La stazione di Figueras, Salvador Dalì — 1924 — da — WIKIART

 

 

La Stazione di Figueras, 1924 - Salvador Dalì

 

 

 

https://www.wikiart.org/en/salvador-dali/the-station-at-figueras

 

 

 

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CHIARA COLOMBINI, ANCHE I PARTIGIANI PERO’.. / FAST CHECKING — LATERZA, 2021 —

 

 

 

Anche i partigiani però... - Chiara Colombini - copertina

 

Anche i partigiani però…

Laterza, 2021

 

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RAI CULTURA — NOVEMBRE 2021

https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2021/11/Chiara-Colombini-I-giovani-che-fecero-la-Resistenza—0c261cee-d5f4-45e7-b73b-769321c02138.html

 

 

Chiara Colombini contro i pregiudizi sui partigiani - La Stampa

foto La Stampa

 

Chiara Colombini  ( SAVIGLIANO, pr. Cuneo, 1973 ) è storica e ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Ha curato Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con A. Agosti), Edizioni Seb 27 (2012) e, di Vittorio Foa, Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947) (con A. Ricciardi), Bollati Boringhieri (2010). Per Laterza ha pubblicato Anche i partigiani però…(2021).

 

 

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Chiara Colombini. I giovani che fecero la Resistenza

In questo video Chiara Colombini, intervistata nel corso del Festival Lezioni di Storia, che si è tenuto a Napoli dal 7 al 10 ottobre 2021, parla dell’eterogeneità dal punto di vista della formazione politica dei giovani che fecero la Resistenza. 

Il movimento della Resistenza è stato estremamente composito, per la compresenza di forze politiche diverse che hanno saputo mantenere un’unità.

Secondo le stime numeriche proposte dagli storici il cinquanta per cento delle forze partigiane è stato dato dalle Brigate Garibaldi organizzate dal PCI, il venti per cento dalle formazioni di Giustizia e Libertà legate al Partito D’Azione, con la restante parte divisa tra formazioni socialiste, cattoliche e autonome, anche monarchiche.
La politicizzazione delle formazioni partigiane non è così monolitica come potrebbe pensare: fare parte  delle Brigate Garibaldi non voleva dire automaticamente che tutti i  componenti aderissero al PCI.

C’è poi da considerare che il nerbo delle formazioni partigiane era costituito dalla generazione più giovane, che era cresciuta durante il fascismo, per cui non per tutti c’era una consapevolezza politica. Pertanto, la rappresentazione che dipinge i partigiani come tutti comunisti è ovviamente una strumentalizzazione. 

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“L’assegnazione del premio Bella Ciao a Chiara Colombini è particolarmente significativa in un momento storico e politico in cui coloro che hanno negato il valore della Resistenza e hanno tentato di infangarla con falsità e con grossolane letture revisionistiche, rispetto alle quali il libro di Colombini compie una rigorosa confutazione, occupano le istituzioni che proprio nella Resistenza hanno la loro origine” dichiara Roberto Pignatta, presidente dell’Associazione Bella Ciao.

Repubblica, 28 aprile 2023

 

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10 marzo 2021

Un libro di storia smonta tutte le “fake news” sui partigiani

 

Il libro di Chiara Colombini (Laterza, 2021) ricostruisce le letture false e mistificatrici della Resistenza. Non un manifesto “antipansista”, ma un lavoro di storia.

 

 

“… bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi. Siamo quello che siamo…”

Con queste parole il partigiano giellista Emanuele Artom nel novembre 1943, a guerra civile appena iniziata, racconta al proprio diario l’inquietudine riguardo il giudizio futuro sui combattenti di quel conflitto dilaniante. Condurre i fatti nella giusta prospettiva, per evitare agiografie come temeva Artom o, come sempre più spesso oggi accade, volgari dannazioni di memoria.

Non è un caso che queste parole vengano riprese nel nuovo libro di Chiara Colombini, Anche i partigiani, però…(Laterza, 2021) che si incarica, una volta di più, di riportare nell’alveo della ricerca storica le vicende di un periodo cruciale per la storia di questo paese, periodo troppo spesso strattonato e sfilacciato dalla chiacchiera politica.

Un’operazione complessa, che deve fare i conti da un lato con la ragguardevole mole di studi prodotti sul periodo ‘43-’45 e dall’altro con l’altrettanto ingente cumulo di sciocchezze, imprecisioni o vere e proprie bugie che per i motivi più vari sono state prodotte sul tema, in particolare a partire dagli anni Novanta del secolo scorso.

Con attenzione e puntualità il saggio esamina i maggiori luoghi comuni circolanti sulla Resistenza affiancandoli alla realtà dei fatti riportata dalle fonti e dalle analisi storiografiche, non dimenticando di riportare le varie interpretazioni che negli anni il dibattito degli storici ha prodotto. Un lavoro necessario, che cerca di sgombrare il campo e fare chiarezza attorno alle affermazioni più abusate e ai giudizi più brutali sugli antifascisti combattenti: uno per uno vengono smontati e ridefiniti storicamente i falsi miti dei partigiani tutti comunisti, rubagalline o terroristi, fino al vecchio, trito, “la storia la scrivono i vincitori”.

Capitoli agili, precisi ma pensati anche per un pubblico di non addetti ai lavori, vale a dire per i lettori che più spesso possono incappare in questo tipo di mistificazioni. Un saggio efficace e puntuale e, forse proprio per questo, scomodo.

Come già successo alle precedenti uscite della collana della Laterza Fact Checking, vale a dire L’antifascismo non serve più a niente di Carlo Greppi (2020) e E allora le foibe? di Eric Gobetti (2021), anche il testo di Chiara Colombini è finito sotto l’attacco scomposto dell’estrema destra, su carta e nel web. Con rabbia niente affatto celata, molte voci di quell’area si sono alzate per protestare contro il tentativo di “negare dignità a un pezzo d’Italia” e di voler “rileggere la storia”: affermazioni forti, che da un lato suscitano la legittima domanda sul tipo di dignità custodita dal “pezzo di Italia” che collaborò alla deportazione e allo sterminio di migliaia di italiani; dall’altro dimentica, forse dolosamente, che il lavoro di chi si occupa di passato è proprio quello di “rilegge la storia”, per non lasciarla muta di fronte allo scorrere del tempo.

Fatto ancor più interessante, le critiche sono cominciate ad arrivare ben prima dell’uscita del volume, il 4 marzo 2021. Una sorta di censura preventiva rivelatrice: questo accanirsi a ben vedere potrebbe essere la spia di un sentimento diffuso di insicurezza da parte di chi per anni ha prosperato, soprattutto politicamente, sul tentativo di sgretolare la memoria resistenziale e con essa i valori antifascisti posti a fondamento della Repubblica.

Un tentativo di erosione cominciato ben prima degli scritti di Giampaolo Pansa, ma che ha avuto e ha nella produzione del giornalista (non storico) piemontese il suo punto di riferimento principale. Un movimento di revisione non tanto storico quanto emotivo, che per anni ha lavorato a un livellamento dei piani interpretativi e, più in generale, a un’equiparazione morale tra fascisti e antifascisti. Equiparazione che ha lo scopo di accantonare le responsabilità storiche del totalitarismo italiano e dei suoi ammiratori di ieri e di oggi.

Qualcuno, tra i sostenitori del “questo libro non s’ha da fare, né ora né mai”, ha sottolineato il fatto che da vent’anni determinata storiografia cerca di rispondere colpo su colpo alle bufale e alle letture distorsive sui partigiani propalate da Pansa ed epigoni vari: un lavoro di fact checking di questo tipo nel 2021, si dice, risulta non necessario. Un’affermazione piuttosto curiosa, forse scaturita da commentatori che si sono fermati al titolo e che, a ben vedere, appare poco sostenibile: in primo luogo perché, come nota chiunque abbia letto almeno l’indice del saggio di Chiara Colombini, questo libro non è un manifesto “antipansista”, ma più semplicemente un lavoro di storia.

Inevitabilmente, quindi, il suo contenuto va a demolire quanto di storiograficamente falso è stato ripreso e riplasmato nei molti libri che attaccano il movimento partigiano; il suo obiettivo è fare chiarezza, per poter ripartire con un’analisi più serena e sgombra da menzogne su uno dei periodi cruciali della storia di questo paese.

L’obiezione poi che, siccome sono stati scritti tanti libri sull’argomento, questo (proprio questo!) sarebbe “inutile”, più che portare acqua al mulino dei censori scatena una nuova domanda, inquietante: perché tutti questi libri scritti negli anni, almeno a livello di opinione pubblica, non sono serviti a fermare la devastante opera demolitrice del revisionismo vero, quello che vuole equiparare fascisti e antifascisti in una melassa grigia e non responsabile perché decolpevolizzata? Perché, insomma, dopo tutti questi testi, c’è sempre più gente convinta che fare rastrellamenti o compiere stragi di civili e combattere per liberare l’Italia dal totalitarismo siano azioni che hanno, specularmente, lo stesso valore?

Forse perché, anche a causa di un dibattito troppo veloce e tendente al semplicistico su questi argomenti, molti lavori non sono riusciti ad arrivare al grande pubblico, complice la scarsa abitudine alle letture specialistiche da parte della popolazione, al poco spazio riservato solitamente dai media a questo tipo di pubblicazioni e anche, non da ultimo, a una certa tendenza all’utilizzo sistematico di un linguaggio da “addetti ai lavori” da parte di alcuni autori che inibisce l’approccio ai non professionisti. Tutti elementi che fanno dire che sì, molti libri sono stati scritti, ma ne sono stati letti meno di quanto auspicabile, forse.

Ed è proprio qui che Anche i partigiani però… appare non solo utile, ma necessario: perché affronta il tema partendo proprio dal semplicismo tipico delle bufale che va a smontare, ricostruendo poi a ritroso la complessità dei fatti storici senza però perdere di vista la necessità di un linguaggio aperto e chiaro. In un paese in cui la parola “divulgativo” si trascina dietro un’accezione negativa, si tratta di una scelta, oltre che faticosa, di coraggio.

E forse è proprio questo che ha fatto scoppiare le polemiche preventive e gli anatemi di tanti fascisti, post fascisti e fascisti inconsapevoli: a differenza di molti altri, il libro di Chiara Colombini si fa leggere, e leggere bene, e la sua diffusione è una minaccia diretta alle mistificazioni che per anni si sono nascoste dietro la speranza che in molti, o almeno quelli meno avvezzi alla materia, accettassero per vere delle letture semplicistiche, scorrette o più propriamente false della Resistenza. Questo è un libro che, senza mai abbandonare il rigore storiografico, parla a molti, e c’è la fondata speranza che stavolta siano in molti ad ascoltare.

 

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+++ ALBERTO NEGRI, Irrilevanza delle Nazioni unite, cambiare o morire.  Ma l’Onu serve ancora? Disperata la risposta del segretario generale. –IL MANIFESTO  21  SETTEMBRE 2023 + ANSA.IT – 19 sett. 2023 — il discorso di Gutierres + + chiaro

 

 

IL MANIFESTO  21  SETTEMBRE 2023

https://ilmanifesto.it/irrilevanza-delle-nazioni-unite-cambiare-o-morire

 

 

Irrilevanza delle Nazioni unite, cambiare o morire

ASSEMBLEA GENERALE. Ma l’Onu serve ancora? Disperata la risposta del segretario generale Guterres: «O si avvia una riforma o è la rottura, le istituzioni rischiano di essere parte del problema»

 

Irrilevanza delle Nazioni unite, cambiare o morire

L’Assemblea generale delle Nazioni unite – Ap

 

Irrilevanza dell’Onu e irrilevanza anche di Biden che tenta di corteggiare il Sud globale con appelli che cadono in un vuoto fragoroso.

Così i giornali americani, dal New York Times al Wall Street Journal sintetizzano cosa accade all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dove le sedie vuote fanno clamore: da Xi Jinping a Putin, da Macron a Sunak, fino al premier indiano Narendra Modi,reduce da un G20 a Nuova Delhi che ha proiettato l’India nel novero delle grandi potenze internazionali. Sono assenti a New York i leader di quattro dei cinque membri del Consiglio di sicurezza, un segnale non confortante in un clima bellicoe di tensioni geopolitiche ai massimi livelli dai tempi della guerra fredda.

 

Ma l’Onu serve ancora?La risposta dello stesso segretario generale Antonio Guterres è quasi disperata:

“o si avvia la riforma delle Nazioni Unite o è la rottura, le istituzioni invece di essere la soluzione rischiano di diventare parte del problema”.

Cambiare o scomparire, questo è il messaggio. Da tempo le Nazioni Unite non rispecchiamo più la transizione caotica da un mondo unipolare – dominato da una sola potenza – a uno multipolare con diversi centri di potere. E quando le istituzioni Onu diventano lo specchio della realtà è per squadernare una narrativa assai diversa fa quella del Nord globale. Come sottolinea la rivista francese “Le Grand Continent negli ultimi trent’anni

nelle votazioni all’Assemblea generale soltanto il 14% degli stati ha votato con gli Usa mentre la grande maggioranza dei consensi è stata raccolta da proposte russe e cinesi.

 

Il fallimento Onu è anche negli obiettivi che si è posta l’organizzazione.

L’agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile è solo in minima parte in linea con i traguardi prefissati entro la fine del decennio: l’85% dei piani è in ritardo e persino in regresso.

Oltre alle guerre in cui l’Onu sembra ormai privo di iniziative e in ritirata diplomatica e militare – dall’Ucraina al Sahel, dall’Africa orientale e al Corno

ci sono sfide come le conseguenze e economiche e sociali della pandemia, l’inflazione alimentare e le ricadute dell’emergenza climatica che moltiplicano il senso di impotenza.

Lo stesso Guterres ci dice che nel mondo ci sono

600 milioni di persone in estrema povertà, 80 milioni i bambini che non vedranno mai una scuola elementare e che a questi tassi di sviluppo serviranno all’umanità circa 300 anni per raggiungere la parità di genere tra uomo e donna.

 

Intanto – mentre le concentrazioni di CO2 continuano a salire a livelli mai raggiunti – la temperatura media globale supererà la soglia “sicura” di 1,5°C prevista dagli Accordi di Parigi sul clima: siamo in realtà già arrivati all’epitaffio dell’Agenda 2030.

 

Riformare l’Onu o morire, dunque? Il Global South chiede, a ragione, di contare di più.

L’obiettivo dell’Assemblea quest’anno è evitare che la spaccatura nord-sud si approfondisca e che le tensioni geopolitiche spingano i paesi in via di sviluppo a cercare di soddisfare i propri interessi lontano dall’Occidente. Il mese scorso i Brics avevano accolto l’adesione di una mezza dozzina di paesi, per dare una sterzata a un ordine mondiale che il blocco considera ormai obsoleto.

Nel mirino è la configurazione attuale del Consiglio di Sicurezza Onu che appare l’istantanea, scolorita e assai datata, di una visione consolidata al termine della guerra fredda all’insegna dell’unipolarismo americano e che oggi non rispecchia l’evoluzione della scena internazionale.

C’è un punto su cui la stragrande maggioranza degli stati è concorde: modificare e ampliare la rappresentanza nel Consiglio oggi costituito da Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti, stati con potere di veto _ l’organo al quale è attribuito il potere d’azione a tutela della pace e della sicurezza internazionale.

Le proposte di riforma che si sono succedute negli anni spaziano da quelle che suggeriscono l’attribuzione del diritto di veto a nuovi membri permanenti (in particolare i cosiddetti G4: Brasile, Germania, Giappone e India), a progetti incentrati su un aumento più o meno consistente di membri non permanenti.

In questo secondo gruppo si annoverano 54 stati africani che hanno proposto l’allargamento del Consiglio a 26 membri, il raggruppamento L.69 di cui fanno parte stati africani, latinoamericani, asiatici, caraibici, favorevole alla rotazione e a includere i piccoli stati insulari (20% dei membri Onu). C’è il gruppo degli stati arabi contrario al diritto di veto dei Cinque del Consiglio «visti i danni sperimentati in 80 anni dalla geografia araba».

Si segnala infine il gruppo Uniting for Consensus (posizione anche italiana), che prevede un Consiglio di 26 seggi, con 9 seggi permanenti a lungo termine distribuiti tra i gruppi regionali e i restanti seggi con mandato biennale rinnovabile. In questa proposta rientra la dibattuta questione della partecipazione dell’Unione europea: se è vero che questo darebbe ben altro peso ai 27, l’ipotesi si scontra con il fatto che l’Ue soffre cronicamente della mancanza di un’unica e riconoscibile politica estera comune, con Bruxelles sempre più appiattita sulle posizioni della Nato, ovvero di un’alleanza militare dominata dagli Usa.

Ma al di là delle ipotesi di riforma c’è un’altra materia ineludibile e concreta, quella economica e finanziaria che non aspetta di fronte ai bisogni dei popoli.

Biden giocherella adombrando possibili riforme di Banca Mondiale e Fondo monetario ma dall’Asia all’Africa, dal Medio Oriente all’America Latina nessuno dei Brics e dei loro clienti si fa incantare – anzi, cominciano a parlare di de-dollarizzazione.

I sauditi hanno appena appaltato a un banca cinese, la Icbc, un prestito sindacato da 11 miliardi di dollari, settore tradizionalmente dominato da banche di investimento Usa.

Vedremo adesso se la premier Meloni incanterà gli africani con il suo “piano Mattei”. C’è da dubitarne.

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ANSA.IT — 19 SETTEMBRE 2023
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/09/19/guterres-riformare-le-istituzioni-globali-o-e-rottura_0907d444-4645-483e-a3cd-831aef3256da.html

 

Guterres, riformare le istituzioni globali o è rottura

‘Democrazia sotto minaccia, autoritarismo in marcia’

NEW YORK, 19 settembre 2023, 15:53

© ANSA/EPAANTONIO GUTIERRES   (Lisbona30 aprile 1949), E’ SEGRETARIO DELL’ONU DAL 2017.

È stato membro del Partito socialista portoghese e presidente dell’Internazionale socialista. È stato Primo ministro del Portogallo dal 1995 al 2002 e presidente del Consiglio europeo nel 2000. Dal 2005 al 2015 è stato Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Nell’ottobre 2016 viene eletto dall’Assemblea generale alla carica di segretario generale dal 1º gennaio 2017, succedendo a Ban Ki-moon, scelta confermata dal Consiglio di sicurezza.Nel giugno 2021 viene confermato per un secondo mandato, restando in carica sino a dicembre 2026.

“Il mondo è cambiato, le nostre istituzioni no.

È giunto il momento di rinnovare le istituzioni multilaterali basate sulle realtà economiche e politiche del 21mo secolo, ancorate ai principi della Carta Onu e al diritto internazionale.

Ciò significa riformare il Consiglio di Sicurezza, ridisegnare l’architettura finanziaria internazionale”. Lo ha detto il segretario generale Onu Antonio Guterres aprendo i lavori della 78esima Assemblea Generale.

    “L’alternativa alla riforma non è lo status quo – ha aggiunto – è un’ulteriore frammentazione. È riforma o rottura”.

Guterres ha poi sottolineato che “non possiamo affrontare efficacemente i problemi se le istituzioni non riflettono il mondo così com’è. Invece di risolvere i problemi, rischiano di diventare parte del problema”. “E, in effetti, le divisioni si stanno approfondendo, divisione tra potenze economiche e militari, tra Nord e Sud, Est e Ovest”, ha continuato, sottolineando che “ci stiamo avvicinando sempre più a una Grande Frattura nei sistemi economici e finanziari e nelle relazioni commerciali, una frattura che minaccia un’unica Internet aperta, con strategie divergenti su tecnologia e intelligenza artificiale, e quadri di sicurezza potenzialmente in conflitto”.

Il segretario generale ha detto poi: “Non ho illusioni. Le riforme sono una questione di potere. So che ci sono molti interessi e programmi contrastanti”.

In apertura dell’Assemblea Generale, Guterres ha esortato a un “compromesso globale”. “La democrazia è in pericolo, l’autoritarismo è in marcia, Le disuguaglianze crescono. E l’incitamento all’odio è in aumento”, ha osservato. “Come ho detto al G20, è tempo di un compromesso globale”, ha aggiunto, nel ricordare che “la politica è compromesso, la diplomazia è compromesso, una leadership efficace è compromesso. I leader hanno la responsabilità di raggiungere un compromesso nella costruzione di un futuro di pace e prosperità per il nostro bene”, ha affermato.

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video, 20 min. ca – 14 settembre 2023 —-Limes online : AFRICA CONTRO OCCIDENTE — Alfonso Desiderio intervista Lucio Caracciolo, direttore di Limes–

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni temi di questo numero saranno discussi durante la IV edizione delle Giornate del mare, a Napoli il 16 e 17 settembre.

 

 

Di cosa tratta


“Africa contro Occidente” è l’ottavo numero di Limes del 2023. Il volume si concentra sulla regione saheliana, teatro della “catena dei colpi di Stato” – ultimi quelli in Niger e Gabon – che da anni punteggiano l’area, ma che negli ultimi tempi hanno subìto una marcata accelerazione. Agli occhi dell’Italia, la circostanza rileva per almeno tre motivi.


Primo: perché la (in)stabilità del Sahel – area di congiunzione tra Nord Africa e Sahara – si riflette direttamente sui fragili equilibri della fascia maghrebino-nordafricana, dunque sui paesi direttamente affacciati al Mediterraneo e nostri prossimi dirimpettai.


Secondo: perché da questi paesi – Egitto, Libia, Marocco, Algeria, Tunisia – originano o passano flussi di risorse fondamentali. A cominciare da quelle energetiche, rese ancor più vitali dalla guerra in Ucraina. Al contempo, in Nord Africa approdano – via Sahara e Sahel – i flussi migratori che puntano all’Europa attraverso il Mediterraneo, cui si aggiungono quelli autoctoni determinati dalle precarie condizioni socioeconomiche (Tunisia, Algeria, Egitto) e di sicurezza (Libia).


Terzo: perché i disordini e i golpe che spazzano il Sahel, area in cui la Francia esercita una storica influenza, hanno forte connotazione antifrancese. Ciò configura un chiaro rigetto degli assetti neocoloniali finora vigenti e apre la porta, oltre che a nuove forme di soggettività delle società e dei paesi in questione, a nuove influenze esterne. Specie da parte della Russia, che in tali aree gode di ampia popolarità e non trascurabile ascendente.


Siamo dunque di fronte a un momento di profonda e tumultuosa trasformazione di un’area in cui l’Italia ha interessi fondamentali e dalla cui instabilità abbiamo molto da perdere.


Il sommario


La linea della palma – Editoriale


 

Parte 1 – Le Afriche in rivolta


Il golpe contro la Francia non salverà il Niger – Rahmane Idrissa

Quel che noi francesi non abbiamo voluto capire – Lamine Savané

La Françafrique è morta a Niamey – Leslie Varenne

Africa sì, Africa no: Parigi si dilania – Jean-Baptiste Noé (in appendice “Nahel e dintorni: geografia dei moti francesi“)

Perché Macron non riesce a farla finita con la Françafrique – Mario Giro

Eserciti come milizie milizie come eserciti – Marc-Antoine Pérouse De Montclos

‘Qui comanda la sabbia’ – Mauro Armanino

Sotto la pelle del golpe – Luca Raineri (in appendice “Perché il Niger fa gola” – Giacomo Mariotto)

L’Ecowas secondo la Nigeria – Carlo Alberto Contarini

Il putsch in Gabon e il tramonto della Françafrique – Benoît Barral 

Le Afriche giocano per sé – Luciano Pollichieni (in appendice “All’Onu gli africani non sono occidentali né russi” – Alessandro Colasanti)

Quo vadis Africa? – Giulio Albanese

I tesori insanguinati di Cabo Delgado – Giorgio Angeli 

In Libia di male in peggio – Wolfgang Pusztai

La Tunisia di Saïed guarda ai Brics – Ester Sigillò 


 

 

Parte 2 – Occidenti sbandano, Russia gode, Turchia profitta


Smettiamo di giocare ai piccoli francesi – Fabrizio Maronta

‘L’Africa è strategica per gli Stati Uniti, ma non la capiamo’ – Tibor Nagy 

Il caos saheliano danneggia la Cina – Giorgio Cuscito

Il senso di Putin per l’Africa – Orietta Moscatelli (in appendice “Ritorno sui banchi a Mosca nel nome di Lumumba“)

Il mare di Ankara bagna Niamey – Daniele Santoro

‘Non abbiamo capito che l’Africa è cambiata’ – Emanuela C. Del Re


 

 

Parte 3 – Algeria, nostro vincolo esterno


L’esercito, unico arbitro di un paese diviso – Kader A. Abderrahim 

Nelle viscere del sistema algerino – Tarik Mira

Region di Stato: le radici territoriali del potere in Algeria – Marcella Mazio

Non solo gas. L’intesa strategica tra Roma e Algeri – Mouloud Hamai 

L’Algeria minaccia sé stessa – Aghilès Aït-Larbi

Mosca e Algeri, amicizia con limiti – Adlene Mohammedi 


Autori


La storia in carte – a cura di Edoardo Boria

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MARGHERINA BORDINO, 2- 3- 4 ottobre :: Vermeer (1632-1675 ) al cinema. Il documentario sulla più grande mostra a lui dedicata– Rijksmuseum di Amsterdam dal 10 febbraio al 4 giugno 2023 :: 650 mila visitatori da 113 nazioni

 

 

ARTRIBUNE 19 SETTEMBRE 2023

https://www.artribune.com/arti-performative/cinema/2023/09/video-vermeer-nexodigital/?utm_source=Newsletter+Artribune&utm_campaign=5c59e87094-EMAIL_CAMPAIGN_2023_09_20_01_13&utm_medium=email&utm_term=0_dc515150dd-5c59e87094-%5BLIST_EMAIL_ID%5D

 

 

Vermeer al cinema. Il documentario sulla più grande mostra a lui dedicata

 

Arriva al cinema il 2, 3, 4 ottobre con Nexo Digital “Vermeer. The Greatest Exhibition”, lo straordinario film documentario che ha già conquistato il pubblico inglese incassando quasi 2 milioni di dollari al botteghino

 

 

 

 

Il Rijksmuseum di Amsterdam ha ospitato fino al 4 giugno 2023 la più grande retrospettiva su Vermeer mai realizzata nella storia. Un totale di 650.000 biglietti venduti, più di ogni più rosea aspettativa. Ed è così che per tutti coloro che non sono riusciti a vederla ad Amsterdam e per coloro che vogliono approfondire ancora di più la figura del pittore, arriva al cinema il 2, 3, 4 ottobre con Nexo Digital il film documentario Vermeer. The Greatest Exhibition, un racconto cinematografico che ha già conquistato il pubblico inglese prodotto da Phil Grabsky con Exhibition on Screen.

La vita di Vermeer avvolta nel mistero

Johannes Vermeer (1632-1675) è stato un famoso pittore olandese del XVII secolo. Noto per il suo stile pittorico realista e dettagliato, ha spesso rappresentato scene domestiche quotidiane e ritratti di persone. Tra le sue opere più celebri e ammirate ci sono senza alcun dubbio “La ragazza con l’orecchino di perla”“La lezione di musica” e “Veduta di Delft”. Vermeer è stato riconosciuto come uno dei maestri che meglio hanno saputo usare e valorizzare l’uso della luce e dell’ombra nella pittura.
Della sua vita privata si sa ben poco: è avvolta nel mistero e vissuta per lo più in isolamento. È forse anche per questo motivo che la sua opera è stata in gran parte dimenticata dopo la morte, e riscoperta e rivalutata solo nel XIX secolo. Oggi la sua arte continua a essere ammirata e studiata da artisti e appassionati d’arte in tutto il mondo.

 

 

Ammirare i capolavori di Vermeer sul grande schermo

Definita dalla stampa di settore una retrospettiva epocale, la mostra dedicata a Vermeer è stata la più grande mai dedicata esclusivamente al “maestro della luce”. Sono state esposte per l’occasione 28 delle sue 35 opere provenienti da paesi di tutto il mondo e mai riunite in un unico luogo. Il film che ne segue la messa in mostra, Vermeer. The Greatest Exhibition, vede alla regia David Bickerstaff e il risultato è quello di godere dell’arte di questo pittore ammirando i suoi capolavori a tutto schermo. Oltre a un incontro unico con le opere del grande artista del XVII secolo, il docufilm rivela le intuizioni del team che ha ideato la mostra, curatori di fama mondiale ed esperti di Vermeer, gettando nuova luce sulla vita misteriosa e sul lavoro magistrale del pittore, sulle sue scelte artistiche e sulle motivazioni delle sue composizioni, oltre che sul processo creativo alla base dei suoi dipinti.

 

 

 

 

 

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why you should have an animal @shouldhaveanima – 10.35 — 21 settembre 2023 — grazie infinite, chiara

 

mamma, aspetta, ho le gambe piccole

 

 

 

 

 

 

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IL FATTO QUOTIDIANO — 21 SETTEMBRE 2023::: Museo Egizio di Torino, assalto al direttore Greco: Fdi e Lega vogliono cacciarlo. Il vice di Salvini: “Ideologico, razzista verso gli italiani”

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO — 21 SETTEMBRE 2023
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/21/museo-egizio-di-torino-assalto-al-direttore-greco-fdi-e-lega-vogliono-cacciarlo-il-vice-di-salvini-ideologico-razzista-verso-gli-italiani/7299363/?utm_term=Autofeed&utm_medium=Social&utm_source=Twitter#

 

 

Museo Egizio di Torino, assalto al direttore Greco: Fdi e Lega vogliono cacciarlo. Il vice di Salvini: “Ideologico, razzista verso gli italiani”

 

 

 

Museo Egizio di Torino, assalto al direttore Greco: Fdi e Lega vogliono cacciarlo. Il vice di Salvini: “Ideologico, razzista verso gli italiani”

 

 

 

La destra dà l’assalto al Museo Egizio di Torino e ci pensa la Lega a trascinare la vicenda fuori dai confini piemontesi, chiedendo l’intervento del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. L’obiettivo di Fratelli d’Italia e del Carroccio è il direttore Christian Greco, che secondo il partito guidato da Matteo Salvini ha gestito il museo “in modo ideologico e razzista” nei confronti degli italiani e dei cristiani.

Più che una critica nel merito, quella della Lega sembra una rappresaglia nei confronti del manager per un’iniziativa di qualche anno fa nella quale era prevista una scontistica  per le coppie arabe che finì per coinvolgere direttamente Giorgia Meloni.

L’attuale presidente del Consiglio, tra l’altro, minacciò di cacciare il direttore una volta al governo.

Tutto il can-can contro Greco è iniziato per bocca dell’assessore regionale al Welfare Maurizio Marroneche nel 2011 si distinse – da consigliere comunale – tra i protagonisti dell’assalto ai Murazzi, sui cui muri vennero lasciate scritte come “Partigiani infami”, “Boia chi molla”, “Viva il duce”.

Intervistato dal Corriere della Sera, negli scorsi giorni ha detto che non confermerebbe Greco alla guida del Museo Egizio perché “ha doti manageriali non comuni, ma ritengo esistano figure potenzialmente più qualificate, che sono state penalizzate non dico per la direzione, ma addirittura per un posto nel CdA del Museo”. Il suo pensiero è stato bollato come “personale” dalla collega di giunta, la leghista Vittoria Poggio, che ha la delega alla Cultura: “Christian Greco è un manager di grande competenza e valore come dimostrano i risultati raggiunti dal Museo Egizio”.

 

Il direttore non ha mancato di rispondere attraverso le pagine de La Stampa auspicando che i manager dei musei non vengano giudicati dalla politica: “Ci deve essere una separazione e un sistema di valutazione chiaro. La politica deve indicare la strategia: poi i parametri vanno tradotti in obiettivi e valutati da commissioni tecniche e professionali”.
Mentre in Italia “l’ingerenza politica è eccessiva, rovina determinati equilibri ed è un problema che esiste da sempre”, sono state le sue parole al quotidiano torinese. In sua difesa si sono schierati anche 92 egittologi – compresi membri del Comitato scientifico del museo, nonché il presidente dell’Associazione internazionale degli Egittologi – che in una lettera aperta hanno parlato di “costernazione” per gli attacchi e, esprimendo “pieno appoggio” al direttore, hanno chiesto “massima attenzione da parte di tutti affinché l’importante lavoro compiuto finora non venga dilapidato e che, anzi, possa esserne garantita la continuità”.

 

Ma le dichiarazioni di Greco hanno fatto esplodere il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, anche lui pienamente coinvolto nella vicenda del 2018 legata alle scontistiche per gli arabi. E proprio da lì, riparte il vice di Matteo Salvini chiedendo a Greco un “gesto di dignità”, ovvero: “Si dimetta”. In caso contrario, arriva l’avvertimento, quasi una minaccia: “Faremo di tutto per cacciarlo e chiediamo al ministro della Cultura Sangiuliano di cacciarlo se non si dimette lui”, ha detto ad Affaritaliani.it.

Crippa definisce Greco “un direttore di sinistra che ha gestito il Museo Egizio di Torino in modo ideologico e razzista contro gli italiani e i cittadini di religione cristiana”.

 

Finita? Macché: “Va cacciato subito, meglio quindi se fa un gesto di dignità e se ne va lui. Incredibile che dopo aver gestito il Museo in modo ideologico ora chieda di mantenere la poltrona al governo di centrodestra. Il Museo Egizio di Torino – prosegue – viene pagato dai cittadini e lui ascolta solo la sinistra. È un razzista contro italiani e cristiani. Si dimetta subito farebbe più bella figura”, conclude.

Eppure a difendere Greco è intervenuto perfino Vittorio Sgarbi: “Il direttore dell’Egizio va confermato. Polemica sterile, ha fatto un ottimo lavoro”, ha detto il sottosegretario alla Cultura ricordando che, tra l’altro, la sua nomina non dipende dal governo.

 

 

 

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@S___h___a___h – 15.17 –21 settembre 2023 — dolcissimi–

 

che dolcezza !

 

 

 

 

 

 

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La tigre siberiana — qualche immagine + dove vive + città

 

 

Tiger posing on the top of the rock

 

 

 

Tiger cubs at Banham Zoo

cura uno dei suoi sei piccoli allo zoo di Baham nel Norfolk, Inghilterra

 

 

Banham Zoo aerial image | Banham Zoo in Norfolk - 50 acres a… | Flickr

un’immagine dello Zoo  – da : https://www.flickr.com/

 

 

Tiger cubs at Banham Zoo

due cuccioli che giocano intanto che si guardano intorno

 

 

 

Siberian tiger sitting in snow looking out

una splendida tigre siberiana seduta nella neve

 

 

Tiger behind the snow

un maschio di tigre siberiana si nasconde dietro la neve

 

 

 

Tiger Face

ritratto ravvicinato

 

La tigre dell’Amur o tigre siberiana (Panthera tigris altaica Temminck, 1844) è una sottospecie di tigre, un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia Felidae. È caratterizzata da un mantello più chiaro rispetto alle altre sottospecie di tigre e da dimensioni simili a quelle della tigre del Bengala, sottospecie in cui la tigre siberiana potrebbe essere inclusa, secondo lo studio di alcuni autori, il che ne fa uno dei felini più grandi esistenti.

La tigre siberiana è endemica di una ristretta area geografica situata nell’estrema parte sudorientale della Siberia, in gran parte corrispondente al massiccio montuoso costiero del Sichotė-Alin, ed il suo habitat è costituito dalla foresta boreale e temperata mista.

A partire dalla metà del XIX secolo, la sottospecie ha subito una drastica diminuzione dell’areale e del numero di esemplari causata da un insieme di fattori concorrenti, come la distruzione dell’habitat, la caccia di frodo e la diminuzione delle prede tipiche. Il suo stato di conservazione – monitorato dagli anni 1950 e determinato dallo IUCN nel 1996 e successivamente nel 2008 – la classifica come in pericolo di estinzione

 

 

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Rock in Sikhote-Alin
Ruslan – originally posted to Flickr as Rock in Sikhote-Alin

monti Sichotė-Alin’ (anche traslitterati come Sihotė-Alin’ o Sikhotė-Alin’; in russo Сихотэ-Алинь?) sono un sistema montuoso della Russia, nell’Estremo Oriente; sono compresi amministrativamente nei due territori del Litorale e di Chabarovsk.

 

 

 

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Ruslan V. Albitsky aka pauk – Samsung Digimax A502

 

 

testo e immagini-
https://it.wikipedia.org/wiki/Sichot%C4%97-Alin%27

 

 

cartina:

 

I.

Territorio di Chabarovsk  -. Russia
TUBS 

E’ un’ unità amministrativa  della Federazione Russa, esteso nell’estremo oriente. Capoluogo del territorio è Chabarovsk; altre città importanti sono Komsomol’sk-na-AmureNikolaevsk-na-AmureAmursk e Sovetskaja Gavan’.

 

II.

Territorio del Litorale  — Russia
TUBS 

 

1.  CHABAROVSK, CAPITALE  DEL TERRITORIO OMONIMO

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Chabarovsk, capitale del territorio di Chabarovsk –sullo sfondo la cattedrale della Trasfigurazione

Boris Bartels – churches are always on top of a hill  – le chiese sono sempre in cima ad una collina

 

 

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il vecchio Parlamento locale (Duma )
Boris Bartels
Confer as well: www.flickr.com/photos/barthelomaus/1094363/

 

 

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Cattedrale della chiesa ortodossa russa
NVO – Opera propria

 

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Centro storico della città
Kanadier di Wikipedia in tedesco – Trasferito da de.wikipedia su Commons.

 

 

Chabarovsk sorge alla confluenza del fiume Amur con l’Ussuri. Sorge lungo la ferrovia Transiberiana a 8 523 km da Mosca e a 765 km da Vladivostok; in linea d’aria si trova a meno di 30 km dalla Cina.

  • Temperatura media annua: 1,4 °C
  • Temperatura media del mese più freddo (gennaio): −21,8 °C
  • Temperatura media del mese più caldo (luglio): 21,1 °C

 

La zona dove oggi sorge la città era, fin dal XII secolo, parte della Cina imperiale e l’insediamento presente veniva chiamato Bóli. Nel 1858 l’intera area venne ceduta ai russi in seguito al trattato di Aigun; i russi rinominarono l’insediamento cinese Chabarovsk, dal nome dell’esploratore Erofej Chabarov, e costruirono un fortino.

Questo piccolo insediamento si sviluppò rapidamente, venne dichiarato città nel 1880 e ai primi del XX secolo era uno dei principali centri dell’Estremo Oriente russo; un’ulteriore spinta allo sviluppo della città derivò anche dalla costruzione della Transiberiana. Chabarovsk fece parte del Governo provvisorio del Priamur’e; nel 1926 diventò la capitale dell’Estremo Oriente Sovietico, titolo che mantenne fino al 1938.

Oggi Chabarovsk rimane uno dei principali centri, insieme a Vladivostok, dell’Estremo Oriente russo. Capoluogo dell’immenso Territorio omonimo, è un importante centro industrialecommerciale e culturale, vitalizzato dalla vicinanza geografica con Cina, Giappone e Corea del Sud.

 

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Boulevard Ussuri a Chabarovsk

 

il tramonto a Chabarovsk
Borya – Khabarovsk dusk

 

 

 

 

Un’illustrazione della Guerra Siberiana — i Giapponesi occupano  Habalofsk ( =Khabarovsk )

 

 

 

 

 

Parte del film Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure di Akira Kurosawa è ambientata in questa città.

Un ritratto di questa città è presente nel libro di Tiziano Terzani Buonanotte, Signor Lenin.

 

 

2. TERRITORIO DEL LITORALE

 

Il territorio del Litorale si estende nell’Estremo Oriente russo al confine con la Cina (Manciuria) e per un brevissimo tratto (poco meno di 20 km) con la Corea del Nord, affacciandosi con un lungo tratto di costa, a sud e ad est, sul mar del Giappone. A nord confina invece con il territorio di Chabarovsk (unico confine interno).

Il territorio del Litorale (in russo Приморский край?, traslitterato Primorskij kraj) è una suddivisione di primo livello della Federazione Russa, appartenente al circondario federale dell’Estremo Oriente. Storicamente parte della Manciuria, il Primorsky Krai venne ceduta all’Impero russo dalla Cina Qing nel 1860 come parte di una regione conosciuta come Manciuria Esterna, che forma la maggior parte del territorio dell’Oblast’ del Litorale.

L’area fu colonizzata da diverse tribù tunguse e mongole, come i Sushen, i proto-mongoli Shiwei e i Mohe. Si dice che il popolo Udege si sia tradizionalmente stabilito nei territori lungo il fiume Bikin molto tempo fa, anche se è tuttavia possibile che sia di origine Jianzhou Jurchen.

Durante il regno Balhae, la maggior parte del krai era entro i confini delle province di Dingli, Anbian e Anyuan. Dopo che il regno di Balhae venne conquistato dai Khitani, il territorio divenne parte del Circuito Orientale della dinastia Liao e del Circuito Supin della dinastia Jīn. Passò poi sotto il dominio mongolo e manciù.

L’acquisizione della Siberia da parte della Russia zarista e la successiva espansione russa in Estremo Oriente portarono i russi in contatto diretto con la Cina. Il trattato di Nerčinsk del 1689 che delimitava i confini dei due stati diede tutte le terre che si trovano a sud dei Monti Stanovoj, compreso Primorye, all’Impero Qing. Tuttavia, con l’indebolimento dell’Impero Qing nella seconda metà del XIX secolo, la Russia iniziò la sua espansione nell’area. Nel 1858 furono fondate le città di Khabarovsk e Blagoveščensk. Nel 1858 Nikolay Muravyov-Amursky firmò il trattato di Aigun con la Cina (che stabilì gran parte di quello che è ancora oggi il confine tra la Russia e la Cina e con il quale l’impero Russo ricevette oltre 600.000 chilometri quadrati dalla Cina, garantendo alla Russia un accesso all’Oceano Pacifico e modificava a favore della Russia il confine con la Cina che ora correva lungo il fiume Amur), seguito dalla convenzione di Pechino due anni dopo. Come risultato dei due trattati, il confine sino-russo si spostò a sud fino ai fiumi Amur e Ussuri, garantendo alla Russia il pieno controllo di Primorye.

Durante la guerra civile russa entrò a far parte della Repubblica dell’Estremo Oriente, per poi entrare nell’Unione Sovietica.

Il territorio del Litorale venne creato il 20 ottobre del 1938, con parte del territorio della oblast’ del Litorale, un’unità amministrativa appartenente all’Impero russo che al tempo si estendeva su quasi tutta la zona dell’estremo oriente sotto il dominio imperiale comprendendo le attuali divisioni amministrative del territorio di Chabarovsk e della oblast’ di Magadan.

 

 

Territorio del Litorale – Veduta

RISERVA MARINA NAZIONALE DELL’ESTREMO ORIENTE
Russian.dissident – Opera propria

 

 

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LA VALLE DELL’USSURI
Andshel – Opera propria

 

 

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VADIVLOSTOCK CAPOLUOGO DEL TERRITORIO DEL LITORALE

Владимир КОБЗАРЬ

 

SOPRA, TESTO E IMMAGINI DA : https://it.wikipedia.org/wiki/Territorio_del_Litorale#

 

 

NEL LINK SOTTO, FOTOGRAFIE BELLISSIME DI MONTAGNE PARTICOLARI, BOSCHI E ACQUE

https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Primorsky_Krai?uselang=it#/media/File:Expedition_inlet.jpg

 

 

 

 

 

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video, 3.06 — “Klimt” di Raúl Ruiz (2006) con John Malkovich + altro — una magnifica torta in faccia- addirittura spalmata -ci sembra una buona introduzione a KLIMT, I PAESAGGI -. ( post sg. )

 

 

 

 

 

manifesto da :  https://cineuropa.org/it/film/50970/

 

La pellicola ci trasporta al principio del ventesimo secolo, nell’anno 1918 quando Klimt (John Malkovich) giaceva sul letto di morte. Utilizzando tal momento come punto di partenza, rivivremo attraverso le sue visione febbrili, la sua vita a ritroso.
Raúl Ruiz si serve di fatti, citazioni e conversazioni attorno alla vita di Klimt, per dotare di autenticità il suo lavoro. Come ad esempio, la profonda relazione che lo unì con il pittore Egon Schiele, alla quale è dedicata molto spazio nella pellicola. La opera stessa di Klimt, quanto la pellicola di Ruiz, sono una magistrale lezione di storia, una “evocazione visuale” sulla Vienna del ventesimo secolo e sulla Belle Époque, che contribuisce a creare l’atmosfera che fa da sfondo alle vicende.

Il cineaste cileno, Raúl Ruiz, riceve riconoscimenti internazionali dall’inizio degli anni 80′, dove fu considerato uno dei registi più innovatori degli ultimi anni. Pare addirittura che sia considerato uno fra i massimi sperimentatori subito dopo Jean-Luc Godard.

da : https://www.cineblog.it/post/trailer-di-klimt-con-john-malkovich

 

nota sul regista :

 

Ruiz_01

Raúl Ruiz Pino, regista cileno , 1941-2011 fotografie di Stefano Fogato

continua: 

..la sua opera è un universo poetico di sensibilità barocca che intende rappresentare una riflessione continua sul linguaggio e le modalità narrative del cinema.

 

RAUL RUIZ

(Puerto Montt25 luglio 1941 – Parigi19 agosto 2011), è stato un regista e sceneggiatore cileno. Dal 1974 viveva e lavorava a Parigi.

Nominato consigliere per il cinema durante il governo di Salvador Allende, è costretto all’esilio dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet. Si rifugia in Francia, dove prosegue l’attività cinematografica

Cineasta eccentrico e prolifico, poco classificabile nel registro dei generi, può oggi essere considerato uno dei registi più atipici del panorama cinematografico internazionale. In bilico tra reale e fantastico, la sua opera è un universo poetico di sensibilità barocca che intende rappresentare una riflessione continua sul linguaggio e le modalità narrative del cinema.
La difficile comprensibilità dei film di Ruiz ne ha reso per anni difficile la loro circolazione, rendendolo un regista apprezzato soltanto da una nicchia di estimatori. Alla fine degli anni novanta, alcuni attori di fama (tra gli altri Marcello MastroianniCatherine Deneuve e John Malkovich) hanno chiesto di lavorare con lui, dandogli modo di contare su budget più consistenti e di una migliore distribuzione.
Il film su Gustav Klimt è del 2006.

***

 

Articolo 21 — LOCARNO– agosto 2017

Raul Ruiz, autore di una “telenovela errante” che inquieta e fa pensare

Raul Ruiz, autore di una “telenovela errante” che inquieta e fa pensare

 

La “descrizione” nelle parole dello stesso Ruiz: “il film è imperniato sul concetto di telenovela e strutturato sul presupposto che la realtà cilena non esiste, ma è un collage di soap. Ci sono quattro province audiovisive, e si teme la guerra fra fazioni, i problemi economici e politici sono immersi in una gelativa di fiction e divisi in episodi seriali. L’intera realtà cilena è inquadrata dal punto di vista della telenovela, che fa da filtro della realtà stessa”. Si puo’ forse capire perché Ruiz non riesce a completare il film, in un Cile che non è piu’ oppresso dalla dittatura, ma dove Pinochet non viene chiamato a pagare i suoi crimini, i suoi complici restano sostanzialmente impuniti, i grandi potentati, chiesa cattolica compresa, lo vedono ancora come il suo alfiere e nume protettore-

Questo film restaurato e montato dalla moglie, che cofirma la regia, “racconta” il Cile in forma di telenovela. Il film – che certo risente del fatto che Ruiz non lo ha potuto completare, e chissà come lo immaginava nella sua forma “finita” – è una sorta di parodia della storia cilena dopo la dittatura.

Grazie a un sapiente dosaggio di metafore e simbolismi Ruiz prima, Sarmiento poi colpiscono le istituzioni ridicolizzandole nei loro stereotipi e luoghi comuni, con “leggerezza” e implacabili, e centrano l’antico ovidiano obiettivo: dire la verità, ridendo.

Ma la domanda: ma La telenovela errante è cosa solo cilena? E tanto per dire: anche noi in Italia non s’avrebbe bisogno di un Ruiz, di una Sarmiento?

 

 

Tra le opere più importanti di Ruiz sono  “Le tre corone del marinaio” del 1982; La ville des pirates, del 1983, ispirato alla storia di Peter Pan. Nel 1996 il suo primo film con un budget consistente: “Tre vite e una sola morte, con Mastroianni. L’anno dopo vince ‘Orso d’argento a Berlino, con “Genealogia di un crimine”, interpretato dalla Denevue e da Michel Piccoli. Vengono poi Autopsia di un sogno con Anne Parillaud e William Bakdwin; Il tempo ritrovato”, con Malkovich, Emmanuelle Béart e ancora la Denevie; Il figlio di due madri”, con Isapebee Huppert; Klimt, ancora Malcovich. Un’infezione polmonare lo uccide a 70 anni, mentre lavora a As Linhas de Torres Vedras”.

 

 

LA TELENOVELA ERRANTE DI RAUL RUIZ E VALERIA SARMIENTO (Valparaíso, Cile, 1948)

per chi fosse interessato, abbiamo trovato il film completo in spagnolo, sottotitoli in inglese:

 

VIDEO, 1h 17 min. ca-

 

 

 

 

 

 

 

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ANDREA SCERESINI, Gli uomini contro l’Ucraina: quasi 200.000 i «disertori» –IL MANIFESTO – 12 SETTEMBRE 2023

 

 

IL MANIFESTO – 12 SETTEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/gli-uomini-contro-dellucraina-quasi-200-000-i-disertori?fbclid=IwAR0CC1fyQ_ReZZxGfn2wrWsqxPkEPsB-xchvRnwiI2HAtBMRtHCUQrzMlc8

 

 

Gli uomini contro l’Ucraina: quasi 200.000 i «disertori»

 

IL LIMITE IGNOTO. Kiev reclama chi è fuggito dal servizio militare. Ma il tema della renitenza resta un tabù

 

 

Gli uomini contro dell’Ucraina: quasi 200.000 i «disertori»

Un centro reclutamento in Ucraina – Getty Images

giornalista freelance, a luglio 2023 riceve Il Premiolino per il suo reportage dalla Siberia.
https://www.sondriotoday.it/attualita/premiolino-premio-giornalisti-sceresini-ucraina.html

 

 

Chop è un piccolo villaggio ucraino al confine con l’Ungheria. La prima cittadina al di là della frontiera si chiama Záhony, e dista solo un paio di chilometri in linea d’aria. Puoi raggiungerla in due modi: o via treno, se hai tutti i documenti in regola, oppure – se non li hai – guadando a nuoto il gelido fiume Tibisco. Non abbiamo idea di quante persone abbiano compiuto l’impresa, ma le statistiche ufficiali ci informano che dal 24 febbraio 2022 a oggi almeno diciannove cittadini ucraini sono morti annegati nel tentativo di fuggire all’arruolamento varcando queste acque.

Lo scrive The Economist, in un recente reportage dal titolo piuttosto netto: Migliaia di ucraini stanno evitando il servizio militare. Nell’ultimo anno e mezzo – stando a quanto riportato dal settimanale britannico – i doganieri di Kiev avrebbero fermato 6.100 uomini con l’accusa di tentato attraversamento illegale dei posti di frontiera, mentre altri 13.600 individui sono stati acciuffati mentre cercavano di espatriare valicando fiumi e campagne.

 

UN FENOMENO tutt’altro che trascurabile, in un Paese che ha fatto del patriottismo militarista il proprio brand – e che ha costretto a uniformarsi alla moda tutti i cittadini arruolabili di età compresa tra i 18 e 60 anni, ai quali, come noto, è severamente vietato spostarsi oltreconfine. I fuggitivi – e a maggior ragione, i fuggitivi che si sono fatti beccare – sono tuttavia solo la punta dell’iceberg. Un’altra strategia utilizzata per evitare la mobilitazione sarebbe – sempre secondo The Economist – quella di registrarsi come accompagnatore di un familiare disabile.

In alternativa – qualora non ci siano malati in famiglia – c’è chi cerca di sfangarsela contraendo matrimoni di convenienza con donne portatrici di handicap. Oppure, ci si può iscrivere all’università: non a caso – come rileva Dmytro Tuzhansky, direttore dell’Istituto per la strategia centroeuropea di Uzhhorod – il numero di uomini idonei alla leva che si sono fatti schedare come studenti è ormai «enorme». Ciò nonostante, di tutto questo si continua a parlare pochissimo, e il tema della diserzione e della renitenza alla leva resta, su entrambi i lati del fronte, uno dei meno trattati dalle cronache. Quando su questo giornale abbiamo provato a colmare tale lacuna – raccontando soprattutto le defezioni politiche, di chi pensa che la guerra sia fatta col sangue dei lavoratori per arricchire oligarchi e padroni – in tanti hanno avuto da eccepire, specie sul fronte ucraino.

 

CHE MOLTI RUSSI disapprovino il conflitto è ormai pacifico: solo nel 2022, secondo il ministero degli Esteri britannico, oltre un milione e 300mila cittadini della Federazione si sarebbero rifugiati all’estero, mentre ogni settimana almeno cento soldati verrebbero processati dai tribunali di Mosca per aver gettato il fucile ed essersi rifiutati di combattere.

Ma affermare che le stesse cose avvengono regolarmente anche sul versante di Kiev rimane, a quanto sembra, un autentico tabù. Del resto, l’Ucraina ci tiene a presentare se stessa come un Paese di tempra guerriera, i cui cittadini sono pronti a farsi scannare in massa per la gloria della patria. Se così fosse, tuttavia, non si capirebbe per quale ragione, un mese fa, il presidente Zelensky avrebbe dovuto annunciare il licenziamento di tutti i funzionari regionali addetti all’arruolamento, rei di «arricchimento illegale, profitti illeciti e trasporto illegale attraverso il confine di coscritti».

«Ci sono regioni – ha spiegato Zelensky – in cui il numero delle esenzioni dalla naja è aumentato di dieci volte rispetto al febbraio del 2022».

Negli scorsi giorni, come se non bastasse, il governo di Kiev ha riportato in auge la questione chiedendo alle nazioni occidentali l’immediata estradizione dei renitenti alla leva che si sono rifugiati oltreconfine.

 

UNA PRETESA che sarà suonata bizzarra alle orecchie degli abituali fruitori della propaganda ucraina, la quale ha sempre bollato il fenomeno del rifiuto della divisa come «esiguo» e «marginale». Come dire: se tutti vogliono combattere, che senso ha farsi rispedire indietro quei quattro codardi che se la sono squagliata? La risposta – non proprio esaltante, immaginiamo – è giunta per bocca degli stessi alleati occidentali: solo in Germania – come riporta la Bild, citando i dati del ministero degli Interni tedesco – sarebbero approdati tra il febbraio 2022 e il febbraio 2023 ben «163.287 ucraini maschi e normodotati».

In Polonia l’argomento è stato oggetto di un lungo servizio del quotidiano Rzeczpospolita, il quale scrive che almeno 80mila cittadini ucraini in età militare sarebbero entrati nel Paese dopo l’inizio dell’invasione e non ne sarebbero più usciti.

Il quadro che se ne ricava è più o meno sovrapponibile a quello tratteggiato da The Economist, e se si comparano queste cifre con il totale dei militari in servizio attivo nell’esercito di Kiev – che sono ormai circa 500mila – il primo aggettivo che viene in mente non è né «esiguo» né «marginale».

«Al fronte ci finiscono quasi sempre i più disgraziati – ci ha raccontato Ivan, un renitente di Kharkiv che oggi vive in Italia -. Per i russi è la stessa cosa: quanti ventenni sani di mente sarebbero disposti a farsi sbudellare da un colpo di mortaio nel Donbass? E poi, per il vantaggio di chi? Con quale scopo? E perché i figli dei politici e degli oligarchi non finiscono mai in trincea?». Sono domande che in pochi osano pronunciare a voce alta, ma la cui eco getta un ponte di fratellanza al di là delle trincee e dei reticolati. Proprio per questo, secondo noi, è così urgente parlarne.

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GUSTAV KLIMT ( VIENNA, 1862 – 1918 ), I PAESAGGI E IL LAGO ATTERSEE IN ALTA AUSTRIA

 

 

 

Alta Austria - Wikipedia

ALTA AUSTRIA — AUSTRIA

 

Mappa Austria - cartina geografica e risorse utili - Viaggiatori.net

Austria : LINZ E’ IL CAPOLUOGO DELL’ALTA AUSTRIA

 

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Aerial image of the Attersee

 

 

 

KLIMT

 

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Gustav Klimt (Vienna, 14 luglio 1862 – Vienna, 6 febbraio 1918) è stato un pittore austriaco, uno dei più significativi artisti della secessione viennese.

Gustav Klimt nacque il 14 luglio 1862 a Baumgarten, allora sobborgo di Vienna, secondo di sette fratelli (quattro femmine e tre maschi): il padre Ernst Klimt (1834-1892), nativo della Boemia, era un orafo, mentre la madre, Anna Finster (1836-1915), era una donna colta e versata nella musica lirica. Tutti i figli maschi della famiglia Klimt riveleranno in futuro una forte inclinazione per l’arte: i fratelli minori di Gustav, Ernst e Georg, diverranno anch’essi pittori. Frequentò per otto anni la scuola primaria nel settimo distretto comunale di Vienna e successivamente nel 1876, malgrado le pressanti ristrettezze economiche, il quattordicenne Gustav venne ammesso a frequentare la scuola d’arte e mestieri dell’Austria (Kunstgewerbeschule), dove studiò arte applicata fino al 1883, cominciando a informare personali orientamenti di gusto e imparando a padroneggiare diverse tecniche artistiche, dal mosaico alla ceramica, nel rispetto dei canoni accademici e della storia dell’arte del passato..

 

SEGUE:

https://it.wikipedia.org/wiki/Gustav_Klimt

 

 

Risultati immagini per gustav klimt FOTO DI LUI

 

 

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Risultati immagini per gustav klimt FOTO DI LUI

 

 

 

Egon Schiele, Gustav Klimt nella sua camicia blu per dipingere (1913)

 

 

 

I PAESAGGI DI GUSTAV KLIMT

 

 

 

CHIESA DI CASSONE, SUL GARDA

 

 

Fattoria con alberi di betulle, 1903

 

 

Albero di mele

 

 

 

Bosco di abeti, 1901

 

 

 

Giardino italiano, 1913

 

 

 

 

Frutteto con giardini di rose

 

 

 

 

Laghetto quieto nel parco del castello Kammer, 1899, olio su tela; 74 x 74, Vienna, Sammlung Leopold

 

 

 

Tempesta in arrivo

 

 

 

Attersee

 

 

 

Flower garden

 

 

 

1909-1910 — Il Parco (olio su tela, 110.5 cm × 110.5 cm)

Questo è uno dei lavori in cui Klimt più si avvicina all’astrattismo, senza però mai compiere il grande passo. Il brulichio dei colori e delle esili forme della vegetazione infonde un senso di vivacità che si collega al ciclo della vita naturale. L’obiettivo è fortemente ravvicinato al soggetto, come avviene anche nelle vedute paesaggistiche. La stesura ricorda l’esecuzione virtuosistica dei mosaici.

da : https://it.wikipedia.org/wiki/Dipinti_di_Gustav_Klimt

 

 

immagini sopra dal blog:

 

LA SOTTILE LINEA D’OMBRA.COM

 

di ::  ariannadps

4 MARZO 2015

Per andare oltre il bacio: i paesaggi di Gustav Klimt

 

 

 

 

Risultati immagini per gustav klimt PAESAGGI

IL PARCO DEL CASTELLO DI KAMMER, 1910

 

 

 

Immagine correlata

IL CASTELLO DI KAMMER SULL’ATTERSEE

 

 

 

Immagine correlata

IL CASTELLO DI KAMMER SULL’ATTERSEE, 1909

 

 

 

 

 

IL CASTELLO DI KAMMER SULL’ATTERSEE

 

 

 

 

 

Risultati immagini per gustav klimt PAESAGGI

DA INTERNET:::

Chiesa a Unterach sul lago Attersee, 1918 — olio su tela –Graz, Sammlung Fritz Böckfonte: Wikimedia Commons

 

 

 

 

 

Klimt: Viale nel parco del castello Kammer

Viale nel parco del castello Kammer, 1912, olio su tela; 110 x 110, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere—fonte: xxx

 

 

 

 

 

Immagine correlata

Campo di papaveri, 1907, olio su tela; 110 x 110, Vienna, Österreichische Galerie belvedere— fonte: Wikimedia Commons

 

 

 

Klimt: Faggeto

Faggeto 1902, olio su tela; 100 x 100 Dresda, Gemäldegalerie–fonte: Wikimedia Commons
La serie di boschi di faggio corrisponde ai quadri a soggetto lacustre realizzati negli stessi anni. Si ripetono l’orizzonte molto alto, il formato quadrato, la prospettiva fortemente ravvicinata. L’andatura ritmica segnata dagli alberi, lungi dal determinare un appesantimento ottico, gioca con la vivacità dei colori e l’esilità dei tronchi, fino ad immergere lo spettatore nel paesaggio.
DA : https://it.wikipedia.org/wiki/Dipinti_di_Gustav_Klimt

 

 

 

 

ALTRO BLOG :

KLIMT PITTORE DI PAESAGGI

BY KLIMTEXPERIENCE ON DICEMBRE 19, 2016 IN BLOG

link dopo lo scritto

 

 

 

 

Durante le estati tra il 1900 e il 1916, che trascorse nel paesaggio lacustre dell’Attersee insieme a Emilie Flöge, Klimt realizzò 55 dipinti a tema paesaggistico.

 

Emilie Flöge, musa di Klimt e designer di moda

Emilie Flöge  (Vienna, 30 agosto 1874 – Vienna, 26 maggio 1952) è stata una stilista austriaca,  ritratta da Gustav Klimt in varie occasioni essendo stata sua compagna tutta la vita. Pur avendo avuto molto successo come stilista ( portò a Vienna lo stile di Chanel e Dior, anche se con l’annessione alla Germania fu costretta a chiudere la sua boutique, continuando a lavorare privatamente ) è nota al grande pubblico come modella di Klimt, anche se lui non ebbe mai con lei un rapporto esclusivo.  Nonostante ciò, Emilie fu la donna più importante nella vita di Klimt, tanto che la volle accanto a sé sul suo letto di morte: pare che le ultime parole del pittore siano state proprio «Portatemi Emilie». Emilie Flöge fu sua modella in numerose occasioni, venendo immortalata anche in un dipinto a olio del 1902 che porta il suo nome. Diversi critici affermano che sia Flöge la donna inginocchiata ne Il bacio.

 

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KLIMT, EMILIE FLOGE, 1902

 

 

Tornando ai dipinti di paesaggi, si può dire che all’interno della produzione pittorica klimtiana, si tratta di un nucleo omogeneo con caratteristiche uniche e proprie: non esistono schizzi, perché a queste tele il pittore viennese lavorava “en plein air”, col cavalletto piantato tra gli alberi o in barca, e successivamente le completava nel suo atelier.

I paesaggi vivono in una sorta di indefinita sospensione del tempo: il primo piano si dilata sino a colmare il quadro, scandito dai riflessi di luce sull’acqua immobile o dalle verticali degli alberi, con una linea d’orizzonte altissima. Perfino il formato quadrato impone suggestioni di quiete. La presenza umana è esclusa da queste opere: sembrano recinti inaccessibili e l’orizzonte coincide quasi con il margine della tela. L’occhio mette a fuoco solamente il dettaglio, intensificandolo sino a farne un momento magico, un oggetto di meditazione e un sipario della solitudine e dell’estraneità.

 

Il poeta Peter Altenberg, grande estimatore di Klimt, individua proprio nei paesaggi, più che nei dipinti dal tema allegorico, quel perfetto equilibrio tra immagine, idea e sentimento che è ai suoi occhi la sigla della vera modernità viennese, fatta di malinconia, eleganza, intimismo e decadenza.

Scrive nel 1917: «Gustav Klimt, in quanto pittore contemplativo, tu sei anche un filosofo moderno! Dipingendo ti trasformi improvvisamente, quasi favolosamente, in quell’uomo modernissimo che forse non sei affatto nell’esistenza reale del giorno e dell’ora! I tuoi paesaggi agresti con centomila fiori e un girasole gigantesco costituiscono un legame tra idealismo e romanticismo! Sì, la soluzione teoreticamente pratica di questo problema! I tuoi casolari cupi, i tuoi laghetti silvestri sono poesie e canti malinconici e modernissimi!».

 

link::

https://www.klimtexperience.com/2016/12/19/klimt-pittore-di-paesaggi/

 

 

 

Malcesine on Lake Garda, 1913 by Gustav Klimt - Il quadro che il grande pittore produsse sul Lago di Garda

MALCESINE, SUL LAGO DI GARDA, 1913

 

 

IN VENDITA L’HOTEL MORANDI DOVE SOGGIORNO’ GUSTAV KLIMT:

È nel periodo trascorso all’hotel Morandi che il pittore ha realizzato celebri opere come «Veduta di Malcesine», «La chiesa di Cassone» e «Il giardino italiano» che la storia, a metà tra realtà e leggenda, vuole siano state dipinte usando un cannocchiale dal porto di Tremosine.

 

La targa che commemora il passaggio di Klimt sul Garda

 

GIORNALE DI BRESCIA, 14 MARZO 2018

https://www.giornaledibrescia.it/garda/in-vendita-la-residenza-sul-garda-da-dove-klimt-dipinse-malcesine-1.3251228?fbclid=IwAR0InTVCaDeNqD3n34z13LRtXO2jCe3SrGBXSmLsKLisG31XwoNuiUQJwTE

 

** pur avendo cercato non ho trovato la notizia che sia stato venduto, è probabile, visto che questo articolo del Giornale di Brescia è del 2018 e adesso siamo..

 

 

NOTA : ATTERSEE

Unterach am Attersee – Veduta

Unterach am Attersee – Veduta

 

notizie sopra da wikipedia : https://it.wikipedia.org/wiki/Attersee_am_Attersee

 

 

Se mai, a questo punto, voleste farvi un altro giro sull’Attersee con Klimt e Emilie Floge, potete aprire il link sotto :

 

Olga Tuleninova 🦋 @olgatuleninova – 9.25 – 26 maggio 2021 –GUSTAV KLIMT – FATTORIA A KAMMER SULL’ATTERSEE ( 1901 ), olio su tela – coll. privata + FINESTRE SUL’ARTE.INFO — 3  LUGLIO 2021

 

 

 

 

 

 

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ISABELLE FAUST, VIOLINO::: BEETHOVEN, CONCERTO PER VIOLINO E ORCHESTRA OP. 61 +++ ALTRO

 

 

ISABELLE FAUST è una violinista tedesca nata nel 1972 ad ESSLINGHEN AM NECHAR

 

 

Isabelle Faust: “Così ho risvegliato il mio Stradivari”

La musicista tedesca in concerto in Italia con il suo violino dimenticato per 150 anni:  ha iniziato la sua carriera solista a 15 anni


ROMA IN QUESTO nostro tempo ridondante di star affette da sindromi esibizionistiche, l’asciutta dama tedesca Isabelle Faust sembra marciare controvento. Violinista di bravura eccelsa, avrebbe molto di cui pavoneggiarsi. Eppure è segreta, sfuggente e proiettata con purezza nel proprio destino musicale. Ma il suo sottrarsi ai riflettori e alle interviste ha finito per farne una diva suo malgrado e una leggenda per gli amanti della musica.

Suonando può esprimere un lirismo senza scampo o l’elettricità di un vortice emotivo. Entra nel mondo dei pensieri e nella sfera dei sentimenti con la stessa audace pertinenza.

Di fatto Isabelle, che ha 43 anni, un figlio diciannovenne e abita a Berlino (nelle rare soste tra un tour internazionale e l’altro), spicca come una delle messaggere più carismatiche del repertorio tradizionale, con incursioni pregiate nel contemporaneo. Il 19 aprile a Torino (al Conservatorio per l’Unione Musicale) e il 20 a Milano (al Conservatorio per la Società del Quartetto) si esibirà con l’Orchestra of the Age of Enlightenment (Età dell’Illuminismo ), formazione inglese di altissimo livello che studia e pratica la musica barocca e classica con gli strumenti del periodo.

“In programma ci saranno fra l’altro il Primo e il Quinto Concerto per violino di Mozart”, spiega Isabelle. “Amo l’idea di mostrare l’incredibile progresso che ci fu nell’arco di pochissimi anni nel modo mozartiano di scrivere concerti. Mozart corre forte nella composizione, raggiungendo nel Quinto un acme di bellezza”.

Che significa per lei lavorare con un gruppo filologico come The Age of Enlightenment?

“Vuol dire soprattutto trovare una distanza dalla tradizione romantica da cui sono stata condizionata e identificare qualcosa di più vicino a Mozart. Mi sono formata sui dischi mozartiani di Oistrakh: magnifici, certo, ma lontani dall’originale. L’istinto può esser falso quando si è cresciuti in un’altra direzione, e questo vale affrontando ogni compositore”.

 

Lei suona uno Stradivari “Bella Addormentata” del 1704. A cosa deve quel nome il suo violino?

“Per centocinquant’anni fu dimenticato nella casa di un’aristocratica famiglia in Germania senza che nessuno lo toccasse. Quando nel ventesimo secolo venne alla luce, lo definirono “The Sleeping Beauty”. È rifinito, flessibile, versatile. Ha corde di budello che oggi non si usano più e sono molto più adatte a Mozart rispetto a quelle di metallo adottate nei violini costruiti adesso”.

Isabelle Faust è nata in una famiglia di musicisti?

“Mia mamma lo era, e mio padre prese a studiare il violino a trent’anni perché l’aveva incontrata. Ho la musica nelle radici, mi sembra di non avere fatto altro. Ero bambina quando si eseguiva musica da camera in casa. Era coinvolto pure mio fratello, e quando avevo undici anni io e lui eravamo già stati ingaggiati da un ensemble”.

 

Italian conductor Claudio Abbado conducts the Lucerne Festival Orchestra during the opening concert of the Lucerne Festival, Thursday, 10 August 2006 in Lucerne, Switzerland. ANSA/URS FLUEELER

 

CLAUDIO ABBADO — foto Sole 24 ore
(Milano26 giugno 1933 – Bologna20 gennaio 2014) è stato un direttore d’orchestra italiano.

 

Claudio Abbado nel 1965

 

 

 

Può parlare della sua intensa collaborazione con Claudio Abbado?

“Aveva un modo insostituibile di trasmettere la musica, con sguardi e gesti, occhi e mani, senza mai troppe parole. Ci ha insegnato l’ascolto partecipe di tutti gli altri musicisti impegnati nel concerto:
l’ascoltarsi e il rispondersi musicalmente era fondamentale nella sua visione. La sua preparazione era stupefacente per inesauribilità. Poteva lavorare per interi mesi su pezzi che conosceva ed eseguiva da cinquant’anni. Ogni volta ci si rituffava dentro con un interesse nuovo”.

 

 

qualche foto di

ESSLINGEN AM NECKAR, 

una città di 95.000 abitanti ( dicembre 2022 ) nel Land del Baden- Wuttenberg, distretto di Stoccarda.

CARTINE AL FONDO ED ALTRE NOTIZIE DI TIPO STORICO

 

 

Centro storico con la chiesa di Esslingen

centro della città vecchia

 

 

Piazza a EsslingenPiazza Principale

 

 

Lace on textiles

la lavorazione di pizzi è una specialità della città

 

 

 

Lace on textiles

 

 

 

 

Germany, Baden-Wurttemberg, Esslingen, Historic half-timbered building at Georg-Christian-von-Kessler-Platz

storico edificio nella piazza Giorgio Christian von Kessler

 

 

Germany, Baden-Wurttemberg, Esslingen, St. Dionys church and surrounding houses

la chiesa di San Dionigi e dintorni

 

 

Germany, Baden-Wurttemberg, Esslingen, Clear sky over historic town hall

cielo azzurro sulla storica torre

 

 

Close-up of sea duck swimming in lake,Esslingen,Germany

un’anatra nuota nel lago di Esslingen

 

Vineyard steep slope

le vigne ..

 

 

Burg Hohenneuffen sulla cima della roccia sulle colline del giura svevo Germania Castello di Hohenneuffen

uno dei castelli svevi delle colline intorno

 

 

 

Germany, Baden-Wuerttemberg, Esslingen, View to city centre with castle in the evening

vista della città di Esslingen al tramonto con il castello sullo sfondo

 

 

Germany, Esslingen, garden allotments

Esslingen, case con giardino

 

 

Germany, Esslingen, garden allotments with summer houses

altre

 

 

Scottish Highland cattle in spring, Esslingen, Baden-Wuerttemberg, Germany, Reussenstein castle ruins, Schwaebi, Baden-Wuerttemberg, Germany

Esslingen, tori delle Highland scozzesi in estate

 

 

CC-German Christmas-Photobrief

Esslingen, mercato di Natale

 

 

 

Fruit tree blossom, Esslingen, Baden-Wuerttemberg, Germany, Reussenstein castle ruins, Schwaebi, Baden-Wuerttemberg, Germany

fiori di albero da frutta

 

 

 

Beehives during fruit tree blossom, Esslingen, Baden-Wuerttemberg, Germany, Reussenstein castle ruins, Schwaebi, Baden-Wuerttemberg, Germany

le api e gli alberi in fiore

 

 

Cropped view of man feeding goat with apple

un uomo da da mangiare una mela ad una bella capra

 

 

GERMANY-HEALTH-VIRUS

un uomo fa il controllo del coronavirus

 

 

Vecchi edifici a Esslingen vicino a Stoccarda, Germania

vecchi edifici a Esslingen

 

 

Mappa MICHELIN Esslingen am Neckar - Pinatina di Esslingen am Neckar ViaMichelin

ESSLINGEN  AM NECKAR  — VICINO A STOCCARDA  — E’ SUL FIUME NECKAR – sulla destra ( = a sud ovest di Stoccarda )

 

 

Baden-Württemberg - Wikipedia

BADEN- WUTTENBERG

 

 

 

per i ++ curiosi:

Nel territorio di Esslingen sono stati ritrovati reperti archeologici risalenti al Neolitico, periodo nel quale il territorio è stato popolato. Resti di insediamenti umani del 1000 a.C. si trovano sotto l’attuale chiesa cittadina (Stadtkirche).

Nel I secolo d.C. il territorio di Esslingen divenne parte dell’Impero romano, dopo che i romani attorno al 70 d.C. avevano oltrepassato il Reno. In quell’epoca furono costruite nell’area di Oberesslingen una fattoria romana e a Berkheim una villa romana. Gli insediamenti più vicini di maggiori dimensioni erano Cannstatt e Köngen (Grinario).

Nel territorio di Esslingen non sono stati ritrovati reperti prealemanni di epoca post-romana, che invece sono presenti nella pianura Filder. Provengono da Rüdern alcuni reperti che fanno pensare a una ricca sepoltura dagli influssi orientali, come ad esempio una sequenza di punte di frecce con tre ali. Il nome della località, che termina in “-ingen”, fa riferimento a un’associazione di persone nella quale giocava un ruolo rilevante – come capofamiglia o come signore del territorio – un uomo chiamato Hezzilo o Hetsilo. Questo nome, assieme al suffisso, “-ingen”, divenne la denominazione del villaggio e successivamente della città.

Nel VI secolo gli Alemanni furono sottomessi dai Merovingi sotto il regno di Clodoveo I. Ciononostante gli Alemanni ricoprirono incarichi amministrativi anche sotto il dominio franco e costituirono un ducato nel Regno franco. Nell’VIII secolo tentarono nuovamente di instaurare un dominio indipendente. Il tentativo fallì nel 746 con la strage di Canstatt, che pose fine al ducato degli Alemanni.

In un reperto archeologico sepolcrale molto importante sono stati ritrovati grazie a Günter Fehring i resti della Vitalis-Cella sotto la Chiesa di San Dionisio. I resti di insediamenti umani attorno alla cella risalgono alla tarda epoca merovingia. Più antiche sono invece le aree sepolcrali di Oberesslingen e Sirnau.

La prima testimonianza documentale di Esslingen risale all’anno 777. L’abate Fulrado di Saint Denis lasciò in eredità la Cella oltre il Neckar, che in precedenza aveva ricevuto da un nobile alemanno di nome Hafti, e le ossa del martire Vitale al monastero reale merovingio di Saint-Denis vicino a Parigi. Dopo la morte dell’abate (nel 784) il monastero fece trasportare i resti di San Vitale dall’Italia alla Cella. Successivamente il luogo divenne un importante centro di pellegrinaggio. La prima citazione del nome “Esslingen” in forma di Hetsilinga si trova in un documento ufficiale di Ludovico il Germanico dell’866, nel quale viene confermato al luogo in cui si trova la Cella il diritto di tenere il mercato. Probabilmente Ludovico il Germanico gli aveva già concesso tale diritto attorno all’anno 800 per salvaguardare le entrate pecuniarie del monastero e i rifornimenti dei pellegrini. Favorevole allo sviluppo di un mercato e del pellegrinaggio era la posizione strategica del luogo su una via di grande comunicazione tra le Fiandre e il Norditalia, che attraversava un’area vicina ad Esslingen.

Tra il 950 e il 1050 circa Esslingen batteva moneta. Esistono solo poche testimonianze scritte risalenti a questo periodo. Si suppone che Esslingen fosse un luogo largamente edificato quando Rodolfo di Rheinfelden tenne un convegno di principi a Esslingen nell’anno 1077. Nello stesso anno Enrico IV di Franconia mosse guerra al rivale Rodolfo e una delle battaglie si svolse nei pressi di Esslingen. Se il luogo in precedenza era probabilmente sotto il dominio dei duchi di Svevia, nell’anno 1079 andò, assieme al titolo ducale di Svevia e alla fortezza di Hohenstaufen, a Federico I di Svevia e, in questo modo, alla dinastia degli Hohenstaufen.

Gli Hohenstaufen al potere-– SEGUE NEL LINK QUI

 

 

 

 

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La drôle de guerre ————————————————–bardelli

 

 

 

 

La drôle de guerre

Secondo il dizionario Sansoni:

Drôle

1amusant ) buffo, divertente, spassoso:

2étrange ) strano, bizzarro, buffo

Così i francesi chiamavano la guerra dal settembre 1939 fino a quando, nel maggio 1940, la Germania li invase. In effetti era una situazione strana. C’era una guerra dichiarata, ma mentre sul fronte orientale la povera Polonia veniva ridotta in macerie, sul fronte occidentale, cioè sul fronte francese, non si sparava, ci si limitava a guardarsi in cagnesco dalle opposte linee fortificate, la Maginot e la Sigfried. E siccome non si sparava, non si moriva e non si uccideva, poteva anche essere divertente.

La guerra fra russi e ucraini non ha niente di divertente, tanto meno di spassoso. Anzi. Però qualche elemento di stranezza c’è.

A cominciare dal fatto che noi italiani, come tutti i membri della Nato. siamo in guerra con la Russia, ma le bombe cadono in Ucraina. E da un po’ anche in Russia. Meglio per noi, si dirà. Molto peggio per ucraini e russi, però.

Inoltre nonostante le severissime sanzioni continuiamo a importare gas e petrolio dalla Russia, cioè dal nemico. L’anno scorso ( la guerra era cominciata a febbraio) la UE ha importato via mare 98,8 milioni di tonnellate di greggio russo. In calo rispetto ai 112,5 milioni dell’anno prima. E meno male ! Ma insomma.

Temo che lo stesso valga per il gas, nonostante i gasdotti sabotati.

E ci sono le importazioni indirette: compriamo petrolio e gas russo da terzi, e così paghiamo anche gli intermediari.

Ma il fatto è che con queste importazioni dirette o indirette finanziamo le spese di guerra del nemico, non è strano ?

E che dire delle dispute filologiche, della questione nominalistica di quali siano le armi difensive e quali quelle offensive ? Del lapsus freudiano di un noto personaggio che per dire che agli ucraini dovevamo mandare solo armi per difendersi disse che dovevamo mandare armi “inoffensive. Escludendo fionde, cerbottane, archi e frecce naturalmente, rimanevano soltanto le pistole ad acqua, come argutamente commentò il giornalista Travaglio.

L’orrore della guerra, di tutte le guerre, sta nella quotidianità di morte e distruzione, nella normalità, non nelle stranezze. Ci sono però alcuni effetti collaterali, diciamo così, che in modo grottesco ne sottolineano l’orrore.

Personalmente sono testimone di uno di questi effetti collaterali

Giorni fa ho comprato il libro di Luca Steinmann, “l fronte russo” (Rizzoli editore). L’autore è stato corrispondente di guerra dal fronte russo, appunto, per il canale La7 e, credo, per Limes. . Non ho ancora cominciato a leggerlo, ma da alcuni suoi servizi che ho visto non direi che sia un fanatico difensore della causa russa.

 

Quale non è stata la mia sorpresa quando fra le pagine del libro trovo l’anonimo biglietto che ho fotografato. Non è comune andare in giro con in tasca un pennarello celeste e uno giallo (che, ormai sappiamo, sono i colori della bandiera ucraina). E’ lecito supporre che l’anonimo commentatore, adocchiato il libro in libreria, senza neanche aprirlo, sia andato a casa dove ha confezionato il biglietto di severa condanna. E magari ne avrà confezionato più di uno che, non visto, avrà messo negli altri esemplari presenti in libreria ( non ho verificato). E chissà in altre librerie.

Tutto questo mi ricorda tristemente quei tifosi che sottraggono tempo al riposo ( o al bar con gli amici) per confezionare striscioni dove insultano i tifosi della squadra avversaria da esibire allo stadio il giorno della partita.

Ma il più triste è che questo atteggiamento da tifoseria non manca ad autorevoli commentatori di questa guerra. Non anonimi.

Ma vogliamo proprio dar ragione a Churchill che, a quanto pare, diceva che gli italiani considerano una partita di football come se fosse una guerra e una guerra come se fosse una partita di football ?

 

 

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IL POST —  7 NOVEMBRE 2021 :: Perché abbiamo riempito le chiese di gargoyle + altro

 

IL POST —  7 NOVEMBRE 2021
https://www.ilpost.it/2021/11/07/gargoyle/

 

Perché abbiamo riempito le chiese di gargoyle

 

Le mostruose statue che ornavano cattedrali e castelli hanno un’origine medievale, ma non sempre servivano a far defluire l’acqua

 

 (Pedro Lastra/Unsplash)

I gargoyle, quelle statue mostruose di varia grandezza che sormontano cattedrali e antichi edifici, ebbero un periodo di grande diffusione nell’immaginario popolare, soprattutto quello dei bambini, negli anni Novanta. All’epoca erano i protagonisti di un cartone animato molto popolare che si chiamava appunto Gargoyles – Il risveglio degli eroi, in cui le statue di pietra si animavano dopo che il sole era tramontato. E sempre negli stessi anni avevano un ruolo rilevante anche in un film di animazione della Disney, Il gobbo di Notre Dame, uscito nel 1996.

Formalmente, gargoyle deriva dal francese antico gargouille che significa “gola” e deriva probabilmente dal latino gurgulio (da cui deriva a sua volta la radice del verbo italiano “gorgogliare”).

In epoca medievale, con questo termine ci si riferiva ai leoni scolpiti dalla cui gola fuoriusciva l’acqua di scolo di certi edifici risalenti a epoche precedenti. Poi cominciò a essere usato in riferimento alle statue grottesche dalle fattezze spesso umane che avevano la stessa funzione, sostanzialmente di scolo della grondaia, e che si trovavano su castelli, torri e cattedrali (  la gargolla altro non è che la parte finale dello scarico dei canali di una gronda, che si è sempre usato ornare con statue. I soggetti scelti erano spesso animali o, come nel caso di Notre-Dame, figure fantastiche e mostruose. I gargoyle (o meglio gargouille) della cattedrale parigina, costruita tra il 1163 e il 1344, non facevano in realtà parte del progetto originario: sono stati aggiunti dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc durante un restauro conclusosi nel 1864. –da Donatella + https://www.artuu.it/i-gargoyles-di-notre-dame-la-vera-storia-dei-mostri-piu-amati-di-parigi/ )

altra immagine dei mostri di Notre Dame– dal link subito sopra.

 

video, 1.28 — chi lavora ai gargoyle

Col tempo, però, il legame tra funzione e nome si è slegato, e sotto a quel nome finirono un po’ tutte le statue ornamentali mostruose di castelli e chiese.

Ancora nel XII secolo, l’importante religioso e teologo Bernardo di Chiaravalle non aveva ben chiare le funzioni dei gargoyle, dato che una volta scrisse:

Ancora, nei chiostri, qual è il significato di quei ridicoli mostri, di quella deformata bellezza, di quella bellissima deformità, proprio sopra gli occhi dei confratelli che leggono? A cosa servono le disgustose scimmie, o i satiri, o i feroci leoni, o i mostruosi centauri, o le tigri maculate […]? In effetti, queste forme che appaiono ovunque sono così infinitamente varie che è più piacevole guardare ai muri che ai libri, e più attraente passare il giorno ad ammirare queste stranezze che meditare sulla legge di Dio.

 

A parte le statue che avevano la funzione di doccioni, di tutte le altre non è facile ricostruire se servissero a qualcosa che andasse oltre la loro funzione ornamentale. Gli storici dell’architettura e della religione hanno ipotizzato che i gargoyle avessero anche una funzione apotropaica, cioè di allontanare gli spiriti maligni.

 

nota : ” doccioni ” –
Il doccione è la parte finale del tubo o canale di scarico esterno di una grondaia. Ha lo scopo di canalizzare il deflusso dell’acqua piovana accumulata nelle gronde o sui tetti impedendo che questa, scorrendo lungo i muri li danneggi o penetri nelle fondazioni. Oggi è perlopiù sostituito dal tubo pluviale. ( wikipedia.org., doccione )

 

 

Ma è altrettanto plausibile che servissero invece a spaventare i fedeli, ricordando loro i tormenti dell’inferno per chi peccava durante la vita terrena. Questa ipotesi spiegherebbe le loro forme spaventose, e del resto le cattedrali e le chiese medievali e non solo erano quasi sempre ornate con scene apocalittiche di dannazione e redenzione a uso della comunità di fedeli.

Nonostante la loro origine, i gargoyle sono entrati nell’immaginario e nella cultura della nostra epoca attraverso alcuni celebri esempi che però non sono medievali. Notre-Dame di Parigi, la cattedrale a cui Victor Hugo dedicò un celebre romanzo da cui vennero tratti film, cartoni animati e musical, non aveva gargoyle quando fu costruita.  Furono aggiunti solo in seguito, nell’Ottocento, per dare all’edificio un aspetto che richiamasse l’estetica gotica per come si era diffusa in quel periodo.

 

IMMAGINI DEI GARGOYLE DEL DUOMO DI MILANO

 

DA : https://blog.urbanfile.org/2016/03/11/milano-duomo-il-diavolo-sul-duomo/

 

 

 

Doccione_del_Duomo_Milano_0

Doccione_del_Duomo_Milano_000

Quelli del duomo di Milano, invece, sono originali. Come ha raccontato il sito di UrbanFile, le forme mostruose del duomo che possiamo chiamare gargoyle sono in tutto 96, hanno le sembianze del diavolo e alcune sono presenti sulla chiesa fin dall’inizio (la sua costruzione iniziò nel 1386).

Doccione_del_Duomo_Milano_2

I gargoyle del Duomo sono particolarmente significativi perché legati a una leggenda sulle origini della chiesa stessa, secondo cui l’idea di costruirla venne a Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, dopo che una notte sognò il diavolo.

Doccione_del_Duomo_Milano_9

Per questo motivo i gargoyle della chiesa avrebbero questa forma diabolica.

Un altro esempio famoso di gargoyle, molto meno tradizionale e molto più recente, è quello della cattedrale di Washington. Si trova su una delle due torri ovest dell’edificio e ha la forma di uno dei cattivi più famosi e riconoscibili della storia del cinema, Darth Vader.-

Nessuna descrizione della foto disponibile.

DARTH VADER–

DA :

CiakClub – link

 

Venne aggiunto negli anni Ottanta, quando le torri erano in costruzione. Per l’occasione la cattedrale organizzò un concorso dedicato ai bambini, invitandoli a disegnare la statua di uno dei gargoyle che avrebbero ornato le torri: al terzo posto arrivò un bambino di nome Christopher Rader che aveva disegnato appunto Darth Vader.

nota:

Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith - Wikipedia
WIKIPEDIA — EPISODIO III

Darth Vader

(noto come Dart Fener nell’adattamento italiano), nato come Anakin Skywalker, è uno dei personaggi principali della serie di Star War.

Darth Vader è diventato uno dei cattivi più iconici della cultura popolare ed è stato elencato tra i più grandi cattivi e personaggi immaginari di sempre. Il suo volto mascherato e il suo elmo, in particolare, sono uno dei design dei personaggi più iconici di tutti i tempi.

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Pidocchi masticatori; quello a destra, con una testa in stile Vader, è Ricinus vaderi .

 

 

 

NOTA :

 

CATTEDRALE NEOGOTICA DI WASHINGTON

 

 

La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Washington è un luogo di culto della Chiesa episcopale degli Stati Uniti d’America sito nella capitale federale della nazione. È la sesta cattedrale più vasta al mondo e la seconda chiesa più grande degli USA.

COSTRUZIONE :

INIZIO — COMPLETAMENTO

29 settembre 1907  /  1990

 

LO STILE

è pieno neogotico arrivando a mischiare diversi tratti dello stile gotico medioevale, chiaramente identificabile negli archi a sesto acuto e nella grande varietà delle volte interne o nelle vetrate che ravvicinano questa struttura alle più classiche ed originali cattedrali inglesi o francesi.

 

 

Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo (Washington) - Wikipedia

DUOMO DI WASHINGTON

 

 

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INTERNO

 

 

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FIANCO E TRANSETTO

 

 

 

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CORO

 

 

 

NOTA — CHIESA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI

 

La Protestant Episcopal Church in the United States of America è la Chiesa anglicana degli Stati Uniti, derivazione della Chiesa d’Inghilterra, costituitasi a vita indipendente in conseguenza del progressivo distacco delle colonie inglesi nordamericane dalla madre patria.

Alla Chiesa d’Inghilterra la Chiesa episcopale è spiritualmente unita per il fatto che ambedue le chiese hanno costituzione episcopale, vanno cioè considerate come federazioni di vescovi, e perché uniche sono sostanzialmente la professione di fede e la prassi liturgica.

Le due chiese sono invece separate per il tipo di organizzazione ecclesiastica: mentre la Chiesa d’Inghilterra, che è chiesa di stato, riconosce come suo capo visibile il re d’Inghilterra, l’organizzazione della Chiesa episcopale americana è improntata (v. appresso) a principî nettamente democratici, e in armonia con il principio dell’assoluta separazione delle chiese dallo stato che ispira la costituzione degli Stati Uniti.

 

FONTE:  TRECCANI
https://www.treccani.it/enciclopedia/chiesa-episcopale_%28Enciclopedia-Italiana%29/

 

 

 

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LUIGI FERRAIOLI, Mimmo Lucano, il reato di solidarietà alla sbarra –Riprende, domani, il giudizio d’appello contro la condanna in primo grado.. –IL MANIFESTO — 19 SETTEMBRE 2023

 

 

IL MANIFESTO — 19 SETTEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/mimmo-lucano-il-reato-di-solidarieta-alla-sbarra

 

 

Mimmo Lucano, il reato di solidarietà alla sbarra

 

COMMENTI. Riprende, domani, il giudizio d’appello contro la condanna in primo grado, il 30 settembre 2021, a 13 anni e due mesi di reclusione per l’ex sindaco di Riace

 

Luigi Ferrajoli: l'orizzonte universale dei diritti ...

foto Il Manifesto

ex magistrato, giurista , prof. emerito Università Tre, Roma

 

 

C’è una nuova figura penalistica creata in questi anni dalla demagogia populista: quella dei reati di solidarietà. Le persone che salvano migranti in mare, coloro che danno lavoro a un clandestino, oppure una casa in locazione dove poter vivere umanamente, sono i nuovi delinquenti creati dalla legislazione d’emergenza.

È un capovolgimento della logica del vecchio populismo penale: non più gli inasprimenti di pena, inutili e tuttavia giuridicamente legittimi, nei confronti di reati di sussistenza provocati dalla povertà e tuttavia pur sempre illeciti. Il nuovo populismo penalizza comportamenti virtuosi con misure insensate, quando non esse stesse illegittime, come la chiusura dei porti, l’omissione di soccorso e i respingimenti collettivi.

 

Mimmo Lucano, il reato di solidarietà alla sbarra

Mimmo Lucano – ANSA

 

L’imputato simbolo di questa nuova figura penalistica è Mimmo Lucano,

 

contro il quale riprende, domani, il giudizio d’appello contro la condanna in primo grado, il 30 settembre 2021, a 13 anni e due mesi di reclusione. Le colpe imputategli, come è noto, consistono nel fatto che Lucano, come sindaco di Riace, ha ridato vita a questo piccolo comune, ha costruito un frantoio pubblico e una scuola, ha trasformato due orrende discariche in un teatro all’aperto, in un giardino di giochi per bambini e in una serie di piccole fattorie e, soprattutto, ha realizzato – questa la colpa più grave –

un modello di integrazione e di accoglienza di centinaia di migranti.

 

Ma questa incredibile processo è molto più di un processo alla solidarietà. Con esso si è voluto processare, fino all’assurda condanna a oltre 13 anni di reclusione, non soltanto l’accoglienza e l’umana solidarietà, ma più in generale una politica e un’azione amministrativa informate ai valori costituzionali dell’uguaglianza e della dignità delle persone e, proprio per questo, stigmatizzate come false e non credibili.

C’è una frase rivelatrice nella motivazione della condanna, che si aggiunge alla massa di insulti in essa contenuti contro l’imputato: la mancanza di prove dell’indebito arricchimento di Lucano seguito alla sua politica di accoglienza, scrivono i giudici, dipende dalla «sua furbizia, travestita da falsa innocenza» e attestata dalla sua casa, «volutamente lasciata in umili condizioni per mascherare in modo più convincente l’attività illecita posta in essere».

Qui non siamo in presenza soltanto di una petizione di principio, che è il tratto caratteristico di ogni processo inquisitorio: assunto come postulato l’ipotesi accusatoria, è credibile tutto e solo ciò che la conferma, mentre è frutto di inganni preordinati o di simulazioni tutto ciò che la smentisce. Non ci troviamo soltanto di fronte a un tipico caso di quello che Cesare Beccaria stigmatizzò come «processo of­fensivo» nel quale, egli scrisse, «il giudi­ce diviene ne­mico del reo» e «non cerca la veri­tà del fatto, ma cerca nel pri­gioniero il delitto». Qui s’intende screditare come impensabili e non credibili le virtù civili e morali dell’ospitalità, del disinteresse e della generosità.

 

È lo stesso pregiudizio che è alle spalle delle norme che penalizzano coloro che salvano i migranti in mare. Non è pensabile che essi dedichino tempo e denaro soltanto per generosità, che non abbiano degli sporchi interessi, che non siano in qualche modo collusi con quanti organizzano le fughe di questi disperati dai loro paesi. Perché l’egoismo, l’imbroglio è la regola. Perché c’è sempre un secondo scopo.

È insomma necessario diffamare e screditare l’accoglienza di Riace, perché Riace ha mostrato che è possibile un’alternativa alle politiche crudeli e disumane messe in atto dai nostri governi e dalle nostre amministrazioni. Giacché il modello Riace, per il solo fatto di essere stato praticato con successo, è un severo atto d’accusa contro quelle politiche. Chiunque si sia recato a Riace è in grado di testimoniarlo. E i giudici per primi, prima di giudicare, dovrebbero conoscere: dovrebbero andare a Riace e vedere, con i loro occhi, ciò che nel suo comune Lucano è stato capace di fare.

Dalla pronuncia della sentenza di secondo grado in questo incredibile processo dipende ovviamente la libertà di Lucano. Ma certamente non dipende da essa la sua reputazione, essendo Lucano diventato un simbolo indiscusso, a livello internazionale, non solo delle buone politiche di accoglienza ma anche della buona amministrazione.

Ne dipendono invece la reputazione e la credibilità della nostra giustizia. Al di là degli aspetti giuridici dell’infondatezza delle imputazioni mosse a Lucano – primo tra tutti la mancanza del dolo, attestata dalle intercettazioni riportate nella stessa sentenza di condanna che ci dicono tutte della convinzione di Lucano di aver sempre agito a fin di bene – si misurerà, da ciò che i giudici decideranno, la loro volontà o meno di unirsi a quest’opera nazionale di diseducazione civile e morale, consistente nella diffusione dell’idea che il bene e la virtù non sono credibili né possibili, ma sono solo delle ipocrite simulazioni, e che la disumanità delle istituzioni è giusta e inevitabile e possiamo tutti continuare a tollerarla, o meglio a sostenerla e a praticarla, con la dovuta indifferenza.

 

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grazie a DONATELLA ! ” IO CAPITANO ” DI MATTEO GARRONE ( Roma, 1968 ) ++ vari siti e vari link —

 

nota di chiara : più che le varie recensioni vi consiglio il magnifico commento di Donatella nei commenti. Lei parla e sente come noi..

 

 

 

 

 

clip, 1.29 — ” Uno è caduto “

 

IO CAPITANO racconta il viaggio avventuroso di due giovani, Seydou e Moussa, che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

 

 

clip, 1.27 — La danza

 

 

 

 

video, 2.43 — Colonna Sonora, ANDREA FARRI 
(feat. Seydou Sarr and Moustapha Fall)

 

 

 

 

 

RECENSIONE 

 

IL FATTO QUOTIDIANO — 6 SETTEMBRE 2023
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/06/festival-di-venezia-matteo-garrone-vuol-vincere-il-leone-doro-io-capitano-e-un-film-potentissimo/7283317/

 

CINEMA

Festival di Venezia, Matteo Garrone vuol vincere il Leone d’Oro. Io Capitano è un film potentissimo

 

Festival di Venezia, Matteo Garrone vuol vincere il Leone d’Oro. Io Capitano è un film potentissimo

 

Stavolta Matteo Garrone vuol vincere il Leone d’Oro. Dopo il Comandante (Favino-Todaro), il Commendatore (Ferrari) ecco il Capitano. Anzi, Io Capitano, film in Concorso a Venezia 80 ma anche urlo spropositato e trascinante che il sedicenne senegalese Seydou caccia al cielo giunto a poche miglia marine dalla Sicilia. Garrone (prima volta assoluta con un suo film a Venezia) si cimenta in una sorta di cinema d’avventura, euforico e disperante allo stesso tempo, sul viaggio epico degli adolescenti Seydou e Moussa (Moustapha Fall) da Dakar alle coste italiane, passando per il Malì, Agadez in Niger, il deserto libico e infine i campi di tortura e la battigia di Tripoli. Non c’è nulla di retoricamente accigliato e caritatevole nel racconto garroniano (qui allo script con Massimo Ceccherini e Massimo Gaudioso) anche perché per i due ragazzini l’Europa, anzi l’Italia, più che la fuga da una guerra o da una carestia, è uno scontato desiderio adolescenziale, terra dove poter cantare e diventare ricchi.

Seydou e Moussa non sono affatto indigenti, vivono “una povertà dignitosa” e soprattutto organizzano il viaggio di nascosto dai genitori, fingendo di giocare a pallone quando invece si spaccano la schiena come muratori per risparmiare soldi, andando pure contro ai consigli degli anziani e dello stregone del quartiere. La fuga inizia canonicamente in corriera con il sorriso sulla bocca, continua tesa tra doganieri corrotti e bagarini di formule all inclusive (hanno pure le foto di jeep e barche nuove di zecca) per attraversare migliaia di chilometri di deserto, e si conclude nella violenza e nel terrore tra sanguinari predoni e carcerieri.

Chiaro, il rimando strutturale immediato è all’Odissea omerica, ma in Io Capitano c’è tanto lucido sadismo collodiano (garroniano?) di Pinocchio, come eccentriche nuance alla Grimm di Hansel e Gretel. In fondo è un ritorno alle origini del Garrone prima maniera – Primo amore e L’imbalsamatore – dove realtà e personaggi giunti all’estremo delle proprie azioni vengono/venivano sublimati in contorni e silhouette tendenti al fiabesco. Vedi anche la fragile e molle innocenza dei due protagonisti senza difesa alcuna, impossibilitati ad essere comunità solidale tra disperati come in una pagina qualunque di Dickens.

Intendiamoci, l’aspetto migratorio è realistico fino al parossismo, ma la messa in scena ha sempre qualche punto di fuga per non farci stare dentro agli interni di Hostel o de Il figlio di Saul.
Vedi quella catasta di cadaveri senza facce nelle carceri delle torture, la sagoma lontana di un essere umano che cade all’improvviso dalla jeep in corsa, il tentativo magico di un cadavere che vola o quell’insistita ordalia di corpi indecifrabili sulla nave della speranza che sembra un’esasperata e teatralizzata danza africana. Infine Garrone si supera nel momento in cui si affaccia e si tuffa in esterni che brulicano di comparse e si allargano a perdita d’occhio (scusate, ma sembrano i campi lunghissimi di molti film di Leone). Un lavoro sullo sfondo e sulla scena ancor più epico del viaggio in sé con sequenze notturne che lasciano senza fiato. Un film potentissimo, di diverse spanne sopra tutto il resto del Concorso veneziano.

 

 

ANSA.IT — 9 SETTEMBRE 2023

Venezia 80: Garrone-Mamadou, Leone d’argento a migranti che non ce la fanno

‘Serve un canale di ingresso regolare’. Un pensiero al Marocco

Garrone - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Parla Matteo Garrone, il regista e  Kouassi Pli Adama Mamadou, il protagonista principale che  è attivista del Centro sociale ex Canapificio e del Movimento migranti e rifugiati di Caserta, alla cui storia si è ispirato.

 l’articolo nel link :

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/venezia_cinema/2023/09/09/venezia-80-garrone-mamadou-leone-a-migranti-che-non-ce-la-fanno_97279d97-6b37-47bd-930e-7494d38b73e4.html

 

 

 

se vuoi dare un’occhiata metto il link di due recensioni del Manifesto

 

I.

CRISTINA PICCINO, «Io Capitano», inseguendo la vita oltre il mare.

 

VENEZIA 80. Presentato in gara e da oggi in sala «Io Capitano» di Matteo Garrone, i sogni giovani di migrazione. L’ avventura di due adolescenti, il desiderio di scoprire il mondo, la rotta mediterranea tra violenza e ricatti

 

«Io Capitano», inseguendo la vita oltre il mare

 

IL MANIFESTO -.- 7 SETTEMBRE 2023

https://ilmanifesto.it/io-capitano-inseguendo-la-vita-oltre-il-mare

 

 

 

II.

 

Lucrezia Ercolani, VENEZIA

Matteo Garrone: «Ho ascoltato le storie di chi lascia l’Africa e ho messo la mia visione al loro servizio»

 

 

Garrone, 'i migranti sono portatori di un'epica contemporanea' | ANSA.it

 

MATTEO GARRONE — FOTO ANSA.IT

 

VENEZIA 80. Incontro col regista in concorso con «Io capitano», definito da lui stesso un lavoro collettivo. La scelta di raccontare la migrazione dei giovani e non di chi fugge dalla guerra

 

IL MANIFESTO — 7 SETTEMBRE 2023

https://ilmanifesto.it/matteo-garrone-ho-ascoltato-le-storie-di-chi-lascia-lafrica-e-ho-messo-la-mia-visione-al-loro-servizio

 

*** 

ANSA.IT — 9 SETTEMBRE 2023 – 21.56

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/cinema/2023/09/09/garrone-i-migranti-sono-portatori-di-unepica-contemporanea_e379fd9c-509c-40ff-97ff-069266239cda.html

 

Garrone, ‘i migranti sono portatori di un’epica contemporanea’

Il regista di Io Capitano: “Devo dire grazie a Seydou”

 

- RIPRODUZIONE RISERVATA

 

“È un film che racconta fondamentalmente di un’ingiustizia che fa sì che questi ragazzi siano costretti a rischiare la vita per viaggiare.
È una violazione dei diritti umani.

Mi interessava poi raccontare il viaggio dal loro punto di vista, un viaggio epico perché questi ragazzi sono gli unici portatori di un’epica contemporanea”.

Così Matteo Garrone alla conferenza stampa dei vincitori al Lido racconta il suo Io capitano, con cui ha ricevuto il Leone d’argento – premio per la migliore regia.
Cosa si aspetta da questo film? “Spero dia una prospettiva diversa con questo viaggio visto dall’interno e questo grazie all’interpretazione cristallina di Seydou (Sarr, ndr) che va diritta al cuore”.
   

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ANSA.IT/ SAN PAOLO– 31 MAGGIO 2023 : Brasile: primo sì alla legge sulle terre indigene + PAOLO ANNECHINI, 4 SETTEMBRE ’23 – MISSIONE ONLINE + CLAUDIA FANTI, IL MANIFESTO 1 GIUGNO 2023

 

 

ANSA.IT — 31 MAGGIO 2023
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/05/31/brasile-primo-si-alla-legge-sulle-terre-indigene_3712e3f3-0052-410a-9eea-45014647daa0.html?reader_id=

 

 

Brasile: primo sì alla legge sulle terre indigene

 

La norma auspicata dall’agrobusiness, protesta dei nativi

 

In Brasile la plenaria della Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge che modifica il sistema di delimitazione delle terre indigene nel Paese, il cosiddetto ‘Marco temporal’.

Il testo ha ricevuto il via libera con 283 voti favorevoli e 155 contrari, con un’astensione, e passa ora all’esame del Senato.

 La norma limita la demarcazione delle terre indigene a quelle che erano già occupate dai popoli nativi prima dell’entrata in vigore della Costituzione del 1988 e va nella direzione auspicata dall’agrobusiness. In giornata si sono intanto moltiplicate le proteste degli indigeni, con scontri con la polizia.

 

 

 

Popoli e Missione

Brasile, indigeni in tensione per disegno di legge che toglie diritto alla terra

 

 

 

 

Brasile, indigeni in tensione per disegno di legge che toglie diritto alla terra

 

Il Senato deve ancora dare il via libera

 

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Nei mesi scorsi 283 deputati brasiliani contro 155 hanno approvato il progetto di legge che promuove la tesi del marco temporal (limite temporale, ndr): in base a questa misura i popoli indigeni che non possono provare che al momento della promulgazione delle Costituzione il 5 ottobre 1988, abitavano fisicamente sulle loro terre, non vi hanno più alcun diritto.

 

La Chiesa cattolica, impegnata da decenni e recentemente ancora di più nel processo iniziato col Sinodo per l’Amazzonia, vuole continuare ad essere alleata dei popoli originari, aiutarli e sostenerli perché possano vivere pienamente e con dignità nei propri territori.

 

Monsignor Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho e presidente del Consiglio Indigenista Missionario (CIMI), ha affermato che la Chiesa non può abbandonare la sua missione, ossia stare accanto ai popoli indigeni.

 

Monsignor Paloschi ha sottolineato come la decisione della Camera non è l’ultima parola, in attesa della decisione del Senato, e ha detto:

«confidiamo che il Supremo Tribunale Federale appoggerà gli indigeni, i popoli che vivevano qui già prima della costituzione dello Stato brasiliano, ricordando che questi diritti sono inalienabili, non è possibile alterare questi diritti».

Il vescovo ha detto, riprendendo la prospettiva biblica: «Un giorno Dio ci chiederà, come ha chiesto a Caino, dov’è tuo fratello? Dove sono le popolazioni indigene che nel 1500 erano quasi sei milioni, e oggi rappresentano un numero insignificante nel Paese?».

L’approvazione di questo disegno di legge avviene in un momento in cui il governo Lula non ha la maggioranza al Congresso nazionale.

L’approvazione è una vittoria della ‘bancada ruralista’ sull’agenda ambientale del presidente Lula che aveva promesso la demarcazione delle terre indigene al momento della sua elezione.

 

IL MANIFESTO 1 GIUGNO 2023
https://ilmanifesto.it/brasile-lassalto-degli-agrari-alle-terre-indigene-ora-e-legge

 

Brasile, l’assalto degli agrari alle terre indigene ora è legge

Dovranno dimostrare di abitarle da prima della Costituzione dell’88: è il “marco temporal”

Brasile, l’assalto degli agrari alle terre indigene ora è legge

San Paolo, manifestanti indigeni contro la legge che resuscita il «marco temporal» – Ap

 

Un altro giorno buio per la democrazia brasiliana. Tra le proteste dei popoli originari, la Camera dei deputati ha approvato, con 283 voti favorevoli, 155 contrari e un’astensione, quello che la ministra dei Popoli indigeni Sônia Guajajara ha definito un «genocidio istituzionalizzato» e un «capovolgimento» della storia del paese: l’applicazione di un marco temporal alla demarcazione delle aree indigene.

 

CON IL VIA LIBERA al progetto di legge (Pl) 490, i deputati hanno cioè riconosciuto il diritto alla terra solo a quei popoli in grado di dimostrare la loro presenza nell’area rivendicata alla data di promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre del 1988, cancellando con un colpo di spugna tutto il processo di espulsioni violente e di massacri realizzato prima e durante (e anche dopo) il regime militare. Oltretutto in violazione della Costituzione del 1988, in base a cui il governo avrebbe dovuto consegnare ai popoli indigeni le terre tradizionalmente occupate – senza alcun limite temporale – entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, vale a dire entro il 1993.

 

Di anni ne sono passati trenta e se non c’è stato, da allora, un solo governo che abbia preso realmente sul serio il dettato costituzionale, il Pl 490, se venisse approvato in via definitiva, rappresenterebbe l’attacco più duro ai popoli indigeni dal ritorno della democrazia.

 

OLTRE A IMPORRE la tesi del limite temporale, il testo, come se non bastasse, proibisce l’ampliamento delle terre indigene già demarcate, ne indebolisce l’uso esclusivo da parte delle comunità, dà il via libera alla cooperazione tra indigeni e non indigeni per attività economiche, autorizza il contatto con i popoli isolati in caso di «azione statale di utilità pubblica».

 

Immensa, naturalmente, la soddisfazione della bancada ruralista: «È un progetto audace che metterebbe fine alla guerra tra indigeni e produttori», ha commentato il deputato bolsonarista Zé Trovão. «È una delle questioni più importanti per il Brasile, per il congresso, per la pace nei campi», ha evidenziato il parlamentare di centro-destra Arthur Oliveira Maia, sottolineando come l’attuale legislazione sia fonte di insicurezza giuridica e favorisca «autodichiarazioni» funzionali alla creazione di riserve indigene.

 

DI QUESTE PRESUNTE «autodichiarazioni» la più nota è quella degli indigeni Xokleng, la cui rivendicazione di una parte della loro terra ancestrale nel Rio Grande do Sul è al centro della discussione sul marco temporal presso la Corte Suprema, che riprenderà il 7 giugno: un popolo perseguitato ed espulso violentemente dal suo territorio nel XIX e XX secolo, per far spazio prima ai coloni europei e poi alla costruzione di una diga sul fiume Itajaí, iniziata durante la dittatura.

 

MA È SOLO un esempio tra innumerevoli altri: durante il regime militare, e anche prima, l’azione combinata di interessi economici e potere politico ha espulso dalle loro terre e sterminato intere comunità indigene in tutto il paese, con tanto di certificati emessi dalla Funai (l’allora Fondazione nazionale dell’indio) per attestare l’assenza di popoli originari in determinate aree e consentire così la concessione, illegale, di titoli immobiliari.

 

QUEGLI INTERESSI economici non sono certo meno potenti oggi, neppure all’interno di quel fronte ampio che sostiene il governo Lula e ne costituisce al tempo stesso la principale debolezza: se il Pt e la tutta sinistra hanno votato compattamente contro il progetto, l’83% dei parlamentari dei partiti Mdb, Psd e União Brasil – partiti a cui sono stati assegnati ben nove ministeri – si sono espressi a favore.

 

LA BANCADA RURALISTA, tuttavia, non può ancora cantare vittoria: se il Pl 490 venisse approvato anche al Senato e ricevesse il via libera di Lula (il quale tuttavia è assai probabile che porrà il veto), potrebbe ancora essere dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema.

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ANSA.IT — 16 SETTEMBRE 2023 – Al via l’Oktoberfest di Monaco — ANSA.IT — 1 SETTEMBRE 2023 — REGIONE LIGURIA

 

ROSAMUNDE – FISARMONICA,  ARNOLD RENK – CON L’ORCHESTRA DIRETTA DA ALFRED HAUSE

” Beer Barrel Polka “, originariamente in ceco ” Škoda lásky “, è una polka del 1927 composta dal musicista ceco Jaromír Vejvoda.

 

Il testo fu aggiunto nel 1934, guadagnando successivamente popolarità in tutto il mondo durante la seconda guerra mondiale come canzone da bere

 

 

ANSA.IT — 16 SETTEMBRE 2023 –https://www.ansa.it/canale_lifestyle/photogallery/2023/09/16/al-via-loktoberfest-di-monaco_57df5570-2b8e-4748-8343-a61616587504.html

 

Al via l’Oktoberfest di Monaco

 

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

 

187th Oktoberfest in Munich - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

187th Oktoberfest in Munich - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

187th Oktoberfest in Munich - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

187th Oktoberfest in Munich - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

Oktoberfest preparations in Munich © ANSA/EPA

 

 

 

Torna Oktoberfest con tanti eventi, c 'è anche 'Beer yoga ' - RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

 

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

 

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

 

 

Opening and tapping of Oktoberfest 2023 © ANSA/EPA

 

 

 

ANSA.IT — 1 SETTEMBRE 2023
https://www.ansa.it/liguria/notizie/2023/09/01/torna-oktoberfest-con-tanti-eventi-ce-anche-beer-yoga_5f15a63a-8986-4787-9b08-edbec49aa90a.html

 

Torna Oktoberfest con tanti eventi, c’è anche ‘Beer yoga’

Per imparare a meditare con una pinta in mano.

Da giovedì 7 a domenica 24 settembre 2023 torna in piazza della Vittoria l’Oktoberfest di Genova, l’unica manifestazione ufficialmente riconosciuta dalle autorità bavaresi fuori dai confini della Germania.

Giunta alla sua 13^ edizione e come di consueto, accanto alla gastronomia bavarese e alla birra HB l’evento offre intrattenimento, musica, sport e attività per bambini e famiglie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ANSA.IT/ PERGOLA — 17 SETTEMBRE 2023 — La Maddalena, scoperto un capolavoro di Raffaello oggetto di una conferenza tenutasi lo scorso 16 settembre 2023 a Pergola a Pergola ( Pesaro Urbino ), ma Sgarbi lo dichiara impossibile. ++ Pergola e le sue piccole meraviglie ( 5.800 abitanti nel 2022, per dire l’enorme diffusione in Italia di meraviglie.. )

 

 

ANSA.IT/ PERGOLA — 17 SETTEMBRE 2023 —

https://www.ansa.it/amp/sito/notizie/cultura/2023/09/17/la-maddalena-scoperto-un-capolavoro-di-raffaello_14903e05-c157-44bd-9286-b2e7874c32df.html

 

 

La Maddalena, scoperto un capolavoro di Raffaello

 

Lo rivela uno studio, ma per Sgarbi ‘è impossibile’

 

>>>ANSA/ LA MADDALENA, SCOPERTO UN DIPINTO DI RAFFAELLO
++ Scoperto un nuovo dipinto di Raffaello, una Maddalena ++
>>>ANSA/ LA MADDALENA, SCOPERTO UN DIPINTO DI RAFFAELLO - RIPRODUZIONE RISERVATA

Redazione Ansa /

 

Una Maria Maddalena dai capelli scuri, la scollatura quadrata, le mani dalle belle dita affusolate raccolte, occhi penetranti più che penitenti. Il volto, bellissimo, è quello di Chiara Fancelli, moglie del Perugino.

La mano però, secondo un gruppo studiosi, è di Raffaello Sanzio, allievo di Perugino che ha poi superato il maestro.

Il dipinto, un olio su tavola di pioppo, datato 1504, 46 cm per 34 cm, appartenente ad una collezione privata all’estero, è al centro di uno studio che sarà pubblicato la prossima settimana sulla rivista scientifica “Open Science, Art and Science” con il titolo “La Maddalena di Raffaello ovvero quando l’allievo supera il Maestro”.

Ma secondo Vittorio Sgarbi, storico dell’arte e sottosegretario alla Cultura, “non c’è nessuna possibilità che il dipinto sia del maestro urbinate. Si basa su una conoscenza di pochi trattandosi di un’opera in collezione privata, con la legittima aspirazione del proprietario di possedere un Raffaello” dovrebbe trattarsi un prototipo di Perugino.
I risultati dello studio sono stati anticipati durante una conferenza internazionale a Pergola (Pesaro Urbino) “La Bellezza Ideale-La visione della perfezione di Raffaello Sanzio”, a cui hanno partecipato esperti come madre Maria Cecilia Visentin, docente pontificia specializzata in iconografia religiosa dell’ordine dei Servi di Maria; Annalisa Di Maria tra i massimi esperti internazionali di Leonardo da Vinci e del Rinascimento italiano, specializzata nella corrente neoplatonica, e per la parte scientifica, il professore emerito Jean-Charles Pomerol della Sorbona, già rettore dell’Università Pierre e Marie Curie, e Andrea da Montefeltro, ricercatore e scultore.

Per loro si tratta “un supremo risultato artistico del Rinascimento italiano”, di un capolavoro di Raffaello riscoperto.

Di un ritratto della Maddalena esiste una versione (alla Galleria Palatina), autenticata come di mano del Perugino, un’altra a Villa Borghese, di bottega. “Già è bizzarra – per Sgarbi – l’idea di una Maddalena con le sembianze della moglie del Perugino, come è sospetta la pur legittima propensione di alcuni studiosi a pronunciarsi soltanto su grandi nomi: Raffaello, Leonardo, Botticelli”.

Per gli esperti invece la versione di Raffaello è superiore, dal punto di vista stilistico e tecnico, per grazia e armonia della composizione e per l’uso dello sfumato che evidenza l’influenza di Leonardo da Vinci sul giovane pittore di Urbino.

A sostegno dell’attribuzione a Raffaello c’è l’utilizzo della tecnica dello spolvero, per trasferire il disegno preparatorio (impiegata sempre dall’urbinate, mai da Perugino), individuata da analisi di laboratorio eseguite da A.R.T. & Co, spin off dell’Università di Camerino con sede ad Ascoli Piceno.

E poi la presenza di ‘pentimenti’ e i materiali: una preparazione del supporto con impasto di gesso e colla animale, strati a base di olio e biacca, pigmenti come il verde-grigio, ocre e terre, polvere di vetro e lacche utilizzate per gli smalti, indispensabili nella creazione degli sfumati, tipicamente raffaellesche, pigmenti compatibili con la tavolozza del “divin pittore”.

Per gli esperti la versione di Raffaello sarebbe precedente a quella di Perugino e sarebbe servita da modello per le altre due.

Lo studio analizza anche le proporzioni matematiche usate da Raffaello, “che conosceva la matematica, a differenza di Perugino” spiega Annalisa Di Maria. Secondo lei il quadro rappresenta “una svolta: il pittore di Urbino trovò un suo linguaggio, affrancandosi da quello di Perugino” e superandolo, tanto da essere considerato già all’epoca un maestro.

Il dipinto, sempre secondo la studiosa, mette in luce un altro aspetto di cui “non si parla abbastanza: il legame tra Raffaello e Leonardo”.

I due si incontrarono e frequentarono a Firenze, Sanzio ammirò il Da Vinci “al punto di immortalarlo come Platone nella sua Scuola di Atene”. Tante analisi, insomma, per spiegare la capacità di “rendere vivo il modello, di farci vedere la sua anima” che accomunava Leonardo e Raffaello.

Durante la conferenza, che rientra tra i progetti collaterali della mostra nazionale Arcana-Il Leone del Nuovo Orizzonte, è stato consegnato il premio “Leonardo The Immortal Light” per la sezione Ricerca Culturale al cardinale Gianfranco Ravasi.
(ANSA).

 

 

 

NOTAPERGOLA ( provincia Pesaro Urbino ), abitanti 5 809  (dati 30-6-2022)

 

Panorama del centro storico di Pergola dal colle Santa Colomba
Freddy1971 – Opera propria

 

 

Chiesa di San Francesco
Diego Baglieri – Opera propria
“Wiki Loves Monuments Italia”

 

 

Portone della Chiesa di an Francesco

Diego Baglieri – Opera propria
“Wiki Loves Monuments Italia”

 

 

 

 

 

 

Chiesa di San Francesco

Diego Baglieri – Opera propria
“Wiki Loves Monuments Italia”

 

 

 

Chiesa di San Francesco

Diego Baglieri – Opera propria
“Wiki Loves Monuments Italia”

 

 

 

 

 

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Il gruppo equestre di epoca romana dei Bronzi Dorati da Cartoceto di Pergola dopo il nuovo allestimento realizzato da Paco Lanciano
Freddy1971 – Opera propria

 

 

 

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Una sala del Museo dei bronzi dorati e della città di Pergola
Da sinistra Versperbild in gesso policromo di scuola viennese-praghese, polittico di scuola marchigiana, statua in pietra di San Secondo di scuola umbra.
Freddy1971 – Opera propria

NOTA: VESPERBILD –  letteralmente immagine del Vespro e rievoca il momento in cui il corpo di Cristo, deposto dalla croce, è in attesa di sepoltura. L’iconografia del Cristo morto sul grembo di Maria ha iniziato ad essere rappresentata nelle sculture lignee della valle del Reno d’inizio Trecento.

 

 

 

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Veduta dell’interno della Chiesa di Santa Maria delle Tinte.

 

 

 

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Crocifissione, Chiesa di Santa Maria di Piazza, Pergola (Pesaro e Urbino)
il lato sinistro del dipinto attribuito alla scuola giottesca, sono raffigurate le pie donne, la Maddalena, la Madonna e l’apostolo San Giovanni

 

 

 

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Adorazione dei Magi di Aurelio Lomi, Chiesa dei Re Magi.
Deep also.it

 

 

Festival Animavì

Scatto durante una serata di Animavì, il Festival Internazionale del Cinema di Animazione Poetico

Nato nel 2016, il Festival Animavì si basa sull’idea ‘di rappresentare, a livello internazionale, il “Cinema di animazione artistico e di poesia”, ovvero quel genere di animazione indipendente e d’autore che  prende le distanze in maniera netta dall’animazione commerciale e di massa. L’obiettivo è di essere una vetrina sulla corrente più interessante del genere, riferendosi esclusivamente a lavori che si rivolgono all’anima dello spettatore. Opere in cui ogni singolo fotogramma è concepito come una piccola opera d’arte.

Il direttore artistico è Simone MassiGiannalberto Bendazzi è il presidente onorario.

Il festival è organizzato dall’Associazione Culturale Ars Animae diretta da Mattia Priori, Leone Fadelli e Silvia Carbone.

 

Blooming Festival


Dal 2017 nel mese di giugno la cittadina ospita il Blooming Festival. Un festival di cultura digitale nel quale il borgo diviene parte dell’evento. Artisti e designer portano le installazioni, le proiezioni e i concept negli spazi della città: palazzi storici, chiese, grotte sotterranee

 

Centro Buddista Tibetano

Centro buddhista tibetano

Il Centro buddhista tibetano Ngagyur Rigdzin Dudjom Drodul Ling si trova a Pergola ed è l’unico centro in Italia con un maestro della tradizione Nyingma del lignaggio di Dudjom Rinpoche. È diretto da Rigdzin Namkha Gyatso Rinpoche

 

da :

wikipedia, Pergola

https://it.wikipedia.org/wiki/Pergola_%28Italia%29

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LA POLONIA TRA HITLER E STALIN — MEIN KAMPF E LE ” RAZZE SLAVE ” — IL PATTO ( 1939-1941 ) DI CLAUDIA WEBER, EINAUDI 2021 + altro

 

 

Mal di casa. Un ragazzo davanti ai giudici 1941-1942 - Chriatoph Schminck Gustavus - copertina

 

Mal di casa : un ragazzo davanti ai giudici : 1941-1942 / Christoph U. Schminck-Gustavus . con Un ricordo, di Nuto Revelli

Torino: Bollati Boringhieri, 1994

 

 

IL SOLE 24 ORE – 16 SETTEMBRE 2023

http://cinema.ilsole24ore.com/film/das-heimweh-des-walerjan-wrobel/

 

 

SCHEDA FILM — a cura di Cinematografo.it

 

DAS HEIMWEH DES WALERJAN WROBEL
( La nostalgia di casa di Walerjan Wrobel )

Anno: 1992
Durata: 94 Origine: GERMANIA Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Regia:

Specifiche tecniche:

Tratto da: https://www.cinematografo.it/NOVELLA DI C. U. SCHMINCK GUSTAVUS

Produzione: STUDIO HAMBURG, PROD. PER FILM E FERNSEHEN GMBH INCOPRODUKTION CON DEM ZDF

Distribuzione: FIFIGE, HAMBURG

 

TRAMA

Germania 1941: Walerjan Wrobel è un ragazzo molto ingenuo di 16 anni che viene da un piccolo villaggio della Polonia. E’ costretto a lavorare nella fattoria di una vedova di guerra, nelle vicinanze di Brema. Walerjan compie ogni sforzo per fare un “buon lavoro”, e mai un “cattivo lavoro”. Gli torna in mente il consiglio di suo padre: ” E’ molto importante che tu lavori bene quando sei con i Tedeschi e che tu sia sempre corretto ed educato, così niente andrà male”. Ma Walerjan ha nostalgia di casa e non riuscendo il suo tentativo di fuga, decide di appiccare il fuoco nel granaio, in modo da farsi cacciare per “cattivo lavoro”. Naturalmente le cose prendono un’altra piega; così come avveniva nella Germania di quei tempi: la polizia, l’ interrogatorio della Gestapo, il campo di concentramento, il processo e la condanna. Walerjan Wrobel non comprende la sua colpa; dopo tutto voleva soltanto tornare a casa.

 

 

HITLER  E LE ” RAZZE ” SLAVE TRA CUI I POLACCHI

 

Uccisione di civili polacchi – Sconosciuto 1939-1945.
Cierpienie i walka narodu polskiego, Zarząd Główny
Związku Bojowników o Wolność i Demokrację (da Wikipedia).



File:Public execution of 54 Poles in Rożki (1942).jpg
Pubblica esecuzione di 54 donne  Polacche a Rozki, villaggio vicino a Radon, 1942 -
 durante l'occupazione nazista della Polonia.
Autore sconosciuto. Fonte :1939-1945. Cierpienie i walka narodu polskiego, Zarząd Główny 
Związku Bojowników o Wolność i Demokrację, Warszawa 1958.




Il pensiero  elaborato da Hitler nel ” Mein Kampf ” sulle ” razze “,  non solo poneva gli ebrei al grado infimo, ma classificava ogni etnia in una scala gerarchica – utilizzando poi tale pseudo-filosofia a fini di potere.

Se nel grado più infimo della suddivisione in razze stavano gli ebrei, il penultimo posto era occupato dai popoli slavi e, fra di essi, in particolare, da polacchi, cèchi, ucraini e russi: per i nazisti andavano anch’essi annientati, anche se con modalità diverse da quelle scelte per gli ebrei.

L’invasione della Polonia non si configurava, nell’universo mentale nazista, come una conquista, al pari dell’occupazione della Francia o della tentata invasione dell’Inghilterra, bensì, ben più profondamente, rientrava in un piano di germanizzazione dell’Europa dell’est, secondo il quale la razza ariana avrebbe dovuto asservire i popoli slavi, colonizzare le loro terre e ridurre polacchi, cèchi, ucraini e russi al ruolo di servi della razza ariana.

A questo fine, Hitler procedette con una prassi e con leggi successive via via più oppressive giungendo infine alla completa sottomissione della nazione polacca, in vista dell’eliminazione del ceto intellettuale e borghese della nazione: solo i contadini e gli operai sarebbero rimasti in vita per lavorare a sevizio del Reich, ma avendo sottratto loro, per via di sterminio, ogni figura di riferimento culturale che potesse ricordare loro l’antica identità nazionale.

 

Shirernella sua Storia del Terzo Reich ( EINAUDI, 1962 //  2007 ), ricostruisce le dichiarazioni progettuali e poi la realizzazione del piano in vista dell’annientamento della nazione polacca, che procedette di pari passo con lo sterminio degli ebrei.

Egli mostra come l’intenzione di fare piazza pulita della nazione polacca è chiara prima ancora dell’invasione della Polonia. Nel capitolo relativo, intitolato “Il terrore nazista in Polonia: la prima fase” Shirer scrive:

«Il 18 ottobre Halder segnò nel suo diario i principali punti di un colloquio avuto col generale Eduard Wagner, generale d’amministrazione, che aveva conferito in quel giorno con Hitler intorno al futuro della Polonia, un futuro sinistro.
Non abbiamo intenzione alcuna di ricostruire la Polonia… Non deve essere un vero Stato secondo il modello tedesco. All’intelligentsia polacca si deve impedire di costituirsi in classe dirigente. Deve essere mantenuto un basso tenore di vita. Schiavi a buon mercato..
Si deve creare un’assoluta disorganizzazione. Il Reich darà al governatore generale i mezzi per attuare questo piano diabolico.

E il Reich glieli diede.
Proprio quando stava per iniziarsi l’attacco contro la Polonia, nella conferenza all’Obersalzberg del 22 agosto Hitler aveva detto ai suoi generali che sarebbero accadute cose «di scarso gradimento per loro», ma li aveva anche avvertiti «di non interferire in simili cose e di limitarsi a fare il loro dovere di militari».

 

 

IL PATTO HITLER — STALIN- 1939-1941

 

EINAUDI, 2021

Ancora oggi il celebre patto Hitler- Stalin è considerato alla stregua di uno scomodo incidente storico o, nel migliore dei casi, una sorta di preludio alla guerra vera e propria, che sarebbe iniziata solo con l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Al contrario, proprio la collaborazione dei due dittatori, oltre che causare l’inizio della guerra in Europa, trasformò radicalmente nel corso di ventidue mesi la cartina politica del continente.
Basato su fonti storiche e documenti d’archivio, questo libro ricostruisce accuratamente in che modo Hitler e Stalin, tra il 1939 e il 1941, si spartirono il continente, come i loro tirapiedi negoziarono e perché quest’alleanza mortale arrivò a concludersi.
Claudia Weber rilegge la collaborazione russo-tedesca nel contesto della politica demografica e di reinsediamento della popolazione in base all’appartenenza etnica condotta dalle due potenze e ricostruisce le terribili azioni di cui entrambe si resero responsabili contro i profughi ebrei, polacchi e ucraini.

 

 

IL MANIFESTO, 3 OTTOBRE 2021
https://ilmanifesto.it/stalin-hitler-le-ragioni-geopolitiche-di-una-alleanza-fatale

 

Stalin-Hitler, le ragioni geopolitiche di una alleanza fatale

 

PASSAGGI STORICI. Da quando gli archivi sovietici hanno rivelato il Protocollo segreto che accompagnò «Il patto», una riconsiderazione dell’evento e delle sue conseguenze è sembrata imprescindibile: da Einaudi

 

Stalin-Hitler, le ragioni geopolitiche di una alleanza fatale

Leonid Sokov, «L’ombra di Hitler e di Stalin», 2014

 

All’inizio della seconda guerra mondiale, dal 23 agosto 1939 al 22 giugno 1941, la Germania Nazista e l’Unione Sovietica furono alleate grazie al famoso Trattato di non aggressione, firmato a Mosca dal ministro sovietico, Molotov e da quello nazista von Ribbentrop e perciò conosciuto come «il patto Molotov-Ribbentrop».

Già il fatto che esso sia ricordato così, e non come «il patto Stalin-Hitler», dice molto sul fatto che, nella memoria collettiva, esso è stato a lungo considerato da un lato come uno stratagemma voluto da Stalin per preparare il suo paese all’inevitabile, durissimo scontro militare, e dall’altro come una mossa tattica, intrapresa da Hitler per annettersi gran parte della Polonia, senza rinunciare in fondo all’intenzione di annientare l’Unione Sovietica.

 

Nuovi elementi

A partire dagli anni Novanta, tuttavia, dagli archivi sovietici è emerso il Protocollo segreto che aveva accompagnato il Trattato, mutando considerevolmente la comprensione di quell’evento e delle sue decisive conseguenze. A questo ripensamento è ora dedicato il libro di Claudia WeberIl patto Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale 1939-41 ( Einaudi, traduzione di Monica Guerra, pp. 264, € 28,00 ).

Le ragioni della stipula del Trattato, pur potendosi giovare della tradizionale cooperazione economica russo-tedesca che nel libro viene attentamente ricostruita, furono squisitamente geopolitiche.

Nel settembre del 1938 la conferenza di Monaco, seguita all’invasione tedesca dell’Austria e alla cosiddetta crisi dei Sudeti, aveva visto un accordo internazionale tra le principali potenze europee che escludeva l’URSS.

La politica franco-britannica dell’appeasement (  acquiescenza grave ad un nemico con l’illusione di evitare il peggio  ) fece concessioni sostanziali a Hitler ma tenne Stalin fuori dai giochi, negandogli ciò che chiedeva, vale a dire una serie di territori confinanti con l’URSS, in modo da creare un’area di diretta influenza sovietica.

Nacquero da qui i contatti russi con la Germania: il 23 agosto del 1939, a Mosca veniva così firmato il Trattato che sanciva la divisione d’Europa tra Germania e Russia.

Non solo la Polonia veniva spartita tra le due potenze ma i nazisti riconoscevano il predominio sovietico sull’area Baltica e sulla Bessarabia.

 

( un po’ nascosto -1940 )

 

SPARTIZIONI IN BASE AGLI ACCORDI —- SPARTIZIONE EFFETTIVA

Spartizione territoriale tra Germania e Unione Sovietica che vede a sinistra la suddivisione come sarebbe dovuta avvenire in base agli accordi, a destra la spartizione effettivamente avvenuta; in blu il Reich tedesco; in celeste gli obiettivi tedeschi, in arancione gli obiettivi sovietici; in rosso l’Unione Sovietica: in realtà gli scopi militari di Hitler andavano ben oltre quelli indicati dalle cartine, tanto che nel 1941 la Germania avrebbe aggredito l’Unione Sovietica.
Peter Hanula Translator: Bukkia –

da : https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1b/Ribbentrop-Molotov_it.svg

 

 

Malgrado l’antibolscevismo fosse stata una delle principali ragion d’essere del nazionalsocialismo e benché lungo gli anni Trenta l’ideologia comunista fosse stata sostenuta dall’antifascismo di matrice moscovita, l’alleanza fu sancita ed è come se l’interesse di potenza avesse temporaneamente ma crucialmente sconfitto le ideologie di sostegno del totalitarismo. Ne seguì un generale sconcerto tra le fila comuniste, simboleggiato dall’allontanamento di Arthur Koestler, che avrebbe pubblicato l’anno dopo Buio a mezzogiorno, ma anche un preciso malessere tra quelle tedesche cui diede voce Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista, uno dei pochi che potevano permettersi di esprimerlo.

Soprattutto, il Trattato consentì a Hitler, una settimana dopo, di invadere la Polonia, atto di inizio della seconda guerra mondiale.

 

Tra lo sconcerto tedesco le truppe russe non intervennero immediatamente, ma solo quindici giorni dopo, il 17 settembre; Stalin intendeva, infatti, presentare falsamente l’intervento sovietico come una misura difensiva, affermando che, a causa del crollo dello stato polacco i «fratelli di sangue ucraini e bielorussi» erano rimasti indifesi e il governo sovietico non poteva restare indifferente rispetto alle minacce che gravavano sul loro destino.

Insieme alle deportazioni di massa, ai reinsediamenti e agli spostamenti di popolazione, l’interscambio e i contatti fra l’occupante tedesco e quello sovietico – coordinati da commissioni congiunte tra SS, Gestapo e l’Nkvd – sfociarono in stragi di massa: la cosiddetta operazione Ab di «purificazione» nazista dell’élite polacca, e quella stalinista di Katyn’, uno dei più famigerati crimini di guerra dello stalinismo.

 

NOTA : Nkvd — Commissariato del popolo per gli affari interni.

Nel 1934 l’OGPU fu assorbito dall’NKVD dell’URSS, appena creato, diventando Direttorato principale per la sicurezza dello Stato. Come risultato, l’NKVD divenne anche responsabile di tutte le strutture di detenzione, tra cui i campi di lavoro forzati, altrimenti noti come Gulag, come anche della polizia ordinaria così come del controspionaggio militare

La pacificazione della Polonia occupata fu occasione per la collaborazione di NKVD e Gestapo, i cui rappresentanti si incontrarono nel marzo del 1940, per una settimana a Zakopane.

da : https://it.wikipedia.org/wiki/Commissariato_del_popolo_per_gli_affari_interni

 

Ma gli effetti del Patto sarebbero andati ben al di là della Polonia consentendo al nazismo i cosiddetti Blitzkriege ( guerra lampo ): il Terzo Reich occupò la Francia, gli stati del Benelux e parte della Scandinavia mentre l’Unione Sovietica inglobò i paesi baltici, la Bessarabia e la Bucovina settentrionale.

Al termine delle campagne militari Hitler aveva ampliato il suo dominio di 800.000 chilometri quadrati, mentre Stalin era riuscito a estendere la sua area di influenza diretta di 422.000 chilometri quadrati.

A quel punto, nella primavera del 1940, ottenuta la spartizione dell’Europa, l’alleanza iniziò la sua parabola discendente. In particolare l’occupazione sovietica di Bessarabia e Bucovina ne misero in crisi la tenuta politica. Hitler propose a Stalin di espandersi in Asia verso l’India, dove un conflitto britannico-sovietico sarebbe stato inevitabile, e in sostanza di abbandonare strategicamente l’espansione in Europa ma davanti al rifiuto sovietico maturò la decisione di attaccare l’URSS.

 

Incertezza sovietica

Per quanto informato in dettaglio dei piani nazisti di apertura di un fronte orientale antisovietico, Stalin fu restio a trarne le conclusioni e questa incertezza, pagata tragicamente sul piano militare, rafforzò però il mito sovietico della «grande guerra patriottica», contribuendo a far dimenticare i primi ventidue mesi di guerra, quelli in cui il patto fu in vigore.

Il 22 giugno 1941, giorno dell’invasione sovietica dell’Urss, Winston Churchill, ricevette la notizia della fine del patto Hitler-Stalin con uno smile of satisfaction ( sorriso di soddisfazione ), e prontamente promise all’Unione Sovietica «ogni sostegno tecnico o economico che sia in nostro potere». L’alleanza con Washington era stata già avviata, e il patto Hitler-Stalin dimenticato. La sua fine coincise così con la nascita dell’alleanza occidentale con Stalin. Per Churchill era the lesser of the two evils, il male minore ( lett. ” il minore dei due mali “)

 

*** 

LIGURIA — BUSINESS JOURNAL

 — 13 SETTEMBRE 2021

“Il Patto – Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale” di Claudia Weber

 

CITIAMO SOLO QUESTO BRANO DELLA RECENSIONE DI ODOARDO SCALETTI di cui il link subito sopra::

 

A rendere possibile l’alleanza furono le analogie totalitarie, la volontà di potere imperiale e le correlazioni storiche. Al centro dell’accordo di trovava il Protocollo aggiuntivo segreto, di cui Ribbentrop Molotov e Stalin negoziarono i contenuti nell’agosto a Mosca e di cui Mosca negò sempre l’esistenza fino al dicembre 1992 quando Gorbaciov consentì la consultazione dell’originale russo conservato negli archivi del Cremlino il quale documentava un accordo che avrebbe scosso dalle fondamenta il mito dell’antifascismo comunista. Il protocollo aggiuntivo attestava che Stalin non accondiscese al patto solo per differire l’attacco di Hitler e la guerra all’Unione Sovietica. Entrambi i dittatori condividevano la volontà di espansione politico-ideologica. Il protocollo definiva le “sfere di interesse” di entrambi o meglio i confini dell’Europa orientale. Nella regione baltica essi coincidevano con il confine settentrionale della Lituania, la Lettonia, l’Estonia e la Finlandia rientravano nella sfera di interesse sovietico, la Lituania in quella tedesca. Nel caso di una “riorganizzazione politico-territoriale” della Polonia (cioè di una spartizione, ndr) il confine sarebbe stato la linea dei fiumi Narew, Vistola e San.

Il 1° settembre 1939 la Wehrmacht invase la Polonia. L’Armata Rossa varcò il confine con la Polonia solo due settimane più tardi, il 17 settembre. Grazie a questo ingresso ritardato la propaganda sovietica riuscì a presentare l’Unione Sovietica come una potenza di pace e alternativa rispetto alle forze imperialiste aggressive, intervenuta per difendere i  fratelli ucraini e bielorussi, dopo l’invasione tedesca. Agli avversari di Hitler conveniva crederlo o fare finta di crederlo e la versione sovietica è riuscita a imporsi fino al crollo dell’Urss.

Ma, avverte Claudia Weber, autrice del libro::

«Fin dall’inizio la repressione della resistenza polacca fu attuata con azioni militari e atti di violenza coordinati degli occupanti tedeschi e sovietici».

Nel “Protocollo aggiuntivo segreto” del 28 settembre 1939 è scritto: «Tutte e due le parti non tollereranno alcuna agitazione polacca che estenda la sua azione ai territori dell’altra parte. Impediranno ogni accenno del genere nei loro territori e si metteranno reciprocamente al corrente delle misure adottate per raggiungere questo scopo».

 Qui vorremmo ricordare lo splendido libro “La mia testimonianza davanti al mondo” di Jan Karski (Adelphi).

Unitosi alla Resistenza nel 1939, Karski, giovane ufficiale della riserva era stato incaricato di tenere i collegamenti fra lo Stato segreto polacco e gli organi ufficiali del governo in esilio a Londra. Nel 1939 dopo l’invasione della Polonia era stato catturato e rinchiuso in un campo di prigionia sovietico; era riuscito però a scappare e a unirsi alla Resistenza, mentre la maggior parte dei suoi compagni venne fucilata dai russi.

 

La storica CLAUDIA WEBER documenta le stragi di ucraini e polacchi compiute dai sovietici compresa quella di Katyn, eseguita su ordine  del Politbjuro del 5 marzo 1940

e osserva:

«Nel terrore delle operazioni di annientamento come le esecuzioni in massa di Katyn si manifestò chiaramente l’interscambio tra l’occupazione nazionalsocialista e quella stalinista: un capitolo cui viene riservata scarsa attenzione nella storia del patto Hitler-Stalin».

 

SE VUOI APRI QUI --
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Katyn%27

** NON E' FATTO DA PERSONE FAVOREVOLI ALL'UNIONE SOVIETICA..

















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ANSA.IT — 16 SETTEMBRE 2023 –20.46 :: Pio XII sapeva dei lager, spunta lettera dagli Archivi. Un gesuita tedesco informò dello sterminio degli ebrei

 

 

ANSA.IT — 16 SETTEMBRE 2023 –20.46
https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2023/09/16/pio-xii-sapeva-dei-lager-spunta-lettera-dagli-archivi_479efed7-bb0d-47e5-a9d3-0a695144e977.html

 

Pio XII sapeva dei lager, spunta lettera dagli Archivi.

Un gesuita tedesco informò dello sterminio degli ebrei

Pio XII © ANSA/ANSA/OLDPIX

Pio XII © ANSA/ANSA/OLDPIX

Dagli Archivi Vaticani spunta una lettera che apre uno squarcio sulle vicende della seconda guerra mondiale e sulla posizione assunta da Pio XII.

Papa Pacelli sapeva dei campi di concentramento e dello sterminio di massa degli ebrei che lì veniva quotidianamente perpetrato.

A pubblicare questo inedito documento è ‘la Lettura’ del Corriere della Sera.

Il ritrovamento si deve a Giovanni Coco, archivista e ricercatore presso l’Archivio Vaticano, che in una intervista a Massimo Franco rivela:

“È un caso unico, ha un valore enorme”.
Poi spiega: “Noi cerchiamo di fare chiarezza, anche per comprendere la stagione terribile in cui Pacelli guidò la Chiesa”.

E’ evidente che questo scoop riaprirà il dibattito sui cosiddetti ‘silenzi’ di Pio XII e potrebbe anche mettere una ipoteca sulla sua causa di beatificazione. Ma è lo stesso Vaticano che ha scelto la linea della trasparenza prima aprendo gli Archivi di quel periodo e ora portando alla luce questo importante documento. Lo storico afferma di sperare che queste nuove carte “alimentino una nuova consapevolezza e aiutino a fare chiarezza. Abbiamo dibattuto per più di mezzo secolo su documenti e fonti indirette. Ora abbiamo quelle dirette, e altre probabilmente emergeranno. Noi ci sforziamo di renderle il più possibile accessibili a tutti, perché si capisca la stagione terribile nella quale Pio XII ha guidato la Chiesa. Deve emergere tutto, senza paure né pregiudizi. È quanto stiamo facendo negli ultimi anni qui all’Archivio”.

Affermazioni in linea con la scelta del Prefetto dell’Archivio, mons. Sergio Pagano, che Franco ha incontrato in questa circostanza.

Se da un lato questa nuova scoperta evidenzia che la storia di quegli anni, con riferimento particolare a quanto fece o non fece il Vaticano, è ancora tutta da scrivere, dall’altro è segno del clima di terrore e minaccia che arrivava fino al Sacro Palazzo.
L’inserto ‘la Lettura’ del Corriere pubblica al proposito la fotografia di un pugnale con incisa la svastica nazista.

Fu trovato nell’appartamento di Pio XII. dal suo successore, Papa Giovanni XXIII, che chiese spiegazioni all’allora sostituto della Segreteria di Stato monsignor Angelo Dell’Acqua, il quale non sapendo nulla dell’oggetto “si rivolse a suor Pascalina Lenhert, l’oracolo di Pio XII, la sua governante.

E suor Pascalina rivelò che il pugnale era stato portato in udienza da un membro delle SS che lo doveva usare contro Pio XII. Ma il soldato si era ravveduto e ne aveva fatto dono al Papa”. Lo rivela, nella stessa intervista a Franco, l’archivista e ricercatore Coco.

Pio XII era stato sollecitato da Myron Taylor, rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt, a dire parole forti sulla persecuzione degli ebrei. Ma non lo fece.

Per lo storico vaticano “influirono anche altri timori: in primo luogo la possibilità concreta di rappresaglie naziste contro i cattolici polacchi, il suo gregge di fedeli. Avrebbe significato recidere i rapporti con i vescovi di quella comunità già sotto il tallone nazista.

E poi, in larga parte del mondo vaticano ristagnava il pregiudizio contro gli ebrei non solo sul piano religioso, ma talvolta anche antisemita”.

 

 

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TRE FAVOLE/ FILASTROCCHE DI GIANNI RODARI ( Omegna, 1920 – Roma, 1980 ), scrittore, pedagogista, giornalista e poeta italiano. È l’unico scrittore italiano ad aver vinto il Premio Hans Christian Andersen (1970).

 

 

Filastrocche degli errori: essere e avere

 

Il professor Grammaticus, viaggiando in treno, ascoltava la conversazione dei suoi compagni di scompartimento. Erano operai meridionali, emigrati all’estero in cerca di lavoro: erano tornati in Italia per le elezioni, poi avevano ripreso la strada del loro esilio.

– Io ho andato in Germania nel 1958, – diceva uno di loro.
– Io ho andato prima in Belgio, nelle miniere di carbone. Ma era una vita troppo dura.

Per un poco il professor Grammaticus li stette ad ascoltare in silenzio. A guardarlo bene, però, pareva una pentola in ebollizione. Finalmente il coperchio saltò, e il professor Grammaticus esclamò, guardando severamente i suoi compagni:
– Ho andato! Ho andato! Ecco di nuovo il benedetto vizio di tanti italiani del Sud di usare il verbo avere al posto del verbo essere. Non vi hanno insegnato a scuola che si dice: “sono andato”?

Gli emigranti tacquero, pieni di rispetto per quel signore tanto perbene, con i capelli bianchi che gli uscivano di sotto il cappello nero.
– Il verbo andare, – continuò il professor Grammaticus, – è un verbo intransitivo, e come tale vuole l’ausiliare essere.

Gli emigranti sospirarono. Poi uno di loro tossì per farsi coraggio e disse:
– Sarà come lei dice, signore. Lei deve aver studiato molto. Io ho fatto la seconda elementare, ma già allora dovevo guardare più alle pecore che ai libri. Il verbo andare sarà anche quella cosa che dice lei.
– Un verbo intransitivo.
– Ecco, sarà un verbo intransitivo, una cosa importantissima, non discuto. Ma a me sembra un verbo triste, molto triste. Andare a cercar lavoro in casa d’altri… Lasciare la famiglia, i bambini.

Il professor Grammaticus cominciò a balbettare.
– Certo… Veramente… Insomma, però… Comunque si dice sono andato, non ho andato. Ci vuole il verbo “essere”: io sono, tu sei, egli è…

-Eh, – disse l’emigrante, sorridendo con gentilezza, – io sono, noi siamo!… Lo sa dove siamo noi, con tutto il verbo essere e con tutto il cuore? Siamo sempre al paese, anche se abbiamo andato in Germania e in Francia. Siamo sempre là, è là che vorremmo restare, e avere belle fabbriche per lavorare, e belle case per abitare.
E guardava il professor Grammaticus con i suoi occhi buoni e puliti. E il professor Grammaticus aveva una gran voglia di darsi dei pugni in testa. E intanto borbottava tra sé: – Stupido! Stupido che non sono altro. Vado a cercare gli errori nei verbi… Ma gli errori più grossi sono nelle cose!

 

 

 

 

Il libro degli errori - Rodari/Munari | Einaudi Ragazzi

 

Il libro degli errori è una raccolta di filastrocche e di racconti brevi scritti da Gianni Rodari, pubblicata nel 1964

 

 

 

 

Giacomo di cristallo

 

Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua. Era di carne e d’ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verità e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse più bugie.
Un’altra volta un amico gli confidò un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu più tale.
Il bambino crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli facevano una domanda, prima che aprisse bocca.
Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava “Giacomo di cristallo”, e gli voleva bene per la sua lealtà, e vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore, e cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato. I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.
Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri.
Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire.
Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano.

 

da : Favole al telefono, Einaudi, 1962

 

 

Il giovane Gambero

 

Un giovane gambero pensò: “Perché nella mia famiglia tutti camminano all’indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco”.

Cominciò ad esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni l’impresa gli costava moltissima fatica. Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l’altra. Ma un po’ alla volta le cose andarono meglio, perché tutto si può imparare, se si vuole.

Quando fu ben sicuro di sé, si presentò alla sua famiglia e disse:
“State a vedere”.
E fece una magnifica corsetta in avanti.

“Figlio mio”, scoppiò a piangere la madre, “ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come tuo padre e tua madre ti hanno insegnato, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene”.

I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare.
Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse: “Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua, il ruscello è grande: vattene e non tornare più indietro”.

Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò per il mondo.

Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea.

“Il mondo va a rovescio”, disse una rana, “guardate quel gambero e datemi torto, se potete”.
“Non c’è più rispetto”, disse un’altra rana.
“Ohibò, ohibò”, disse una terza.

Ma il gamberetto proseguì diritto, è proprio il caso di dirlo, per la sua strada. A un certo punto si sentì chiamare da un vecchio gamberone dall’espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto a un sasso.

“Buon giorno”, disse il giovane gambero.
Il vecchio lo osservò a lungo, poi disse: “Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco che cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua piuttosto che rivolgermi la parola. Fin che sei in tempo, dà retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio”.

Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava: “Ho ragione io”.

E salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino.
Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno.

Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: “Buon viaggio!”.

 

 

da : ” Favole al telefono ” ( 1962 )

 

 

 

Favole al telefono : Rodari, Gianni, Munari, Bruno: Amazon.it: Libri

Einaudi, 1962

 

 

 

Gianni Rodari (Omegna23 ottobre 1920 – Roma14 aprile 1980) è stato uno scrittorepedagogistagiornalista italiano, specializzato in testi per bambini e ragazzi e tradotto in moltissime lingue. Vincitore del prestigioso Premio Hans Christian Andersen (edizione 1970), fu uno tra i maggiori interpreti del tema “fantastico” nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, sua opera principale, fu uno dei principali teorici dell’ ARTE DI INVENTARE STORIE.

da :

https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Rodari

***

vale leggere, o rileggere, la vita ( tanto non si ricorda.. ) perché si hanno delle notizie che ancora ci sorprendono

 

 

 

 

 

 

 

 

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+++ MISHA ELMAN – 1919 – SUONA LA MEDITAZIONE DAL THAIS DI JULES MASSENET +KREISLER + SERENATA DI SCHUBERT + altro

 

 

 

 

Mischa (Mikhail Saulovich) Elman ( russo : Михаил Саулович Эльман ; 20 gennaio 1891-5 aprile 1967) è stato un violinista ebreo -americano di origine ucraina famoso per il suo stile appassionato, il suo bel suono e l’impeccabile abilità artistica e musicali.

Moses o Moishe Elman nacque nella cittadina di Talnoye (ora conosciuta come Talne ) nell’Umansky Uyezd del Governatorato di Kiev dell’Impero Russo (l’attuale Ucraina )

 

 

 

 

TALNE SI TROVA NELL’OBLAST DI CERKASY AL CENTRO DEL PAESE.

 

 

 

 

UN PALAZZO A CERCASY, CAPITALE DELL’OBLAST DOVE SI TROVA TALNE- LUOGO DI NASCITA DEL VIOLINISTA

 

 

CHIESA DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAULO A TALNE
AnnaTroicka – Opera propria

 

 

 

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LA SINAGOGA DI TALNE FATTA IN LEGNO
Данило Щербаківський –

 

 

Suo nonno era un klezmer , o musicista folk ebreo che suonava anche il violino. È diventato evidente quando Mischa era molto giovane che aveva un tono perfetto, ma suo padre esitava a lasciargli intraprendere la carriera di musicista, poiché i musicisti non erano molto in alto nella scala sociale. Alla fine cedette e diede a Mischa un violino in miniatura, sul quale presto imparò diverse melodie da solo. Poco dopo fu portato a Odessa , dove studiò all’Accademia Imperiale di Musica. Pablo de Sarasate gli ha dato una raccomandazione, affermando che potrebbe diventare uno dei grandi talenti d’Europa. Ha fatto un’audizione per Leopold Auer all’età di 11 anni, interpretando il Wieniawski Concerto n. 2 e 24 Capriccio di Paganini. Auer fu così colpito che fece ammettere Elman al Conservatorio di San Pietroburgo

 

segue:

https://en.wikipedia.org/wiki/Mischa_Elman

 

 

Mischa Elman con il violino nel 1916.jpg

Mischa Elman con il violino nel 1916–Bain – Biblioteca del Congresso

 

 

MISHA ELMAN SUONA KREISLER  ” LIEBESFREUD ” ( Amorevole ), 1962

il video non è granché ma l’audio è decente..

 

 

Friedrich-Max Kreisler, noto come Fritz Kreisler (Vienna2 febbraio 1875 – New York29 gennaio 1962), è stato un violinista e compositore austriaco naturalizzato statunitense.

 

Fotografia ritratto di Mischa Elman, 1915
Genthe, Arnold, 1869-1942, fotografo –

 

 

SERENADE DI SCHUBERT — MISCHA ELMAN

 

 

 

 

 

 

 

 

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+++ VIDEO. CORRIERE.IT — 15 SETTEMBRE 2023 :: VIDEO, 6 min. ca -+ IL FATTO QUOTIDIANO :- Meloni ai migranti: «Mi rivolgo a chi vuole entrare illegalmente in Italia: sarete trattenuti e rimpatriati» ” Alle UE chiederò un blocco navale dell’Europa d’accordo con i paesi di provenienza “

 

 

VIDEO. CORRIERE.IT — 15 SETTEMBRE 2023

https://video.corriere.it/politica/meloni-migranti-mi-rivolgo-chi-vuole-entrare-illegalmente-italia-sarete-trattenuti-rimpatriati/a1d55f64-53f4-11ee-8884-717525326594

 

Meloni ai migranti: «Mi rivolgo a chi vuole entrare illegalmente in Italia: sarete trattenuti e rimpatriati»

CorriereTv — apri il video

https://www.corriere.it/politica/23_settembre_15/migranti-calderoli-salvini-2e977144-53dc-11ee-8884-717525326594.shtml

 

«La pressione migratoria che l’Italia sta subendo dall’inizio di quest’anno è insostenibile, figlia di una congiuntura internazionale difficilissima che mette insieme problemi che già avevano i paesi africani a una situazione di instabilità crescente, particolarmente nella zona del Shael. Un quadro difficilissimo tra colpi di stato, calamità naturali, guerra del grano, jihadismo che potrebbe portare diverse decine di milioni di persone a voler lasciare la propria nazione per cercare un futuro migliore in Europa. È evidente però che l’Europa non può accogliere questa massa enorme di persone». Lo afferma la premier Giorgia Meloni in un video lungo più di sei minuti. E poi aggiunge: «Agli italiani voglio dire: non abbiamo cambiato idea ma ci vorrà tempo».

 

 

 

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO — 15 SETTREMBRE 2023

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/15/migranti-dopo-il-caos-di-lampedusa-meloni-costretta-a-correre-ai-ripari-fino-a-18-mesi-nei-centri-di-rimpatrio-ribadiro-allue-che-serve-il-blocco-navale/7293640/

 

Migranti, dopo il caos di Lampedusa Meloni costretta ad accelerare: “Fino a 18 mesi nei centri di rimpatrio. All’Ue chiederò un blocco navale”

Migranti, dopo il caos di Lampedusa Meloni costretta ad accelerare: “Fino a 18 mesi nei centri di rimpatrio. All’Ue chiederò un blocco navale”

 

 

Trattenere le persone nei centri di rimpatrio per 18 mesi anziché per 12, il ritorno della richiesta di un “blocco navale” europeo, l’invito alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a Lampedusa. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla per la prima volta del caos dovuto al boom di arrivi sulla piccola isola siciliana da quando è iniziata l’ultima emergenza, ad eccezione dei pochi accenni durante le interviste nei programmi di Bruno Vespa su Rai1. E dopo il silenzio di questi giorni annuncia per lunedì un consiglio dei ministri in cui sarà messo all’ordine del giorno un pacchetto con “misure straordinarie per fare fronte al numero di sbarchi che abbiamo visto sulle nostre coste”. Una delle novità sarà appunto la modifica del termine di trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri “di chi entra illegalmente in Italia”, da 12 a 18 mesi, il massimo consentito dalla normativa europea, come precisa la stessa premier. Una norma che non riguarderà i richiedenti asilo per i quali rimarrà di 12 mesi. Nel frattempo si darà mandato alla Difesa di realizzare “nel più breve tempo possibile” nuove strutture per i migranti perché siano sufficienti a trattenere gli immigrati illegali. Le strutture dovranno essere costruite “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. Da una parte quello che sembra un giro di vite, la cui efficacia è tutta da dimostrare specie se le operazioni di rimpatrio restano difficili come insegnano tutti questi ultimi anni. Dall’altra parte c’è il tentativo – l’ennesimo – di coinvolgere Bruxelles. Meloni dice di aver scritto a Von der Leyen per invitarla a Lampedusa e di essersi rivolta al presidente del Consiglio Ue Charles Michel per “chiedergli di inserire all’ordine del giorno del consiglio Ue di ottobre la questione migratoria”. In quel vertice, precisa Meloni, ribadirà la necessità di “avviare immediatamente una missione Ue per bloccare le partenze dei barconi”.

Il primo obiettivo di questa comunicazione – implicito ed esplicito – è spiegare “agli italiani” che “non abbiamo cambiato idea: ci vorrà tempo, molto lavoro, pazienza determinazione ma non abbiamo cambiato idea. Lavoriamo ogni giorno per mantenere l’impegno che abbiamo sottoscritto con voi e lavoriamo in ogni ambito compreso quello di ripristino della legalità e del contrasto all’immigrazione illegale”. La preoccupazione è per lo stillicidio di numeri e di immagini che arrivano da Lampedusa che giocoforza finiscono sui media e rischiano di essere la smentita attraverso i fatti delle promesse elettorali del centrodestra e in particolare di Fratelli d’Italia. Così nel video Meloni mette in fila tutti quelli che sembrano avere colpa per questo boom di nuovi sbarchi. I governi precedenti, pezzi di Unione Europea, “intralci ideologici“, una “congiuntura internazionale difficilissima“. Lampedusa traboccante di migranti, i record polverizzati ora dopo ora, giorno dopo giorno e ormai da una settimana, è responsabilità di tutti, ma non del governo italiano. Meloni parla – come ormai abitudine quando il gioco si fa duro – con un videomessaggio diffuso sui social, con una diretta-differita che naturalmente non prevede domande. E d’altra parte nell’unica occasione in cui aveva dovuto rispondere a delle domande – nelle trasmissioni di Vespa – la questione Lampedusa era stata solo sfiorata nonostante i numeri che rimandano agli anni più difficili (dal 2015 al 2017).

Ora però era diventato sempre più difficile tacere. Rimbalzano i videoblob (il primo è stato questo giornale online) in cui si rammenta la premier – quando era “solo” leader di partito – ripeteva ossessivamente le due parole che hanno contraddistinto le sue campagne elettorali: “blocco navale”. E ora che la situazione è travolgente, a quasi un anno dall’insediamento del governo, la presidente del Consiglio torna a chiederlo all’Unione Europea: bisogna fermare gli arrivi, aveva detto alcuni giorni fa, e ora ribadisce il concetto. Ma come si fa? Secondo la premier si fa con “una missione europea, anche navale se necessario, in accordo con le autorità del Nordafrica, per fermare la partenza dei barconi”. Bisogna poi “verificare in Africa chi ha diritto o meno all’asilo, accogliere in Ue solo chi ne ha effettivamente diritto secondo le convenzioni internazionali e parallelamente lavorando con investimenti seri allo sviluppo”. Resta sempre il problema del “come”: la Libia è tritata dalla guerra civile, l’accordo della Tunisia sbandierato da Meloni è finito con flottiglie di barche che da Sfax si mettono in coda per Lampedusa. Com’è possibile? “Il governo ha lavorato coinvolgendo la Ue a un accordo di collaborazione con la Tunisia che prevede il contrasto ai flussi irregolari da una parte e il sostegno all’economia tunisina dall’altra. Purtroppo però mentre l’Italia e una parte dell’Europa lavoravano in questa direzione un’altra parte si muoveva nella direzione opposta“. Tra quelli che si sono mossi in “direzione opposta” ci sono “alcune forze politiche e influenti realtà di sostenere che la Tunisia sarebbe un regime oppressivo con cui non si possono fare accordi di dichiarare che non sarebbe un porto sicuro“.

Meloni si dice “ancora convinta che la strategia del governo italiano sia quella più seria per risolvere il problema in maniera strutturale, però richiede tempo soprattutto se quel lavoro viene intralciato da interessi ideologici“. Per esempio è colpa dei “governi immigrazionisti” – la premier usa questa espressione se esistono “centri di permanenza per i rimpatri scandalosamente esigui“. Sullo sfondo la presidente del Consiglio (ri)scopre che i motivi dell’impennata di arrivi sulle coste italiane sono molti e diversi. “La pressione migratoria che l’Italia sta subendo dall’inizio di quest’anno è insostenibile, figlia di una congiuntura internazionale difficilissima che mette insieme problemi che già avevano i Paesi africani a una situazione di instabilità crescente, particolarmente nella zona del Sahel. Un quadro difficilissimo tra colpi di stato, calamità naturali, guerra del grano, jihadismo che potrebbe portare diverse decine di milioni di persone a voler lasciare la propria nazione per cercare un futuro migliore in Europa. E’ evidente però che l’Europa non può accogliere questa massa enorme di persone”.

Su questo punto oggi Meloni ha ricevuto un sostegno – tutto da verificare peraltro – dell’Eliseo. Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha detto che l’Italia non può essere lasciata sola e che l’Europa deve rafforzare i suoi confini esterni. Il ministro dell’Interno ha aggiunto che nel prossimo vertice europeo Italia e Francia agiranno insieme per un’iniziativa, promettendo di parlarne anche con l’omologo tedesco. Dove porterà questa rinnovata promessa di Bruxelles è tutto da vedere. Resta che per il governo – su una questione centrale come quella dell’immigrazione – è la madre di tutte le partite, come dimostra la “concorrenza interna” espressa dalla Lega già giovedì, e che la gestione (anche comunicativa) dell’emergenza sarà il primo banco di prova per il governo e per la presidente del Consiglio.

 

 

 

 

 

 

 

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video, 14 min. ca —I fallimenti del Governo Meloni. Confronto acceso tra Marco Travaglio e Massimo Cacciari. 12set.2023

 

pubblicato da : 884C25 @884C25

 

 

 

 

 

 

 

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VALENTINO PARLATO, IL GHEDDAFI CHE IO HO CONOSCIUTO– Il legame di Valentino con la Libia.. –IL MANIFESTO — 1 MAGGIO 2019

 

 

 

IL MANIFESTO — 1 MAGGIO 2019
https://ilmanifesto.it/il-gheddafi-che-io-ho-conosciuto

 

Il Gheddafi che io ho conosciuto

VALE ANCORA VALE SEMPRE. Il legame di Valentino Parlato con la Libia non è stato solo per nascita o per gli anni giovanili di formazione, è durato fino alla fine, prima e dopo il Colonnello

1998, Valentino intervista Gheddafi

1998 — VALENTINO PARLATO INTERVISTA GHEDDAFI

il manifesto – 21 novembre 2011

 

Sono molto legato alla Libia (e un po’ lo ero anche a Gheddafi) perché ci sono nato, lì c’è stata la mia prima formazione politica e diventai comunista (clandestino, governava l’amministrazione militare britannica).

E fu in Libia che entrai nell’Associazione per il Progresso della Libia di cui facevano parte compagni più anziani, come Cibelli, Prestipino, Caruso, Manzani, i fratelli Russo e altri ancora.

 

Il combinato disposto dell’associazione per l’indipendenza della Libia e la clandestinità comunista, nel dicembre del 1951 determinarono l’arresto e l’espulsione dalla Libia mia e di un po’ di altri compagni.

 

Questo passato provocò, nel 1998, l’invito da parte del governo libico a un soggiorno in Libia per me e mia moglie. Rivedere la Libia, Tripoli, la mia casa, la mia scuola, i bar fu per me straordinario, ma lavorando al manifesto chiesi, e ottenni abbastanza rapidamente, un’intervista a Muammar Gheddafi.

Per l’intervista (il 5 dicembre 1998) dovetti fare un lungo viaggio a Sirte, l’ultimo caposaldo della resistenza dove Gheddafi è stato ucciso.

Altri tempi. L’incontro e l’intervista furono molto interessanti. Mi colpì innanzitutto la sua passione per Rousseau, dal quale derivava la sua posizione per la democrazia diretta e i comitati del popolo, che però (povero Rousseau) produsse un po’ di confusione, una inconsistenza delle strutture statali e un Gheddafi (sono le sue parole) che era un po’ come la regina d’Inghilterra, però comandava. Ed è mia impressione che questo comando nel corso del tempo si sia deteriorato.

In quell’intervista Gheddafi sottolineò l’importanza di aprire buoni rapporti con l’Italia e con l’Unione europea, anche per contenere il potere degli Usa. Si parlò anche di un suo scritto Il comunismo è veramente morto?, dove dubitava di questo decesso.

In quell’occasione girai per Tripoli e mi parve di registrare una sorta di welfare petrolifero: non c’erano bidonville, non eri assalito dai mendicanti, anzi non c’erano. Apprendevi dell’esistenza di una efficace assistenza sanitaria e di un buon sistema scolastico, a giudicare almeno dal numero di laureati che incontravi.

 

I buoni rapporti con la Libia di Gheddafi sono continuati e ho fatto anche la prefazione al volumetto Fuga all’inferno, dove scrive che, in questo mondo, per trovare un po’ di pace bisogna fuggire all’inferno. Invero non troppo ottimistico sullo stato delle cose esistenti.

Oggi siamo all’epilogo. Nella sua Sirte, Gheddafi è stato catturato e ucciso. Lasciarlo vivere, ancorché prigioniero, sarebbe stato evidentemente un problema.

Che dire, ora, a caldo, di questo esito?

La prima considerazione è che ci sono voluti otto mesi di guerra e bombardamenti Nato a catena per abbattere il tiranno, che evidentemente aveva più di un sostegno nella popolazione libica. In secondo luogo, viene da ripetere che lo stile è l’uomo. Gheddafi, come tanti altri capi arabi, poteva fuggire in qualche paese africano e starsene tranquillo e benestante.

Invece è rimasto e ha accettato di morire sul campo, di restare testimone della sua linea e della sua lotta. E qui mi viene da aggiungere, sorprendentemente d’accordo con Berlusconi, «sic transit gloria mundi».

Gheddafi fino a otto mesi fa era accolto e onorato in tante capitali, ricordo soprattutto l’accoglienza di Sarkozy a Parigi e quella straordinaria a Roma, con la manifestazione di cavalleria e anche (visto in tv) il bacio di Berlusconi.

Pur considerando tutti i limiti e gli errori di Gheddafi, la sua caduta – sempre a mio parere – segnala la sepoltura delle primavere arabe e un nuovo inizio di un intervento coloniale delle potenze occidentali in Africa, e non credo si possano riporre molte speranze negli ex gheddafiani che dovrebbero costituire il nuovo governo della Libia.

scheda/
dicembre 1998, nella tenda a Sirte

 

Il 5 dicembre 1998 «il manifesto» pubblicò a doppia pagina un’importante intervista a Gheddafi. Come racconta in questo articolo, Valentino la realizzò in modo piuttosto semplice, utilizzando le sue armi migliori: l’arguzia e la curiosità.

L’incontro avvenne in una tenda a Sirte, la stessa città dove il «leader» (così lo chiamavano in Libia) è stato ucciso il 20 ottobre del 2011.

Già dal titolo quell’incontro era una dichiarazione di intenti: «L’altra riva dell’Europa, intervista a Gheddafi». Erano gli anni immediatamente successivi all’attentato di Lockerbie, e la Libia era ancora molto isolata dalla comunità internazionale.

Tra l’altro, proprio in quei giorni l’Italia era al centro dello scenario internazionale per la vicenda del leader curdo Ocalan, che il governo di centrosinistra riconsegnò in modo più o meno volontario alle autorità turche, dalle quali ancora oggi è imprigionato.

All’epoca, Gheddafi cercava una sponda politica nell’Italia e non nascose al «manifesto» il suo apprezzamento per il governo di centrosinistra (il primo dell’Ulivo, a guida Prodi).

Valentino Parlato (Tripoli7 febbraio 1931 – Roma2 maggio 2017) è stato un giornalistapolitico e saggista italiano.

Parlato nacque a Tripoli, all’epoca capoluogo della provincia omonima (nell’allora Libia italiana), il 7 febbraio del 1931 da genitori italiani, Giuseppe Parlato e Angela Sajeva, originari rispettivamente di Comitini e di Favara (ambedue comuni dell’agrigentino), stabilitisi nella città libica sul finire degli anni venti.

Trascorre un’infanzia tutto sommato tranquilla, almeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, a causa della quale si ritrova costretto a spostarsi con la famiglia nella campagna di Sorman, dove il nonno materno possiede una piccola concessione agricola. Non potendo studiare, divora la modesta biblioteca familiare: è il germe di una cultura onnivora e curiosa, che lo accompagnerà per tutta la vita; con il nonno impara inoltre a conoscere la vita di campagna, molto diversa da quella piccolo-borghese vissuta nella placida società coloniale tripolitana.

A conflitto concluso, la Libia passa sotto l’amministrazione britannica ed è proprio in questi anni che forma la propria coscienza politica, conoscendo Clara Valenziano – che in seguito sposerà -, comunista militante, e figurando perciò tra i fondatori del Partito Comunista Libico, fatto che ne provocherà l’espulsione dal paese nel 1951. Riparato dunque in Italia, a Roma, dove si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, conosce Luciana Castellina e s’iscrive al Partito Comunista Italiano, lavorando per il suo organo di stampa ufficiale, l’Unità. Nel 1953 si trasferisce ad Agrigento, dove lavora per la federazione locale del PCI, divenendo successivamente funzionario di partito. Tornato a Roma, prosegue il lavoro con l’Unità, collabora con Giorgio Amendola e diviene giornalista di economia per la rivista Rinascita.

Già organico dell’ala cosiddetta ingraiana del partito, sarà poi parte di quel gruppo di pensiero critico interno allo stesso – composto tra gli altri da Aldo NatoliRossana Rossanda e Luigi Pintor – che, nel giugno del 1969, fonderà la rivista il manifesto, di cui ricoprirà a più riprese la carica di direttore.  Il 24 novembre dello stesso anno, unitamente all’intera redazione del giornale, viene espulso dal partito a causa delle critiche mosse allo stesso partito a proposito del suo posizionamento in merito all’occupazione della Cecoslovacchia da parte degli altri paesi del Patto di Varsavia.

Ha scritto l’introduzione, tra le altre, di edizioni di opere di Adam SmithLeninAntonio Gramsci e Muʿammar Gheddafi.

È morto a Roma il 2 maggio del 2017, all’età di 86 anni.

 

segue

Opere e Altre pubblicazioni :
https://it.wikipedia.org/wiki/Valentino_Parlato

 

 

 

 

 

 

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LE CATTEDRALI DI MARMO, ” UNA GRAZIA DELLA NATURA “- VICINO AL LAGO ARGENTINO- CILENO – DALLA PARTE CILENA — sono formazioni minerali di carbonato di calcio

 

Visualizza Blue Light di Linde Waidhofer

The Marble Caves of Patagonia – Le caverne di marmo della Patagonia

di Linde Waidhofer

Western Eye Press, OTTOBRE 2010

 

NEL LINK DELLA CASA EDITRICE POTETE VEDERE TUTTE LE IMMAGINI DEL LIBRO
https://www.blurb.com/bookshare/app/index.html?bookId=1684599

 

LE FOTO CHE SEGUONO SONO DI LINDE WAIDERHOFER, AMBIENTALISTA E GRANDE FOTOGRAFA DI PAESAGGIO

SITO MERAVIGLIOSO: http://westerneye.com/

 

LE FOTO  SONO STATE PUBBLICATE DA

SIMONE / ARTURO COCCHI- REPUBBLICA.IT 

SUL LINK_

https://yaqui.forumfree.it/?t=57073073

 

 

 

 

REGIONE DI AYSEN — CILE

DA : https://d-maps.com/carte.php?num_car=184486&lang=it

Il porto più vicino alle formazioni è Puerto Río Tranquilo (nel comune di Río Ibáñez, a 223 km da Coyhaique, capitale della regione di Aysén).

 

 

COYAIQUE CAPITALE DELLA REGIONE DI AYSEN  DOVE SI TROVA IL LAGO GENERAL CARRERA IN CILE NELLA PATAGONIA

 

 

IL LAGO DIVISO PIU’ O MENO A META’

 

 

 

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La Catedral de Mármol (cattedrale di marmo) è una formazione minerale di carbonato di calcio che si trova lungo la costa del Lago Buenos Aires ( Argentina )/General Carrera ( , in Cile ).  Infatti il lago  è condiviso  tra le due nazioni ( Cile e Argentina ). E molto più o meno diviso a metà : della superficie di 1.850 km², 970 km² stanno dalla parte cilena (regione di Aysén) mentre i restanti 880 km² si trovano nella provincia di Santa Cruz.

Queste formazioni ( sembra che ) si trovino nella parte cilena del lago.

 

vista del Lago General Carrera, nel Cile

 

 

Accanto ad essa si trova la Capilla de Mármol (cappella di marmo). Nel corso del tempo le acque del lago hanno eroso le scarpate costiere creando queste formazioni spettacolari, che quando il livello delle acque del lago si abbassa possono essere percorse al loro interno con piccole imbarcazioni.

 

 

La Catedral de Mármol e la Capilla de Mármol (più piccola) viste dalla terraferma

La Catedral de Mármol e la Capilla de Mármol (più piccola) viste dalla terraferma- lago General Carrera, región de Aysén, Chile.
Trabajo propio – Opera propria

 

 

 

cattedrale di marmol– Cile

 

 

 

 

 

Within the Marble Caves of Northern Patagonia

 

 

 

Marble Caves

 

 

 

 

da : https://it.wikipedia.org/wiki/Catedral_de_M%C3%A1rmol#/media/File:Catedral_de_M%C3%A1rmol_en_Lago_General_Carrera.jpg

 

 

 

qualcosa piccola sulla ::

PATAGONIA– CILE E ARGENTINA- AMERICA DEL SUD 

 

 

Patagonia cilena e Argentina: differenze e consigli - WentTrip

 

La Patagònia è una regione geografica dell’America meridionale, che comprende l’estremità meridionale del continente. Divisa tra Argentina e Cile, ha un’estensione di oltre 900.000 km² (comprendendo la Terra del Fuoco), una popolazione di 2.700.000 abitanti (secondo l’ultimo censimento nel 2017) e una densità di 3 abitanti/km².

l territorio della Patagonia è delimitato geograficamente ad ovest e a sud dall’Oceano Pacifico e ad est dall’Oceano Atlantico. Il confine settentrionale è comunemente considerato il corso dei fiumi Colorado e Barrancas. La regione deve il suo nome ai patagoni, termine usato da Ferdinando Magellano per indicare i nativi di quelle terre (oggi identificati dalle tribù dei tehuelche e degli aonikenk), che lui scambiò per giganti.

Le maggiori città sono: (Argentina) NeuquénComodoro RivadaviaSan Carlos de BarilochePuerto MadrynTrelewRío GallegosRío Grande, (Cile) Punta ArenasCoyhaiquePuerto AysénPuerto Natales e Porve

SEGUE :
https://it.wikipedia.org/wiki/Patagonia

 

 

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Cueva de las Manos sito di Santa Cruz, Argentina.

Impressioni di mani nella Cuevas de las Manos sul Río Pinturas fiume vicino al popolo di Perito Moreno nella provincia di Santa CruzArgentina. Fotografia presa da me nel 2005.

 

 

 

 

 

 

 

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ANSA.IT — 14 SETTEMBRE 2023 –19.32 :: La dieta anti-stanchezza: ecco cosa non deve mai mancare a tavola – ( il piatto fa stare meglio solo al guardarlo.. )

 

 

ANSA.IT — 14 SETTEMBRE 2023 –19.32
https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/food/2023/09/13/la-dieta-anti-stanchezza-ecco-cosa-non-deve-mai-mancare-a-tavola_abb87540-37a9-4c52-ad1e-ebb27ea82129.html

 

La dieta anti-stanchezza: ecco cosa non deve mai mancare a tavola

Cambio di stagione e ripresa delle attività ma è l’eccesso di radicali liberi il responsabile

Uova e verdura a foglia verde, perfetto abbinamento per la dieta anti-stanchezza foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Uova e verdura a foglia verde, perfetto abbinamento per la dieta anti-stanchezza foto iStock. – 

 

Cambio di stagione, ripresa delle attività e nuova stanchezza.
L’eccesso di radicali liberi nel nostro organismo è il responsabile dell’insorgere dello stress ossidativo e, di conseguenza, di stanchezza che – in casi più seri – può diventare cronica.

Nel libro del dott. Francesco Garritano, La fibromialgia è una sfida: tu puoi vincerla, l’autore parla dei rimedi concreti e validi per sconfiggere la sindrome ma presenta anche indicazioni per il benessere, per combattere stress e stanchezza. Indicazioni valide per tutti.

 

Perché i radicali liberi in eccesso provocano stanchezza?

 

I radicali liberi, se prodotti in piccole quantità, hanno un ruolo positivo (per esempio collaborano con il sistema immunitario) ma, se prodotti in grande quantità e non contrastati dal nostro sistema detox antiossidante innato, diventano dannosi per l’organismo.

Perché? Se sono troppi iniziano, come delle fionde impazzite, a colpire tutte le strutture cellulari, dalla membrana al DNA, mandando in tilt il sistema e alimentando ulteriormente l’infiammazione.
È il caso, per esempio, della fibromialgia.
La carenza della giusta quantità di ossigeno nel corpo determina una scarsa assimilazione delle sostanze nutrizionali degli alimenti e un accumulo di sostanze nocive – le tossine – nel nostro organismo.

La presenza di un numero eccessivo di radicali liberi comporta quindi la presenta di sintomi quali debolezza generale e stanchezza, ma anche vertigini, depressione, perdita di memoria, invecchiamento precoce, irritabilità, problemi circolatori, cattiva digestione, dolori e disturbi muscolari, artriti e complicazioni bronchiali.

 

Come ridurre i radicali liberi: la dieta anti-stanchezza

 

È quindi importante capire come intervenire con una buona alimentazione, ricca di vitamine e minerali antiossidanti.

Tra le vitamine, ricordiamo in particolare la vitamina A e la vitamina C:

Con il termine “vitamina A” si individuano un gran numero di sostanze con effetti biologici simili al retinolo; in particolare composti di origine animale, chiamati retinoidi, e di origine vegetale, chiamati carotenoidi.

Un’importante fonte di vitamina A è il tuorlo d’uovo, mentre per i vegetali si hanno buone concentrazioni in verdure a foglia verde e in frutta e verdura di colore rosso-arancione (carote, zucca, albicocche, peperoni, pomodori ecc.), fonti di carotenoidi e beta-carotene.

Ritroviamo invece la vitamina A come retinoide, oltre che nelle uova, negli alimenti di origine animale (carne, pesci, frattaglie ecc.).

 

La vitamina C è uno dei micronutrienti che cooperano al corretto funzionamento del nostro organismo, in particolare sono noti i suoi effetti antiossidanti e immunostimolanti.

Tra i cibi a più alto contenuto di vitamina C ricordiamo alcuni frutti (uva, ribes, papaya, ananas, fragole, melone, mango, lamponi, mirtilli, kiwi) e sicuramente una menzione a parte meritano i famosi agrumi (arance, mandarini, limoni, pompelmi ecc.); fra le verdure invece peperoni, broccoli, cavoli, cavolini di Bruxelles, cavolfiori, spinaci, cime di rapa, verdure a foglia verde, zucca, pomodori.

Buona concentrazione anche nelle patate, specie se novelle, e in alcune spezie come il prezzemolo.

La vitamina C è sensibile all’ossidazione e termolabile, quindi gli alimenti citati devono essere conservati non troppo a lungo ed è preferibile che siano consumati crudi o comunque poco cotti.

Passiamo ora ai minerali.

Lo zinco è un minerale che svolge un ruolo molto importante nel nostro organismo e del quale, purtroppo, molto spesso siamo carenti. Alte concentrazioni di zinco sono presenti nelle ostriche e nei frutti di mare, buono anche l’apporto che si ha tramite alimenti di origine animale (carne, alcuni pesci come le aringhe, uova ecc.).

Quanto ai vegetali, lo zinco è presente nei cereali integrali, nelle verdure a foglia larga (spinaci e lattuga) e in alcuni semi, quali quelli di zucca, sesamo e girasole.

Vi segnalo poi, tra gli altri alimenti, funghi, pistacchi, mandorle, noci, arachidi, quinoa, miglio, anacardi, pinoli. Buona anche la concentrazione nei legumi.

Il selenio è un microelemento, particolarmente “micro” perché il nostro organismo ne richiede una piccolissima quantità. Esso è uno dei principali elementi di protezione dai danni dei radicali liberi e la sua azione è sinergica a quella della vitamina E.

Il selenio è presente nei cereali integrali e in alimenti di origine animale, quali carne, pesce e uova (specie il tuorlo).

Tra le altre fonti alimentari vi segnalo il germe di grano (ricco anche di vitamina E), la frutta secca (mandorle, nocciole, noci, soprattutto brasiliane), i semi di girasole e l’aglio.

Il rame è coinvolto attivamente nel benessere del nostro organismo e nella lotta contro i radicali liberi.

Tra gli alimenti ricchi di rame, ricordiamo i crostacei (granchi e aragoste) e i molluschi (specie le ostriche), le frattaglie (fegato, reni), i semi oleosi e la frutta secca, il germe dei cereali (specie frumento e segale) e i legumi (soprattutto fagioli e lenticchie).

 

 

 

METTO IL LINK, MA E’ UN PO’ DIFFICILE PER I NON TECNICI SEGUIRLO FINO IN FONDO..

Radicali liberi: biologia e patologia

di Giuseppe Rotilio – Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

TRECCANI.IT

https://www.treccani.it/enciclopedia/radicali-liberi-biologia-e-patologia_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)

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GIUSEPPE UNGARETTI ( Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970 )

 

 

Veglia

 

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

 

Giuseppe Ungaretti: le poesie contenute nella raccolta erano già comparse in precedenti pubblicazioni, fra cui Il Porto Sepolto del 1916.

 

La raccolta si divide in cinque sezioni, ognuna dedicata a periodi differenti, prima, durante e dopo la guerra:

 

  1. Ultime, Milano 1914-1915;
  2. Il Porto Sepolto, dal dicembre 1915 all’ottobre 1916;
  3. Naufragi, dal dicembre 1916 ad agosto 1917, include la famosa poesia Mattina;
  4. Girovago, da marzo a luglio 1918, comprende la altrettanto celebre Soldati;
  5. Prime, Parigi-Milano 1919

 

Ne I fiumi, scritta a Cotici il 16 agosto 1916, Ungaretti rievoca, con i propri ricordi personali, i fiumi rappresentativi della sua vita, ossia l’Isonzo, la guerra; il Serchio, la famiglia d’origine; il Nilo, luogo natale; la Senna, luogo dell’autocoscienza adulta. Attraverso i fiumi il poeta ripercorre le tappe più importanti della sua esistenza, riconoscendosi «una docile fibra / dell’universo».

Pellegrinaggio esprime invece la capacità di trovare la forza interiore per salvarsi dalle macerie della guerra. In essa egli formula la nota definizione di sé: «Ungaretti / uomo di pena / ti basta un’illusione / per farti coraggio».

La poesia più celebre della raccolta è Mattina (M’illumino / d’immenso), scritta a Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917. Composta di quattro parole, è la poesia più breve di Ungaretti, nella quale l’idea di infinita grandezza è resa sinteticamente dal poeta con una immagine che (con le parole di Romano Luperini) «colpisce nella forma della luce».

Soldati (bosco di Courton, luglio 1918) esprime la precarietà della vita dei soldati come quella delle foglie in autunno: con un filo di vento esse possono staccarsi e scomparire, così come può spezzarsi all’improvviso l’esistenza degli uomini e, in particolare, quella dei soldati al fronte.

 

Leone Piccioni ha osservato come la metrica dell’opera sia:

«nuova, scarna, secca, versicoli, al massimo frantumati, anche se tra segmento e segmento circola il canto e si può ricostruire il verso»

rivoluzionando una tradizione poetica che ancora si rifaceva, in gran parte, a Pascoli e D’Annunzio, sebbene già fossero attivi i poeti modernisti, come Guido Gozzano, e futuristi, come Filippo Tommaso Marinetti.

 

 

 

 

 

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