faccio un partito per fare un’Opa sulla Lega dice delle balle. Non è così” e “io non faccio parte del Movimento”.
“Tra me e Salvini non ci sono problemi di competizione, siamo in sincronia senza bisogno di discuterne prima”, ha chiarito e “io sono un valore aggiunto per la Lega”. “Sono orgoglioso e felice di aver incontrato Vannacci con cui faremo un lunghissimo tratto di strada insieme – ha detto Salvini -. Il mondo al contrario lo raddrizzeremo insieme, uniti non ci fermerà nessuno”.
Per Vannacci “c’è una grande parte della società che segue con interesse questo movimento e segna un momento particolare della nostra vista sociale e politica – ha aggiunto -. I prossimi passi sono quelli di espandersi il più possibile, radunando quelli che inizialmente non si approcciavano”.
immagine da Piacenza 24
da Amazon
BAGDAD: RIBELLIONE DI UN GENERALE
da : https://www.udinetoday.it/eventi/fabio-filomeni-udine-presentazione.html
Alla base del movimento, presieduto da Fabio Filomeni, tenente colonnello e fedelissimo di Vannacci che dal palco ha definito il suo leader un “vecchio camerata“, un manifesto di 8 punti: spazia dalla patria, all’identità, alla difesa dei confini. Proprio Filomeni ha spiegato che “nel 1970 Prezzolini scrisse un libro che divenne il manifesto dei conservatori. Oggi c’è un altro manifesto, quello dei sovranisti e nazionalisti”.
“I tesserati sono al momento 1600 – ha aggiunto – mentre gli iscritti al sito sono sotto i 10mila”. Durante la kermesse Vannacci è stato anche insignito di un premio intitolato ad Oriana Fallaci. In sala i gadget del neo movimento politico tra i quali il calendario ‘Un anno con Vannacci’, che per ogni mese propone vignette con l’ex generale. Al mese di aprile un disegno in cui si vede una ragazza nera che ricorda la pallavolista Paola Egonu che dice “ho i tratti somatici italiani” e l’europarlamentare che commenta “Certo, come io ho quelli nigeriani”.
“Il calendario è un’iniziativa del comitato” del movimento che “non è stata sottoposta alla mia ratifica – ha sottolineato Vannacci -. Condivido le vignette che mi sembrano appropriate e ironiche. La battuta sui tratti somatici non ha nulla a che fare con Paola Egonu, con lei la questione è chiusa e sono stato assolto. I tratti somatici esistono, parlarne non è razzismo e non è inopportuno, perché è realtà”.
segue da UDINETODAY- LUGLIO 2024 : IL LIBRO DI FABIO FILOMENI
Fabio Filomeni sarà a Udine giovedì 25 luglio per presentare il suo libro “Baghdad, ribellione di un generale”.
https://www.udinetoday.it/eventi/fabio-filomeni-udine-presentazione.html
Quali sono le ragioni che possono aver indotto un giovane Generale dell’Esercito dalla brillante carriera, inviato in missione in Iraq per contrastare l’Isis, a denunciare i suoi vertici militari? Quali sono le circostanze in cui un esperto Comandante dei corpi speciali, avvezzo ad affrontare da sempre i pericoli più disparati, ha deciso di ribellarsi al modus operandi del suo Comando arrivando ad accusarlo di gravi omissioni nella tutela della salute e della sicurezza dei propri soldati?
Chi scrive si trovava nel 2018 in terra di Babilonia al fianco del Generale Roberto Vannacci protagonista di questa insolita e, per certi versi, straordinaria vicenda di cronaca tenuta opportunamente lontana dai riflettori dei media. Si racconterà buona parte di ciò che è avvenuto in dodici lunghi mesi di comando costellati, a fasi alterne, da indifferenza e tracotanza, ordini illegittimi e prevaricazioni da parte di un Comando in Patria totalmente insensibile alle reiterate richieste che provenivano dal Teatro delle operazioni.
Sullo sfondo, la triste vicenda che da più di vent’anni vede contrapposti da una parte i soldati periti o gravemente ammalati per l’esposizione all’uranio impoverito ed alle nanoparticelle di metalli pesanti liberatesi nell’esplosione del micidiale munizionamento, dall’altra quegli stessi vertici militari che hanno concepito, pianificato, autorizzato e condotto le operazioni alle quali detti soldati hanno partecipato.
Quattro commissioni parlamentari d’inchiesta appositamente istituite per far luce sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito i militari italiani al rientro dalle suddette missioni, studi clinici effettuati su campioni di militari, illustri pareri scientifici di luminari della medicina e della fisica nucleare sugli effetti dei bombardamenti con munizionamento contenente uranio impoverito, non avevano minimamente scalfito lo spesso muro di gomma eretto a protezione dell’istituzione militare. Tutto ciò, fino a quando un alto Ufficiale nel pieno delle sue funzioni di Comando, ha deciso di rompere il silenzio direttamente dal fronte denunciando il potenziale rischio di esposizione all’uranio impoverito e fornendo al posto di chi avrebbe dovuto farlo prima, tutte le informazioni necessarie di prevenzione e protezione delle quali i nostri militari, fino a quel momento, non erano mai venuti in possesso. E lo ha fatto mettendo tutto “nero su bianco” nel Documento di Valutazione dei Rischi. Un atto coraggioso e di onestà intellettuale di cui la Forza armata, e ancor più l’intera società civile, avevano veramente bisogno.
Fabio Filomeni è Tenente Colonnello dell’Esercito italiano. Incursore paracadutista ha partecipato dagli anni ’90 ad oggi a numerose missioni in Africa, Balcani e Medioriente. Per otto anni istruttore dei corpi speciali dell’Esercito e dell’Aeronautica. Decorato con Croce di Bronzo al merito dell’Esercito, insignito della “Achievement Medal” dal Governo degli Stati Uniti, della medaglia d’Oro al merito per lunga attività di paracadutismo, della medaglia Mauriziana e di lungo comando. Negli ultimi dieci anni di carriera militare ha svolto l’incarico di responsabile del servizio prevenzione e protezione dai rischi professionali. In tale veste è stato consulente del Generale Vannacci in Iraq. Laureato in politiche e relazioni internazionali, giurisprudenza e scienze organizzative e gestionali ha poi conseguito due master di primo livello in antiterrorismo internazionale e security & intelligence. In congedo dal 2019 nel ruolo della riserva. Attualmente svolge la libera professione come consulente e formatore per le aziende in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
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“Baghdad, ribellione di un generale”, Fabio Filomeni a Udine
https://www.udinetoday.it/eventi/fabio-filomeni-udine-presentazione.html
© UdineToday
AOSTA OGGI.IT – 20 MARZO 2024
https://www.aostaoggi.it/rubrica/insani-mente/27960-intervista-al-dottor-angelo-guarnieri-psichiatra-e-poeta-genovese-amico-di-alda-merini
Nell’immaginario collettivo, gli psichiatri non godono di ottima fama. Sono i medici che curano i cosiddetti “pazzi”. Sono i sanitari che prescrivono gli psicofarmaci. Sono spesso considerati “pazzi” a loro volta per avere scelto di fare un mestiere del genere.
A una settimana dalla messa in onda del film diretto da Roberto Faenza, “Folle d’amore – Alda Merini”, trasmesso su Rai Uno, abbiamo incontrato uno psichiatra che ha conosciuto la poetessa di Milano ma, soprattutto, ha lavorato per più di trent’anni nei Servizi Pubblici per la Salute Mentale della Provincia di Genova.
2009
Il dottore Angelo Guarnieri ha curato la raccolta di poesie di Alda Merini “Dopo tutto anche tu”, Edizioni San Marco dei Giustiniani (2003). Ha pubblicato, inoltre, le seguenti raccolte di poesie: Nel tempo del privato – Diario in forma di poesie e inversi frammenti 1997-1999, Caroggio (2000); Nel tempo dell’inganno – Dopo l’11 settembre 11 poesie, Le Mani (2002); Dintorni, Le Mani (2009); Tempo nostro, Il melangolo (2014), Passi per strada, Il Melangolo (2016), Lo sguardo del funambolo, Il Melangolo 2019.
Dottore Guarnieri, perché un ragazzo decide di studiare psichiatria?
È una bella domanda. Io mi sono chiesto se farlo, dopo avere conseguito la laurea in medicina. Il motivo della mia scelta è profondamente legato alla mia vita. Ho conosciuto il “male di vivere” da bambino, a causa della povertà della mia famiglia. Sono nato e cresciuto in Sicilia e ho visto la sofferenza dei miei genitori, che hanno fatto di tutto per me: per garantirmi un futuro migliore. Uno zio di mia madre è morto nel manicomio di Palermo, dove venne rinchiuso per avere commesso un omicidio. Uno zio di mio padre si suicidò e il padre di mio padre morì per un incidente sul lavoro, rendendo mio padre un giovane capofamiglia. Io sono stato un sessantottino e un militante di Lotta Continua: desideravo l’emancipazione e la liberazione delle fasce più povere della popolazione. Decisi di studiare psichiatria perché pensavo di dare un contributo al benessere dei malati. La psichiatria era in grande fermento in quegli anni e io desideravo realizzare così i miei ideali.
Cosa pensa della riforma Basaglia?
Tutto il bene possibile, perché ho visto nella riforma la riscossa delle persone che avevo scelto di aiutare. Conobbi personalmente sia Franco Basaglia che la moglie, Franca Ongaro. La riforma Basaglia è esistita solo in Italia. In tutto il resto del mondo, i manicomi sono rimasti aperti e sono tuttora attivi. Io conobbi quelli degli Stati Uniti d’America. Da psichiatra, il 2 novembre del 1979 feci il mio ingresso – per la prima volta – nel manicomio di Cogoleto, a Genova. Il manicomio di Cogoleto era quello in cui venivano ricoverate le persone di estrazione sociale più umile. Nel capoluogo ligure si faceva differenza tra ricchi e poveri persino in questo settore. I pazienti più abbienti, infatti, venivano ricoverati nel manicomio di Quarto.
Perché la riforma non ha mai avuto pieno compimento?
Perché in Italia si dibatté molto sulla liberazione, poi sfociata in abbandono, dei pazienti. Il mio punto di vista, da psichiatra e da psicoterapeuta, era che non si potessero lasciare queste persone senza alcun punto di riferimento. Inoltre, deve esserci sempre una sinergia tra terapia farmacologica e terapia psicologica. Dopo la prematura morte di Franco, la politica disinvestì sulla riforma. Del resto, le persone con problemi di salute mentale non costituiscono di certo un bacino elettorale da cui i politici possano attingere voti.
Com’è stata la sua esperienza professionale a Genova?
L’impatto non fu dei migliori. Alla prima riunione alla quale partecipai nel manicomio di Cogoleto notai subito la divisione tra i lavoratori. Da una parte stavano i medici e dall’altra stavano gli infermieri. Da un’altra parte ancora stavano gli assistenti sociali. Ricordo come se fosse ieri la puzza che mi colpì, appena varcai la soglia del manicomio: era un misto di liquidi organici, trinciato e sporcizia. La mia prima assegnazione, all’interno della struttura sanitaria, fu in un reparto costituito da appartamenti che, prima, erano stati occupati dal personale sanitario e dalle loro famiglie. L’obiettivo era quello di trasformare gli appartamenti in vere e proprie case-famiglia per aiutare i degenti a reinserirsi nella società. Coltivavano la terra, si occupavano dei maiali. Cogoleto era una vera e propria città nella città.
Dopodiché trascorsi un anno e mezzo al Centro di Salute Mentale di Sestri Ponente. Lavorai sempre nel settore pubblico e, anche questa, fu una scelta ben precisa che maturai quando, da studente, feci pratica presso la Clinica Psichiatrica Universitaria di Genova.
Oggi qual è la situazione della psichiatria in Liguria?
La Liguria ha fatto solo passi indietro in questo settore, abbandonando i malati alla loro solitudine. Quando io ero in servizio, le persone con problemi di salute mentale avevano il loro punto di riferimento nel settore pubblico. Oggi non è più così. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, il Pil destinato al Servizio Sanitario Nazionale ammontava all’8%. L’attuale governo ha fatto scendere questa cifra al 6,1%. Ai “tempi d’oro” persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità lodava il livello dei nostri servizi sanitari, compresa la riforma del ramo psichiatrico. E, per nostri, intendo proprio quelli italiani. Oggi la psichiatria è in una fase di smantellamento perché tutti coloro che ne hanno bisogno sono considerati “figli di un dio minore”.
Da dove deriva la sua passione per la letteratura?
Anche questo ha origini antiche per me, che risalgono sempre alla mia famiglia e alla passione che avevano, in particolare, mia madre e mia zia per la poesia. Utilizzai proprio la poesia nel mio lavoro. Invitai i pazienti a scrivere delle poesie, le raccolsi in un libro e lo feci pubblicare. In quel frangente, ebbi anche la fortuna e l’onore di conoscere Alda Merini.
È per questo che ha curato una raccolta di poesie della Merini?
Sì, l’ho fatto perché ho molto apprezzato Alda e, infine, ho scritto e fatto pubblicare anche le mie di poesie… per consolare i miei affanni. La poesia è una terapia anche per me.
Ha visto il film diretto da Roberto Faenza su Alda Merini e trasmesso su RaiUno? Qual è la sua “critica”?ù
Complessivamente mi è piaciuto. Abile la regia, che è riuscita a fare emergere la vita e la poesia di Alda Merini. Sempre all’interno dell’assunto a me confidato da Alda e che recitava: “Più bella della poesia è stata la mia vita”. Paradossale, iperbolico, molto poetico nel legame che crea tra vita, storia e poesia. Poetico e rispettoso dei fatti per come li ho conosciuti. Alda Merini, giustamente, ne viene valorizzata. Brava e bella Laura Morante. Troppo bella forse. Ma questo non è un difetto. Si è immedesimata molto bene nel personaggio Merini. Unico difetto: non riusciva a essere chiara nella dizione delle poesie. Cosa che ad Alda riusciva perfettamente: comunicare flussi di emozione ed essere del tutto comprensibile. Comunicare da anima ad anima. E ascoltarla era un fenomeno entusiasmante. Unico, per quel che mi riguarda. Esperienza vitale e indimenticabile.
Barbara Giangravè
(barbaragiangrave@libero.it)
video, 3.49 minuti
ROBERTO FAENZA, REGISTA DI ” ALDA MERINI. FOLLE D’AMORE ” PARLA DI LEI E DEL FILM
segue da :
TERRES DE FEMMES.BLOGS.COM/ MON WEBLOG — 2009/ 06
L’uomo quando imprigiona
le bellezze della natura ed anche il volo degli uccelli, a volte, non lo fa per cattiveria. Io sono convinta che l’uomo quando si stupisce delle alte qualità di Dio e della natura può anche diventare un assassino. Ph., G.AdCQuand l’homme emprisonne
les beautés de la nature et aussi le vol des oiseaux, parfois, il ne le fait pas par méchanceté. Je suis convaincue que quand l’homme s’étonne des hautes qualités de Dieu et de la nature il peut aussi devenir un assassin.
Alda Merini, Après tout même toi | Dopo tutto anche tu, Collection noire et rouge : “disait le poète disait l’ouvrier” dirigée par Dom Corrieras, Oxybia Ėditions, 2009, pp. 40-41. Traduction française de Patricia Dao.
DOPO TUTTO ANCHE TU Dopo tutto anche tu
APRÈS TOUT MÊME TOI Après tout même toi Alda Merini, Après tout même toi/Dopo tutto anche tu, id., pp. 60-61.
Dopo tutto anche tu est un recueil de 34 poèmes dictés au téléphone par Alda Merini à Angelo Guarnieri. Psychiatre de la réforme Basaglia qui « mit fin à un siècle de tortures et de misères médicales », Angelo Guarnieri est aussi poète. Il a publié un ouvrage dans lequel sont rassemblés les poèmes écrits par les patients des services pour la santé mentale de Gênes : Parola smarrita, parola ritrovata (« Parole égarée, parole retrouvée »), poèmes dont la lecture a ému Alda Merini et a scellé leur amitié. « Alda Merini est une comète, un météorite qui n’aurait jamais atterri sur terre, mais l’aurait frôlée de si près, que les êtres sur cette terre en ressentiraient au fond d’eux-mêmes la douleur éternelle… » (Dom Corrieras). |
” Alda Merini è una cometa, un meteorite che non avrebbe mai atterrato sulla terra, ma l’avrebbe sfiorata così tanto da vicino, che gli esseri su questa terra ne sentiranno al fondo di loro stessi un eterno dolore. ” — tentativo trad. di chiara
( Napoli, 1930 -Venezia, 2019 ), ingeniere e urbanista italiano
L’ultimo articolo di Alfredo e ricordi di Valentino Parlato, Eugenio Scalfari, Beppe Vacca, Paolo Franchi.
GLI ALTRI ARTICOLI- OLTRE ALL’UNITA’ CHE PUBBLICHIAMO– SONO NEL LINK
TRATTI DA:
il manifesto, la Repubblica, Huffington post, Corriere della Sera, 22 e 23 marzo 2017-–
“Non ho la pretesa di scrivere la storia della sinistra e non voglio nascondere i suoi errori. Mi sembra giusto, però, dire ai giovani di oggi che non partono da zero. È bene che agiscano in modi molto diversi da noi, ma non è sul nulla che poggiano i piedi. Sappiano che la lotta che noi affrontammo nei decenni passati non può essere ridotta a uno scontro tra libertà e totalitarismo. In Italia, almeno, fu una lotta per la democrazia”.
…
“Noi non possiamo parlare solo di denaro. Gli economisti fanno, dopotutto, il loro mestiere. Ciò che mi stupisce è che tanta parte della sinistra politica e intellettuale non senta il bisogno di aprire una discussione sul cumulo immenso di sofferenze che sta dietro questo sconvolgimento di tutte le regole e di tutte le frontiere all’interno delle quali si sono svolte le vite umane. E’ terribile lo strazio che si esprime attraverso le migrazioni disperate, la separazione dai luoghi e dalle persone care, la perdita di ogni identità e perfino dignità umana. E ciò vale non solo per chi viene da lontano, ma anche per chi vive l’arrivo tra le sue vecchie case e gli antichi luoghi del ” vicinato” di esseri umani totalmente sconosciuti. Insomma il dolore della rottura delle radici, il collasso della propria storia, la perdita di ogni visione condivisa del futuro. Sono lacerazioni non meno dolorose delle vecchie ingiustizie. Che cosa è la sinistra europea se non si rende conto di cose come queste e non si misura con le conseguenze ( anche positive, anche tragiche, ma comunque enormi ) indotte da questa sorte di rimescolamento dei popoli e della fine della secolare ” Occidentalizzazione del mondo”? “(pp. 95-96)
…
” In ogni caso a me sembra necessario che la sinistra esca dal silenzio in cui è piombata da alcuni decenni, dopo la crisi di quelli che erano stati i suoi ” problemi radicali”. Se non ora, quando la sinistra deve ricominciare a pensare? ” (pp. 98-99)
…
” Non erano inevitabili la delegittimazione dei partiti e la riduzione della partecipazione democratica al ” sì ” o ” no” a un quesito referendario. Non era obbligatorio che le campagne elettorali si riducessero ad una gara tra chi compra più spot pubblicitari. Non è stata solo colpa della destra se l’asse della politica si è spostato verso una sorta di neoindividualismo rampante e di presidenzialismo carismatico.
La mia valutazione è che di fatto il nostro ” riformismo ” ( al di là delle sue diverse declinazioni ) sia stato sostanzialmente subalterno rispetto alla grande svolta liberista e mercatista in forza della quale una ristretta oligarchia ha guidato in modo piratesco il processo di globalizzazione dell’economia mondiale. ” (p.93)
CHIARA: è un libro, secondo me, imperdibile per la sua bellezza e per il nostro interesse. Non basatevi sulle poche citazioni che sono riuscita a ricopiare. Devo restituire il libro alla Biblioteca: in libreria non si trova più a meno che il distributore non lo abbia nelle giacenze.
IL FACEBOOK DI GIOVANNA LUCIANI
SONO UNA FAN O UNA FOLLOWER DI GIOVANNA LUCIANI ?
Leggiamo insieme:::
CIRCOLO DEI LETTORI DI TORINO
DOPPIOZERO – 11 MARZO 2018
https://www.doppiozero.com/fan-o-follower
Quando dedichiamo la nostra attenzione a qualcuno, quando ci ricordiamo il suo nome e ne seguiamo le opere, il pensiero, le gesta, siamo fan o follower? Essere fan o essere follower, non è la stessa cosa. Un fan appende il poster del suo idolo sportivo in camera, un follower no.
Il 22 febbraio, al Circolo dei Lettori, per la rassegna Parole del Contemporaneo, ho provato a tracciare una descrizione della parola /follower/, in opposizione a quella di fan.
Il follower ha un legame con il fan, anche se ne è una versione più debole e più transistoria.
FAN–. [abbrev. inglese di fanatic “fanatico”]– TRECCANI
FOLLOWER –DAL VERBO TO FOLLOW = SEGUIRE — CHI SEGUE, SEGUACE- TRECCANI
Entrambi condividono la stessa radice, cioè quella di essere parte di un’audience, di essere membri di un gruppo di spettatori che seguono con attenzione e con passione la performance di qualcuno, sia esso un politico, uno sportivo, un artista. Un tipo di audience “attiva”, cioè capace di dirigere intenzionalmente la propria attenzione verso qualcuno che performa davanti ai nostri occhi. Per essere fan o follower di qualcuno bisogna volerlo, è necessaria una certa continuità, non è come accendere la tv e lasciarsi attraversare lo sguardo dal primo spettacolo che ci passa di fronte. Sia il fan che il follower a un certo punto della loro vita di “spettatori” hanno deciso che vogliono “seguire” quella persona e hanno una certa “passione” verso di lei. A entrambi piace qualcuno che non hanno mai conosciuto di persona, o che, al massimo, hanno visto dal vivo parlare a un comizio o suonare a un concerto, ma non ci hanno mai parlato.
Il Fan
L’attenzione del fan però, si nutre di una maggiore intensità e ha una storia più lunga. All’inizio della storia dei media, i “fan” erano visti molto negativamente dalle istituzioni mediali stesse, e considerati spesso dei “misfits”, dei disadattati, dei devianti rispetto alla norma.
Tra i primi a studiare le lettere dei fan che arrivavano alle radio americane negli anni Trenta, Jeanette Sayre, una studiosa dei media che lavorava con Adorno e Lazarsfeld all’Office for Radio Research della Princeton University, nel 1939 scriveva così: «La posta dei fan è stata uno dei fatti curiosi riguardanti l’industria della radio. . . . Negli ultimi anni si è pensato che gli autori di queste lettere fossero semplicemente degli ascoltatori nevrotici, deviati, anormali». Il fenomeno delle lettere alla radio, completamente ignorato dai programmatori stessi, era in realtà massivo già all’epoca.
La Guerra dei Mondi, la famosa trasmissione radiofonica di Orson Welles, ricevette 1400 lettere il giorno dopo la sua messa in onda. Lo studio dei media Elihu Katz nel 1950 pubblicò uno studio in cui si affermava che il conduttore di un popolare show radiofonico americano, Ted Malone, nel 1935 riceveva dalle 4.000 alle 20.000 lettere di fan al mese e la maggior parte erano lettere d’amore da parte di ascoltatrici invaghite della sua voce.
Ancora oggi è facile ritrovare sul web immagini di giovani teenager in delirio per l’arrivo dei Beatles o giovani ragazze che portavano cartelli con messaggi d’amore ai concerti dei Fab Four.
All’epoca quella passione “straripante” per dei ragazzi dai capelli lunghi venne interpretata come una forma di isteria collettiva e i fan hanno continuato ad essere rappresentati dai media e dal senso comune, come una forma indisciplinata, non ancora addomesticata, “eccessiva” di spettatorialità. Audience non conforme. Questo sono stati i fan per molto tempo.
Quando poi l’industria dei media ha capito che quei fan potevano rappresentare un nuovo valore economico allora l’incompresa devianza rappresentata dal fan è stata riassorbita all’interno della catena del valore dei media commerciali e trattata come una forma pregiata di spettatorialità. I fan hanno iniziato a essere corteggiati, perché rappresentavano l’avanguardia, la prima linea degli appassionati di un gruppo musicale o di un attore, quelli in grado di contribuire a lanciare il nuovo disco o il nuovo film del loro beniamino.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta escono anche i primi libri che “riabilitano” i fan, o meglio, che provano a comprendere i significati sociali associati a questa pratica, senza liquidarli come semplici casi di “falsa coscienza”.
In particolare, il libro a cura della studiosa Lisa Lewis, The Adoring Audience (1992) e quello di Henry Jenkins, Textual Poachers: Television Fans and Participatory Culture, segnano l’inizio di questa nuova fase e aprono la strada al filone dei fan studies,che hanno il merito di rivalutare la dimensione “subculturale” e “resistenziale” di alcune delle “fandom” nate dalla cultura popolare (1. NOTA AL FONDO ).
John Fiske, uno studioso di media americano che aveva “importato” la lezione degli Studi Culturali britannici negli Stati Uniti, descrive così i fandom:“Il fandom indica una sottocultura formata dalla comunità di appassionati (fan) che condividono un interesse comune in un qualche fenomeno culturale. Il fandom è una caratteristica comune della cultura popolare nelle società industriali ed è tipicamente associato a forme culturali che il sistema di valori dominante è solito disprezzare: la musica pop, i romanzi rosa, i fumetti, le star di massa di Hollywood. È quindi associato ai gusti culturali delle formazioni sociali subalterne. I fan creano una cultura con i propri sistemi di produzione e distribuzione che formano quella che chiamerò una “economia culturale ombra” che si trova al di fuori di quella delle industrie culturali, ma che condivide con loro le caratteristiche di una cultura popolare più normale”.
Il Follower
Gli anni Novanta e i primi Duemila, con l’arrivo di Internet per le masse e la sua evoluzione in web 2.0, favoriscono la diffusione delle comunità di fan e lo scambio comunicativo tra di loro ma allo stesso tempo vedono emergere anche un’altra figura di spettatore/fan, molto più adatta al panorama contemporaneo dei media: la figura del follower.
In un panorama dei media sempre più frammentato e dove si moltiplicano le offerte di contenuti mediali, l’attenzione dello spettatore, merce rara e limitata nel tempo, è sempre più sottoposta alla pressione di sempre più concorrenti. Ai giornali, alle radio, alle tv, si aggiungono i social media e poi le piattaforme di streaming audio e video. Come racconta molto bene Tim Wu nel suo libro The Attention Merchants (2017), l’attenzione diventa un bene sempre più prezioso.Il tempo che passiamo a “performare” la nostra attività di audience, a comportarci come “spettatori” di qualcosa, è in aumento. Lo aveva già notato Raymond Williams nel 1974, durante la lezione inaugurale all’Università di Cambridge, dove era appena diventato Professore in “Drama”.
In quell’occasione Williams affermò anche che “mai, come società siamo stati esposti a così tanto volume di rappresentazioni drammaturgiche né abbiamo mai assistito a così tante persone recitare (in forma mediata)”. Gli spazi per le rappresentazioni finzionali sono sempre stati fissi e localizzati nel tempo e nello spazio. “È soltanto dal Novecento in poi, con la diffusione di cinema, radio e televisione, che il pubblico del drama ha subito un cambio qualitativo”, sosteneva Williams.
Per la prima volta nella storia la maggior parte della popolazione ha un accesso “regolare e costante” al drama, al di là di momenti occasionali. “Ma quello che è realmente nuovo di questo fenomeno”, prosegue Williams, “è che il drama, in modi abbastanza nuovi, si è installato nei ritmi della vita quotidiana. (…) Questo è ciò che intendo quando parlo disocietà drammatizzata” (dramatized society).”
Oggi più che mai si è avverata l’intuizione di Williams: il “drama”, e più in generale le narrazioni mediali, si sono installate nei ritmi della vita quotidiana e nei suoi spazi interstiziali, tanto che una persona che sta in fila al controllo passaporti, investe quel tempo morto a guardare la registrazione di una partita di calcio sul proprio telefonino, comportandosi da spettatore anche mentre è in aeroporto in attesa di varcare i confini nazionali. Questo diluvio di contenuti e la sempre maggiore facilità di “consumare” immagini, video, testi, audio anche in luoghi che mai prima erano stati comuni per il regime spettatoriale, ha spinto i membri dell’audience a frammentare la propria attenzione, a saltare molto più velocemente da una serie tv alla successiva, da un disco all’altro, da un video su Instagram al successivo, in una sorta di nuovo flusso “para-televisivo” che non concede il tempo di affezionarsi a un prodotto o un personaggio specifico.
Come sostenevano Abercrombie e Longhurst nel loro libro Audience, del 1998: “«Man mano che la società è sempre più satura di media, i consumatori diventano sempre più follower e sempre meno fan» .
Per raggiungere la dimensione del fan ci vuole tempo, bisogna dedicarsi allo studio approfondito di tutte le opere del proprio beniamino, alla visione di tutti i suoi film o all’ascolto di tutti i suoi album. Il fan è qualcuno che va in profondità su un contenuto specifico dei media, il follower invece è qualcuno che rimane in superficie, che dedica sì un’attenzione particolare a qualcuno o qualcosa, ma senza impegno. Il fan “sposava” un artista giurandogli ingenuamente eterna fedeltà, un follower è pronto a tradire questa fedeltà per la prossima nuova serie originale di Netflix.
Il fan sviluppava legami duraturi, che si rafforzavano nel tempo, con il proprio idolo, e quando questo lo “tradiva”, perché si “svendeva” solo per fare soldi, smettendo di produrre opere di qualità, la separazione era sempre traumatica. Oggi un follower si lega e si slega con maggiore disinvoltura. Con un click non segue più Renzi su Twitter. Con un click ricomincia a seguirlo. Già nel 1995 Henry Jenkins definiva i follower una forma meno identitaria e passionale dei fan: «membri di un’audience che consumano regolarmente contenuti mediali ma che non costruiscono, sulla base di questo consumo, un’identità sociale specifica, come invece fanno i fan».
Un fan di Springsteen lo segue in tutte le tappe del suo tour mondiale e costruisce la sua identità personale anche sulla base del suo amore per lui. Un follower va ai concerti di Springsteen, lo apprezza, è contento se esce un suo nuovo disco, lo segue, appunto, durante l’arco della sua carriera, ma rimane un passo indietro, non costituisce la sua identità intorno all’amore per Springsteen, non si sente parte di alcun partito springsteeniano.
La stessa cosa potrebbe forse valere per i personaggi politici: i membri di un partito erano “fan” di un leader politico, seguivano il leader a tutti i comizi, ne conoscevano i discorsi più efficaci. Le persone che seguono Renzi su Facebook o Twitter non si sentono necessariamente “renziani”, hanno con il leader una relazione più fragile, temporanea, fluida o liquida, se volessimo tirare in ballo Bauman.
Il fan va allo stadio, ha l’abbonamento e va in trasferta, soffre per la sua squadra e non si perde una partita. Il follower ha “settato” ( = configurare ) le notifiche sulla app di Eurosport e riceve i risultati della sua squadra sul telefono ed esulta sottobanco durante una cena in famiglia per la vittoria nel derby, ma non guarda tutte le partite, “scende in campo” solo se la sua squadra raggiunge le semifinali di Champions League, e allora forse, a quel punto, potrebbe temporaneamente “switchare” ( cambiare – – da Treccani ) la sua identità verso quella del fan.
Il follower gestisce la propria attenzione come un atleta gestisce le proprie energie durante una maratona: sa che sono limitate e non le disperde. Il follower rappresenta lo spettatore contemporaneo, attratto da molte cose, ma per durate temporanee. Pochi di noi hanno finito tutte le serie tv che hanno iniziato a guardare. Al contrario, il follower non è solo uno spettatore, ma sempre più anche un performer ( da performer = uno che fa accadere, uno che eseguisce qualcosa ).
Sui social media il follower è colui che segue qualcuno, ma allo stesso tempo è seguito da qualcun altro ed è sempre più consapevole dell’immagine che “trasmette” alla propria audience. Il follower ha un suo pubblico, si è fatto medium e come tutti i media, è alla ricerca disperata di più audience. Il fan cercava approvazione all’interno della propria comunità di fan, il follower/performer cerca approvazione sempre più vasta, sempre più generalista, anche tra persone che non conosce. Il fan era anonimo ai più e conosciuto e rispettato dalla piccola tribù di adepti, anche spazialmente dispersa, tenuta insieme dall’amore per qualcuno. Il follower invece possiede un social score, una misura pubblica della sua capacità di mobilitare l’attenzione di altre persone.
Questo non significa che non esistano più i fan. Solo che esistono due regimi di spettatorialità attiva che si sovrappongono solo fino a un certo punto. Uno di questi, quello del follower, è sempre più diffuso, sempre più dominante e in questo spazio ho provato a buttare giù degli appunti per una fenomenologia del follower, ma il dibattito è aperto.
La sonata per violino n. 32 in si bemolle maggiore ( K. 454) fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna il 21 aprile 1784 per la violinista italiana Regina Strinasacchi, nata a Ostiglia presso Mantova nel 1762 e morta a Dresda nel 1839.
foto di Ostiglia da : https://visitostiglia.it/
Il lavoro consiste di tre movimenti:
Teatro di Porta Carinzia a Vienna dove fu eseguito per la prima volta il concerto con Mozart al piano e la violinista Regina Strinasacchi, alla presenza dell’Imperatore Giuseppe II.
AVVIO ALL’ASCOLTO DEL CONCERTO– di GIULIO D’AMORE – link sotto
L’introduzione lenta, abbastanza rara nelle Sonate mozartiane, è una sorta di maestosa preparazione allo scatto ritmico dell’Allegro col suo tema di note staccate all’unisono fra i due strumenti e il brillantissimo rincorrersi delle frasi sincopate. Il tono festoso non si dissolve nemmeno nel breve sviluppo, che pure comporta l’attraversamento di tonalità minori.
Nell’Andante invece Mozart scava in profondità e, come in tanti altri capolavori del periodo maturo, crea un sublime “angolo di meditazione”, dove le inflessioni raffinatissime di melodia e armonia sono profuse senza risparmio. Si ascolti, ad esempio, il senso di smarrimento del percorso armonico nella parte centrale, non lontano da quello eccelso della vicina Fantasia in do minore K. 475.
L’Allegretto finale, nella consueta forma del Rondò, proietta di nuovo all’esterno l’anima mozartiana non tralasciando di concederci ancora un tema principale particolarmente affascinante ed altri secondari scherzosi e da opera buffa; un gentile omaggio al’virtuosismo della Strinasacchi e, perché no, al suo personale di pianista.
DA :
FLAMINIOONLINE.IT / GUIDE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Sonatavp454.html
DAVID OJSTRACH
David Fëdorovič Ojstrach ( Odessa, 1908- Amsterdam, 1974 ) è stato un violinista sovietico, naque nella cosmopolita Odessa ( impero russo ) da una modesta famiglia di origine ebraica, entrambi con talento musicale
Tra i più grandi interpreti del violino del XX secolo, ha profondamente influenzato la tecnica dello strumento per la maestria tecnica, la naturalezza e il virtuosismo. Con un ampio repertorio, che spaziava da Bach a Šostakovič, suonò con le più importanti orchestre del mondo dirette dai più grandi direttori e si esibì accanto ad artisti come Mstislav Rostropovič e Svjatoslav Richter.
a chi interessa, segue nel link di wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/David_F%C3%ABdorovi%C4%8D_Ojstrach
E PAUL BADURA-SKODA
Paul Badura-Skoda ( Vienna, 1927 — Vienna, 25 settembre 2019 ) è stato un pianista, musicologo, direttore d’orchestra e didatta austriaco.
Studioso rigoroso ed autorevole, considera fondamentale il far rivivere lo spirito dell’opera così come fu creata dal compositore ed ha curato la revisione di centinaia di autografi e testi originali. Molto apprezzate le sue edizioni di Chopin per la casa Wiener Urtext.
Nel 1990 condensò i risultati del suo quarantennale studio dell’opera di Johann Sebastian Bach nel poderoso volume Bach Interpretation: Die Klavierwerke Johann Sebastian Bachs (edito in italiano nel 1998 con il titolo Interpretare Bach su strumenti a tastiera), testo fondamentale sull’argomento.
Nel 1957 aveva dato alle stampe la prima edizione dell’altrettanto importante testo sull’interpretazione mozartiana, Mozart-Interpretation, scritto in collaborazione con la moglie Eva Badura-Skoda ed edito per la prima volta in Italia nel 1980 col titolo L’interpretazione di Mozart al pianoforte.
Paul Badura-Skoda, Interpretare Bach su strumenti a tastiera, Foggia, Gioiosa, 1998
Eva Badura-Skoda, Paul Badura-Skoda, L’interpretazione di Mozart al pianoforte, 2a ed., Padova, Zanibon, 1989
SITO UFFICIALE DELL’ARTISTA :: http://www.badura-skoda.cc/en/
Amrita Sher-Gil / Amrita Sher-branchia, nacque a Budapest nel 1913
da Umrao Singh Sher-Gil Majithia, un aristocratico sikh e studioso di sanscrito e persiano, e da Marie Antoniette Gottesmann, una cantante d’opera ungherese ebrea proveniente da una ricca famiglia. Era anche nipote dell’indologo Ervin Baktay, che per primo notò il suo talento artistico.
Nel 1921 la sua famiglia si trasferì presso Shimla, in India, in seguito con la madre si trasferì in Europa.
( segue : DOPO DUE IMMAGINI )
da:
INDIAPICKS.COM/ INDIANART / MAIN / AMRITA GALLERY
https://indiapicks.com/Indianart/Main/Amrita_Gallery.htm
Cammelli
Galleria d’Arte Moderna, Nuova Delhi
Antico narratore
Galleria nazionale d’arte moderna, Nuova Delhi
L’anno in cui Tagore iniziò a dipingere nel suo studio privato a Shantiniketan, la figlia di un aristocratico sikh, la bellissima sedicenne Amrita Sher-Gil (1913-41), salpò con la madre ungherese per la Francia per studiare arte a Parigi. Sebbene desiderasse respirare l’aria dei viali alberati della capitale francese, questa giovane donna sarebbe tornata in India ( nel 1934 – aveva 21 anni ) e, dopo qualche anno, e sarebbe diventata la prima e più famosa artista indiana del secolo. Emancipata, ma responsabile, assertiva ma fragile, fornì un modello per le artiste delle generazioni future.
Nacque a Budapest nel 1913 e trascorse gli anni formativi della sua vita in Europa: la madre l’ha portata in Italia e a Parigi, focolai dell’attività artistica e luogo di nascita di molti movimenti artistici storici nel XIX e all’inizio del XX secolo.
Quando mise piede per la prima volta sul suolo indiano nel novembre del 1934, rimase. ossessionata dai volti degli indiani infelici e abbattuti, poveri e affamati che vide prima intorno a Shimla,
una foto nel suo studio a Shimla, foto di suo padre
dal blog: https://juliadutta.blogspot.com/2010/06/amrita-shergill-holme-and-studio-shimla.html
poi nel sud e infine nel Punjab, dove si trovava trascorrere gli ultimi giorni della sua vita (morì a Lahore nel 1942, ora Pakistan – VEDI CARTINA SOTTO )
Dopo essersi stabilita a Shimla all’inizio del 1935, prese l’importante decisione di interpretare pittoricamente “la vita degli indiani, in particolare dei poveri”. Questo, disse, lo avrebbe fatto “con una nuova tecnica, la mia tecnica” e “questa tecnica, sebbene non tecnicamente indiana, nel senso tradizionale del termine, sarà tuttavia fondamentalmente indiana nello spirito”.
Tutte le figure dipinte da lei, in particolare quelle delle donne, hanno occhi spenti, un’espressione di rassegnazione e sconforto scritta a caratteri cubitali sui loro volti disegnati.
Nel 1936 vide gli affreschi di Ajanta che avrebbero lasciato una profonda impressione nel suo stile e nelle sue combinazioni di colori.
Questo stile – semplificazione ajantesca del fisico e dipendenza da linee chiare e forme saldamente modellate- caratterizza quasi tutti i suoi dipinti eseguiti tra il 1935 e il 1937. A questo punto, aveva raggiunto quella perfetta fusione di tecniche occidentali e spirito indiano, gettando così le basi dell’arte indiana moderna.
VEDI NOTA SOTTO : AJANTA
CARTINA DELL’INDIA CON LE VARIE REGIONI
mappa da: viaggiatori.net —
Shimla si trova nell’ Himachal Pradesh nel nord ( oro giallo )- di cui è capitale – confina con la Cina; il Punjab sempre nel nord, più a ovest ( di chi guarda ) con capitale :
LAHORE si trova nella regione del Punjab pakistano in Pakistan – IL PUNJAB FU SPARTITO TRA INDIA E PAKISTAN NEL 1947
CARTINA DA ALAMY
ACCONCIATURA DI UNA SPOSA. 1937
– 1938 — SCENA DI UN VIALLAGGIO
Tre ragazze, 1935
Galleria d’Arte Moderna, Nuova Delhi
Antico narratore
Galleria nazionale d’arte moderna, Nuova Delhi
Due donne
Galleria nazionale d’arte moderna, Nuova Delhi
Nel 1938 si apre l’ultima fase della sua carriera artistica che si concluse con la sua morte nel 1942 nel Punjab
Amrita ha guidato i pittori contemporanei non solo con le sue opere ma anche con conferenze e articoli in cui li esortava a non aggrapparsi a “tradizioni che un tempo erano vitali, ed ora vuote, né a imitare l’occidente : dovevano “separarsi da entrambi e produrre qualcosa di vitale, connesso con la terra, qualcosa di essenzialmente indiano”.
MONUMENTI RUPESTRI DI AJANTA IN INDIA NELLA REGIONE MAHARASHTRA: un primo contatto da approfondire.
Biden autorizza l’Ucraina a usare i missili a lunga gittata contro la Russia, Putin risponde con la nuova dottrina militare nucleare. La guerra della propaganda. Avviati i negoziati informali tra Trump e Putin. Gli ostacoli davanti a un possibile accordo: gli scenari locale, regionale e globale.
Il numero 9/2022 di Limes si intitola “L’ombra della bomba” e sarà presto disponibile come arretrato cartaceo.
Parte 1
La Russia barcolla
Il negoziato secondo l’ultimo Putin – Orietta Moscatelli
La prossima bomba nucleare potrebbe esplodere nello Spazio – Marcello Spagnulo
‘La Russia ha perso, ma l’Ucraina non ha ancora vinto’ – Oleksij Arestovyč
La priorità americana non è far vincere Kiev ma controllare l’Europa – Federico Petroni
‘All’America non serve la vittoria, ma un nuovo contenimento della Russia’ – Michael Kimmage
Dopo la disfatta di Kharkiv Putin punta tutto sul generale Inverno – Mirko Mussetti
La deucrainizzazione spiegata ai profani – Luca Steinmann
Putin mobilita un popolo in smobilitazione – Nicola Cristadoro
Se la guerra ci bussa alla porta – Germano Dottori
Colpo su colpo: la strategia polacca contro la Russia – Łukasz Maślanka
L’Ucraina in bianco e nero – Romano Ferrari Zumbini
‘Il più grande timore di Putin è che si sgretoli il fronte interno’ – Aleksandr Baunov
La pace giusta rischia di essere una tomba – Doug Bandow
Parte 2 –
Fame e sanzioni
Perché la Germania deve abbandonare la nave delle sanzioni – Heribert Dieter
La Russia affina il gioco delle tre carte – Nicola Cristadoro
‘Con la Russia non sarà più come prima’ – Lapo Pistelli
La guerra affama Caoslandia – Fabrizio Maronta
La Cina punta sull’Africa gialla – Giulio Albanese
Quanto ci costa la guerra – Gian Paolo Caselli
Parte 3 –
La Guerra Grande s’ingrandisce
Perché l’India cambia Modi con Putin – Lorenzo Di Muro
I due forni di Ankara. In Eurasia insieme a Washington, nel Medioceano con Mosca – Daniele Santoro
L’Asia centrale torna contendibile – Mauro De Bonis
Né lupo né fata. La Cina vista da Mosca tra sogno e realtà – Andrej Kortunov
La strana coppia è in crisi – Giorgio Cuscito
Xi non abbandonerà Putin – Deng Yuwen
La strana coppia non scoppierà – Aleksandr Lukin
mina- io sono il vento
testo da
LOS CAROSONES.COM / ANNI 60- MUSICISTI COMPOSITORI
https://www.loscarosones.com/it/anni-60-musicisti-compositori/
É sempre difficile tracciare delle divisioni nette nell’evoluzione della musica, esistono però delle differenze che saltano agli occhi a partire dagli anni ‘60.
Se guardiamo il passato troviamo che la figura centrale era quella del compositore famoso che, appena pubblicava una canzone, veniva rivisitato. Era molto facile, per esempio, trovare lo stesso pezzo rifatto da tre, quattro cantanti diversi nella classifica di vendita dei dischi.
I ruoli del compositore, dell’arrangiatore e del direttore dell’orchestra erano preponderanti.
Dal loro lavoro partiva un processo di reinterpretazione, che però non aggiungeva grandi elementi di novità. L’importanza della parte melodica del brano prevaleva su quella del cantato.
Nel secondo Dopoguerra, invece, assistiamo a due rivoluzioni:
Nel nostro spettacolo è nascosto un tributo ai parolieri e ai compositori della Dolce Vita: oltre naturalmente a Nisa (autore di alcuni tra i più celebri testi di Renato Carosone) vi è un tributo speciale a Gian Carlo Testoni, uno dei parolieri più importanti di quel periodo in Italia.
“In cerca di te” (di cui scrisse il testo) è considerato il primo pezzo swing italiano del Dopoguerra; sue anche le parole di “Mambo Italiano” e “Io sono il vento”. Quest’ultima canzone – che noi suoniamo con l’arrangiamento di Marino Marini – è di Giuseppe Fanciulli, l’autore delle musiche di “Guaglione”, uno dei cavalli di battaglia di Carosone.
Da questo fitto intreccio di musica e parole risulta chiaro che, in realtà, non è possibile isolare un artista dai suoi contemporanei, negli anni ’60 e in nessun’altra epoca; vanno studiati e ascoltati nell’insieme. Ci sono tante influenze reciproche e un patrimonio musicale condiviso, a cui il compositore/musicista e la sua interpretazione riesce a dare un colore unico.
MARIANGELA MELATO — IN CERCA DI TE
Il nome N., imposto dall’ONU nel 1968 in sostituzione della vecchia denominazione coloniale (Africa del Sud-Ovest), deriva da quello del Deserto Namib che occupa l’intera fascia costiera del paese, estendendosi per circa 600 km tra la foce del Cunene a N e quella dell’Orange a S.
popolazione -La maggior parte della popolazione appartiene a popoli bantu (Ovambo, Kavango, Herero, Damara ecc.), giunti, come un po’ in tutta l’Africa australe, attraverso ondate migratorie provenienti da N, e specialmente dalla regione dei grandi laghi equatoriali; la popolazione di origine europea – tedesca, britannica e soprattutto boera – è fortemente diminuita nel corso del travagliato periodo che ha preceduto il conseguimento dell’indipendenza ed è concentrata in gran parte nella capitale e negli altri centri urbani; il fondo autoctono, rappresentato da popolazioni khoisan (Ottentotti, Boscimani), è quasi scomparso; vi sono poi i coloureds, discendenti dei boeri e delle donne ottentotte, anch’essi prevalentemente urbani. Pertanto la N. è un paese etnicamente e culturalmente composito, dove non mancano problemi di coesistenza tra i vari gruppi, alla cui soluzione non ha certo giovato la lunga amministrazione sudafricana che aveva tentato anche qui l’applicazione della politica di apartheid e l’istituzione delle Bantu Homelands (➔ bantustan).
storia- Noto in epoca coloniale come Africa del Sud-Ovest, il territorio divenne nel 1884 un possedimento della Germania. Allo scoppio della Prima guerra mondiale fu occupato dall’Unione Sudafricana, cui fu assegnato come mandato nel 1920. Nel 1966 l’ONU dichiarò decaduto il mandato assumendo in pieno la responsabilità del territorio ma il governo sudafricano rifiutò di ritirarsi. L’ONU riconobbe legittimo rappresentante del popolo della N. (così ribattezzata nel 1968) il movimento di liberazione (South-West Africa People’s Organization, SWAPO). Dai primi anni 1980, su indicazione degli USA, il governo sudafricano subordinò l’accettazione dei piani dell’ONU al ritiro delle truppe cubane stanziate in Angola. Nel 1988 si giunse a un accordo fra Repubblica Sudafricana, Angola e Cuba. Il 21 marzo 1990 la N. fu proclamata indipendente e il leader della SWAPO, S. Nujoma, eletto presidente. La SWAPO rivide in senso moderato il proprio programma di riforme radicali, consentendo fra l’altro alle compagnie minerarie multinazionali di conservare un ruolo importante. Le elezioni generali del 1994 furono vinte dalla SWAPO e Nujoma fu riconfermato. L’esecutivo adottò politiche economiche di apertura agli investimenti esteri e accrebbe le facilitazioni e gli incentivi fiscali per le compagnie esportatrici. Nel 1999 le elezioni legislative e presidenziali registrarono una nuova affermazione della SWAPO e di Nujoma. In politica estera, i rapporti con la Repubblica Sudafricana di N. Mandela si rafforzarono, mentre dispute confinarie portarono a un temporaneo peggioramento delle relazioni con il Botswana.
segue altro ( oltre alla storia ) in
NAMIBIA, PARCO NAZIONALE D’ETOSHA ( = ” Grande luogo bianco ” )
Gli Ovambo (o Owambo) sono un’etnia di ceppo bantu che abita una regione della Namibia settentrionale detta Ovamboland, lungo il confine con l’Angola.
per chi volesse, 3 min. di video sull’etnia Owanbo:
Il parco nazionale d’Etosha (Etosha National Park) è un parco nazionale del Nord della Namibia, con un’estensione complessiva di 22 000 km² ( è circa la superficie della Toscana, la Lombardia è ca 24.000 km2 ). Nella lingua oshivambo (parlata dall’etnia ovambo che popola la regione), il nome “Etosha” significa “grande luogo bianco”, con riferimento al colore del suolo del deserto salino che costituisce il 25% dell’area del parco.
Il parco fu fondato nel 1907, epoca in cui la Namibia era ancora una colonia tedesca col nome di Africa Tedesca del Sud-Ovest. Con un’area di 100 000 km², il parco era all’epoca la più grande riserva faunistica del mondo. Negli anni sessanta il parco venne progressivamente ridimensionato, fino a raggiungere l’attuale estensione.
Parco Nazionale di Etosha in Namibia
Vegetazione del Parco Etosha
– Opera propria
MAPPA DEL PARCO
mappa del parco nazionale di Etosha in Namibia
– Opera propria
Il suolo salino del Pan- Etosha Park
– Opera propria
Il Parco con antilopi, sullo sfondo l’Etosha Pan ( deserto salino )
Foglie di Mopane, con la caratteristica forma di farfalla
Un albero di Mopane, conosciuto anche come Albero-farfalla, è un albero perenne della famiglia delle leguminose; è fonte di cibo per gli animali per gran parte dell’anno; le foglie sono altamente proteiche, e ancora di più lo sono il baccello e il seme. Diventa una fonte di nutrimento importante soprattutto in momenti di scarsità di cibo. I baccelli, invece, sono ampiamente mangiati da quasi tutte le specie. Anche l’uomo fa largo uso del mopane, usato per foraggio, per le sue proprietà medicinali e come fonte di legname. Il legno è un ottimo combustibile: brucia lentamente, generando molto calore e un gradevole aroma dolciastro.
Potete comprarne qualcuno ma solo all’Etosha parco nazionale…sono belli !
Orici nel Parco ..
– Opera propria
molte foto e i testi sono di :
https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_nazionale_d%27Etosha#/media/File:Grassland_at_etosha.jpg
Un bell’elefante maschio nel Parco
– Fotografia autoprodotta
Lo sguardo di un serpenario
un bel video su questo uccello di 4 min. ca
https://www.youtube.com/watch?v=PpAE94pCo0I
I PAESI CHE LA CIRCONDANO.. A SUD-OVEST IL SUD-AFRICA
DA :: AFRICA RIVISTA La Namibia
che carini ! sono un tipo di scoiattolo– se non sbaglio
ANSA.IT — 21 NOVEMBRE 2024 – 17.18
https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2024/11/21/un-tycoon-delle-cripto-mangia-la-banana-di-cattelan-_29ede07f-f8ad-4af5-8c7d-733d83ccdb88.html
Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan.
Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale ” Comedian ” creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni.
VIDEO – uno, non so se è il compratore, la mangia in diretta !
Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.
La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.
Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo.
Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”.
Uno dei concetti alla base dell’installazione è che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.
“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.
Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.
— se qualcuno volesse approfondire…
LE MONDE – 20 NOVEMBRE 2024- 12.07
https://www.lemonde.fr/international/article/2024/11/20/etats-unis-elon-musk-bras-droit-de-donald-trump-detaille-son-plan-pour-reduire-le-role-de-l-etat-federal-de-maniere-radicale_6405928_3210.html
Nominato dal repubblicano a capo di una “commissione per l’efficienza del governo”, il fondatore di SpaceX e Tesla ha promesso di ridurre la spesa pubblica federale di 2.000 miliardi di dollari. Ha presentato il suo progetto in una rubrica sul “Wall Street Journal”.
Sussidi alla pianificazione familiare, dipendenti pubblici e deregolamentazione: Elon Musk, divenuto il braccio destro di Donald Trump, ha dettagliato mercoledì 20 novembre in un articolo sul Wall Street Journal il suo progetto “radicale” di riforma dello Stato federale. L’uomo più ricco del mondo spiega come, con la benedizione della Corte Suprema conservatrice, il presidente eletto sarà in grado di ridurre drasticamente il numero dei servizi pubblici e la spesa, anche se ciò significa scavalcare il Congresso, che detiene il potere di bilancio.
“Il 5 novembre, gli elettori hanno dato a Donald Trump un chiaro mandato per un cambiamento radicale, e ne hanno diritto “, scrive il multimiliardario in questo articolo firmato insieme all’uomo d’affari Vivek Ramaswamy, con il quale guiderà una nuovissima “commissione per l’efficienza governativa”. “ .
https://forbes.it/2024/11/15/chi-vivek-ramaswamy-altro-miliardario-scelto-trump-doge/
Questo organismo con ruolo consultivo non è né un ministero né un ente governativo. “Facciamo le cose diversamente. Siamo imprenditori, non politici ”, scrivono, aggiungendo: “Tagliaremo i costi. »
I due firmatari ricordano che il loro ruolo dovrà terminare il 4 luglio 2026, 250° anniversario della Dichiarazione di Indipendenza. Il capo di Tesla, SpaceX e X, lui stesso beneficiario di grandi contratti federali, ha svolto un ruolo estremamente importante nella campagna di Donald Trump. Il suo nuovo ruolo, anche consultivo, solleva la questione di possibili conflitti di interessi, poiché Musk potrebbe formulare raccomandazioni riguardanti i propri settori di attività.
Per fondare in diritto il suo progetto, l’imprenditore invoca due recenti decisioni della Corte Suprema americana, alla quale Donald Trump aveva concesso una duratura maggioranza di giudici conservatori durante il suo primo mandato (2017-2021).
Nel giugno 2022, la Corte ha ridotto significativamente i poteri dello Stato federale, stabilendo che l’Environmental Protection Agency non poteva emanare norme generali per regolare le emissioni delle centrali elettriche a carbone, perché non era autorizzata dal Congresso.
Nel giugno 2024 aveva ulteriormente ridotto i poteri delle agenzie federali, ritornando alla dottrina Chevron, una giurisprudenza vecchia di quarant’anni che fungeva da base giuridica per le normative sull’acqua, sui medicinali o sui mercati finanziari. Le decisioni della Corte Suprema “suggeriscono che una serie di regolamenti federali esistenti” non sono giuridicamente fondati e che possono essere “immediatamente sospesi” con decreto presidenziale, scrive Musk.
Ciò “stimolerà l’economia” , promette il multimiliardario, che sviluppa in questo forum una visione ultraliberale dell’equilibrio tra potere pubblico e settore privato. Secondo lui, “la burocrazia incistata e in continua crescita è una minaccia esistenziale” per l’America. Musk prevede quindi “massicce riduzioni del personale nella burocrazia federale” , garantendo che i dipendenti pubblici licenziati saranno “sostenuti nella loro transizione al settore privato” o beneficeranno di condizioni di partenza “dignitose” .
Suggerisce inoltre di ritornare al principio del telelavoro, che “porterebbe a una gradita ondata di partenze volontarie” , o di trasferire le agenzie federali fuori Washington, cosa che le renderebbe meno attraenti. L’uomo d’affari propone una spesa di “500 miliardi di dollari” che potrebbe essere eliminata molto rapidamente dal presidente repubblicano tagliando i sussidi alla radiodiffusione pubblica o ad organizzazioni “progressiste” come Planned Parenthood.
Durante la campagna elettorale, il capo di Tesla ha assicurato che avrebbe potuto ridurre la spesa pubblica federale di 2.000 miliardi di dollari. Ciò rappresenterebbe un calo del 30% rispetto al totale dell’anno fiscale 2024.
altro nel link:
LE MONDE. FR/ INTERNATIONAL
ELON MUSK– foto Investopedia
segue da Wikipedia – link sotto
Elon Musk (Pretoria, 28 giugno 1971) è un imprenditore e politico sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense.
Ricopre i ruoli di fondatore, amministratore delegato e direttore tecnico della compagnia aerospaziale SpaceX, fondatore di The Boring Company, cofondatore di Neuralink e OpenAI,
amministratore delegato e product architect della multinazionale automobilistica Tesla, proprietario e presidente di X. Ha inoltre proposto un sistema di trasporto superveloce conosciuto come Hyperloop, tuttora in fase di sviluppo.
Musk ha affermato che l’obiettivo di Tesla e SpaceX si concentra sull’ideale di migliorare il mondo e l’umanità.Uno dei suoi scopi è anche quello di ridurre il riscaldamento globale tramite l’utilizzo di energie rinnovabili e ridurre il rischio dell’estinzione umana o di catastrofi naturali stabilendo una colonia umana su Marte. Tramite Starlink, una costellazione di satelliti prodotta e gestita da SpaceX, vorrebbe invece fornire Internet ad alta velocità e bassa latenza a tutto il pianeta.
Secondo Forbes, all’11 novembre 2024, con un patrimonio stimato di 318 miliardi di dollari, risulta essere la persona più ricca del mondo.
Elon Musk è nato il 28 giugno 1971 a Pretoria, in Sudafrica, da Maye Haldeman ed Errol Musk. La madre è una dietologa e modella canadese, mentre il padre è un ingegnere elettromeccanico, pilota e navigatore sudafricano, ex co-proprietario di una miniera di smeraldi in Zambia. Ha un fratello, Kimbal, del 1972, e una sorella, Tosca, del 1974. La nonna paterna era britannica, mentre il nonno materno era statunitense, del Minnesota. Dopo il divorzio dei suoi genitori nel 1980 Musk ha vissuto principalmente con il padre in Sudafrica, ma ora afferma di aver fatto un grave errore ad aver scelto il padre, soprattutto poiché questi era indifferente verso il bullismo subito dal figlio: è finito all’ospedale quando un gruppo di ragazzi l’ha lanciato giù da una rampa di scale per poi picchiarlo fino a fargli perdere conoscenza. Da adulto ha poi tagliato i rapporti con lui.
All’età di 19 anni, Musk viene accettato alla Queen’s University a Kingston, Ontario. Nel ’92 si trasferisce negli Usa all’Università di Pennsylvania–
segue nel link:
https://it.wikipedia.org/wiki/Elon_Musk
video, 0.30 — Putin –
ANSA.IT — 21 NOVEMBRE 2024 –19.49
ANSA.IT — 21 NOVEMBRE 2024 -10.45
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2024/11/21/kiev-la-russia-ha-lanciato-un-missile-balistico-intercontinentale_2b2c5725-f958-40d9-b382-1ed4d3708e17.html
L’aeronautica militare di Kiev ha dichiarato che la Russia ha lanciato un missile balistico intercontinentale dalla regione meridionale di Astrakhan durante un attacco mattutino contro l’Ucraina.
È la prima volta che la Russia utilizza un missile così potente e a lungo raggio durante la guerra. Lo riporta il Guardian.
L’Ucraina ha utilizzato missili statunitensi e britannici per colpire obiettivi all’interno della Russia, azione che Mosca aveva avvertito sarebbe stata vista come una grave escalation.
Secondo l’aeronautica militare, l’attacco russo ha preso di mira aziende e infrastrutture nella città centro-orientale di Dnipro.
La difesa aerea russa ha abbattuto nelle ultime 24 ore due missili a lungo raggio britannici Storm Shadow, secondo quanto afferma il ministero della Difesa nel suo bollettino quotidiano.
ANSA.IT — 21 NOVEMBRE 2024 — 9.58
Almeno 66 persone, la maggior parte donne e bambini, sono rimaste uccise e più di 100 ferite in un attacco aereo israeliano avvenuto all’alba nel nord di Gaza.
Lo riferiscono Al Jazeera e l’agenzia di stampa palestinese Wafa.
L’attacco ha distrutto un intero isolato residenziale, vicino all’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia in quello che la Wafa ha descritto come un “orribile massacro”. Molte persone sono ancora disperse, secondo la Protezione civile di Gaza.
Almeno 22 persone sono rimaste uccise stamane in un altro attacco israeliano, questa volta a Gaza City. Lo riferisce Al Jazeera. Secondo quanto si apprende, il raid ha colpito un edificio a più piani nel quartiere di Sheikh Radwan, riducendolo in macerie: 22 i morti accertati finora, afferma l’emittente qatariota.
video, 0.31 minuti
Secondo il dottor Hussam Abu Safia, direttore dell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia, la maggior parte delle vittime dormiva al momento dell’attacco. “È arrivato un numero molto elevato di vittime e ci sono ancora molti corpi da recuperare. Si tratta soprattutto di bambini e donne”, ha detto, riferisce al Jazeera. “La situazione è onestamente molto grave. Non riusciamo a far fronte all’enorme numero di feriti e vittime che sono arrivati all’ospedale Kamal Adwan”, ha proseguito. Il pediatra ha affermato che il raid ha colpito un intero isolato residenziale vicino a Kamal Adwan, distruggendo almeno 5 abitazioni, e che il personale dell’ospedale era sul posto per recuperare i corpi e salvare le persone rimaste intrappolate sotto i detriti. “Stiamo già operando a corto di risorse, la maggior parte del nostro personale è ora impegnata a soccorrere i feriti sul posto a causa della mancanza di ambulanze”, ha aggiunto.
E’ salito a 68 morti il bilancio degli attacchi israeliani di ieri contro gruppi filo-iraniani nella città di Palmira, nella Siria centrale. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh). Le vittime comprendono 42 combattenti filo-iraniani e 26 stranieri, la maggior parte dei quali iracheni del gruppo Al-Noujaba, ma anche quattro membri degli Hezbollah libanesi, riferisce la stessa Ong.
Tre palestinesi di Hebron, in Cisgiordania, sono stati arrestati per aver formato una cellula con l’obiettivo di assassinare il ministro israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gvir e il figlio. Lo rendono noto la polizia e lo Shin Bet (sicurezza interna). Secondo l’accusa, il principale sospettato, Ismail Ibrahim Awadi, aveva stabilito contatti con Hezbollah e Hamas per assicurarsi armi e assistenza. La cellula ha sorvegliato Ben Gvir e i suoi figli che vivono nell’insediamento di Kiryat Arba. Una delle opzioni era quella di assassinarlo sulla scena di un attacco terroristico.
LA CANZONE E’ DI NINO ROTA ( pare parole e musica ) DAL FILM ” IL PADRINO ”
Amo reinterpretare a modo mio la musica che amo….. Vorrei precisare che le “basi musicali” appartengono ai legittimi proprietari… ed io mi limito ad usufruirne solo ed esclusivamente per inserire la mia voce/interpretazione esclusivamente per pura passione… Pubblicato “NON AI FINI COMMERCIALI” Un ringraziamento di cuore a Roberto Garofolo per il missaggio …… Buon ascolto…..
NON SOLO UN BACIO, S’IL VOUS PLAÎT! La Poesia Fotografica di Doisneau CLICCA QUI
Per informazioni: mostre@palazzodellameridiana.it – 010 2541996
LES AMOUEREUX ET LES BAISERS VOLES A’ PARIS APRES LA GUERRE —1950 —foto del grande — ROBERT DOISNEAU
PALAZZO GRIMALDI DELLA MERIDIANA -LINK AL FONDO
Il palazzo Gerolamo Grimaldi, conosciuto anche come palazzo della Meridiana, è un edificio storico italiano, sito in salita di San Francesco 4, nel centro storico di Genova. È uno dei Palazzi dei Rolli che furono designati, al tempo della Repubblica di Genova, a ospitare gli ospiti di alto rango durante le visite di stato per conto del governo genovese.
L’edificio è fra i 42 palazzi dei rolli selezionati e dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO il 13 luglio 2006
Fu fatto costruire tra il 1536 e il 1544 dal banchiere genovese Gerolamo Grimaldi Oliva-
SEGUE IN WIKIPEDIA
DA GOOGLE :
Apollo sul carro di Lazzaro Calvi– SALA CALVI
– Opera propria-
LO SCALONE
– Opera propria
IL PALAZZO VISTO DALLA TERRAZZA DI PALAZZO GROSSO
– Opera propria
SALITA SAN FRANCESCO- GENOVA
– Opera propria
FOTO DA WIKIPEDIA:
https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Gerolamo_Grimaldi
Zagrebelsky — a chi interessa – parla al min. 22.00
link Facebook di
19 novembre 2020
questa tela misura più di quattro metri ed è ospitata al Museo Paul Getty di Los Angeles
Ensor, Pierrot e gli scheletri, 1907
Autoritratto
alle 14.45
L’opera del pittore di Ostenda, ricordato come schivo e misantropo, costituisce un importante antecedente dello stesso Espressionismo e ha esercitato un’enorme influenza sull’evoluzione della pittura del XX secolo, in particolare del Surrealismo e del Dadaismo.
Per approfondire la conoscenza del mondo di James Ensor e della sua amata città affacciata sul Mare del Nord, da non perdere la riapertura al pubblico della casa natale dell’artista – divenuta museo – che vi abitò per gran parte della sua vita
– da:
testo e immagini
arte.it
https://www.arte.it/fiandre/foto/lo-strano-mondo-di-james-ensor-1431/108637
Pittore e incisore belga (Ostenda 1860 – ivi 1949). Ha percorso molte tendenze dell’arte contemporanea (tra cui l’espressionismo), pur senza aderire a nessuna in particolare. Dopo i primi dipinti giovanili, che risentono qualche influsso impressionista, presto la sua pittura assume accenti realistici e talvolta caricaturali. Nel 1883 fanno la loro prima apparizione le maschere, tema prediletto di E., in cui egli mira a ritrarre il volto vizioso e grottesco dell’umanità. Affronta poi temi sempre più complessi, fino al grande quadro dell’Ingresso di Cristo a Bruxelles (1888); nel periodo successivo il colore diventa più acceso e violento, mentre nuovi temi entrano a far parte della poetica del maestro: aspri motivi satirici, visioni fantastiche, funambolesche allegorie, ma anche paesaggi e nature morte di mirabile delicatezza coloristica. Impostata su questa duplice direzione, visionaria e naturalistica, la sua opera si sviluppa fino al 1940 circa in una serie innumerevole di dipinti e di incisioni: queste ultime, per finezza di segno e sottigliezza di toni, sono da considerarsi tra le migliori prodotte dall’arte moderna. Fu anche scrittore, poeta e compositore di musica. Opere nei musei del Belgio, e in numerosi musei d’Europa e d’America.
da : TRECCANI, ENSOR JAMES
https://www.treccani.it/enciclopedia/james-ensor/
James Ensor ritratto da Henry De Groux, 1907
– Fotografia autoprodotta
La sua casa ad Ostenda
– Opera propria
James Ensor, I peccati capitali dominati dalla morte, 1904, Gent, Museum voor Schone Kunsten Gent
James Ensor (1860 – 1949), L’intrigo, 1890), Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten
James Ensor, La Mort et les masques, 1897, Olio su tela, 100 x 78.5 cm, Liège, Musée d’Art contemporain de la Ville | cea +, via Flickr | La “colpa” di Ensor per il regime nazista fu quella di essere stato tra i precursori dell’Espressionismo, come lo stesso Edvard Munch
James Ensor, I Bagni di Ostenda, Gent, MSK | Courtesy of Visit Oostende talkie.be | © Toerisme Oostende
James Ensor, Grande marina (Tramonto), 1885, Olio su tela, 114 x 161 cm, Ostenda, Mu.ZEE | Courtesy of Visit Oostende talkie.be | © Toerisme Oostende
James Ensor, Cristo calma la tempesta, 1891, Olio su tela, 48 x 73 cm, Ostenda, Mu.ZEE | Courtesy of Visit Oostende talkie.be | © Toerisme Oostende
James Ensor, I tetti di Ostenda, 1901, Olio su tela, 48 × 73 cm, Ostenda, Mu.ZEE | Courtesy Visit Oostende talkie.be | © Toerisme Oostende
dettaglio dall’opera ” Intrigo ”
Amazonit
Due scheletri che si contendono un’aringa
un altro intervento di Caracciolo nello stesso giorno a La7 _ TRUMP E MUSK
L’Antartide (o anche continente antartico) è il continente circostante il polo sud e opposto all’Artide; è dunque situato nell’emisfero australe della Terra e quasi interamente compreso entro il circolo polare antartico.
Con i suoi circa 14 milioni di km², l’Antartide è il quarto continente più vasto della Terra dopo Asia, America e Africa ed è circondata dai tre oceani: Pacifico, Atlantico e Indiano.
Tranne alcune aree molto limitate, l’Antartide è completamente ricoperta dalla calotta glaciale antartica, avente uno spessore medio di circa 2 000 metri; intorno a tutto il continente si estende inoltre la banchisa antartica. L’Antartide ha dunque il 98% del territorio coperto dai ghiacci e ciò la rende il continente più freddo e inospitale del pianeta.
ANTARTIDE DAL SATELLITE
– Opera propria usando: 2002 Blue Marble data @ http://visibleearth.nasa.gov/view_rec.php?id=2433
Antarctica (orthographic projection)
Tratto della costa antartica
– Opera propria
GHIACCI AUSTRALI NELLA BAIA DI NECCO, PENISOLA ANTARTICA
Pinguino imperatore- MARE DI ROSS
”’Photographer:”’ Michael Van Woert, 1999 * ”’Source:”’ NOAA Photo Library
testo e foto da :
https://it.wikipedia.org/wiki/Antartide#
ANSA –18 NOVEMBRE 2024 – 8.10
https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/terra_poli/2024/11/18/trovata-ambra-in-antartide-90-milioni-di-anni-fa-cerano-foreste_953af6a8-bf5a-458e-85cd-944d22e2f771.html
foto da Blasting News
Primo ritrovamento di ambra in Antartide, l’unico continente nel quale finora non era stata individuata la resina fossile: la sua presenza dimostra che 90 milioni di anni fa, nel Cretaceo, la parte occidentale del Continente Bianco era in realtà verde, ricoperta da foreste paludose di conifere.
per sapere di cosa si tratta, apri il link sotto:
una foresta di conifere paludosa
La scoperta è pubblicata sulla rivista Antarctic Science dal gruppo di ricerca internazionale guidato dall‘Istituto Alfred Wegener per la ricerca marina e polare (Awi) e dall’Università TU Bergakademie Freiberg in Germania.
I ricercatori hanno trovato l’ambra in una carota (= campioni di qualcosa che si estrae dal sottosuolo tramite il carotaggio ( = campioni cilindrici ) – Treccani ) di sedimenti prelevata dal fondale marino a una profondità di 946 metri durante una spedizione a bordo della nave rompighiaccio Polarstern nel 2017. Il reperto ha preso il nome di ‘Pine Island amber’ dalla località in cui è stato trovato, la più meridionale al mondo in cui sia mai stata recuperata dell’ambra.
MAPPA NASA – PINE ISLAND
“Iframmenti analizzati consentono di ottenere informazioni dirette sulle condizioni ambientali prevalenti nell’Antartide occidentale 90 milioni di anni fa”, afferma il primo autore dello studio Johann P. Klages, geologo marino dell’Awi.
“Questa affascinante scoperta indica inoltre in modo più dettagliato come avrebbe potuto funzionare la foresta che abbiamo ricostruito in un nostro precedente studio pubblicato su Nature nel 2020”, aggiunge l’esperto.
“È stato molto emozionante realizzare che,a un certo punto della loro storia, tutti i continenti avevano condizioni climatiche che consentivano la sopravvivenza di alberi che producevano resina. Il nostro obiettivo ora è scoprire di più sull’ecosistema della foresta: se è bruciato, se possiamo trovare tracce di vita incluse nell’ambra. Questa scoperta consente un viaggio nel passato in un altro modo ancora più diretto”.
Le analisi mediante microscopia a luce riflessa e a fluorescenza hanno rivelato che “l’ambra antartica probabilmente contiene resti della corteccia originale dell’albero sotto forma di micro-inclusioni”, aggiunge la ricercatrice Henny Gerschel. “Considerando le sue particelle solide, trasparenti e traslucide, l’ambra è di alta qualità e dunque è rimasta nascosta vicino alla superficie, perché altrimenti si sarebbe dissolta per effetto dello stress termico dovuto alla profondità”. Il team ha anche trovato tracce di resina che gli alberi usano per sigillare e proteggere la corteccia danneggiata da parassiti o incendi boschivi.
video del prof. Klages in tedesco con scritte in inglese – durata 2 minuti
ULTIMA NOTIZIA :
— direttore del museo, Mohammad Fahim Rahimi
https://www.facebook.com/mohammadfahim.rahimi/?profile_tab_item_selected=photos&_rdr
DA :
9 DICEMBRE 2021 FINESTRE SULL’ARTE
https://www.finestresullarte.info/attualita/kabul-riapre-dopo-4-mesi-museo-nazionale-afghanistan
DA REPUBBLICA– FEBBRAIO 2021 –LINK AL FONDO
Rimasto sepolto per due millenni, sopravvissuto alle guerre e scampato all’odio dei talebani. Oltre ventimila gioielli d’oro venuti da un’altra era: corone, collane, orecchini, amuleti, monete forgiati da tante civiltà diverse sono ora minacciati dalla violenza e dalla corruzione, tanto che si ipotizza di trasferirli all’estero prima che sia troppo tardi
La corona d’oro trovata nelle tombe di Tillya Tepe (Afghanistan). Appartiene ad una collezione di oltre 20.000 oggetti che testimoniano l’importanza dell’Afghanistan come crocevia delle differenti culture dell’antichità. Tutti gli oggetti sono conservati nel museo nazionale di Kabul.
Alla fine del 1978, una spedizione universitaria sovietica si mette a scavare nell’area di Tillya Tepe, nel nord dell’Afghanistan. Un nome promettente: significa “collina d’oro”. L’archeologo Viktor Sarianidi è un esperto dell’età del bronzo e sta studiando le rovine di un santuario fortificato del mille avanti Cristo. Tra la terra però compare una medaglia d’oro, chiaramente ellenistica: la prima traccia che lo porta a scoprire le tombe di un sovrano e di cinque principesse, onorate con un corredo di meraviglie. La testimonianza della ricchezza del loro popolo, gli Yuezhi, un’orda nomade che nel primo secolo dopo Cristo piombò dalla Cina con centomila arcieri a cavallo e travolse la dinastia insediata da Alessandro nella più orientale delle sue conquiste: la Battria.
Questo regno sorto tra Pakistan e Afghanistan dominava la via della Seta e in questo crocevia di commerci si era forgiata una cultura cosmopolita, un luogo fantastico dove scompariva il confine tra Europa e Asia. I suoi abitanti scrivevano in greco e in persiano ma adoravano Budda, a cui dedicavano statue nello stile di Atene. Usavano corazze romane e archi partici. Indossavano abiti cinesi e copricapi sciti. Il tesoro Tillya Tepe è specchio di questo intreccio di influenze: sesterzi di Tiberio coniati in Gallia e dracme di Mitridate provenienti dalla Mesopotomia, amuleti della steppa costellati di pietre preziose e cinture iraniane con simboli di leoni. C’era persino una medaglia con una delle più antiche rappresentazioni di Budda, che lo ritrae con l’elmo ellenistico di Hermes. Ben 20.600 pezzi, tutti d’oro o argento, scelti per accompagnare i nobili nell’oltretomba. Colpisce soprattutto una delle corone: un diadema composto da minuscole foglie, alternate a fiori e petali. Un capolavoro che imita quelli delle regine di Alessandria o Pella, reso però unico dai richiami agli stili orientali.
Le tombe sono nella tradizione dei popoli della Siberia, primordiali nella struttura ma raffinatissime nelle decorazioni dipinte sul legno o incise nel cuoio. Tutte le salme avevano abiti lussuosi: pantaloni anche per le donne, su cui poi indossavano una tunica. Al centro c’era l’uomo: un cavaliere, inumato assieme al suo stallone preferito, a due archi, a due pugnali rituali e alla lunga spada decorata con figure di belve. La testa poggiata su un cuscino di seta, adagiato sopra un piatto d’oro. Al collo una collana massiccia, al dito un sigillo alessandrino. La cintura era ornata da nove medaglioni, con un leone accanto alla versione iraniana di Artemide. Tutto oro, sempre oro. Ancora più magnificenti le sepolture femminili. Decorazioni con miti greci: Venere ed Eros, Dioniso e Ariadne. Le donne avevano una moneta nella mano e una in bocca, per pagare il pedaggio a Caronte come si faceva in Grecia. C’erano specchi cinesi e un pettine d’avorio, identico a quello scoperto nelle ceneri di Pompei. Gli artisti della Battria in alcuni casi avevano dimostrato la loro personalità inserendo turchesi nei gioielli.
La facciata del Museo Nazionale dell’Afghnistan a Kabul- costruito nel 1922
– National Museum
Entrata del Museo
Masoud Akbari, 2013
Il Museo nel 2005
– https://www.flickr.com/photos/mastababa/2533420985/
Mohammad Fahim Rahimi, direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan, davanti all’ingresso chiuso
Collana di Tillya Tepe, I secolo. Collezione del Museo Nazionale dell’Afghanistan, Kabul
“Quel tesoro ha scioccato il mondo dell’archeologia – ha scritto lo studioso statunitense Fredrik Hiebert – In nessun altro luogo nell’antichità erano radunati così tanti oggetti di così tante culture differenti”. Gli esami successivi sosterranno che non si tratta di oggetti importati, ma il prodotto cosmopolita degli orafi locali, che avevano assimilato canoni e divinità di civiltà diverse. “Questi nomadi avevano preso le iconografie dalla Grecia, da Roma, dalla Persia, dalla Cina, dall’India e persino dalla remota Siberia e le avevano trasformate nel loro stile unico e raffinato: erano creatori, non collezionisti”, sancisce Hiebert. È considerata una delle scoperte più importanti in assoluto, inferiore solo al ritrovamento della camera mortuaria di Tutankhamon.
La spedizione non voleva fermarsi. Aveva già individuato una settima tomba da scavare e studiava una collina a poche centinaia di metri, forse un castello. Ma la situazione in Afghanistan sta degenerando e la sicurezza sul territorio diventa labile: una tribù locale a caccia di bottino comincia a minacciare il cantiere. E nel dicembre 1979 un’altra invasione cambia il corso della storia: l’Armata Rossa entra in Afghanistan, dando il via a un conflitto di intensità crescente. La resistenza scatenata dai mujaheddin però non si spinge fino a Kabul, dove gli archeologi consegnano il Tesoro alle autorità governative filo-russe. Una selezione dei capolavori viene esposta nel Museo nazionale e le immagini trapelano in Occidente: gioielli difficili da esaminare e visitare, in qualche modo ostaggio degli avvenimenti.
Dieci anni dopo Gorbaciov ritira le truppe e il governo Najibullah si trincera nella capitale. Con la fine dell’Urss terminano gli aiuti militari e i comandanti mujaheddin vanno all’assedio della città. Le cannonate iniziano a piovere sui palazzi del potere e il direttore del museo Omara Khan Masoudi organizza il trasferimento degli ori nel Palazzo presidenziale. Una scelta lungimirante: un missile devasterà le sale, spazzando via il tetto, mentre tra razzi e furti oltre il 70 per cento dei reperti esposti scompariranno. Nella duplice battaglia combattuta tra le case di Kabul – la prima tra le truppe governative e i signori della guerra, che poi vengono a loro volta sconfitti dai talebani – dei gioielli di Tillya Tepe si perdono le tracce. La loro sorte diventa un mistero. C’è chi li ritiene trasportati a Mosca, ultima preda sovietica. Chi sostiene siano stati fusi da Najibullah per comprare armi. Chi li vuole derubati da Massud, il celebre comandante dell’Alleanza del Nord poi assassinato da Al Qaeda alla vigilia dell’11 settembre. Chi invece li crede contrabbandati sul mercato nero.
Invece il direttore Masoudi aveva fatto le cose per bene. Si era rivolto a pochi dipendenti di fiducia assoluta. Di notte avevano spostato i gioielli nel sotterraneo della Banca Centrale, costruito cinque metri sotto il palazzo presidenziale: l’edificio più sicuro della capitale, quello dove erano custodite le riserve statali d’oro e d’argento. Le meraviglie erano stati chiuse in sei vecchi forzieri: antenati delle cassaforti, che non davano nell’occhio, sistemati in un locale secondario del grande caveau. I sei chiavistelli erano stati consegnati ad altrettante persone. Un’operazione nel silenzio totale, senza lasciare nulla di scritto.
Omara Khan Masoudi, Direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan, parla all’inaugurazione della mostra “Afghanistan Crossroads of the Ancient World” al British Museum il 1° marzo 2011 a Londra, Inghilterra
Una volta diventati padroni della città, ovviamente i talebani li avevano cercati. Per prima cosa hanno prelevato il direttore Masoudi, interrogandolo a lungo. Ma lui ha detto di non saperne nulla, conscio di rischiare la vita. E col tempo anche i miliziani integralisti si sono convinti che il tesoro fosse stato portato via. Nel marzo 2001, nella fase più brutale del loro potere assolutista, penetrano nel museo e distruggono gli oggetti con forme umane, considerate eretiche: spezzano statue, bassorilievi, monili, oltre duemila reperti vengono cancellati per sempre. Poi quando dopo l’11 settembre gli americani cominciano a colpire la capitale, una delegazione di governatori talebani si presenta nel sotterraneo. Puntano le armi contro il funzionario che sin dagli anni Ottanta aveva conservato le chiavi di casseforti e porte blindate, ordinandogli di aprire. Ameruddin Askarzai, l’unico dipendente della banca centrale a conoscenza del segreto, obbedisce. Nel caveau ci sono lingotti d’oro e d’argento, la riserva accumulata ai tempi della monarchia da cui dipendeva la quotazione della valuta nazionale. I talebani notano una porticina nell’angolo. “Lì cosa c’è?”, chiedono. “Una collezione di vecchie ceramiche”, gli risponde Askarzai. Corre un rischio enorme: se l’avessero smascherato, sarebbe stato torturato a morte. Ma ha fortuna: i fondamentalisti escono, senza prendere nulla: il Tesoro è salvo.
Allora l’impiegato, d’impulso, compie un gesto ancora più temerario: mentre chiude la porta blindata, davanti a loro, fa in modo di spezzare la chiave. Una parte resta nella serratura e tutta la riserva viene sigillata. “Non volevo che portassero l’oro fuori dal Paese: appartiene al popolo dell’Afghanistan”, dirà anni dopo Askarzai. Una mossa fondamentale, perché pochi giorni dopo i talebani si preparano a fuggire e tornano al caveau per prelevare i lingotti. Askarzai allarga le braccia: “Non si può, la chiave è rotta. Lo hanno visto pure i vostri ministri…”. Gli uomini sono furiosi, scaricano i kalashnikov in aria per intimidirlo. Ma non c’è nulla da fare. Arraffano oltre quattro milioni di dollari in contanti, custoditi in un’altra cassaforte, poi puniscono il funzionario gettandolo in prigione e frustandolo a sangue.
Anche quando la capitale viene liberata dall’Alleanza del Nord e dalle avanguardie statunitensi, Askarzai resta in prigione, dimenticato da tutti. Finché il nuovo presidente Ahmid Karzai si pone il problema di rimettere in funzione la banca centrale e scopre che l’unico funzionario è in cella. Viene rilasciato dopo quasi quattro mesi, torna al suo tavolo, fa riparare la porta blindata e mette i lingotti a disposizione del governo. Ma continua a tacere sul Tesoro.
Il direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan, all’inaugurazione della mostra “Afghanistan nascosto”, Amsterdam
Askarzai, Masoudi e gli altri custodi del segreto non sono solo coraggiosi, ma anche scaltri. Sanno che la corruzione a Kabul è onnipresente, a qualsiasi livello. E non si fidano della confusione di quel periodo, tra vendette tribali, mercenari stranieri e autorità incerte. Aspettano di capire cosa succede. Stanno zitti per altri tre anni. E soltanto quando la situazione pare stabilizzata e il Paese sulla via della pacificazione, decidono di parlare. Ad aprile 2004 c’è la riconsegna ufficiale. Con un problema tecnico: le chiavi sono andate perse, bisogna scassinare i sei forzieri con una sega circolare. Quando si spengono le scintille, ricompare lo splendore: “E’ stata un’emozione incredibile – ricorda l’archeologo statunitense Fredrik Hiebert – Temevo di trovarmi davanti una massa di metallo fuso, invece erano intatti!”.
Un miracolo. La lista è completa: 20.600 pezzi, nemmeno uno è andato smarrito. Il direttore Masoudi ricostruisce il museo con le sovvenzioni internazionali: riceve gli ospiti accanto al mappamondo, dono dell’ultimo re afgano, ammaccato per le esplosioni. Solo pochi reperti vengono esposti, per la gioia di rari visitatori, gli altri finiscono in moderne cassaforti. Nel giro di pochi anni, però, la situazione a Kabul riprende a peggiorare. Ricominciano gli attentati, c’è il rischio di rapine e soprattutto fa paura la corruzione, che dilaga in ogni palazzo del potere. Masoudi prende ancora una volta una decisione saggia: mandare gli ori più preziosi in tour all’estero. Un modo di raccogliere finanziamenti per realizzare un nuovo museo e soprattutto di affidare il tesoro in mani più sicure. Per tredici anni le meraviglie di Tillya Tepe viaggiano in tredici nazioni e vengono ammirati in Francia, Stati Uniti, Inghilterra, Germania. “La guerra ha distrutto così tanto, per questo tutto ciò che possiamo fare per mostrare la nostra civiltà antica – in patria e all’estero – ci rende orgogliosi”, dichiara Masoudi.
Chi conosce l’Afghanistan sa che il concetto di orgoglio non è retorico. E’ un pilastro dell’identità di questo popolo, sopravvissuto durante quarant’anni di orrore. Non è un caso, se il Paese viene chiamato la tomba degli imperi: britannici e sovietici, al massimo della loro potenza, sono dovuti fuggire da questa terra. E ancora oggi è l’orgoglio che spinge decine di migliaia di afgani a lottare contro i talebani, combattendo e resistendo praticamente da soli alla riscossa della violenza fondamentalista.
Dopo il ritiro americano voluto da Donald Trump, in queste settimane l’offensiva talebana si fa sentire anche nelle strade della capitale, con esecuzioni contro militari, giudici, attivisti, religiosi. Gli attentati ormai sono quotidiani. Più delle bombe e dei Kalashnikov, però, preoccupa la corruzione che divora le istituzioni del Paese. Un rapporto statunitense ha messo nero su bianco la vastità delle ruberie: dall’aeroporto di Kabul partono in continuazione valigie piene di dollari, portate all’estero dalla cleptocrazia che si impadronisce dei finanziamenti internazionali.
In questo clima di dissoluzione, l’intero Parlamento la scorsa settimana ha posto la questione del Tesoro: “Se la corruzione continua in questo modo, siamo certi che neppure quei gioielli saranno al sicuro”, ha detto il presidente Mir Rahman Rahmani: “Il governo è responsabile di questo saccheggio, come possiamo fidarci?”. “Il popolo non crede più nel governo e temiamo per la sorte del Tesoro”, gli ha fatto eco la deputata Niloofar Ebrahimi, medico e impegnata per i diritti delle donne: la sua è una famiglia antica, radicata nella regione ricca di lapislazzuli dove Alessandro il Grande fondò il suo regno.
La soluzione? Pensare al domani salvando il passato. Qualunque cosa accada, l’Afghanistan continuerà ad esistere se la sua storia sopravviverà: una storia alimentata dall’incontro di popoli, culture e religioni diverse. Come gli ori di Tillya Tepe. Ed ecco la proposta del Parlamento, l’unica strada per garantire la sicurezza del Tesoro: mandarlo all’estero, nel caveau di una nazione amica. Aspettando che a Kabul torni il tempo della pace e della tolleranza.
da:
REPUBBLICA 6 FEBBRAIO 2021
https://www.repubblica.it/esteri/2021/02/06/news/afghanistan_la_battaglia_del_tesoro_di_alessandro_magno-285997232/
da wikipedia:
Si ritiene che il sito appartenesse molto probabilmente agli Yuezhi (futuri Kushan), in alternativa potrebbe essere appartenuto ai Saci (Sciti asiatici), che in seguito sarebbero migrati in India, noti come Indo-Sciti. Diversi manufatti sono altamente coerenti con un’origine scita, come la corona reale o i pugnali decorati polilobati scoperti nelle tombe. Diversi corpi presentavano una deformazione rituale del cranio, una pratica ben documentata tra i nomadi dell’Asia centrale dell’epoca.
Questi gioielli hanno molto in comune con i famosi manufatti d’oro sciti recuperati a migliaia di chilometri a ovest sulle rive del Bosforo e del Chersoneso. Tuttavia, un elevato sincretismo culturale pervade i reperti. Le influenze culturali e artistiche ellenistiche si ritrovano in molte forme e raffigurazioni umane (dagli amorini agli anelli con la raffigurazione di Atena e il suo nome inciso in greco), attribuibili all’esistenza dell’impero seleucide e del regno greco-battriano nella stessa area fino al 140 a.C. circa, e al perdurare del regno indo-greco nel subcontinente indiano nord-occidentale fino all’inizio della nostra era.
I manufatti erano anche mescolati con oggetti provenienti da molto più lontano, come alcuni manufatti cinesi (soprattutto specchi cinesi in bronzo) e alcuni indiani (piatti d’avorio decorati). Ciò sembra testimoniare la ricchezza di influenze culturali nell’area della Battriana in quel periodo.
SEGUE DA :
REPUBBLICA DEL 23 SETTEMBRE 2021
KABUL. “Non posso dirvi dove sia, né fare alcun commento. È un argomento delicato”, dice Mohammad Fahim Rahimi, direttore del Museo Nazionale dell’Afghanistan. Dove sia il tesoro di Bactrian, una delle cinque collezione di ori – circa 22 mila pezzi – più importanti al mondo, è un mistero. Qualcuno dice che sia all’estero tenuto nascosto, qualcuno che è già nelle mani dei talebani, qualcun altro che è stato diviso e messo in vari posti. L’unica certezza è che il suo valore è inestimabile, che potrebbe fare gola a molti trafficanti e che ad un governo che ha bisogno di soldi e che non vanta un amore sfrenato per la Storia antica, potrebbe essere utile.
La corona d’oro trovata nelle tombe di Tillya Tepe (Afghanistan). Appartiene ad una collezione di oltre 20.000 oggetti che testimoniano l’importanza dell’Afghanistan come crocevia delle differenti culture dell’antichità. Tutti gli oggetti sono conservati nel museo nazionale di Kabul.
un uomo con i dragoni
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Amorini che cavalcano un delfino
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Piatto di Cibele
due foto sopra
da : https://www.athenaartfoundation.org/new-closelookatafghanistan
IL REGNO GRECO- BACTRIANO DURANTE IL SUO PERIODO DI PROSPERTITA’- CIRCA 180 ANNI A.C.
DA : https://it.wikipedia.org/wiki/Jowzjan
Nella Provincia di Jowzjan– si trova Tillyan Tepe nei pressi di Sheberghān, capitale della provincia
cartina dell’Afghanistan — Tillia Tepe è più o meno
all’ altezza di Mazar-e-Sharif
Anelli; quello a sinistra rappresenta Atena. Tomba II.
. World Imaging
Collana. Tomba II.
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Soldato greco in armatura. Tomba III.
– Opera propria
Corona d’oro dalla tomba IV
World Imaging
Cintura d’oro, con raffigurazioni di Dioniso (o della dea sincretica iraniana Nana ) a cavallo di un leone. Tomba IV
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Afrodite della Battriana _ Tillia Tepe
Ismoon (talk)
decorazioni di vestiti
una moneta d’oro
Recipiente d’oro
– Flickr
orecchini
– Opera propria
una spada d’oro+ un’altra
le due da : Artacoana
una collana d’oro e altro materiuale ( forse legno?)
– Opera propria
elementi di ornamento, forse bracciali- oro e turchesi
foto del Brtitish Museum
un piatto d’oro
guaina- contenitore di tre coltelli
le foto sopra dove non c’è l’autore sono di:
Opera propria
–
quasi tutte le foto di gioielli viste sopra sono di:
https://it.wikipedia.org/wiki/Tillia_Tepe#/map/0
oppure di:
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Tillya_Tepe?uselang=it
ANSA.IT / VIDEO GALLERY — 17 NOVEMBRE 2024- 8.43
SEGUE DA :
ROLLINGSTONE — 12 OTTOBRE 2021 –
Per la galassia dell’estrema destra italiana, Roberto Fiore non è soltanto una specie di divinità pagana, ma una costante incrollabile: c’era nel 1979 quando, appena 19enne, dopo mesi di incontri e lavori preparatori presso la Libreria Romana di Walter Spedicato, assieme a Giuseppe Dimitri e Roberto Adinolfi fondò Terza Posizione, un movimento fondato su una presunta equidistanza dalla sinistra marxista e dalla destra capitalista e conservatrice (la “terza posizione”, per l’appunto). C’era nel 1997, quando tornò in Italia dopo un lungo intermezzo londinese – dovuto alla necessità di sfuggire a un ordine di cattura per il suo presunto coinvolgimento nella strage della stazione di Bologna – e una carriera imprenditoriale di assoluto successo: arricchito di capitali e conoscenze, preparò il terreno per la nascita di Forza Nuova, un nuovo soggetto politico animato dall’ambizione di entrare in Parlamento con propri rappresentanti e riuscire, finalmente, a re-istituzionalizzare il fascismo.
C’era nel 2000, quando il simpatizzante Andrea Insabato, ex militante di Terza Posizione coinvolto in alcune inchieste sui Nuclei Armati Rivoluzionari, fece esplodere un ordigno nella sede del manifesto. E c’era anche questo sabato scorso, quando ha guidato l’assalto alla CGIL assieme al leader romano di Forza Nuova, Giuliano Castellino, il culmine di un processo iniziato mesi fa, quando il movimento ha deciso di aderire alla coalizione Italia Libera insieme a movimenti No Mask e i Gilet Arancioni dell’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, attestandosi la regia di una parte delle proteste contro l’estensione dell’obbligo di Green Pass.
Quella di Roberto Fiore è stata una vita in chiaroscuro, in costante bilico tra legittimità e clandestinità e caratterizzata da una fede incrollabile negli ideali del Ventennio e da un assetto talmente radicale da non ammettere alcun compromesso, come dimostra la sua presa di distanza da CasaPound, sempre avversata per via della sua laicità – Fiore è anche cattolico e vicino ai movimenti pro-vita – e della sua cultura organizzativa, reputata eccessivamente vicina a quella dei centri sociali dell’odiata sinistra.
Alla militanza politica, Fiore affianca una biografia quasi hollywoodiana che, nel corso degli anni, gli ha consentito di balzare agli onori della cronaca come uno strano ibrido tra il Berlusconi pre-Tangentopoli e un James Bond in salsa neofascista: durante il periodo londinese, scandito dai suoi rapporti con il leader del British National Party Nick Griffin e dalla presenza costante del terrorista e cantautore Massimo Morsello (ex membro dei NAR), Fiore ha dato avvio alla sua prima creatura imprenditoriale, Easy London, una società (tuttora esistente) che offre servizi e assistenza a coloro che vogliono andare in Gran Bretagna per brevi e lunghi periodi, come vacanze studio e attività di supporto per l’ottenimento dei documenti necessari per lavorare.
Easy London diventò il primo tassello di un piccolo impero economico che, col tempo, si è arricchito di un ricco portafoglio di proprietà immobiliari – secondo alcune fonti, Fiore sarebbe arrivato a fatturare fino a 30 milioni di euro. Nel 1985 fu condannato in contumacia con l’accusa di banda armata e associazione sovversiva, ma il governo britannico ne vietò l’estradizione. Da quel momento in poi, anche grazie a un’inchiesta condotta dalla rivista antifascista inglese Searchlight, le voci e le dietrologie relative a una sua presunta affiliazione con i servizi segreti britannici dell’MI6 si fecero sempre più insistenti, e furono confermate qualche anno più tardi da una Commissione europea d’inchiesta su razzismo e xenofobia.
L’anno dopo, Fiore e Morsello inaugurarono Meeting Point, una finanziaria collegata a Easy London che arrivò a possedere circa 1300 appartamenti da destinare agli studenti italiani desiderosi di studiare in Inghilterra: un espediente che consentì loro di fiancheggiare la latitanza di diversi latitanti d’estrema destra italiani e di rinsaldare alleanze internazionali talmente salde da durare tuttora.
Nel 1999, quando i suoi capi d’imputazione erano ormai caduti in prescrizione, Fiore tornò a poter godere dello status di uomo libero a tutti gli effetti: Forza Nuova, però, fu fondata il 29 settembre di due anni prima a Cave, in provincia di Roma, in occasione di una manifestazione organizzata da Francesco Pallottino, leader del gruppo di musica alternativa di destra Intolleranza.
Dopo parentesi elettorali abbastanza sfortunate, come l’esperienza del cartello Alleanza Tricolore guidato da Alessandra Mussolini, Fiore e Forza Nuova hanno agito sempre ai margini della politica istituzionale, in particolare sul fronte della “tutela della vita” e dei movimenti pro life: nel 2015, durante un convegno tenuto presso il Pirellone di Milano e intitolato La croce: un segno, un simbolo, giunse a dichiarare che “La teoria del gender è come l’Isis, perché minaccia la società e è un attacco alla nostra identità. In un momento difficile dovremmo ripristinare i veri valori, mentre la propaganda gay incrementa ancor di più il già preoccupante calo demografico italiano”.
Oggi, Roberto Fiore è tornato a far parlare di sé per i fatti di Roma – per i quali è stato arrestato, insieme ad altre 11 persone. Ma la sua capacità di combinare la carriera e la politica di estrema destra, l’imprenditoria e l’azione ai margini della legalità (o direttamente fuori da essa) è una caratteristica rilevante per capire il neofascismo italiano attuale, che dall’esperienza di Fiore ha appreso delle lezioni diventate una vera e propria strategia – come ha dimostrato di recente l’inchiesta “Lobby nera” svelando i legami tra la galassia neofascista e un’associazione apparentemente benefica e apolitica come il Banco Alimentare.
mi pare interessante qualche accenno che il Prof. Cacciari fa sulla Riforma del Welfare ( ” fatto tutto in debito, non si poteva continuare così ” ), sul fisco.. e qualche valutazione politica sul governo in carica, il tutto a suo modo-
Cacciari parla subito all’inizio
al minuto 9.14 17.13 / 23.09 / 27.33
Non aggiungerei che se non lo sentite perdete qualcosa di importante, sono piccoli spunti su cui riflettere, chiara
video, durata totale, 32 min. ca–
Foto da Kayak
FOTO Museo di Torino
foto da https://www.harpersbazaar.com/
REDAZIONE 31 OTTOBRE 2024
FINESTRE SULL’ARTE.INFO
https://www.finestresullarte.info/mostre/mostra-blake-e-la-sua-epoca-venaria-reale
La Reggia di Venaria conclude la trilogia dedicata al Romanticismo inglese ospitando una mostra esposizione su William Blake (Londra, 1757 – 1827), uno dei più visionari artisti della storia dell’arte. Dal 31 ottobre 2024 al 2 febbraio 2025, nelle Sale delle Arti del maestoso complesso alle porte di Torino, si terrà Blake e la sua epoca. Viaggi nel tempo del sogno, una mostra realizzata in collaborazione con la Tate UK, che presenta al pubblico 112 opere del maestro britannico. Curata da Alice Insley, storica dell’arte esperta di arte britannica (1730-1850) presso la Tate, l’esposizione rappresenta un’occasione unica per esplorare l’immaginario mistico e simbolico di Blake, un artista la cui opera è stata rivalutata e riconosciuta solo molti anni dopo la sua scomparsa.
La mostra intende offrire ai visitatori la possibilità di esplorare non solo l’arte di Blake ma anche il contesto culturale e intellettuale in cui si sviluppò. L’artista è spesso associato a un approccio mistico alla realtà e a un uso simbolico della rappresentazione, elementi che si riflettono nella struttura della mostra, che mira a ricostruire l’intero universo visionario dell’artista attraverso un racconto per immagini e temi simbolici.
Grazie a prestiti eccezionali e alla collaborazione con la Tate UK, i visitatori potranno vedere dal vivo le sfumature di colore, i dettagli iconografici e i simboli che rendono unica l’opera di Blake, esplorando il suo profondo interesse per il gotico, il soprannaturale e la dimensione spirituale dell’esistenza umana.
Lascio anche la foto grande per i dettagli: mi sembra che valga la pena vederne due
Pittore, incisore e poeta, William Blake fu una figura centrale della cultura inglese del Romanticismo, il cui lavoro, permeato di simbolismo e riferimenti mistici, ha influenzato generazioni di artisti e scrittori. Durante la sua vita, Blake rimase in gran parte ignorato dal pubblico e dall’élite culturale, ma la sua opera è oggi considerata un esempio di espressione visionaria senza precedenti. La mostra, pensata per riportare in vita l’immaginazione e l’energia che pervadevano il suo lavoro, invita i visitatori a un “viaggio nel tempo del sogno” in un periodo di grandi cambiamenti e conflitti, in cui l’arte e la letteratura britanniche cercavano nuovi linguaggi espressivi.
Blake visse in un’epoca di grandi trasformazioni sociali e politiche, dalla Rivoluzione Americana a quella Francese, eventi che influenzarono profondamente il suo pensiero e le sue creazioni.
La mostra analizza questi cambiamenti attraverso una struttura tematica, che presenta le opere di Blake accanto a quelle di artisti contemporanei e successivi, ispirati dal suo stile e dalla sua visione. Ogni sezione illustra un aspetto chiave dell’immaginario blakiano, con titoli evocativi come :
Incantesimi, Creature fantastiche, Orrore e Pericolo, Il Gotico, Satana e gli Inferi.
William Blake, Giuda lo Tradisce (1803-1805 circa; inchiostro, grafite e acquerello su carta; Londra, Tate). Foto: Tate
Theodor von Holst, Gli amanti delle Fate (1840 circa; olio su tela; Londra, Tate). Foto: Tate
Edward Dayes, La caduta degli angeli ribelli (1798; acquerello, gouache, inchiostro e oro su carta; Londra, Tate). Foto: Tate
William Blake è uno dei più celebri artisti romantici britannici. La straordinaria originalità della sua arte e poesia continua a ispirare ancora oggi. Ma non era l’unico: molti artisti abbracciarono l’irrazionale e l’emotivo, affrontarono temi altamente soggettivi e cercarono una rinnovata spiritualità o una via di fuga durante quei decenni.
Come Blake, rispondevano a un mondo in fermento. L’immaginazione romantica che emerse in Gran Bretagna nacque dall’umiliante sconfitta nelle guerre d’indipendenza americane, dalle onde d’urto delle rivoluzioni francese e haitiana degli anni Novanta del Settecento, dalle difficoltà delle lunghe guerre con la Francia, da anni di disordini politici e sociali in patria e dal rapido ritmo dello sviluppo tecnologico e industriale. L’arte di Blake e dei suoi contemporanei rivela lo spirito della loro epoca.
La mostra si apre con la sezione Orrore e Pericolo. Di fronte ai grandi cambiamenti e fermenti, molti artisti hanno cercato di adattarsi ai profondi sconvolgimenti del mondo che li circondava. Questo comportò l’abbracciare il sublime, creando arte che potesse suscitare emozioni di paura e stupore, piuttosto che essere semplicemente bella. Questi temi aprirono nuove possibilità immaginative agli artisti romantici. Essi potevano ormai raffigurare soggetti sconvolgenti, persino inquietanti, suscitando una maggiore gamma di risonanze emotive. Nell’opera di Blake ciò si esprime attraverso corpi contorti e conturbanti e l’illustrazione dell’angoscia e del tormento. Tra i suoi contemporanei proliferano i temi più cupi della prigionia, della follia, dell’orrore, del pericolo e della malattia, così come le immagini drammatiche della natura. Gli artisti inglesi esplorarono sempre più il potere e i pericoli del mondo naturale, distorcendo la luce, le proporzioni e lo spazio per suscitare le emozioni dello spettatore.
La seconda sezione è Creature fantastiche. Alla fine del XVIII secolo abbondavano le immagini del soprannaturale e del fantastico, del sorprendente e del mostruoso. Queste creature stravaganti davano libero sfogo all’immaginazione degli artisti e soddisfacevano il nuovo gusto per lo sconvolgente e il terrificante. In un mondo in cui gli ideali illuministici e il progresso erano sempre più messi in discussione, l’irrazionale e l’ultraterreno sembravano molto più attraenti. Si dice che i mostri di Blake gli apparissero in visioni. Altri artisti, nel frattempo, si rivolsero alle apparizioni, alle streghe e ai mostri della letteratura e del folklore, comprese le creature di Shakespeare e della tragedia greca.
Con il fiorire della satira grafica in questi anni, queste creature fantasiose o grottesche acquisirono una nuova nitidezza, mettendo a nudo i vizi della società contemporanea. Si continua poi con la sezione Incantesimi. Sebbene molte persone considerassero le fate e gli spiriti come una finzione o una superstizione, essi continuarono a essere presenti nelle arti visive dell’epoca. Artisti come Blake e Heinrich Füssli diedero nuova vita immaginativa al regno delle fate e degli spiriti.
Le loro immagini erano spesso popolate da personaggi femminili, che apparivano in modi seducenti e incantevoli. Le fate si intrecciarono strettamente con le donne di fantasia nell’arte e nella letteratura dell’epoca, offrendo una sorta di piacere proibito agli spettatori. Entrambe potevano essere pericolose nella loro appetibilità, riflettendo le ansie contemporanee sulla sessualità femminile. Potevano anche rappresentare l’immaginazione stessa, suggerendo la sua libertà ma anche l’effetto potenzialmente trasformativo sul soggetto e sul corpo, nel bene e nel male.
Proseguendo, la quarta sezione è Romanticizzare il Passato: i tempi passati erano una ricca fonte di ispirazione per Blake e i suoi colleghi artisti. In mezzo alle difficoltà e alle tensioni delle lunghe guerre con la Francia, le immagini e le storie del passato britannico potevano ispirare l’orgoglio nazionale, dare un senso di evasione o trasmettere messaggi contemporanei. Le lingue celtiche e nordiche, il folklore, l’arte e l’architettura acquistarono un nuovo fascino. Per gli artisti britannici, l’antico bardo assunse nuova forza come simbolo di resistenza e di sfida. Anche Shakespeare fu riscoperto in questi anni e le sue opere permisero di immaginare nuovamente un eroico passato nazionale. Anche la campagna inglese, le sue rovine e le sue chiese, si caricarono di un nuovo significato. Alcuni artisti, tra cui Blake, adottarono persino stili e tecniche artistiche storiche nel tentativo di entrare in contatto con le epoche passate.
La quinta sezione si intitola Il Gotico. Il primo vero incontro di Blake con l’arte gotica avvenne quando era un giovane apprendista incisore che disegnava tombe nell’Abbazia di Westminster. Nel corso della sua vita, il gotico divenne centrale nella sua visione artistica, rappresentando un’arte spirituale e viva, un ideale senza tempo. Ma Blake non era il solo. Il Medioevo ha stimolato l’immaginazione romantica di artisti e scrittori come nessun’altra epoca passata. Questo ha assunto molte forme, dallo studio ravvicinato delle chiese gotiche all’esplorazione delle qualità evocative di antiche rovine e castelli, fino all’adozione di stili più lineari e precisi. Poteva inoltre essere interpretato in molti modi: per alcuni il gotico rappresentava una tradizione nazionale, per altri un vecchio ordine opprimente, per altri ancora poteva esprimere libertà politica e immaginativa, la possibilità di un cambiamento.
Infine, chiusura con la sezione Satana e gli Inferi. Gli artisti guardavano al passato così come immaginavano il futuro. Le catastrofi e i traumi degli anni 1790 e 1800, gli anni della rivoluzione e della guerra, della violenza brutale e dei sogni di libertà, sembravano inaugurare una nuova era. Come questa fosse si poteva solo intuire, suscitando sia la paura di orrori mai visti prima, sia la speranza di una trasformazione e redenzione. Non era più fantasioso credere che le profezie bibliche sulla fine del mondo si stessero avverando. Gli artisti diedero espressione visiva a questo senso di apocalisse imminente, riflettendo le ansie del loro tempo. Blake – che trascorse gli ultimi anni della sua vita a raffigurare i tormenti dei gironi infernali danteschi – non fu il solo a rappresentare soggetti satanici e infernali. Il destino e la rivelazione diventarono qualcosa di sensazionale.
Oltre alle opere bidimensionali, l’esposizione offre un’installazione multimediale in collaborazione con Blinkink e il regista Sam Gainsborough, una produzione esclusiva per la mostra alla Reggia di Venaria che proietta i visitatori nell’universo immaginario di Blake. Quest’installazione, accompagnata dalla colonna sonora elettronica di Aphex Twin, anima alcune delle opere più iconiche dell’artista, riproducendo su grande scala dipinti come La forma spirituale di Pitt che guida Behemoth, un’opera che Blake avrebbe voluto esporre come monumento pubblico, con dimensioni che raggiungessero i 30 metri di altezza, in omaggio alla “grandezza della nazione”.
Tra i pezzi forti della mostra vi è infatti questo visionario dipinto che rappresenta l’ex primo ministro William Pitt come un comandante biblico al centro di una scena apocalittica, un’immagine suggestiva e inquietante che riflette la concezione di Blake del potere e del patriottismo, tra devozione alla patria e critica alle sue derive.
Ingresso compreso nel biglietto Tutto in una Reggia o con i biglietti singoli della mostra – Intero: 12 euro, Ridotto: 10 euro (gruppi di min. 12, max. 25 persone e quanti previsti da Gratuiti e Ridotti), Ridotto ragazzi: 6 euro (under 21 -ragazzi dai 6 ai 20 anni- e universitari under 26), Scuole: 3 euro (classi minimo di 12, massimo 25 studenti, ingresso gratuito per 1 accompagnatore ogni 12 studenti). Gratuito: minori di 6 anni e quanti previsti da Gratuiti Diritti di prenotazione sull’acquisto dei titoli d’accesso per i gruppi (minimo 12, massimo 25 persone): 15 euro a gruppo – 7 euro a classe.
Per ulteriori informazioni: lavenaria.it – residenzerealisabaude.com
Titolo mostra | Blake e la sua epoca. Viaggi nel tempo del sogno |
Città | Venaria Reale |
Sede | Reggia di Venaria |
Date | Dal 31/10/2024 al 02/02/2025 |
Artisti | William Blake |
Curatori | Alice Insley |
Temi | Ottocento, Romanticismo, Arte Moderna |