MANUELE BONACCORSI DI REPORT — INTERVISTA IL SEGRETARIO GENERALE DEL CONFEDERAZIONE UCRAINA ( FPU, tre milioni di iscritti ), GREGORY OSOVYI – in onda su report il 15 giugno + IL MANIFESTO SULL’UCRAINA, YURII COLOMBO, 23 GIUGNO 2019

 

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 5 GIUGNO 2025
https://ilmanifesto.it/sono-un-detenuto-politico-di-kiev

 

 

 

 

 

«Sono un detenuto politico di Kiev»

 

 

 

 

 

 

Gregory Osovy
Gregory Osovyi

 

Presentazione del libro Il potere assoluto, di Manuele Bonaccorsi - Mediterranea
FOTO DI MANUELE BONACCORSI– REPORT
DA: Mediterraneaonline.eu

 

 

 

 

Non teme l’accusa di complicità col nemico: su questo ha la coscienza pulita. E dunque la mette così, come nessuno si aspetterebbe in tempo di guerra: «Il motivo della mia detenzione è politico. Attraverso la mia criminalizzazione, attaccano i sindacati, che proteggono i diritti dei lavoratori».

Gregory Osovyi, 76 anni, è il segretario generale dell’Fpu, la confederazione sindacale ucraina, forte di 3 milioni di iscritti.

Dall’8 aprile si trova in arresto. Una notte l’ha passata in galera, poi il giudice gli ha concesso i domiciliari. Il 9 giugno una udienza dovrà decidere se rinnovare la misura cautelare.

 

È ACCUSATO, insieme ad altri 5 funzionari, di aver venduto alcuni immobili di proprietà dell’organizzazione, di cui però lo Stato rivendica la proprietà (i reati sono associazione a delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio: in totale 12 anni di reclusione).

 

Report – che andrà in onda il 15 giugno con un ampio servizio dedicato all’Ucraina– è riuscito a incontrare Gregory Osovyi a Kyiv il 17 maggio. È la prima volta dopo l’arresto che rilascia una intervista. Non a un media internazionale, ma in generale, perché nella tv unica Ucraina, nata dopo la legge marziale, «i sindacati non hanno voce», attacca il Osovyi.

 

La polizia ha fermato Osovyi alle 7 del mattino, mentre si trovava in albergo, poco prima di svolgere una riunione, a Lutsk, in Volinia. «Mi hanno sequestrato telefono e tablet, e trasferito in auto a Kiyv». Arrestato perché, sostengono le autorità, stava provando a scappare dall’Ucraina. «Ipotesi assurda – ribatte Osovyi – frequentavo ogni giorno il mio ufficio; al momento del fermo non avevo con me né passaporto né soldi sufficienti per espatriare». Unica possibilità per riacquistare la libertà, pagare la cauzione: «Il giudice l’ha fissata cento milioni di grivnie. Sono oltre due milioni di dollari, ho calcolato che sarebbe il mio stipendio di 200 anni. E con questo voglio mostrare quale pressione è stata esercitata su di me, per intimidirmi. E so bene a cosa mirano: vogliono creare un sindacato favorevole alle riforme della maggioranza».

 

 

QUALI RIFORME?

 

Per capirlo bisogna tornare a prima della guerra. «Per anni avevamo avuto buoni rapporti con i governi, poi nel 2019 è cambiata la maggioranza e il presidente.– ( Vittoria di Zelensky )  —

 

Da allora l’esecutivo ha introdotto riforme contro i sindacati e i lavoratori. Ed è iniziato uno scontro duro». Il culmine arriva nel dicembre 2019, quando l’allora primo ministro Goncharuk presenta la legge 2708, chiamata semplicemente Sul lavoro. «Senza alcuna discussione con le parti sociali, in modo autoritario», dice Osovyi, la legge riscrive l’intero corpus giuslavoristico. O, per dirla con le sue parole, «abolisce il codice del lavoro, in contrasto con le convenzioni internazionali e il diritto all’associazione sindacale. Era una riforma sostenuta dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, che già allora lavoravano attivamente nel nostro Paese», accusa il segretario.

IL NUOVO CODICE prevede che il contratto individuale possa derogare quelli collettivi; liberalizza i licenziamenti e pone alti paletti alla presenza in azienda dei sindacati. L’Fpu scende in piazza:Cortei, sit in, scioperi davanti alla sede del Parlamento e della presidenza. La vertenza supera anche i confini nazionali. L’Ilo, organizzazione delle nazioni unite sui diritti dei lavoratori, critica la legge; poi, racconta Osovyi, «nel febbraio del 2021, il Segretario della Confederazione europea dei sindacati si reca in Ucraina, per convincere il governo che quel percorso era sbagliato».

Alla fine, vincono i sindacati. Il governo cade, la legge viene ritirata. È il momento più basso di popolarità per Zelensky, che in quell’epoca si presenta come moralizzatore, contro oligarchi e corruzione, ma in economia ha un taglio fortemente liberista. «Proprio perché avevamo vinto, la deputata Galina Tretyakova, rappresentante di Servitore del popolo e tra le promotrici delle legge appena ritirata, presenta una denuncia in cui accusa il sindacato di non avere un titolo legittimo per le sue proprietà», in gran parte ereditate dall’epoca sovietica, spiega Osovyi.

«Da questo momento siamo finiti sotto la lente delle procure. Forze dell’ordine, Servizi segreti, polizia, ovunque c’erano indagini sulle proprietà del sindacato, con perquisizioni, sequestri, interrogatori». Sotto attacco finisce anche la sede centrale dell’Fpu, che si affaccia su piazza Maidan. L’edificio, durante la Rivoluzione della dignità del 2014, («sostenuta dai sindacati», ci tiene a precisare Osovyi), viene dato alle fiamme. «L’abbiamo ricostruita con fondi del sindacato, eppure il governo vorrebbe sequestrare anche questo immobile».

POI SCOPPIA LA GUERRA, e tutto peggiora. L’organismo istituzionale di concertazione, che si chiama in Ucraina Consiglio economico trilaterale, viene sospeso. «Io ne sarei vicepresidente, ma non si convoca dal 2022», spiega Osovyi. La legge marziale, inoltre, «impedisce lo svolgimento di scioperi e manifestazioni. In questo contesto la maggioranza ha presentato nuove leggi che, ancora una volta, propongono la riduzione degli standard sociali. E ancora una volta siamo diventati scomodi oppositori per il governo», accusa il segretario.

«Quella del governo è una visione influenzata dal Fondo monetario internazionale e dal capitale globale che chiedono riforme liberiste, per attrarre investimenti in Ucraina. Noi non ci opponiamo agli investimenti, ma abbiamo i salari più bassi d’Europa, e chiediamo che le imprese straniere paghino i lavoratori ucraini con salari europei. Questo, evidentemente, non viene ben visto in Ucraina oggi. Ed è molto grave, perché secondo la Costituzione il mio è un Paese democratico».

*Inviato di Report

 

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Aggiungo un articolo sull’Ucraina del 2019, prima dell’invasione della Russia, che magari ci aiuta a capire un po’ di più:

 

IL MANIFESTO DEL 23 GIUGNO 2019

https://ilmanifesto.it/ucraina-zelensky-in-tour-dai-creditori-con-il-fantasma-del-default-controllato

 

 

Ucraina: Zelensky in tour dai creditori, con il fantasma del default controllato

 

 

 

 

Ucraina: Zelensky in tour dai creditori, con il fantasma del default controllato

Volodymir Zelensky a Berlino da Angela Merkel – LaPresse

 

 

Yurii Colombo

 

Si deve ancora scommettere sull’Ucraina? È la domanda che circola con ricorrenza in questi giorni nelle cancellerie occidentali. Questa settimana con un rapido mini-tour europeo Volodymir Zelensky ha voluto presentarsi a suoi creditori e alleati. Prima di tutto è volato a Berlino a far conoscenza con Angela Merkel. La premier tedesca ha garantito il pieno sostegno della Germania alla rivendicazioni territoriali ucraine ma ha misurato la sua distanza con il neo-eletto presidente sia sulla vicenda della pipeline che porterà nuova linfa energetica russa al suo paese attraverso il Baltico, sia sulla necessità di tenere aperto un dialogo costruttivo con Putin.

 

Il presidente ucraino, incontrando le associazioni imprenditoriali tedesche ha giurato che il suo paese non è interessato al default controllato o alla bancarotta. Zelensky ha anzi affermato che sin da oggi è pronto a preparare un programma di cooperazione con il Fmi e la Bers  ( Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo )

Il vicepresidente dell’amministrazione presidenziale, Alexey Goncharuk, in un’intervista a NV. Business, ha sostenuto che «l’Ucraina sta lavorando alla preparazione del lancio alla fine del 2019 di un programma di cooperazione di 3-4 anni con il Fondo monetario internazionale».

 

L’attuale programma di cooperazione tra Ucraina e Fmi nell’ambito del meccanismo di stand-by è stato approvato il 19 dicembre 2018.

L’ammontare del programma di 14 mesi equivale a 3,9 miliardi di dollari. L’Ucraina è in attesa di ricevere una prima tranche di circa 1,4 miliardi di dollari ma a Washington non si fidano di Kiev, dopo aver gettato al vento ben 11 miliardi di prestiti negli ultimi 5 anni senza aver ottenuto nessuna “riforma”. Perché alle riforme del sistema giudiziario e doganale ucraino in chiave anti-corruzione non crede nessuno dopo essere state sbandierate per anni, e le «lacrime e sangue» alla fine non ci sono mai state. Zenelsky ha promesso che taglierà subito i dipendenti della pubblica amministrazione del 50% ma in tempi di campagna elettorale nessuno ministro si prenderà l’onere di diventare il parafulmine di inevitabili proteste di piazza.

Così la missione del Fmi che era giunta a Kiev il 21 giugno è rientrata subito negli Usa: nessuno ha intenzione di sganciare altri denari senza avere in cambio qualcosa di più delle promesse. «Attenderemo le elezioni di luglio e la formazione del nuovo governo prima di stanziare la quota indicata» è stato il mesto commento del capo delegazione del Fmi Ron van Rooden.

Anche perché nell’entourage di Zelensky qualcuno che pensa al default controllato c’è. Si tratta del businessman e socio in affari con il presidente, Igor Kolomoisky. In una intervista al Financial Times il tycoon del Tridente ha sostenuto che l’Ucraina dovrà rifiutarsi di pagare il debito «se non vuole fare la fine della Grecia al guinzaglio del Fmi».

Secondo Kolomoisky «la vittoria di Zelensky alle elezioni ha dimostrato che gli ucraini non vogliono le riforme economiche richieste dal Fondo». Se il nuovo presidente continua ad «ascoltare l’occidente alla fine diventerà come Poroshenko con il 10-15% dei consensi e non il 73%».

Senza timore di irritare i vertici della politica mondiale, come il bimbo della novella di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, Kolomoisky ha gettato in faccia ai lettori la cruda verità:

«Il gioco è tutto geopolitico. Si è usata l’Ucraina per far male alla Russia ma in realtà a nessuno interessa del nostro paese. Gli Usa e la Ue dovrebbero cancellarci il debito come contropartita per le sofferenze che abbiamo subito per colpire la Russia al posto loro» ha concluso l’uomo d’affari.

 

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Christian Dellen @ChDellen X – 17.38 — 4 giugno 2025 -Una foto straordinaria di Venezia fatta a V– grazie a Christian !

 

 

 

link X  di 

Christian Dellen @ChDellen

 

Le point V enfin révélé

Il punto V è stato finalmente svelato. ( traduz. Google )

 

 

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NORMAN ROCKWELL – IL PROBLEMA CON CUI TUTTI CONVIVIAMO – 1964 -Norman Rockwell Museum, Stockbridge, Massachusetts:: 1960 :: RUBY BRIDGES, LA PRIMA ALUNNA NERA IN UNA SCUOLA DI BIANCHI

 

 

 

 

 

 

 

ponti

Ruby Bridges, 6 anni. Biblioteca del Congresso, Divisione Stampe e Fotografie, [LC-USZ62-126460]

 

 

ARTE.TV/IT — DIETRO LE IMMAGINI

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UN VIDEO DI 10 min. ca – sulla storia di Ruby Bridges fino ad oggi, in francese con scritte italiane, mi sembra fatto bene anche perché veloce

https://www.arte.tv/it/videos/116710-083-A/dietro-le-immagini/

 

 

 

Ruby Bridges nacque l’8 settembre 1954 da Lucille e Abon Bridges, che avevano altri quattro figli, quindi Ruby aveva tre fratelli e una sorella. All’età di due anni, Ruby e la sua famiglia si trasferirono da Tylertown, Mississippi, dove la sua famiglia era mezzadra, a New Orleans, Louisiana, perché i suoi genitori cercavano migliori opportunità di lavoro.

A New Orleans, Ruby frequentò un asilo segregato. Tuttavia, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva stabilito nel 1954, anno di nascita di Ruby, che tutte le scuole dovessero eliminare la segregazione.

 

Linda Carol Brown - Girl Museum

LINDA BROWN

 

La decisione fu presa nel caso Brown contro il Consiglio Scolastico di Topeka, in  Kansas,  quando i genitori di un’altra bambina delle elementari, Linda Brown, fecero causa al sistema scolastico di Topeka, perché Linda era costretta a frequentare una scuola per soli neri fuori dal quartiere in cui viveva.

La legge è entrata in vigore in Louisiana all’inizio del primo anno di Ruby. A Ruby e ad altre cinque ragazze afroamericane è stata data l’opportunità di frequentare una scuola composta esclusivamente da caucasici, dopo aver superato test psicologici e di valutazione educativa. I genitori di Ruby si sono trovati di fronte a una decisione critica.

Per questo motivo, Lucille, la madre, voleva mandare Ruby nella nuova scuola per dare a sua figlia le opportunità che non aveva mai avuto, ma Abon, il padre di Ruby, non era desideroso di mandarla lì perché non voleva mettere in pericolo la sua famiglia. Col tempo, però, Lucille convinse Abon che mandare Ruby nella nuova scuola sarebbe stata la cosa migliore da fare.

Il 14 novembre 1960 fu il primo giorno di prima elementare per Ruby e una data memorabile nella storia americana. Ruby fu l’unica studentessa afroamericana a frequentare la William Frantz Elementary School di New Orleans. Fu l’unica, tra gli altri sei studenti del suo quartiere a cui fu data la possibilità di cambiare scuola, ad aver osato cogliere l’occasione.

La mattina del primo giorno di scuola, Ruby e sua madre furono scortate da quattro agenti federali perché le autorità locali e federali non erano disposte a proteggerla. Passò accanto a una folla di persone che le urlavano insulti di tutti i tipi. Tuttavia, questo non la spaventò: ciò che la spaventò fu una donna che teneva in braccio una bambola nera in una bara.

Quando Ruby entrò a scuola, si sedette nell’ufficio del preside, dove rimase tutto il giorno a causa del caos che regnava nell’istituto. Con dolcezza e innocenza, Ruby pensò che la folla e il caos fossero dovuti al Martedì Grasso.

Molti genitori ritirarono i figli a causa dell’integrazione, e Barbara Henry, originaria di Boston, fu l’unica insegnante disposta ad accettarla, e la prima insegnante bianca di Ruby ebbe un’influenza notevole su di lei.

Per tutto l’anno, la classe era composta da una sola persona, con la sua insegnante come unica altra persona presente in aula. Secondo la storica Laura J. Lambert, “Durante la ricreazione, le due facevano jumping jack o giocavano alla casa. Ruby pranzava da sola. Né Ruby né la signora Henry persero un solo giorno di prima elementare”.

La famiglia Bridges ha sofferto per il suo coraggio. Abon ha perso il lavoro e a Lucille è stato detto che non era più la benvenuta come cliente del supermercato. I suoi nonni mezzadri furono sfrattati dalla fattoria dove avevano vissuto per venticinque anni.

Dopo un po’ di tempo, l’integrazione fu accettata dalla comunità e sempre più studenti, sia neri che bianchi, si iscrissero alla scuola. Ruby, essendo la prima afroamericana a integrarsi alla William Frantz School, aprì la strada ad altri, comprese le sue quattro nipoti, che frequentarono la stessa scuola anni dopo che Ruby aveva percorso quegli stessi corridoi. Ruby si diplomò anche in una scuola superiore desegregata, dove studiò viaggi e turismo e in seguito divenne agente di viaggio. Si sposò, prese il nome di Ruby Bridges Hall e ebbe quattro figli.

Nel 1999, all’età di 45 anni, Ruby Bridges ha fondato la Ruby Bridges Foundation. La fondazione “promuove e incoraggia i valori di tolleranza, rispetto e apprezzamento di tutte le differenze”. L’obiettivo della fondazione è creare un cambiamento attraverso l’educazione e l’ispirazione dei bambini e l’eliminazione del razzismo. Il motto della fondazione è: “Crediamo che il razzismo sia una malattia degli adulti e dobbiamo smettere di usare i nostri figli per diffonderla“. Ruby è tuttora un’attivista nella lotta per i diritti umani.

 

 

Ruby Bridges è entrata a scuola - Elisa Puricelli Guerra - copertina

Ruby Bridges è entrata a scuola

Un libro di narrativa per ragazzi dai 12 anni di Elisa Puricelli Guerra, autrice di “Cuori di carta”. Una storia sulla discriminazione e sull’odio razziale e sul coraggio che serve per combatterli. Un libro che racconta ai ragazzi di oggi la lotta per i propri diritti e per l’emancipazione. New Orleans, oggi. Nonostante le grandi battaglie per i diritti civili del secolo scorso, il razzismo ha rialzato la testa, e l’integrazione ha compiuto parecchi passi indietro. Dopo l’arresto di una ragazza afroamericana accusata ingiustamente di un incendio nella loro scuola, Billie ed Eric, due giovani studenti separati dal colore della pelle, si trovano a collaborare per una ricerca. Il tema è una storia di emancipazione negli Stati Uniti degli anni Sessanta, epoca in cui i ragazzi bianchi e quelli di colore frequentavano scuole diverse a causa delle leggi sulla segregazione razziale. La protagonista della storia è Ruby Bridges, una bambina di colore che nel 1960, ad appena sei anni e completamente da sola, prese parte all’integrazione di una scuola per soli bianchi di New Orleans, sfidando pregiudizi, proteste e anche minacce di morte. Età di lettura: da 12 anni.

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Qualcosa sulla Battaglia negli Usa per i diritti civili– i grandi del jazz

 

 

Historic Photograph

icona r/Jazz

Vai al Jazz

Vedi l’originale

Ella Fitzgerald arrestata dopo aver cantato per un pubblico di bianchi e neri (7 ottobre 1955)

 

 

r/Jazz - Ella Fitzgerald arrestata dopo aver cantato per un pubblico integrato (1955)

 

 

 

 

In questo giorno del 1955

Fitzgerald e Dizzy Gillespie e, forse, anche il sassofonista Jean-Baptiste Illinois Jacquet che suonava quella sera,  sono stati arrestati a Houston, Texas, dopo essersi esibiti davanti a un pubblico  di bianchi e neri.
La squadra anticontraffazione della polizia ha affermato di averlo fatto perché c’era chi  giocava d’azzardo in un camerino dietro le quinte.

Il sassofonista Jean-Baptiste Illinois Jacquet ha suonato quella sera. “Volevo che Houston vedesse un concerto fantastico, e dovrevano vederlo come se fossero alla Carnegie Hall”, ha detto all’Houston Press. “Sentivo che se non avessi fatto nulla per la segregazione nella mia città natale, me ne sarei pentito. Questo era il momento giusto per farlo. La segregazione doveva finire”.

Gli arresti hanno fatto notizia a livello nazionale e un anno dopo questi grandi artisti hanno suonato di nuovo davanti a un pubblico misto. Questa volta non ci sono stati arresti

 

MISSISISIPPITODAY 7 ottobre 2023

https://mississippitoday.org/2023/10/07/on-this-day-in-1955-ella-fitzgerald-dizzy-gillespie-jailed-in-texas/

 

 

un commento dice che sentire un sassofonista suonare è come sentire un uomo piangere e ” per me è stato quello che mi è successo quando ho sentito Jean-Baptiste Illinois Jacquet

 

ILLINOIS JACQUET — I SURRENDER DEAR— Mi arrendo, cara

 

 

BOTTOM’S UP  — ILLINOIS JACQUET

 

 

NELLA NOTA sui musicisti si parla anche di un suonatore di tromba, COOTIE WILLIAMS  che qui sotto suona con un grande del piano, Thelonious Monk: il titolo è :

‘Round Midnight ( Intorno a Mezzanotte )

 

 

 

Forse l’abilità della tromba si sente meglio in questa incisione del solo  COOTIE WILLIAMS– 1944

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MARINA CATUCCI, Presunti colpevoli: la polizia raccoglie il Dna dei bimbi migranti. Stati Uniti Si moltiplicano gli arresti dell’Ice nei tribunali dell’immigrazione di New York – IL MANIFESTO  3 GIUGNO 2025

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO  3 GIUGNO 2025
https://ilmanifesto.it/presunti-colpevoli-la-polizia-raccoglie-il-dna-dei-bimbi-migranti

 

 

 

 

 

Presunti colpevoli: la polizia raccoglie il Dna dei bimbi migranti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un manifestante (C) viene fermato dalla polizia durante una manifestazione fuori dalla struttura Varick ICE a Manhattan, New York, USA, 28 maggio 2025. Migranti e cittadini statunitensi sarebbero stati arrestati mentre il ritorno del Presidente Trump alla Casa Bianca innescava nuove misure repressive sull'immigrazione. epaselect epa12142205 Un manifestante (C) viene fermato dalla polizia durante una manifestazione fuori dalla struttura Varick ICE a Manhattan, New York, USA, 28 maggio 2025. Migranti e cittadini statunitensi sarebbero stati arrestati mentre il ritorno del Presidente Trump alla Casa Bianca innescava nuove misure repressive sull'immigrazione. Un manifestant (C) est arrêté par la police lors d'une manifestation devant l'installation de Varick ICE à Manhattan, New York, États-Unis, le 28 mai 2025. Des migrants et des citoyens américains auraient été arrêtés alors que le retour du président Trump à la Maison Blanche a déclenché une nouvelle répression de l'immigration. epaselect epa12142205 Un manifestante (C) viene fermato dalla polizia durante una manifestazione fuori dalla struttura Varick ICE a Manhattan, New York, USA, 28 maggio 2025. Migranti e cittadini statunitensi sarebbero stati arrestati mentre il ritorno del presidente Trump alla Casa Bianca innescava nuove misure repressive sull'immigrazione. Un manifestant (C) est arrêté par la police lors d'une manifestation devant l'installation de Varick ICE à Manhattan, New York, États-Unis, le 28 mai 2025. Des migrants et des citoyens américains auraient été arrêtés alors que le retour du président Trump à la Maison Blanche a déclenché une nouvelle répression de l'immigration. EPA/OLGA FEDOROVA

Un manifestante viene fermato dalla polizia durante una manifestazione a Manhattan, New York, USA, 28 MAGGIO 2025 – Epa

 

Marina Catucci

NEW YORK

 

La Customs and Border Protection (Cbp) ( = DOGANA E POLIZIA DI FRONTIERA ) ha effettuato dei tamponi per prelevare il Dna di bambini migranti di appena 4 anni fermati al confine, in modo da caricare i loro dati genetici in un database gestito dall’Fbi che potrà così rintracciarli in caso, da adulti, dovessero commettere un crimine.

I documenti in cui si parla di questa prassi sono stati rilasciati in sordina dalla US Customs and Border Protection all’inizio di quest’anno, e offrono lo sguardo più dettagliato raccolto fino ad oggi sulla portata del programma di raccolta del Dnaper mano del Cbp, rivelando quanto profondamente la sorveglianza biometrica del governo si spinge nelle vite dei bambini migranti, alcuni dei quali, prima ancora di imparare a leggere o ad allacciarsi le scarpe, hanno il proprio Dna già conservato in un sistema costruito per i condannati per reati sessuali e crimini violenti.

 

 

SECONDO il Dipartimento di Giustizia questa attività di raccolta del Dna fornisce «una valutazione del pericolo» che un migrante potenzialmente «rappresenta per il pubblico», e aiuterà a risolvere i crimini che potrebbero essere commessi in futuro, una valutazione che sembra venire direttamente da Minority Report ( 1 ).

Gli esperti di privacy temono che il materiale genetico dei bambini venga conservato a tempo indeterminato e senza un’adeguata protezione, e che possa essere utilizzato per una profilazione più estesa.

 

I DATI MOSTRANO che, da ottobre 2020 alla fine del 2024, il Cbp ha effettuato tamponi su un numero di persone compreso tra 829.000 e 2,8 milioni. Il numero include ben 133.539 bambini e adolescenti.

 

I campioni di Dna vengono registrati nel Combined Dna Index System, Codis, un database gestito dall’Fbi, che elabora il Dna e ne conserva i profili genetici.

Il Codis, una rete di database forensi pensata per i criminali, che viene utilizzato dalle forze dell’ordine statali e federali, per confrontare il Dna raccolto dalle scene del crimine o dalle condanne e identificare i sospettati.

I migranti solitamente hanno paura di rifiutare il prelievo del Dna, ha dichiarato Stevie Glaberson, direttore del Centro per la ricerca e la difesa della facoltà di legge della Georgetown University di Washington, sollevando dubbi sulla legalità del consenso fornito.

«Le persone a cui viene prelevato il Dna la vivono in due modi – ha affermato Glaberson – Secondo la nostra ricerca, o non sono consapevoli di ciò che sta accadendo, o hanno troppa paura per opporsi».

 

La Cbp è una forza dell’ordine federale che risponde al dipartimento per la Sicurezza nazionale come l’Ice, la polizia migratoria che non opera solo al confine: recentemente i suoi agenti sono entrati nel tribunale per l’immigrazione di Manhattan e hanno effettuato numerosi arresti, coinvolgendo immigrati e osservatori.

ICE _Immigration and Customs Enforcement = aGENZIA PER IL CONTROLLO DELLE FRONTIERE E DEI FLUSSI IMMIGRATORI

 

UN REPORTER di un portale di news locale, The City, che si trovava sul posto durante un raid, ha parlato di circa due dozzine di agenti in borghese con la faccia mascherata, che sorvegliavano l’atrio di un tribunale di Lower Manhattan, dove gli immigrati si recano per i controlli con l’Immigration and Customs Enforcement e per gli appuntamenti di routine con i servizi per la cittadinanza e l’immigrazione.

 

Sempre a New York, alcuni attivisti per i diritti dei migranti presenti in un secondo tribunale per l’immigrazione hanno descritto altri arresti simili: dopo aver saputo di un movimento sospetto di agenti dell’Ice, verso sera un centinaio di attivisti si è radunato fuori dal tribunale e ha cercato di bloccare i furgoni pieni di immigrati detenuti che venivano portati via dall’edificio. A quel punto sono arrivate decine di agenti della polizia di New York per arrestare i manifestanti, con l’aiuto di una quarantina di agenti federali mascherati. Nel gruppo di arresti è rientrato anche quello di un pastore protestante del Queens.

 

QUESTO TIPO di arresti a New York City, e in tutto il Paese, rappresenta un giro di vite senza precedenti che colpisce i migranti che tentano di seguire le procedure legali e si presentano alle udienze.

Ad aggravare il tutto è il fatto che questo accada in quella che storicamente è una città santuario, dove la collaborazioni delle autorità cittadine o statali con gli agenti dell’immigrazione è limitata a casi gravi e specifici, per coltivare la fiducia con la popolazione migrante locale e fare in modo che non abbia timore di rivolgersi alle autorità.

Pochi giorni fa, la segretaria dell’Homeland Security Noem ha pubblicato online una sorta di lista di proscrizione (poi rimossa) che elencava le amministrazioni santuario degli Stati uniti, includendo anche alcune che non lo sono, come la città di San Diego. «Sospettiamo verrà usato come ulteriore strategia intimidatoria per minacciare i fondi federali su cui la città fa affidamento» ha sostenuto, come riporta The New Republic, la procuratrice locale Heather Ferbert.

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LA FRUTTA MARTORANA —-con ricetta — ED ” ALTRE ” DELIZIE

 

 

 

LE SUORE ALL’ORIGINE DELLA FRUTTA
https://rarezze.it/la-frutta-martorana/

 

SOPRA UN BEL LINK CHE FA UN RACCONTO  ULLA FRUTTA…

 

 

 

 

 

FRUTTA MARTORANA  DI MARTORANA A PARIGI
Known to the uploader – Permission granted to the uploader (Alaman) to publish this image under GNU-FDL by the photographer

 

 

Ossa di morto o Scardellini e Frutta Martorana, dolciumi tipici delle Festività dei Defunti.
Effems – Opera propria

 

Mustazzoli siciliani

qui trovate la ricetta dei mustazzoli insieme alla frutta martorana

 

 

una bancarella in occasione delle festività dei defunti a Caltanissetta nel 2024

 

Caltanissetta, the hidden pearl of central Sicily

Caltanisetta
Great Sicily dmc

 

 

 

Caltanisetta
Seguonews

 

 

provincia di Caltanisetta: Castello Manfredonico o di Mussomeli
https://www.tripadvisor.it/Attractions-g2440592-Activities-Province_of_Caltanissetta_Sicily.html

 

 

 

 

 

Castello di Mussomeli

 

 

 

Archeologia Viva n. 208 – luglio/agosto 2021
pp. 62-69

di Simona Modeo

L’interno dell’isola fra antiche popolazioni indigene e contatti ravvicinati con i coloni della costa in arrivo dal mondo ellenico: ecco un itinerario – altamente suggestivo – alla scoperta di quella che erroneamente viene considerata una Sicilia minore

Questo nostro viaggio nella Sicilia interna inizia da Caltanissetta (dall’arabo Qal’at an-nisa, “Castello delle donne” o, secondo alcuni, “Castello di Nisa”*), cuore pulsante di un territorio antico che faceva parte della Sikanìa, la terra dei Sicani. Per anni la città è stata l’epicentro di un’economia florida soprattutto per le miniere di zolfo – ormai dismesse, ma di cui Caltanissetta è stata la capitale mondiale nel XIX secolo – e oggi vanta un discreto patrimonio artistico, insieme a una tradizione culturale molto sentita, ben rappresentata dai riti della Settimana Santa.

 

L’immagine rappresenta ” Il Castello di Pietra rossa “

OppidumNissenae – Opera propria

 

E. Danti 1580-81 nucleo medievale della Provvidenza o Castelo di Pietrarossa a Caltanissetta
E. Danti Musei Vaticani – Giuseppe Saggio

 

Panorama di Santa Maria La Vetere e del Castello di Pietrarossa a CL
OppidumNissenae – Opera propria

 

 

Castello di Pietrarossa a Caltanissetta.
Walter Lo Cascio – Walter Lo Cascio

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Abbazia di Santo Spirito a Caltanissetta
Walter Lo Cascio – Walter Lo Cascio

 

il luogo in cui oggi sorge l’abbazia normanna di Santo Spirito era un luogo di culto già in epoca bizantina, come fa supporre la dedicazione allo Spirito Santo. In ogni caso, sembra ormai certo che l’attuale biblioteca fosse un tempo un casolare arabo, inglobato nella struttura normanna.

Commissionata dal conte Ruggero e da sua moglie Adelasia, la chiesa fu consacrata nel 1153 ed affidata nel 1178 ai canonici regolari agostiniani, anche se fu soltanto nel 1361 che iniziò la serie degli abati.

 

segue nel link:

https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Santo_Spirito

 

 

 

 

L’altare —Davide Mauro

 

 

 

L’interno
Davide Mauro

 

 

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Cristo Bendicente
Walter Lo Cascio – Walter Lo Cascio

 

 

 

Il fonte battisimale —Davide Mauro

 

 

 

nota su:

Adelasia del Vasto, nota anche come Adelaide o Azalaïs (Liguria o Piemonte1075 circa – Patti16 aprile 1118), fu una nobile italiana della stirpe franca degli Aleramici. Fu gran contessa di Sicilia (dal suo matrimonio con Ruggero I di Sicilia) e regente della Gran Contea (come madre di Ruggero II, primo re di Sicilia), e anche regina consorte di Gerusalemme (dal suo matrimonio con Baldovino I di Gerusalemme).

 

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Ripudio di Adelasia del Vasto da parte di Baldovino I di Gerusalemme, Maestro del Roman de Fauvel, 1337

 

 

Dettaglio del sarcofago della Regina Adelasia nella Basilica cattedrale di San Bartolomeo di Patti.
Effems – Opera propria

 

 

 

DI NUOVO LA FRUTTA PER CHUDERE

 

 

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una frutta martorana ” particolare ” in una bancarella in occasione delle festività dei defunti a Caltanissetta nel 2024

 

 

 

Auregann – Opera propria

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Massimo Gilardi, PITTORE – Facebook/ link sotto – 3 giugno 2025 h 18.30 ca Il meraviglioso e famosissimo castello di Donnafugata – foto Massimo Torrisi + altro

 

 

link di :

Massimo Gilardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

📍 Castello di Donnafugata

Sotto il cielo dipinto di Sicilia, un castello che custodisce il silenzio del tempo.

Tra storia, bellezza e mistero. ✨🏰🌞

Foto _massimo_torrisi_

#Sicilia #CastelloDiDonnafugata #MeraviglieDiSicilia #Siciliafanpage #BellezzeItaliane #BorghiSiciliani #SFP #siciliafanpages #instalike #photo #photography #facebook #italia #instagram

 

 

nota :– TESTO E FOTO :
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Donnafugata

 

 

 

una foto bellissima, come la pianta della Sicilia, è del sito :
https://rarezze.it/ragusa-castello-di-donnafugata/

 

 

Il castello di Donnafugata si trova nel territorio del comune di Ragusa, a circa 15 chilometri dalla città. L’attuale costruzione, al contrario di quanto il nome possa far pensare, è una sontuosa dimora nobiliare del tardo ‘800. La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia Arezzo De Spuches.

Fin dall’arrivo il castello rivela la sua sontuosità: l’edificio copre un’area di oltre 7500 metri quadrati su 3 piani in stile neogotico, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori.

 

Castello di Donnafugata, vista del parco
Mboesch – Opera propria

 

 

 

Scorcio del parco
Okkiproject – Opera propria

 

Ci sono varie ipotesi sull’origine del nome “Donnafugata”. Usualmente viene ricondotto ad un episodio leggendario, quale la fuga della regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I il Giovane e reggente del regno di Sicilia che venne imprigionata nel castello dal conte Bernardo Cabrera, che aspirava alla sua mano e, soprattutto, al titolo di re. In realtà la costruzione del castello è successiva alla leggenda. Secondo altri il nome è la libera interpretazione e trascrizione del termine arabo عين الصحة ʻAyn al-Ṣiḥḥat (Fonte della Salute) che in siciliano diviene Ronnafuata, da cui la denominazione attuale.[1]. Ma è possibile avanzare un’ipotesi ulteriore[2], cioè che il nome della località possa fare riferimento a un tragico e doloroso episodio verificatosi in quel luogo, ovvero il possibile ritrovamento, in un imprecisato momento storico, di un corpo femminile deceduto per soffocamento (“donna affucata”, cioè ” donna soffocata” o “donna morta per soffocamento”). Il toponimo si ripete in un’altra località in provincia di Palermo. Inoltre, presso Scicli, esiste anche la borgata di Donnalucata (interpretata comunemente come “fonte delle ore”)[

 

Labirinto di pietra nel parco del castello
Mboesch – Opera propria

 

STORIA

IL PARCO..

Nel parco ci sono degli scherzi..

 

 

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La stazione ferroviaria di Donnafugata –
Sal73x di Wikipedia in italian

 

 

 

 

 

 

una bella carrelata di foto sul castello  di DONNAFUGATA

https://castellodonnafugata.org/il-castello-di-donnafugata/

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Mauro Biani @maurobiani 3 giugno 2025 – 17.38 — — silenziosamente magnifica !

 

 

 

#CPR #Italia #Albania #migranti #governoMeloni

Finalmente soli.

Oggi per @repubblica

 

 

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Mauro Biani @maurobiani / link sotto — — Lo scrutatore non votante. #Meloni

 

Lo scrutatore non votante. #Meloni

 

 

 

 

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Yo̴g̴ @Yoda4ever · 20h—- posso avere un boccone piccolo, per favore ? — — stupendo !

 

 

Posso avere un boccone piccolo, per favore?

Yhttps://x.com/i/status/1929626586304991319

 

 

 

 

 

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ELLE KAPPA — LA VIGNETTA – MELONI —

 

 

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Jsarema Zafferini Facebok / link sotto– ieri, 2 giugno – ORE 11.04 –GRAZIE CARA JSA ! + trailer e alcune clip + recensione de Il Manifesto 19 ottobre e 8 novembre 2023

 

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e il seguente testo "Jsa"

LA SUA ATTUALE IMMAGINE

ISAREMA ZAFFERINI LINK FACEBOOK 

Jsarema Zafferini Facebok ( DA NON PERDERE )

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal film “C’è ancora domani” la prima volta del voto delle donne. Ricordiamolo sempre 👁️👀‼️ JSA

 

 

Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante 4 persone e il Muro Occidentale

 

 

 

 

 

TRAILER DEL FILM DEL 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO  19 OTTOBRE 2023
https://ilmanifesto.it/ce-ancora-domani-uomini-violenti-in-unitalia-ferita

 

 

«C’è ancora domani», uomini violenti in un’Italia ferita

 

«C’è ancora domani», uomini violenti in un’Italia ferita
Paola Cortellesi in «C’è ancora domani»

 

Mazzino Montinari

ROMA

Delia sa che prima o poi Ivano, suo marito, le darà la quotidiana razione di botte, è solo questione di capire quale sarà il movente del giorno. D’altro canto, l’uomo, è un po’ «nervoso», ha fatto due guerre e nelle sue condizioni è proprio difficile astenersi dall’essere un criminale tra le mura domestiche. Delia pensa alla casa, rincorre i due fratellini sboccati, aggiusta quello che il suo «carnefice» rompe attribuendole la colpa, prende pugni e insulti, e poi va avanti e indietro per le strade di Roma, riparando ombrelli, rammendando vestiti, facendo iniezioni e svolgendo chissà quante altre mansioni. Ovviamente guadagna poche lire rispetto ai beoti che non sanno fare niente. «Sono maschi», e questo basta a giustificare l’ingiusta sproporzione.

MARCELLA, la figlia maggiore, guarda sbigottita e arrabbiata sua madre che incassa senza reagire. Intanto, però, la giovane (potenziale) ribelle spera di sposare Giulio, di buona famiglia (si fa per dire), che non sarà nervoso per le guerre che peraltro non ha combattuto, ma che promette di essere altrettanto coercitivo. Chiuso in una stanza, il nonno, il padre di Ivano, si lamenta di non ricevere le giuste attenzioni e consiglia il figlio di menare la moglie con intervalli temporali più lunghi: meglio poche legnate ben assestate che un continuo picchiare e dover sentire in continuazione i pianti di quella donna che tutto sommato ha il solo grande difetto di parlare.

Questi personaggi rigorosamente in bianco e nero sono tra i protagonisti di C’è ancora domani, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, che nel film interpreta Delia con Valerio Mastandrea nel ruolo di Ivano. Opera prima scelta (nel concorso Progressive Cinema) per aprire ieri sera la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

UN LAVORO nel quale la neo regista ha raccontato il personale e il collettivo. Una vicenda famigliare che ha sullo sfondo l’Italia uscita dalla guerra, tra liberazione e rovine, tra la prepotente riaffermazione di vecchie abitudini delittuose e la prospettiva ambiziosa di ricostruire tutto da capo, possibilmente facendo a meno delle macerie lasciate dal fascismo.
Siamo alle porte del 2 giugno 1946. Un voto che oltre a sancire la nascita della Repubblica segna l’accesso definitivo alle urne di milioni di donne (e la possibilità di essere elette).Ed è su questo secondo aspetto che C’è ancora domani punta maggiormente, anche se Cortellesi ha preferito concentrarsi sulla formazione autodidatta di una donna che, riflettendo sulle proprie esperienze, giunge a quella che si potrebbe definire autocoscienza. Pensieri, quelli di Delia, che talvolta sono espressi in modo più didascalico che ingenuo, con l’esito di sottrarre pathos a una storia che con equilibrio sa offrire variazioni di temi e generi. Tra coreografie, drammi, scene violente, amori sfumati, amicizie sincere, una volta di più, sono le parti della commedia umana a tratteggiare in modo più efficace un’umanità che in ogni epoca è chiamata (vanamente?) domani a essere migliore di ieri.

 

Il rischio e la liberazione, schegge di memoria in un presente sospeso

https://ilmanifesto.it/il-rischio-e-la-liberazione-schegge-di-memoria-in-un-presente-sospeso

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BIRAGO DIOP ( Dakar, 11 dicembre 1906 – Ouakam, 25 novembre 1989) è un poeta senegalese. + UNA POESIA ( traduzione di Marco Aime ) E UN RACCONTO ( penso traduz. automatica )– è un primo incontro, difficile come tutti i primi incontri

 

 

newbira

 

 

BIRAGO DIOP

La penna rattoppata /o anche rotta ( La plume raboutée )

 

SITO DEL POETA
https://www.biragodiop.com/

 

 

Birago Diop (1906-1989), scrittore senegalese francofono che ha reso omaggio alla tradizione orale del suo paese pubblicando racconti, in particolare i suoi Racconti di Amadou Koumba .

Nato nei pressi di Dakar, ricevette una formazione coranica e frequentò contemporaneamente scuole francesi. Durante gli studi di medicina veterinaria a Tolosa, rimase attento all’opera degli africanisti e alla fine degli anni Trenta aderì al movimento della Négritude, che allora comprendeva Senghor e Césaire. Fu a Parigi che compose i Racconti di Amadou Koumba nel 1942 (pubblicati nel 1947), dimostrando fin da questo primo libro la sua predilezione per la tradizione orale dei griot, questi cantastorie popolari la cui voce non smise mai di ascoltare. Rispettoso dell’oralità, affinò un talento originale come scrittore nei Nuovi Racconti di Amadou Koumba (1958) e in Racconti e Lavanes (1963); la sua raccolta di poesie Leurres et Lueurs (1960) è profondamente intrisa di cultura francese combinata con le fonti di un’ispirazione puramente africana.

La sua carriera diplomatica dopo l’indipendenza del suo paese e il ritorno al suo primo incarico come veterinario a Dakar non ostacolarono la sua esplorazione della letteratura tradizionale africana, ma dichiarò di aver “rotto la penna”. Ciononostante pubblicò La Plume raboutée e altri quattro volumi di memorie tra il 1978 e il 1989.

 

 

I morti non sono morti

Ascolta più spesso ciò che vive
ascolta la voce del fuoco
ascolta la voce dell’acqua
e ascolta nel vento
i singhiozzi della boscaglia :
sono il soffio degli antenati.
I morti esistono,
essi non sono mai partiti,
sono nell’ombra che s’illumina,
e nell’ombra che scende
nella profonda oscurità.
Sono nell’albero minaccioso
e nel bosco che geme,
sono nell’acqua che scorre,
sono nell’acqua stagnante,
sono nelle capanne,
sono nelle piroghe.
I morti non sono morti.
I morti esistono, non sono mai partiti,
sono nei seni della donna
sono nel bimbo portato dal suo corpo
sono nel tizzone che si accende
non sono sotto terra
sono nell’incendio che divampa
sono nelle erbe che piangono
sono nelle rocce che gemono
sono nella foresta, nelle abitazioni, nelle barche.
I morti non sono morti.

 

Il grande poeta senegalese in questa sua poesia esprime con versi bellissimi il rapporto che esiste presso molte popolazioni africane tra il mondo dei viventi e quello dei defunti. Mentre in Occidente la morte allontana le persone, che vivono solo nei ricordi, per molti africani il rapporto con gli antenati continua. Ci si rivolge a loro per chiedere consigli, per avere conforto, non abbandonano mai del tutto il mondo dei vivi. Sono una presenza costante che, come dice la poesia di Diop, che possiamo riportare per intero, vive in tutte le cose e quindi ci accompagna in ogni momento.

( testo e traduzione di MARCO AIME )

 

da :

Il soffio degli antenati. Immagini e proverbi africani, Marco Aime

immagini e proverbi africani-
Einaudi, 2017

 

Intervista a Marco Aime da:
Letture.org

 

Marco Aime  ( 1956, Torino )

Marco Aime è attualmente ricercatore di Antropologia Culturale presso l’Università di Genova. Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi.Oltre a numerosi articoli scientifici, ha pubblicato vari testi antropologici sui paesi visitati: Chalancho, ome, masche, sabaque. Credenze e civiltà provenzale in valle Grana (Centre de Minouranço Prouvençal, Coumboscuro, 1992); Il mercato e la collina. Il sistema politico dei Tangba (Taneka) del Benin settentrionale. Passato e presente (Il Segnalibro, 1997); Le radici nella sabbia (EDT, 1999); Diario dogon (Bollati Boringhieri, 2000); Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia in collaborazione con S. Allovio e P.P. Viazzo (Meltemi, 2001); La casa di nessuno. Mercati in Africa occidentale (Bollati Boringhieri, 2002); Eccessi di culture (Einaudi, 2001); L’incontro mancato (Bollati Boringhieri, 2005); Gli specchi di Gulliver (Bollati Boringhieri, 2006); Il primo libro di antropologia (Einaudi, 2008); La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009); Una bella differenza (Einaudi, 2009). È autore anche di alcune opere di narrativa: Taxi brousse (1997), Fiabe nei barattoli. Nuovi stili di vita spiegati ai bambini (1999), Le nuvole dell’Atakora (2002), Sensi di viaggio (2005), Gli stranieri portano fortuna (2007), Il lato selvatico del tempo (2008). Fra gli altri suoi titoli si ricordano: Gli uccelli della solitudine (2010), L’altro e l’altrove (2012), Tra i castagni dell’Appennino (2014), Je so’ pazzo. Pop e dialetto nella canzone d’autore italiana da Jannacci a Pino Daniele (2014), La fatica di diventare grandi (2014), Senza sponda. Perché l’Italia non è più una terra d’accoglienza (2015), Invecchiano solo gli altri (Einaudi, 2017).

 

in questo link, potete dare un’occhiata alla grande varietà dei libri scritti da questo autore: MARCO AIME:

APRENDO C’E UNA PRESENTAZIONE DI OGNI LIBRO

https://www.ibs.it/libri/autori/marco-aime

 

 

UN RACCONTO  DI BIRAGO DIOP, PUBBLICATO SUL SUO SITO IN FRANCESE E TRADOTTO AUTOMATICAMENTE-

IL SITO è : https://www.biragodiop.com/  VAI NELLA PARTE ” ESTRATTI “

 

 

FARI L’ASINO

Allontanarsi dal suo argomento – spesso appena entrato – solo per tornarci meglio, questa era l’abitudine di Amadou Koumba, i cui detti riferirò e le cui gesta senza dubbio un giorno racconterò.
Spesso, con una parola di uno di noi, ci riportava molto, molto indietro nel Tempo. Spesso anche un uomo di passaggio, il gesto di una donna, ci riportava alla mente racconti e parole di saggezza che il nonno di suo nonno aveva imparato da suo nonno.
Lungo la strada meridionale che avevamo percorso per un giorno, carcasse sbiancate dagli spazzini e cadaveri in tutti gli stadi di putrefazione avevano sostituito i cippi di confine che non erano mai esistiti. Cadaveri e carcasse di asini che portavano carichi di cola dalla Costa al Sudan.

Avevo detto: “Poveri asini! Cosa sopportano!”

– Provi anche tu pietà di loro? aveva risposto Amadou Koumba. È davvero colpa loro, però, se sono dove sono oggi; Se sono schiavi degli schiavi… Se gli ordini – tasse e benefici – di Dakar ricadono, dopo essere passati dal Governatore al Comandante del Circolo, dal Comandante del Circolo al Capo Cantone (senza dimenticare l’Interprete), dal Capo Cantone al Capo Villaggio, dal Capo Villaggio al Capo Famiglia, dal Capo Famiglia sulla schiena a colpi di randello. Come in passato (perché non credo che nulla sia cambiato) dal Daniel-il-re ai Lamanes-viceré, dai Lamanes ai Diambours-uomini liberi, dai Diambours ai Badolos di bassa condizione, dai Badolos agli schiavi degli schiavi… Se l’asino è dove si trova oggi, è perché l’ha chiesto.

Immagine 1118In tempi antichissimi, molto antichi, di cui non hanno certo perso la memoria, come noi, gli asini. Come tutti gli esseri sulla terra, vivevano liberi in un paese dove non mancava nulla. Quale primo errore hanno commesso? Nessuno lo ha mai saputo e forse nessuno lo saprà mai. Resta il fatto che un giorno una grande siccità devastò il paese, che fu poi colpito dalla carestia. Dopo infiniti consigli e discussioni, si decise che la regina Fari e alcune cortigiane sarebbero partite alla ricerca di terre meno desolate, regioni più ospitali, paesi più fertili.
Nel regno di N’Guer, dove vivevano gli uomini, i raccolti sembravano più belli che in qualsiasi altro paese. Fari era disposta a fermarsi lì. Ma come si potevano disporre senza rischi di tutte queste cose buone che appartenevano agli uomini? Un singolo
Un mezzo forse: farsi uomo. Ma l’uomo rinuncia volontariamente al suo simile a ciò che gli appartiene, a ciò che ha ottenuto con il sudore delle sue braccia? Fari non l’aveva mai sentito dire. Alla donna, forse, l’uomo non dovrebbe rifiutare nulla, poiché, a memoria d’uomo, nessuno aveva mai visto un maschio rifiutare qualcosa a una femmina o picchiarla – a meno che non fosse pazzo come un cane rabbioso. Fari decise quindi di rimanere femmina e di trasformarsi in donna, così come il suo entourage.
Narr, il moro del re di N’Guer, era forse l’unico suddito del regno a praticare sinceramente la religione del Corano. In questo, non aveva alcun merito, poiché doveva dimostrarsi degno dei suoi antenati che avevano introdotto l’Islam con la forza nel paese. Ma Narr si distingueva comunque dagli altri, prima per il suo colore bianco, poi per il fatto che non sapeva mantenere il minimo segreto. E ancora oggi, si dice di un narratore che “ha ingoiato un moro”.
Narr era quindi praticamente devoto e non perdeva mai nessuna delle cinque preghiere del giorno. Immaginate il suo stupore una mattina, quando andò a compiere le abluzioni al lago di N’Guer, e trovò delle donne che facevano il bagno lì. La bellezza di una di loro, circondata dalle altre, era tale che lo splendore del sole nascente si offuscò. Narr dimenticò le abluzioni e le preghiere e corse a svegliare Bour, il re di N’Guer
– Bout! Bilahi! Walahi! (Veramente! Nel nome di Dio.) Se mento, che mi venga tagliato il collo! Ho trovato al lago una donna la cui bellezza non può essere descritta! Vieni al lago, Bour! Vieni! Non è degna di nessuno tranne te.
Bour accompagnò il suo Moro al lago e riportò indietro la bella donna e il suo seguito. E la prese come sua moglie prediletta.
Quando l’uomo dice al suo personaggio: “Aspettami qui”, ha appena voltato le spalle che il personaggio gli cammina alle calcagna. L’uomo non è l’unico a soffrire di questa sventura. L’asino, come altre creature, condivide questa passione con lui. Per questo Fari e le sue cortigiane, che avrebbero dovuto vivere felici e senza preoccupazioni alla corte del re di N’Guer, si annoiavano e languivano sempre di più. Mancava loro tutto ciò che rende gioia e felicità la natura di un asino: ragliare e scoreggiare, rotolarsi a terra e scalciare… Così un giorno chiesero a Bour, usando il gran caldo come scusa, il permesso, che fu loro accordato, di andare a fare il bagno ogni giorno al tramonto nel lago.
Raccogliendo le zucche, le mastiti e tutti gli utensili sporchi, si recavano così, ogni sera, al lago dove, togliendosi il boubù e i perizomi, entravano in acqua cantando:

Fari ciao! ahah!
Fari ciao! ahah!
Fari è un asino,

Dov’è Fari, la regina degli asini
che emigrò e non fece più ritorno?

Cantando, si trasformarono in asini. Emersero dall’acqua, correndo, scalciando, rotolando e scoreggiando.
Nessuno disturbò i loro scherzi. L’unico che avrebbe potuto farlo, l’unico che lasciò il villaggio al tramonto per le abluzioni e la preghiera del Timiss, Narr-il-Moro, era partito in pellegrinaggio alla Mecca. Stanchi e felici, Fart e il suo seguito ripresero i loro corpi femminili e tornarono a casa di Bour, con zucche e mastiti lavate e ripulite.
Le cose sarebbero forse potute andare avanti per sempre se Narr fosse morto durante il viaggio; se fosse stato portato lì a est, in un regno Bambara, Fulani o Hausa, e tenuto in schiavitù; o se avesse preferito rimanere, per il resto dei suoi giorni, vicino alla Kaaba per essere più vicino al paradiso. Ma Narr tornò un bel giorno, proprio mentre calava la notte. Prima di salutare il re, si recò al lago. Lì vide le donne e, nascosto dietro un albero, ascoltò il loro canto. Il suo stupore fu più grande del giorno in cui le aveva trovate lì, vedendole trasformarsi in asini. Arrivò a casa di Bour, ma non poté dire nulla di ciò che aveva visto e sentito, tanto era celebrato e interrogato sul suo pellegrinaggio. Ma, nel cuore della notte, il suo segreto, che aveva ostacolato il cuscus e il montone di cui si era rimpinzato, lo stava soffocando. Venne a svegliare il re
– Bout! Bilahi! Walahi! Se mento, che mi taglino la testa, la tua amatissima moglie non è un essere umano, è un’asina!
– Di cosa stai parlando, Narr? I geni ti hanno forse indirizzato la testa sulla via della salvezza?
– Domani, Bour, domani, inshallah! Te lo dimostrerò.
La mattina dopo, Narr chiamò Diali, il griot-musicista del re, e gli insegnò il canto di Fari.
– Dopo pranzo, gli disse, quando la nostra regina preferita accarezzerà la testa di Bour sulla coscia per farlo addormentare, invece di cantare la gloria dei re defunti, suonerai la chitarra e canterai la canzone che ti ho appena insegnato.
– È alla Mecca che hai imparato questa canzone? chiese Diali, curioso come ogni griot che si rispetti.
– No! Ma presto vedrai la potenza della mia canzone, rispose Narr-il-Moro. Bout sonnecchiava, con la testa sulla coscia del suo favorito, mentre Narr raccontava ancora una volta il suo pellegrinaggio, quando Diali, che fino ad allora aveva canticchiato dolcemente sfiorando la chitarra, iniziò a cantare:
Fari hi! han!
Fari hi! han!
La regina rabbrividì. Bour aprì gli occhi. Diali continuò:
Fari hi! han!
Fari è un asino.
– Bour, disse la regina piangendo, impedisci a Diali di cantare questa canzone.
– Perché, mia cara moglie? La trovo molto carina, disse il re,
“È una canzone che Narr ha imparato alla Mecca”, spiegò il griot.
“Ti prego, mio ​​padrone!” gemette il favorito. “Smettila. Mi spezza il cuore, perché la cantiamo ai funerali.
” “Ma non è un motivo per zittire Diali, dai!
” E Diali continuò a cantare.

Fari è un asino
Dov’è Fari la regina degli asini?

Chi emigrò e non fece ritorno?
Improvvisamente, la gamba della regina che sorreggeva la testa di Bour si irrigidì, e sotto il perizoma apparvero uno zoccolo e poi una zampa. L’altra gamba si trasformò, le orecchie si allungarono, anche il suo bel viso… Rifiutando il suo sposo reale, Fari, trasformata di nuovo in un’asina, diede un calcio in mezzo alla capanna, sganciando la mascella di Narr-il-Moro. Nelle capanne vicine, nelle cucine, nel cortile, i calci e gli ih-h! indicavano che i sudditi di Fari avevano subito la stessa sorte della loro regina.
Come la loro regina, furono trattenuti con randelli e zoppicati; così come tutti gli asini che, preoccupati per la sorte della loro regina e delle loro mogli, andarono a cercarle e attraversarono il regno di N’Guer.
Ed è da N’Guer e da Fari che alcuni faticano con bastoni e trottano, carichi, lungo tutti i sentieri, sotto il sole e sotto la luna.

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2 GIUGNO 2025 – 2 video sulla sfilata nella Festa della Repubblica + Tomaso Montanari da Il fatto di oggi, pubblicato da: Iacchité.blog, la notizia che sconvolge

 

 

 

2 GIUGNO – SFILATA NELLA FESTA DELLA  REPUBBLICA – IL SOLE 24 ORE

video, 3 min.

 

 

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LA 7.IT  2 GIUGNO 2025:

IL NUOVO CARRO ARMATO LYNX KF-41

https://www.la7.it/camera-con-vista/video/il-nuovo-carro-armato-lynx-kf-41-della-difesa-debutta-alla-parata-del-2-giugno-02-06-2025-598841

(Agenzia Vista) Roma, 02 giugno 2025 Si è svolta in Via dei Fori Imperiali a Roma la tradizionale parata del 2 giugno per la Festa della Repubblica. Il nuovo carro armato Lynx KF-41 ha fatto il suo debutto per la prima volta alla sfilata. Fa parte di una nuova generazione dei veicoli da combattimento della fanteria italiana capace di cambiare forma e funzione – sedici le configurazioni del carro armato – in base alla missione, al contesto e alla minaccia. Realizzato nell’ambito della joint venture tra Rheinmetall e Leonardo, può diventare trasporto truppe, ambulanza corazzata, centro comando mobile o piattaforma anticarro. Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

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Logo – 2 GIUGNO 2025

https://www.iacchite.blog/tomaso-montanari-2-giugno-che-ridicole-parate-la-vera-patria-oggi-e-gaza/

 

Tomaso Montanari: “2 giugno, che ridicole parate. La vera patria oggi è Gaza”

 

 

(di Tomaso Montanari – ilfattoquotidiano.it) –

 

Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità.

Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”.

Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso.

Quando, il 10 giugno del 1940, la radio portò anche alla Scuola Normale di Pisa la voce di Benito Mussolini che scandiva la dichiarazione di guerra, preparandosi a maramaldeggiare oscenamente sulla Francia piegata dalle armate naziste, un gruppo di normalisti intonò la Marsigliese: affrontando poi la punizione. Un modo di pensare la patria che ne preparava l’idea (pacifica, antinazionalista e fondata sui diritti umani) che sarà poi quella della Costituzione.

Nello stesso momento, Piero Calamandrei annotava nel suo diario: “Gli inglesi e i francesi e i norvegesi che difendono la libertà sono ora la mia patria”. Ecco, se in questo 2 giugno si può sentire di avere una patria, quella patria è Gaza. Questa città nostra, del nostro mare e della nostra storia. Quasi prefigurata dall’Albert Camus che – parlando di ‘cultura mediterranea’ nel 1937, ad Algeri – affermava che “la patria non è l’astrazione che manda gli uomini al massacro, ma un certo gusto della vita che è comune a certi individui: … la sua vita, i cortili, i cipressi, le trecce di peperoni”.

La nostra patria mediterranea è Gaza: teatro di un genocidio che nessuna censura, nessuna complicità, possono ormai riuscire a nascondere. E le parole che ci annodano a quella patria non appartengono alla politica, e nemmeno alla giustizia o alla storia – tutte vuote, se messe accanto a quella indicibile realtà che pure vediamo minuto per minuto, con una presa diretta senza precedenti storici. Invece sono, ancora una volta, le parole della poesia.

Tra le voci che ci giungono da Gaza, come echi dall’inferno dei viventi, ce n’è una singolarmente alta, e terribile: quella di Ibrahim Nasrallah, la cui raccolta Maria di Gaza, scritta sotto i bombardamenti, è ora tradotta da Wasim Dahmash per le Edizioni Q. “Dove torna la patria quando tanta gente è uccisa?”: è la domanda che il poeta fa risuonare tra le macerie di Gaza. Intrecciandola ad altre domande senza risposta, come quelle della devastante litania che un bambino rivolge ai suoi coetanei liberi, fuori dal muro: “Come qua, là bombardano alla viglia della festa? |E dopo la fine delle vacanze estive | ci sono lezioni, scuola, appello | insegnante, direttore, capoclasse? |Le parole sulla lavagna | lunghe come la mia lingua | cominciano con una lettera? Come il mio nome | il nome del mio paese? Esiste una biblioteca? Libri? Quaderni? | Ci sono bambini | come l’ucciso qua al posto di blocco? | Ci sono bambini che come me | amano tutti i gatti | tutti i boccioli di mandorlo, bambini bravi? | E quando i soldati sparano alle bambine | sotto il sole di mezzogiorno | ridono come qui e se ne vantano?| È solo una domanda”.

Una domanda scarnificante, lo sguardo del condannato a morte – un bambino – verso i suoi coetanei che invece vivranno. Un modo vertiginoso di mettere insieme loro, decimati senza alcuna colpa, e noi, vivi senza alcun merito: noi che abitiamo silenziosi nelle “capitali che sotto il sole | giocano il ruolo delle ancelle”, subalterne ad Israele e alla sua politica di sterminio e cancellazione culturale. Mentre a Roma, capitale ancella di Tel Aviv e Washington, si festeggia con la parata militare, gli umani di Gaza, abbandonati dal mondo, si dispongono alla loro ultima ora con dignità straziante: “Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare | qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui. | Non ci assentiamo, | rimarremo vicini. Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi | non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…, oh, Dio, | sii la nostra muraglia: | non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte”. E noi? Non pensiamo di salvarci, neanche noi sfuggiremo: ‘ma voi dove eravate?’. Non sfuggiremo alla responsabilità morale della soluzione finale di Gaza, unica patria possibile, “perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale, e con la patria di tutti gli uomini liberi” (Carlo Rosselli).

 

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ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti” @ANPIRomaPosti – 12.01 –2 giugno 2025– NEL RISPETTO DELLA SUA MIGLIOR TRADIZIONE, LA CLOACA FASCISTA AGISCE DI NOTTE: #ForteBravetta: sfregiata di nuovo ( 25 aprile ) la stele commemorativa.

 

 

 

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ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti” @ANPIRomaPosti

 

 

NEL RISPETTO DELLA SUA MIGLIOR TRADIZIONE,

LA CLOACA FASCISTA AGISCE DI NOTTE:

 

#ForteBravetta: sfregiata di nuovo la stele commemorativa.

La lapide era stata già imbrattata in occasione del #25aprile romatoday.it/cronaca/forte-

 

 

 

 

 

NOTA 1.

I MARTIRI DI FORTE BRAVETTA

da wikipedia 

 

Martiri di Forte Bravetta furono 68 militari e partigiani, tutti appartenenti alla Resistenza romana, fucilati dal Comando tedesco nel periodo dell’occupazione (10 settembre 1943 – 4 giugno 1944) a Forte Bravetta, una delle costruzioni fortificate che circondavano la città di Roma, situata nella periferia ovest della Capitale, al km 3,5 della via omonima.

Nel film di Roberto RosselliniRoma città aperta, è narrata, in forma romanzata, la vicenda dell’uccisione di don Giuseppe Morosini, interpretato da Aldo Fabrizi, eseguita nel forte il 3 aprile 1944.

Il monumento funebre, posto nel 1967, riporta 77 nominativi, citando anche alcuni condannati per delitti comuni dai tribunali italiani e raddoppia erroneamente i nominativi di alcuni caduti.
Per le fucilazioni plurime si è fatto riferimento alle dizioni utilizzate dall’INSMLI: “eccidio” – da due a quattro uccisioni; “strage”, cinque o più vittime

Elenco delle varie fucilazioni

dall’11 ottobre 1943 fino all’ultima ( la n. 21 ) del 3 giugno 1944

 

 

 

 

nota 2 : DALL’ANPI + LIBRO
https://www.anpi.it/bibliografia/forte-bravetta

 

Forte Bravetta

Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra.

Augusto Pompei

Forte Bravetta. Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra.

Odradek, 2a edizione 2024, pp.302, euro 26,00–Proponiamo una II edizione del libro uscito nel 2012, (ormai esaurito), ampliata con interventi di Paolo De’ Zorzi, Donatella Panzieri, un capitolo sui caduti appartenenti a Bandiera Rossa, uno storytelling degli allievi del liceo Malpighi di Roma, le foto e le descrizioni delle epigrafi e delle pietre d’inciampo riguardanti i caduti a Forte Bravetta.

 

Dal 1932 al 1945, a Forte Bravetta, una delle fortificazioni militari, su un terrapieno all’interno di Roma, furono eseguite le condanne a morte.

I casi presi in esame dall’Autore (titolare della cattedra di Archivistica Contemporanea presso la Scuola dell’Archivio di Stato di Roma) sono 130:

cinquanta fino all’8 settembre 1943, su sentenze del “Tribunale speciale per la Difesa dello Stato”;
settanta durante i nove  mesi di occupazione di Roma, su ordine delle autorità tedesche; dieci dopo la Liberazione.

 

L’Autore ha ricostruito le vicende sulla base di documenti (fotografie, resoconti della polizia, relazioni dei questori, lettere dei condannati e dei loro congiunti) e di interviste a testimoni di quei tragici eventi, relativi a un arco di tempo di rilievo per la storia d’Italia del ventesimo secolo: l’ascesa e l’affermazione del fascismo, la seconda guerra mondiale, la Resistenza e la Liberazione.

 

Compongono questa narrazione corale: le storie individuali di oppositori e resistenti al fascismo e al nazismo, di agenti segreti al servizio di potenze in guerra con l’Italia, di collaboratori dei tedeschi e dei fascisti della Repubblica Sociale Italiana e anche di persone accusate di avere commesso delitti comuni.

Tra tutte, ricordiamo quella relativa a don Giuseppe Morosini, nato a Ferentino, esattamente 100 anni fa, il 19 marzo 1913 ( la prima edizione è del 2012 ). Entrò giovane nella Congregazione della Missione e fu ordinato sacerdote a San Giovanni in Laterano nel 1937. Nel 1941 fu cappellano militare del 4° reggimento d’artiglieria di stanza a Laurana, all’epoca in provincia di Fiume, ora in Croazia. Nel 1943 fu trasferito a Roma. Qui assisteva i ragazzi sfollati dalle zone colpite dal conflitto che erano alloggiati in una scuola elementare del quartiere Della Vittoria.

Dopo l’8 settembre entrò nella Resistenza romana, principalmente come assistente spirituale. Era in contatto con il gruppo comandato dal tenente Fulvio Moscati, attivo a Monte Mario,in diretto collegamento con il Fronte militare clandestino della Resistenza, guidato dal colonnello Cordero Lanza di Montezemolo.

Don Morosini riuscì ad avere da un ufficiale della Wehrmacht il piano delle forze tedesche sul fronte di Cassino, ma segnalato da un delatore, infiltrato tra i partigiani di Monte Mario, fu arrestato dalla Gestapo il 4 gennaio 1944, mentre raggiungeva il Collegio Leoniano in via Pompeo Magno (quartiere Prati), insieme all’amico Marcello Bucchi. Fu detenuto a Regina Coeli nella cella n.382, insieme a Epimenio Liberi, un commerciante ventitreenne di Popoli che aveva partecipato ai combattimenti di Porta San Paolo e che era entrato nella resistenza nelle file del Partito d’Azione.

La moglie di Liberi era in attesa del terzo figlio. E don Morosini scrisse in carcere, per il bambino che doveva nascere, una “Ninna Nanna per soprano e pianoforte”. Liberi fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Torturato perché rivelasse i nomi dei suoi complici, don Morosini non solo non parlò ma cercò di addossarsi ogni responsabilità. Il 22 febbraio 1944 il tribunale tedesco lo condannò a morte. Nonostante gli interventi del Vaticano, fu fucilato il 3 aprile 1944 (aveva da pochi giorni compiuto 31 anni).

Nel plotone di esecuzione composto da 12 militari della PAI (Polizia dell’Africa Italiana), all’ordine di “fuoco”!, 10 componenti spararono in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri due, don Morosini fu finito dall’ufficiale che comandava l’esecuzione, con due colpi di pistola alla nuca.

A Forte Bravetta don Morosini fu accompagnato dal mons. Luigi Traglia, che l’aveva ordinato sacerdote sette anni prima.
Sandro Pertini, allora detenuto nel carcere di Regina Coeli (lo incrociò dopo un interrogatorio) ha dato questa testimonianza:

“Incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle SS, il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede”.

Il 15 febbraio 1945 a don Giuseppe Morosini è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare, con questa motivazione: “Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati, attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni segrete, provvedendo altresì all’acquisto e alla custodia di armi. Denunciato e arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di soldato di Cristo e della Patria”.

Mauro De Vincentiis

 

 

ANSA.IT ( LINK )

2 GIUGNO 15.43

 

Nuovamente sfregiata la lapide dei partigiani fucilati a Forte Bravetta a Roma: qualcuno la scorsa notte ha scritto ‘Remigrazione’ sul monumento.

Lo denuncia il comitato provinciale di Roma dell’Anpi che, nel condannare “con sdegno” “l’ennesimo atto profanatorio”, chiede “alle istituzioni repubblicane e antifasciste un pronto ripristino della lapide, una protezione efficace contro ulteriori future gesta e una pronta individuazione dei responsabili che debbono rispondere di vari gravi reati, tra i quali quelli previsti dalla legge Mancino sull’odio razziale”.
    “I campioni del coraggio italico’ che agiscono come al solito strisciando, col buio, inneggiando alla ‘remigrazione’ – afferma l’Anpi – hanno profanato la memoria dei patrioti fucilati dalla feccia fascista per aver voluto conquistare pace, democrazia e diritti sociali universali

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LA STORIA DI SANT’ALESSIO E LA CHIESA –ANSA.IT — 29 GIUGNO 2019 :: ROMA, ECCEZIONALE: SPUNTA UN AFFRESCO DATABILE ALLA META’ DEL XII SECOLO, IN UN’INTERCAPEDINE DELLA CHIESA DI SANT’ALESSIO — LA CITTA’ DI EDESSA/ SANFIURLA- TURCHIA

 

 

 

 

*** LA NOTIZIA DELL’ANSA SUL RITROVAMENTO–  E’ PIU’ O MENO A META’

 

Alessio, noto anche col nome Sant’Alessio romano, detto “l’uomo di Dio” (RomaIV secolo – Roma412), è stato un patrizio romano che rinunciò al matrimonio e alla mondanità per farsi mendicante.

La Chiesa cattolica lo venera come santo e lo ricorda il 17 luglio.

 

 

Alexii.jpg

sant’alessio in una rappresentazione bizantina

LA CHIESA E’ NOSTRA SIGNORA DI EDESSA, TURCHIA, OGGI
SI CHIAMA ” URFA “, più comunemente ” SANLIURFA ” ( 1 nota al fondo ) )

 

 

Alessio di Roma, chiesa di San Clemente–affresco dell’XI secolo

 

 

La sua vita è conosciuta attraverso tre tradizioni, una siriaca, una greca e una romana; in Occidente fu scritta nell’XI secolo anche una Vie de saint Alexis, un poemetto che contribuì a diffonderne il culto.

 

Secondo la leggenda siriaca, Alessio, figlio di Eufemiano e Agalé, era un patrizio di Costantinopoli, fidanzato con una donna virtuosa che convinse, la sera delle nozze, a rinunciare al matrimonio. Si imbarcò per la Siria del nord (l’attuale Turchia) per arrivare poi alla città di Laodicea e poi a Edessa (l’attuale Şanlıurfa), dove si finse mendicante. Quello che raccoglieva di giorno, lo distribuiva di sera ai poveri della città: per il suo ascetismo venne chiamato Mar-Riscia (uomo di Dio).

Ad Edessa, poco prima di morire come mendicante in un ospedale, rivelò di appartenere ad una famiglia nobile romana e di aver rifiutato il matrimonio per consacrarsi a Dio; così gli furono tributati gli onori degli altari.

Secondo la versione greca e romana, invece, Alessio, patrizio di Roma, dopo una vita da mendicante a Edessa, ritornò diciassette anni più tardi a Roma a casa del padre (che però non lo riconobbe): qui visse come mendicante per altri diciassette anni in un sottoscala. Prima di morire scrisse in un biglietto tutta la sua vita, della rinuncia del matrimonio e della partenza a Edessa. Secondo la leggenda solo il papa riuscì ad aprire la sua mano e a leggere il biglietto, provocando la sorpresa dei genitori. Alla morte del santo si sprigionò prodigiosamente un suono festoso di campane.

 

 

 

LA BASILICA DI SAN BONIFACIO E DI SANT’ALESSIO A ROMA SULL’AVENTINO

 

 

 

 

Roma, Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino

La basilica dei Santi Bonifacio e Alessio è una delle chiese di Roma, nel rione Ripa. Dedicata ai santi Bonifacio di Tarso e Alessio di Roma, fu costruita tra il III e il IV secolo sull’Aventino. Ha la dignità di basilica minore

Nel 1216 papa Onorio III ordinò la ricostruzione del complesso; al restauro del 1582 seguì il rifacimento degli anni 1750, opera di Tommaso De Marchis, e quella del 18521860 del Somaschi.

La chiesa moderna conserva elementi di tutte queste epoche. Il campanile è romanico, alcune colonne della chiesa onoriana sono presenti nell’abside orientale della chiesa moderna, il portico è medioevale; la facciata cinquecentesca, rielaborata dal De Marchis, insiste sul portico medioevale; del De Marchis è l’altare maggiore.

 

 

 

Sant’Alessio nel sottoscala–TOMBA DI SANT’ALESSIO

 

Sotto la chiesa è una cripta romanica; l’altare maggiore della cripta contiene le reliquie di Tommaso Becket.

Le pareti ospitano un affresco del XII secolo dell’Agnus Dei e dei simboli degli evangelisti, mentre la parete settentrionale è decorata dal  “San Girolamo Emiliani introduce gli orfani alla Vergine “ di Jean-François de Troy, e al termine della navata c’è La Scala Santa e la chiesa titolare di sant’Alessio, in legno e stucco, di Andrea Bergondi.

 

NOTIZIA DELL’ANSA

 

Nel 2019, in un’intercapedine del campanile, è stato rivenuto un affresco, risalente al 1100, raffigurante sant’Alessio e il Cristo pellegrino. La riscoperta (l’affresco era stato già rinvenuto nel 1965 ma poi nascosto nuovamente) risulta essere importante e unica, in quanto l’affresco conserva praticamente intatta la cornice e l’ottimo stato di conservazione permette di studiarne le tecniche di realizzazione (notizia dall’ANSA.IT)

CONTINUA SOTTO DOPO LE FOTO DELLA BASILICA

 

 

L’interno della chiesa
Livioandronico2013 – Opera propria

 

 

 

Madonna di Sant’ Alessio, datata tra il XII-XIII secolo e ritenuta portata da sant’Alessio dall’oriente.

 

 

 

 

Madonna di Sant’Alessio

 

 

 

 

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ANSA.IT / ROMA / 29 GIUGNO 2019 –ORE 11,54

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2019/06/29/eccezionale-a-roma-spunta-affresco-medievale-intatto_a28b6d4b-660e-4266-a459-26a818276bc7.html

 

 

Eccezionale a Roma, spunta affresco medievale intatto

Nascosto da 900 anni in un’intercapedine a Sant’Alessio

 

 

Sant’Alessio e il Cristo nella parte superiore dell’affresco ritrovato nella Chiesa di Sant’Alessio a Roma ANSA/DI MEO

 

 

 

Un particolare della incredibile cornice policroma del dipinto. Un funzionario lo aveva trovato nel 1965 ma richiuse l’intercapedine senza farne nulla ANSA/DI MEO

 

 

Il grande mantello color della porpora sulle vesti succinte del pellegrino, la mano alzata quasi a voler presentare la maestà del Cristo che accanto a lui benedice i fedeli. Nascosto da un muro per quasi 900 anni, riemerge a Roma in un’intercapedine nella chiesa di Sant’Alessio all’Aventino, un grande affresco medievale dai lucenti colori in incredibile stato di conservazione.

“Un ritrovamento assolutamente eccezionale”, illustra in esclusiva all’Ansa, la storica dell’arte Claudia Viggiani, autrice della scoperta, “anche per l’iconografia rarissima dei due personaggi che si riconoscono nella parte del dipinto al momento visibile, con tutta probabilità proprio Sant’ Alessio e il Cristo pellegrino”.

 

 

 

VIDEO DI 2,22 minuti
in cui parla la storica dell’arte CLAUDIA VIGGIANI-è insieme alla restauratrice SUSANNA SARMATI

ansa.it / videogallery -29 giugno 2019

 

 

 

Scoperto a Roma affresco che ha quasi mille anni

 

Ritrovato dopo una lunga indagine partita da un antico documento, il dipinto, assolutamente inedito, è stato messo in sicurezza dalla restauratrice Susanna Sarmati con un progetto finanziato dalla Soprintendenza Speciale di Roma guidata da Francesco Prosperetti.

Riferibile alla metà del XII secolo – COME L’ANSA DOCUMENTA CON FOTO E VIDEO –  l’affresco è realizzato su sfondo nero e inquadrato da una cornice policroma di “eccezionale raffinatezza e dai colori ancora incredibilmente intatti”. Anzi, come sottolinea la restauratrice Sarmati che in queste ore ha mostrato  l’opera a diversi  esperti del settore, “In nessun affresco medievale si è mai vista una cornice così ben conservata”.

 

 

 

GALLERIA DI FOTO DELL’ANSA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UNA PARTE DELLA FIGURA DEL  CRISTO E’ ANCORA NASCOSTA DALLA PARETE DELL’ INTERCAPEDINE

 

 

LA BORSA ROSSA DEL CRISTO E’ UNO DEI SIMBOLI DEL PELLEGRINO

 

 

 

LA PARTE INFERIORE DELL’AFFRESCO, IN UNO STATO PEGGIORE DI CONSERVAZIONE. SI NOTA UNA ARCHITETTURA E UN ANGELO IL CUI VOLTO E’ STATO TRAFUGATO.

 

 

 

UN’IMMAGINE DELL’INTERCAPEDINE DIETRO LA CONTROFACCIATA DI SANT’ ALESSIO  DOVE E’ STATO RITROVATO IL DIPINTO

 

 

 

 

LA RELIQUIA DELLA SCALA SANTA. SECONDO LA LEGGENDA SANT’ALESSIO, FIGLIO DEL SENATORE EUFEMIANO, VISSE 16 ANNI SOTTO QUESTA SCALA E QUI MORI’

 

 

 

LA MANO DESTRA DEL CRISTO E’ ALZATA NELL’ATTO DI BENEDIRE

 

 

Nella chiesa delle origini, spiega Viggiani, occupava la parete della controfacciata, in una posizione di rilievo dovuta anche alla fama che accompagnava in quell’epoca le vicende di Sant’Alessio. E proprio il rispetto devozionale per il santo, che in qualche modo sembra aver fatto da trait d’union tra la Roma pagana e quella medievale, sarebbe alla base dell’incredibile conservazione del dipinto. “Chi ristrutturò la chiesa nei secoli successivi murando la controfacciata fece comunque attenzione a proteggere l’affresco”, spiega Sarmati. Tanto che probabilmente una piccola parte di questo, con il volto di Sant’Alessio, rimase per secoli a disposizione dei fedeli attraverso una feritoia aperta sull’interno della chiesa.

Attualmente il dipinto misura 90 centimetri di larghezza per oltre 4 metri di altezza. Un’altra porzione, grande almeno altrettanto, è ancora nascosta dal muro. La storica dell’arte è decisa a riportarla alla luce: “Lo dobbiamo ai romani – dice – e ci aspettiamo ancora sorprese”

 

 

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1– nota — EDESSA – OGGI URFA / SANLIURFA

 

Antica capitale dell’Osroene, nella Mesopotamia settentrionale, l’attuale Urfa o Ūrhāy, o Sanliurfa (Turchia), per altri identificabile nella la biblica Ur dei Caldei ( questione chiusa 2, ), fu una provincia dello Stato dei Seleucidi, diventando poi un regno autonomo che svolse la funzione di Stato-cuscinetto fra Roma e il regno persiano dei Parti.

Edessa (in arabo: الرها‎, al-Ruhā, in greco antico: Ἔδεσσα, Édessa) era un’antica città posta nella regione sud-orientale della Turchia. Seleuco I di Siria (355 – 280) la fondò nel 303 a.c. sul luogo della precedente Ūrhāi, ed ebbe popolazione greco-araba.

Oggi Edessa si chiama Urfa/ Sanliurfa  città della Turchia, a 30 km dalla frontiera siriana

 

 

 

 

 

 

IMMAGINI DA GETTY IMAGES ::

 

19.479 Urfa Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

 

 

 

19.479 Urfa Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

 

 

 

19.479 Urfa Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

 

 

 

19.479 Urfa Stock Photos, High-Res Pictures, and Images - Getty Images

UN MERCATO

 

 

Rumkale: Ancient and Medieval Architecture

ARCHITETTURA ANTICA MEDIOEVALE

 

 

 

Sanliurfa mosque

principale della moschea Mevlid-i Halil di Şanlıurfa

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Oggi, 1° giugno a Porto Maurizio, la casa editrice ANTEA ha presentato la favola di Marisa Fogliarini ( disegni ) e Mariella Pezzarossi ( testo ) : ” Il gigante Orione “– è stato bellissimo tutto e molto bel preparato dagli autori e dall’editore, chiara

 

 

 

**** tutti i personaggi di questa storia soni nati a Sanremo, sono cioè  ” sanremaschi “

 

 

 

 

*** il libro non mi sembra caro : 12 euro

 

 

QUARTA DI COPERTINA per “ Il Gigante Orione”

Questa è la storia di un eroe, un grande eroe del Cielo. Perché forse non lo sai ma nelle costellazioni del cielo sono nascoste storie di Dei e di Eroi, di animali e di trasformazioni, di amori e di vendette.

Celestino vuole conoscere le storie del cielo, è incantato dalla notte stellata e dai suoi misteri. Il nonno Giacomo è un viaggiatore dell’Infinito e racconta al nipote la storia del Gigante Cacciatore. Insieme passano le notti a scrutare la volta celeste nella casa di vetro per scoprire i segreti nascosti nelle stelle. Insieme passano le notti nella casa di vetro, un luogo più in cielo che in terra. Una vera casa celeste con il tetto rivolto verso la luna, il telescopio al centro e una grande cupola sulla testa.

Celestino scopre la storia del Gigante Orione. E’ un cacciatore infallibile, ha grande forza e coraggio, ma la Dea della Terra riesce a vincerlo e a ucciderlo mandandogli contro un piccolissimo animale, uno scorpione che lo punge in un piede e lo uccide.
Ma Orione non muore per sempre, rinasce ogni notte nel cielo di sud-est e si erge maestoso sul mondo, con il suo cane Sirio.

 

chiara

*** peccato non aver sentito parlare l’autrice dei disegni — del resto molto famosa, ne abbiamo parlato  anche sul nostro blog— bellissimi, i disegni —lei  si chiama :  MARISA FOGLIARINI –  è sempre molto bella e chic – come quando era ragazza.

https://www.fogliarini.it/atelier.html

 

 

Purtroppo nel nostro blog, tutte le immagini si sono cancellate, ma vorrei farvela conoscere tramite un link di Youtube, un documentario molto bello, non lungo, 14 min. ca, in cui si vede molto poco il suo lavoro con i pupi sicialiani, su cui – invece – mi ero molto soffermata, ma è molto interessante tutta la sua opera. Il video è del 2016. La vedete nel film, ma oggi- appena intravista –  l’ho trovata molto cambiata (rispetto al film del 2016 ) : filiforme, i capelli bianchissimi lunghi, legati in un nodo sulle spalle, bellissimi gli occhi, gentile come sempre. Dico così, anche se non l’ho mai conosciuta

 

 

il video è di Piero Farina che,

oltre a marito di Marisa….!

è regista di tanti films e documentari-

vi metto un link e un’immagine

qui trovate ” quasi ” tutto :

http://www.pierofarina.it/biopiero.html

 

l’immagine

IL REGISTA PIERO FARINA AL TEATRO DEL CASINO' DI SANREMO ...

certamente mi sbaglio, ma mi ero convinta che avesse fatto un film da questo libro..

 

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+++ ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti” @ANPIRomaPosti · 31 mag- 12.00 /12.30– #STRAGE DI PETEANO # ALMIRANTE #MATRICE + qualcosa: Strage di Peteano

 

 

LINK :

 

1.

“…PERO’ COME PARLAVA BENE”

#StrageDiPeteano #Almirante #matrice

 

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2. 

ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti”
@ANPIRomaPosti

#FrancoDongiovanni, #carabiniere di 23 anni, venne ucciso per mano fascista il #31maggio 1972 a #Peteano. #Almirante, rinviato a giudizio per favoreggiamento, sfuggì al processo solo grazie a una provvidenziale amnistia, di cui decise di avvalersi ancora prima del dibattimento.

Immagine

 

 

nota _ LA STRAGE DI PEANO

 

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sconosciuto –
http://www.altriconfini.it/2013/05/quei-misteri-irrisolti-della-strage-di-peteano/

 

 

La vicenda. Il 31 maggio 1972, alle ore 22:35, arriva una telefonata anonima al centralino del pronto intervento della Stazione dei Carabinieri di Gorizia. Il centralinista di turno, Domenico La Malfa, riceve la chiamata e registra la conversazione. L’uomo all’altro capo del telefono parla con uno spiccato accento dialettale: «Senta, vorrei dirle che x è una machina che la gà due busi sul parabreza. La x è una cinquecento bianca, visin la ferovia, sula strada per Savogna». Viene immediatamente mandata un’auto sul posto.

Sulla volante viaggiano l’appuntato Mango e il carabiniere Dongiovanni: i due trovano subito l’auto sospetta (una Cinquecento appunto, targata GO 45902) e una volta visti i due buchi sul parabrezza, chiaramente causati da un’arma da fuoco, chiamano i rinforzi. Alle 23:05 arriva la prima pattuglia (con a bordo il tenente Taglieri, il brigadiere Ferraro e il carabiniere Poveromo) e dopo pochi istanti ne arriva anche una seconda.

I carabinieri Antonio Ferraro, Donaro Poveromo e Franco Dongiovanni, dopo un attento esame della Cinquecento, procedono all’esame della stessa cercando di aprirne il cofano. Il tentativo provoca l’esplosione dell’auto, che causa la morte dei tre carabinieri, oltre il ferimento del tenente Taglieri e del brigadiere Zazzaro, arrivato con l’ultima volante.

Come a suo tempo fece Calabresi, il colonnello Dino Mingarelli (seguace di De Lorenzo e invischiato nel tentato golpe del 1964, il cosiddetto “Piano Solo”) punta il dito contro gli esponenti di Lotta Continua.

Le indagini si rivelano un buco nell’acqua e la pista degli eversivi di sinistra viene subito accantonata. La magistratura milanese, in seguito a un interrogatorio con Giovanni Ventura (nel frattempo arrestato per la strage di piazza Fontana), palesa la partecipazione di un gruppo terrorista neofascista; l’informazione non viene tenuta in considerazione dal colonnello Mingarelli, che invece prende di mira sei giovani del posto che si sarebbero voluti vendicare dei carabinieri.

Anche questa pista si rivela errata e Mingarelli viene accusato e condannato per falso materiale e ideologico e per soppressione di prove (il verdetto verrà confermato anche dalla Cassazione nel 1992).

I colpevoli. Diverse accuse sono mosse nei confronti di Giorgio Almirante, segretario dell’MSI che avrebbe avuto un ruolo cruciale nella strage. In seguito alla confessione del 1982 di Vincenzo Vinciguerra, si scoprì che Almirante pagò 35mila dollari affinché Cicuttini, dirigente dell’MSI e autore della telefonata anonima, subisse un intervento alle corde vocali per modificare la propria voce.

Le successive indagini portarono all’incarcerazione di Vinciguerra (tuttora detenuto) e alla condanna di Almirante, che tuttavia venne amnistiato. Cicuttini invece riuscì a fuggire in Spagna: verrà catturato nel 1998 a Tolosa in seguito a un’operazione guidata dalla procura di Venezia.

Sono diverse le interpretazioni sulle ragioni della strage di Peteano. Si pensa a una continuazione della cosiddetta “strategia della tensione”; oppure al segno evidente di una frattura fra Stato e quella “manovalanza oscura” accusata di avere commesso un imperdonabile errore nell’esplosione a piazza Fontana.

In entrambi i casi, le vittime sono dei giovani militari, del tutto innocenti dinanzi alle trame oscure di una storia ancora tutta da scrivere.

 

di Nicola Guarneri

 

DA : 

Quei misteri irrisolti della strage di Peteano

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Prima Pagina de Il Manifesto del 1 giugno 2025 dedicata alla Manifestazione del 31 maggio ; ” Il no al Decreto sicurezza porta in piazza a Roma una ” marea di vita e umanità “. La risposta al disegno repressivo non si ferma : ” Ci troverete ovunque “

 

 

 

 

 

 

 

ALA NEWS – Dl SICUREZZA –video della manifestazione a Roma –1.56

 

 

 

 

IL SOLE 24 ORE-  video, 1.03

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 1 GIUGNO 2025 :https://ilmanifesto.it/siamo-150-mila-i-no-dl-riempiono-la-piazza-e-rilanciano

 

 

«Siamo 150 mila». I No dl sicurezza riempiono la piazza e rilanciano

 

La manifestazione di Roma contro il decreto sicurezza

La manifestazione di Roma contro il decreto sicurezza – Lapresse

 

 

 

 

 

Giuliano Santoro

ROMA

 

«Siamo una marea di vita e di umanità. E il nostro obiettivo è mandare a casa il governo». Il camion della rete contro il dl sicurezza si muove da piazza Vittorio lungo via Merulana, direzione Colosseo e proclama in poche parole il programma di resistenza e contrattacco che ci attende per i prossimi mesi. Ed è inevitabile, di fronte al colpo d’occhio dei manifestanti cominciare a tirare i primi bilanci.

 

A QUEL PUNTO anche l’osservatore più esperto si trova di fronte all’incognita rappresentata dai quattro semiarticolati che sparano musica e che si trovano ancora al punto di partenza. Quanta gente si radunerà attorno ai sound system? Questa è la variabile che fa la differenza sotto il sole caldo di Roma. Dunque, quando la seconda parte della manifestazione diventa, ironia della sorte e contrappasso per Meloni, un vero e proprio rave ambulante antiproibizionista («L’unico muro che ci piace è il muro di casse»), qualcuno ha un’intuizione. «Volete sapete quanti siamo?» dice ai compagni che gli stanno attorno. «Chiediamolo a ChatGpt». Ed ecco che l’oracolo dell’intelligenza artificiale, informata dello spazio ricoperto dalla gente di ogni tipo che dall’Aventino arriva all’Esquilino formula la sua stima: «150.000». Sarebbero più dei centomila che lo scorso 14 dicembre,sorprendendo gli stessi organizzatori, riempirono piazza del Popolo dando vita alla prima vera grande manifestazione autoconvocata contro il governo Meloni. Fu una liberazione, una specie di cura da trauma.

 

CHISSÀ COSA avrebbero detto ai megafoni Sara Marzolino e Jack Gobbato, i due giovani attivisti di Reggio Emilia e Marghera morti nei mesi scorsi, che proprio in nome della battaglia contro le ideologie securitarie avevano speso le loro ultime energie.Pochi giorni prima essere investita da un’ automobile in corsa, Sara aveva riferito in audizione al parlamento europeo sulle lotte transfemministe contro il dl sicurezza. Jack è finito accoltellato da un balordo mentre cercava di aiutare una donna rapinata. È impossibile non pensare alla loro energia di ventenni che come tanti loro compagni non girano la testa dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, è impossibile per tanti non ripensare ai loro volti mentre la potenza di questa piazza risuona per le strade di Roma.

 

 

C’È LA CGIL, la Fiom e la Flai. E si capisce che per il sindacato come per molte delle organizzazioni più radicate non è uno sforzo da poco, visto che l’appuntamento romano non ha fermato lo sforzo di mobilitazione nei territori per la campagna referendaria.

«Il decreto sicurezza è un provvedimento repressivo, che limita la libertà di poter manifestare e scioperare a tutela dei propri diritti. Noi siamo in piazza per difendere il diritto democratico e costituzionale di manifestare», sostiene Michele De Palma, segretario generale Fiom.

Per il Pd c’è una delegazione capitanata dal capogruppo al senato Francesco Boccia. «Manifestiamo contro un decreto pericoloso – dice Boccia – È un’operazione di propaganda per coprire le divisioni nella maggioranza sul ddl su cui il parlamento stava lavorando da 14 mesi. Non ho mai visto risolvere il problema della sicurezza con il carcere per i bambini come prevede questo decreto».

Avs ha un suo spezzone, con Bonelli&Fratoianni. Il portavoce di Europa Verde ricorda l’importanza delle battaglie nonviolente, che la nuova legge colpisce duramente, e la figura di Marco Pannella.
In effetti, gli attivisti di Extinction Rebellion raccontano di essere stati pedinati, fermati e perquisiti dalla polizia a poche ore dal corteo. Solo dopo un’ora e mezza e molta insistenza sono state spiegate alle persone fermate le motivazioni del fermo, così come risultante anche dai verbali di sequestro: «Ricerca di armi atte a offendere e materiale pirotecnico ed esplosivo». «La polizia ha trovato soltanto qualche fumogeno – riferiscono – Alcuni passanti si sono fermati a mostrare solidarietà e a chiedere alle forze dell’ordine spiegazioni su quanto stesse accadendo». Nicola Fratoianni ricorda di quando Giorgia Meloni, al momento di insediarsi, si rivolse ai giovani: «Mi auguro di vedervi manifestare nelle piazze, come ha sempre fatto anch’io», disse. Mentiva, perché chi se le ricorda davvero le organizzazioni giovanili postfasciste in piazza? Ma, sottolinea sarcasticamente il segretario di Si, «evidentemente intendeva dire vi auguro di vedervi nelle piazze per obbedire e non per dissentire. Noi invece continuiamo a difendere la democrazia di questo paese». Rifondazione si caratterizza col suo bandierone per la pace. Pap e Usc si fermano di fronte alle terme di Caracalla, per organizzare la contestazione al Giro d’Italia che passa da queste parti oggi.

 

LUCA BLASI, uno dei portavoce della rete A Pieno Regime, è ancora tumefatto dalle manganellate prese l’altro giorno mentre cercava di raggiungere Montecitorio con altre centinaia di persone. «Non ci dividono in buoni e cattivi – esclama – Eravamo noi con i caschi e gli scudi, pronti ad avanzare in maniera intelligente. E siamo sempre noi oggi, perché ci sono tanti modi di resistere. Di fronte all’attacco delle destre non si tratta di difendere uno spazio politico ma di farsi popolo».

 

Un primo appuntamento è stato lanciato a Venezia a fine giugno in occasione del matrimonio di Jeff Bezos, «uno dei simboli del tecnocapitalismo autoritario sempre più vicino alle destre di tutto il mondo». «Questo movimento non si ferma – dicono proprio i veneti – Lo ritroverete fuori dalle fabbriche, contro i tagli al welfare, a difendere gli sfratti, nei blocchi stradali e nelle piazze a lottare contro la povertà e contro questo governo autoritario».

Giuliano Santoro  — Comunista tendenza Joe Strummer, è arrivato al manifesto occupandosi di politica al tempo della crisi della rappresentanza. Ha scritto qualche libro. Senza barbecue non è la sua rivoluzione

 

Su due piedi

Trenta giorni per le strade e i sentieri della Calabria. Un viaggio a piedi che comincia dal paese franato di Cavallerizzo, risale fino al Pollino, taglia un paio di volte la punta dello stivale.
Rubettino, 2012

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Nina si voi dormite — Gigi Proietti –una romanza classica perfetta; è composta da Romolo Leonardi e Amerigo Marino, e vince alla Festa di San Giovanni del 1901

 

 

La festa di San Giovanni di i Jules Breton (1875)

Trionfa alla Festa di San Giovanni nel 1901, una delle più belle serenate mai composte (autori Romolo Leonardi e Amerigo Marino) dal titolo “Nina si voi dormite”, una combinazione di sublime e tenero, di aereo e passionale, una canzone suadente, rasserenante e in grado fin troppo di intenerire.
Sicuramente ancora oggi è un esempio della bellezza della canzone romana.

 

 

 

 

In ‘sta serata piena de dorcezza
pare che nun esisteno dolori.
Un venticello spira che è ‘na carezza
smove le piante e fa’ sboccià li fiori.

Nina, si voi dormite,
sognate ch’io ve bacio,
e v’addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.

Nina, si co’ sto canto io v’ho svejata,
m’aricommanno che me perdonate.
L’amore nun se frena, o Nine amate,
che a vole’ bene, no, nun è peccato.

Nina, si voi dormite,
sognate ch’io ve bacio,
e v’addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.

Profumo de li fiori ve confonne,
er canto mio se perde tra le fronne.

 

 

Hans Smidth – Sct. Hans aften 1868

La festa di San Giovanni e l’accensione dei fuochi ” : il 21 giugno nell’emisfero settentrionale,  cade il solstizio d’estate, il cui rito principale era quello di accendere un fuoco. Nella  versione pagana  il fuoco serviva a dare forza al sole che da lì in avanti sarebbe poco poco diminuito fino al solstizio di inverno “. Questa festa  con il fuoco è festeggiata in molte parti del mondo.

 

LA NOTTE DELLE STREGHE E DELLE LUMACHE 

La festa cominciava la notte della vigilia, la cosiddetta “notte delle streghe”. Seconda la tradizione durante la notte del 23 Giugno streghe e stregoni si radunavano per ricevere poteri magici eccezionali. Nel corso dell’incontro, le streghe distribuivano filtri ed elisir d’amore e fortuna. Le credenze popolari vogliono che l’Angelo dell’amore esca unicamente la notte di San Giovanni e scocchi i suoi dardi per far sorgere la passione.

La gente partiva allora da tutti i rioni di Roma, al lume di torce e lanterne, e si concentrava a San Giovanni in Laterano per pregare il santo e per mangiare le lumache nelle osterie e nelle baracche.

Perché si mangiano le lumache il giorno di San Giovanni?  Mangiare le lumache, le cui corna rappresentavano discordie e preoccupazioni, significava distruggere le avversità.

La partecipazione popolare era massiccia, si mangiava e si beveva in abbondanza e soprattutto si faceva rumore con trombe, trombette, campanacci, tamburelli e petardi di ogni tipo per impaurire le streghe, affinché non potessero cogliere le erbe utilizzate per i loro incantesimi.  La festa si concludeva con lo sparo del Cannone da Castel Sant’Angelo, che era il segnale di inizio della messa celebrata dal papa alla Basilica di San Giovanni, al termine della quale dalla loggia gettava monete d’oro e d’argento, scatenando così la folla presente.

Oggi, purtroppo, la tradizionale festa di San Giovanni ha perso quasi del tutto la sua antica importanza, ma rivive da alcuni anni a questa parte in alcune manifestazioni organizzate per l’occasione.

 

DA :

https://www.ilromanista.eu/news/cronaca/6182/festa-di-san-giovanni-percha-viene-definita-la-notte-delle-stregher

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Gabriele Corno @Gabriele_Corno · 13 ore fa– forse l’ho già messo, ma è talmente carino ! — anche la musica di Gabriele è sempre molto accurata

 

 

Un vero amico è uno che si dà da fare per te quando gli altri non fanno niente

apri qui

https://x.com/i/status/1928707813431189801

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Ivan della Mea –Nostro amor la crescerà — + Nove maggio + Ho male all’orologio –testo – ed altro; + A quell’omm – e nota su Elio Vittorini + cara moglie – ” un ricordo lungo di un grande artista e di un compagno che tanto ha contato per noi tutti “

 

Ivan Della Mea - Apple Music

foto da Apple Music
forse, nel 1972

 

Ivan Della Mea, all’anagrafe Luigi (Lucca, 16 ottobre 1940 – Milano, 14 giugno 2009. Ha avuto per compagni di strada Fausto AmodeiMichele StranieroSandra MantovaniGiovanna DaffiniRudi AssuntinoGualtiero BertelliAlfredo BandelliPaolo PietrangeliGiovanna Marini, Sandra e Mimmo BoninelliAlessio Lega e gruppi come il Nuovo canzoniere milanese, il Canzoniere Pisano, il Nuovo Canzoniere Bresciano, gli E’Zezi di Pomigliano d’Arco, gli Apuamater, il Gruppo Padano di Piadena, I giorni Cantati, il Canzoniere Veneto, Peppino Marotto e i cantori di Orgosolo, Pino Masi e tanti altri.

Le sue tappe artistiche non sono solo rappresentate solo dai dischi a suo nome, ma anche e soprattutto dalla sua presenza attiva agli spettacoli organizzati dal Nuovo Canzoniere Italiano: in particolare egli partecipa nel 1963 ad uno spettacolo di canzoni padane con Fausto Amodei, Giovanna DaffiniSandra MantovaniMichele Luciano Straniero e Rudi Assuntino; nel 1964L’altra Italia e a Pietà l’è morta (la resistenza nelle canzoni); dal 24 aprile al 2 giugno 1965 prende parte alle trentacinque repliche di Bella ciao, nel 1966 a Ci ragiono e canto; nel 1967 partecipa con Giovanna Marini all’Encuentro Internacional de la Cancion comprometida sul canto di protesta tenutosi a Cuba. Il 2 dicembre 1967 lascia il Nuovo Canzoniere Italiano per dissenso politico-culturale con Gianni Bosio.

Attività letteraria e giornalistica / se vuoi apri qui il link

 

 

 

 

[1966]
Parole e musica di Ivan Della Mea
Paroles et musique: Ivan della Mea
Album: Il rosso è diventato giallo

 

” Ivan della Mea, non a caso è stato uno che aveva fatto davvero sue le parole di un famoso medico argentino a proposito del lottare senza perdere la tenerezza- ” ( Canzoni contro la guerra )

” Nostro amor la crescerà ” : di proposito la metto per prima — ” La speranza ha il calore..  Nostro amor la crescerà .”

 

Il silenzio conta un anno
di pensieri per capire,
note dolci, non parole,
è bambino questo sole
e la luce che ci dà:
nostro amor la crescerà.

Fare insieme anche i dolori,
fare insieme le speranze,
è bambino questo sole,
l’uomo nuovo nasce e vive
per la luce che ci dà:
nostro amor la crescerà.

La mia casa dà sul tutto,
dà sul mondo a tutte le ore,
la speranza ha il calore
del bambino nato sole,
della luce che ci dà:
nostro amor la crescerà.

 

 

 

Ivan Della Mea, 1965

ivan della mea, nel 1965 – canta ” E nei giorni della lotta ” per il ventennale della Resistenza a Milano

 

nove maggio– 1965

 

 

 

 

 

 

ho male all’orologio – 1997

 

 

Tic tac tic tac tic tac tic tac
tic tac tic tac tic tac tic tac
Ti che te tacchett i tac
fàa el tò mestèe bagatt
bagatt e bagattel
sto pù ‘rent’ à la pell
sto pù ‘rent’ a j calzon
vegn foeura anca i cojon
signor ch’el me perdonna
nel nomm de la madonna
madonna e bamborin
semm tucc gesù bambin
vegett tosann bagaj
tacàa in su quaj fanaj
per inciodà la gent
ghe voeur propri on bel gnent
un matt du gatt tri ratt
fàa el tò mestèe bagatt
ti che te tacchett i tacc
ti che te tacchett i tacc
tic e tac tic e tac tic e tac tic e tac
tic e tac tic e tac tic e tac tic e tac*

 

 

Mio caro dottore ho un male di vita
che fa tic e tac dai piedi alla testa
su in cima ai capelli giù in fondo alle dita
nei giorni feriali nei giorni di festa.
Tu mi dici dottore che è la circolazione
io mai circolato più meglio di adesso
e non stare a dirmi che è la digestione
le ore più belle son quelle nel cesso.

Il cuore mi dici, ho un cuore perfetto
è solo un po’ strano quel suo tic e tac
magari perché lui lo dice in dialetto
in lingua è diverso: fa tic e fa tac.
Il male di vita mi ruba il secondo
lo tiene costretto nel suo tic e tac
e non c’è più donna né uomo né mondo
né tempo c’è solo quel tic e quel tac.

Amico dottore tu non puoi capire
il male di vita si mangia le ore
non serve la scienza per farlo finire
ci vuole la voglia di amare l’amore.
E il tempo d’amore non c’è per l’Ambrogio
che abita ancora a via del dolore
il male di vita ce l’ho all’orologio
e tu cosa dici mio caro dottore….

Ma il tempo d’amore, no, non c’è per l’Ambrogio
che abita ancora a via del dolore
il male di vita ce l’ho all’orologio
e tu cosa dici mio caro dottore….

tic tac tic tac tic tac tic tac
tic tac tic tac tic tac tic tac
TAC
TAC
TAC
TOK!

 

 

 

La versione italiana dei versi in milanese:

 

Tic tac tic tac tic tac tic tac
tic tac tic tac tic tac tic tac
tu che attacchi i tacchi
fa’ il tuo mestiere, ciabattino [bagatto],
bagatto e bagattelle
non sto più dentro alla pelle
non sto più dentro ai calzoni
sorton fuori anche i coglioni
signore, perdonami
nel nome della madonna
madonna col bambino [= ombelico]
siamo tutti gesubbambini
vecchietti, ragazzine e ragazzini
attaccati a quei fanali,
non ci vuole proprio un bel niente
un matto due gatti tre ratti
fa’ il tuo mestiere, ciabattino,
tu che attacchi i tacchi
tu che attacchi i tacchi
tic e tac tic e tac tic e tac tic e tac
tic e tac tic e tac tic e tac tic e tac

 

 

A quel omm

Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel: Omicron – Della Mea
(Omicron = Ernesto Esposito)
Album / Albumi: Io so che un giorno [1966]

 

 

A quel omm, che incuntravi de nott
in vial Gorizia, là sul Navili,
quand i viv dormen, sognen tranquili
e per i strad giren quei ch’inn mort.

A quel omm, ma te seret ‘na magia
che vegniva su l’asfalt de la strada
cont la facia on po’ gialda e stranida,
cont i œucc on po’ stracc, un po’ smort.

A quel omm, ma te seret on omm,
quater strasc, on po’ d’ombra, nient’alter,
no Giusepp, no Gioann, gnanca Walter
e gnanca adess mi cognossi el to nom.

A quel omm, a quel tocc de silenzi
a la nott e anca a lu vœuri dii:
in vial Gorizia ghe sont mi de per mi
e so no se ‘sti robb g’hann on sens.

 

 

 

 

 

Elio Vittorini (1908-1966) sui Navigli.

Elio Vittorini (1908-1966) sui Navigli.

 

Un ragazzo proletario nella Milano degli anni ’50, e un uomo solo che cammina nella notte pallido e stranito. Quel ragazzo si chiamava Ivan Della Mea, e quel omm, che lui non sapeva chi fosse, era Elio Vittorini. Abitava in Viale Gorizia, a poca distanza dal ragazzo. Una semplice storia e un ricordo di quel ragazzo che, nel 1966, scriveva già canzoni come questa, in quel suo milanese in cui, lui toscano di origine, si era immerso fino al midollo. Camminava da solo assorto nei suoi pensieri, si può o meno immaginare la classica nebbia sui Navigli (ma fossero state anche chiare notti d’estate, sarebbe stato lo stesso), e il ragazzo si chiedeva chi fosse, a che cosa pensasse, che cosa fosse la sua vita, a quell’ora “quando i vivi sognano e dormono tranquilli, e per le strade girano i morti”. Un ricordo che Ivan Della Mea trascrisse in questo capolavoro dei suoi venticinque anni, quando aveva saputo oramai chi era quel omm che si preparava a morire (Elio Vittorini, malato di cancro, scomparve nella sua casa di Viale Gorizia il 12 febbraio 1966). Così Ivan Della Mea volle ricordare quegli incontri di fantasmi nella notte; la canzone è del 1965, ma fu pubblicata nell’album Io so che un giorno l’anno successivo. Cosicché assume il valore di un omaggio postumo al grande scrittore e intellettuale siracusano, trapiantato a Milano. Una storia di trapiantati nella notte, il ragazzo toscano e l’uomo siciliano, senza parole, senza sguardi, senza un cenno; una storia di solitudine e di interrogativi. Il comunista Della Mea che sfiora nell’oscurità il tormentato e solitario intellettuale dalla storia e dalla vita complesse, il giovane “fascista di sinistra”, marito della sorella di Salvatore Quasimodo, che nel 1936 incita i fascisti italiani a schierarsi dalla parte dei Repubblicani contro Franco (cosa per cui fu immediatamente espulso dal Partito Fascista), il successivo libertario spontaneista che appoggiava Camillo Berneri (a sua volta anarchico del tutto particolare, e probabilmente unico), il partecipante (nel 1942) al convegno delle intellettuali nazisti a Weimar promosso da Joseph Goebbels, e che nello stesso anno entra però nel Partito Comunista Italiano clandestino partecipando attivamente alla Resistenza antifascista. Il comunista libertario deluso che s’incontra con le posizioni di Jean-Paul Sartre, dichiarando fallite le culture antifasciste che non avevano saputo prevenire i disastri della Seconda guerra mondiale; la rottura con Palmiro Togliatti, il distacco dal PCI dopo la Rivoluzione Ungherese del 1956, l’approdo alla Einaudi con la condirezione del Menabò assieme a Italo Calvino e, infine, la presidenza del Partito Radicale. Un Della Mea, la cui casa fu, per tutta la vita, il PCI (ma una casa difficile, una casa di fughe e di odi et amo, una casa di rifiuti e incomprensioni, una casa che Ivan abitò comunque fino alla fine anche se con diverso nome), volle con questa canzone estrema interrogarsi su una figura come quella di Elio Vittorini innestandovi sopra il ricordo personale di notti sole, di notti di erranza, e proprio quando Elio Vittorini si apprestava a divenire un fantasma sul serio. Al tempo stesso, un testo di straniamento e, al tempo stesso, di identificazione. Sebbene oramai sapesse chi incontrava quelle notti sui Navigli, Ivan Della Mea diceva di non conoscerne il nome neppure al momento. A quel “pezzo di silenzio” diceva di esserci lui, ora, da solo, su quei Navigli nella notte, e di non sapere che senso avesse quel che stava scrivendo. Ce lo aveva eccome, però, un senso altissimo: lo sfioro di due ombre e di due vite, e le domande che ne conseguono. E chissà che, alla fine, non si siano incontrati, Ivan e Elio, su qualche Naviglio insondabile nel Vastissimo Nulla. [RV]- Riccardo Venturi

 

 

nota su

ELIO VITTORINI–

IL POLITECNICO, Editoriale del primo numero datato  29 settembre 1945

** lo riporto – quella di Vittorini –  è la stessa domanda che dobbiamo farci in merito al genocidio di Gaza

«Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano MauthausenMajdanekBuchenwaldDachau. Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. (…) E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava la inviolabilità loro. Non è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro? Questa «cosa», voglio subito dirlo, non è altro che la cultura: lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce (…) ValéryGide e Berdiaev. Non vi è delitto commesso dal fascismo che questa cultura non avesse insegnato ad esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli?»

 

 

Mi so no el perché– bellissima 

 

  • Semm chi
    E l’è tutt e l’è nient
    E mi
    Mi soo no cosa dí
    L’è on bar
    E gh’è no tanta gent:
    Cafè
    Vun per mi, vun per ti
    Mi soo no ‘l perché
    Riess no a parlà
    Mi te cerchi i oeuce
    Voraria basà
    Voraria, ma perché a l’è ‘ndada inscí?
    Voraria, ma perché tutt l’è dree a finí?
    Voraria, ma perché trovi pu la man?
    Voraria, ma… ma ti, ti te set lontan
    Mi voo
    Ciao, se troevom doman…
    D’acord
    Mi te speti an’mò chi
    Quant’è?
    Lassa stà, paghi mi
    Andemm
    Te compagni al tram
    Per la strada ti
    Te me det la man
    Voraria savè
    Chi te l’ha faa fà
    L’è andada, gent, sont chi de per mi
    Se gh’è staa on quaj cos dess l’è già finii
    Gh’è on quaivun che ‘l dis de desmentegà
    Che sti robb van inscí, che gh’è nient de fà
    Cafè
    Uno corretto, l’altro no
    E speti, speti
    Ho bevuu anca ‘l to
    NEL LINK TROVATE ANCHE LA TRADUZIONE MA E’ DIFFICILISSIMA COPIARLA—

https://lyricstranslate.com/it/ivan-della-mea-mi-so-no-el-perche-italian

 

 ****

o cara moglie —

non poteva mancare.. visto il decreto sicurezza–  e quello che seguirà

 

 

 

c’è l’ulivo e il sole – 1966 è un canto splendido 

pare sia stata scritta per la morte della madre _ vedi sotto

 

  giubek “Rividi mamma nel 1966, primi mesi di gennaio, ancora a Lucca, ancora in ospedale, ancora da lei inconosciuto. Cirrosi la diagnosi. Gisella ci raccontò che aveva fatto Natale a Torre dalla sorella Adele sposata Arrighi. Con occhi lustri di gioia ci disse di una mangiata di fritti misti ‘che come li fa la moglie di mio nipote Duino non ce n’è.’ La gioia negli occhi. La gioia nella voce. ‘Conigliolo disossato e fritto in pastella, salvia e cuori di carciofo , finocchio prima lessato e poi fritto e sì che mi sono cavata la voglia, fritta la salvia, ma poi sono andata in congestione ed eccomi qui.’ Aveva la morte negli occhi stanchi, nella pelle gialla e tirata fino alla trasparenza nel naso affilato con le narici dilatate a caccia di aria.

 

LUCIANO DELLA MEA ( 1924 – 2003 ), il fratello di Ivan

Luciano Della Mea: un inquieto intellettuale nell'Italia del secondo '900

Nel movimento socialista italiano degli anni ‘50 e ’60 Luciano della Mea (1924-2003) ha ricoperto un ruolo affatto originale, segnalandosi fra gli esponenti più attivi di quell’ambito politico-culturale che si è soliti identificare con il termine “socialismo di sinistra”. Una categoria, quest’ultima, che non si estrinseca unicamente entro i confini dell’esperienza del socialismo partitico dei primi decenni del dopoguerra..

fine nota

 

 

( continua il racconto della visita alla madre )

 

Ma parlava con Luciano, soltanto con Luciano e Luciano le carezzava la mano bianca sul bianco del lenzuolo. Si diede il sangue per la mamma. Ci tornai dalla Gisella due mesi dopo. La vidi morta. Nel volto la tristezza rassegnata di sempre. La bocca appena socchiusa. In ordine, composta, ben pettinata. Pensa te, mi disse Luciano serio, indovina un po’ qual è l’ultima parola che ha detto prima di morire. Non potevo saperlo. Tacqui. Ghigo, ha detto, Ghigo mio. Mia madre fu una grande fumatrice. Avevo rimediato due stecche di Giubek, o Giubec con filtro. Le posai nella bara e dissi ciao Gisella. Poi ci fu il funerale. Un funerale da poco.
Poi il cimitero di Torre in una splendida giornata di sole pulito sopra gli ulivi e i cipressi e i lecci.” – Ivan Della Mea: “Se la vita ti dà uno schiaffo”, Jaca Book, 2009–pagina 102.

 

segue commento  alla canzone di Riccardo Venturi di ” Canzoni contro la guerra ”

Per molti questa non è neppure una canzone, ma una parte di una canzone; più precisamente Mangia el carbon e tira l’ultim fiaa, dall’album “Io so che un giorno” del 1966. In pratica, è una canzone a sé stante e come tale Ivan Della Mea, a volte, la interpretava. Personalmente gliela ho sentita cantare una sola volta, ma la mia conoscenza personale di Ivan Della Mea non è antica; un’altra, quando Ivan era già bell’e morto, l’ho sentita cantata da Silvia Malagugini, la bellissima e filiforme Silvia che farebbe venire i bordoni anche se cantasse “44 gatti”, figurarsi questa canzone. Qualunque cosa sia, questa cosa fu scritta da un Ivan Della Mea ventiseienne di fronte ai funerali di sua madre, nel paese di Torrealta di Ponte del Giglio (Lucca); la “Gisella” è sua madre, perché lui la chiamava per nome. E le portava le sigarette, quelle poche volte che ancora la vedeva dopo essersene andato da bambino a diventare milanese di ossa e di cuore. Eppure, rimase anche un toscano, un maledettissimo toscano ma di quella parte della Toscana anomala, la Lucchesia, di chiesa e di sagrestia, e dove la religione è trattata comunque con estremo rispetto. Tanto da scrivere un autentico, bellissimo, straziante, solenne, ecclesiastico canto funebre per una madre con le sigarette nella bara. C’era Luciano, Luciano Della Mea, il fratello maggiore partigiano, scrittore e giornalista, che ora riposa anche lui nel cimitero di Torrealta accanto alla madre. E c’era la vita grama del giovane Ivan, emigrato, operaio, millemestieri, poeta, comunista e povero. C’era una madre che, anche in punto di morte, aveva invocato il nome del marito, quel “Ghigo” nominato da Ivan Della Mea, il padre fascista e violento, autentico aguzzino di sua moglie, cui Ivan ha restituito i massacri che somministrava in famiglia. Ma in punto di morte, la moglie lo chiamava. Ghigo mio. Si tratta di misteri che non sarebbe corretto liquidare in due parole e tre banalità. Cosa che non farò. Così, dopo il funerale della madre in quel giorno di sole a Torrealta di Ponte del Giglio, Lucca, Ivan Della Mea se ne tornò a Milano a cantare la libertà, cosa che ha fatto più che egregiamente fino alla fine dei suoi giorni. [RV]

C’è l’ulivo e il sole,
ride dietro il poggio
dove il marmo
si fa più bianco.
Cosa mai
può dire un prete
più che un requiem frusto e stanco?

Certo, questa è la vita
e io canto la fine.

C’è l’ulivo e il sole,
scema dietro il poggio
nel saluto
ognuno va.
E anch’io torno a Milano
a cantare
la libertà.

Certo, questa è la vita
e io canto la fine.

C’è l’ulivo e il sole,
muore dietro il poggio
con la tua
serenità.
Questo è il canto della morte
che non chiede
la pietà.

Certo questa è la vita
e io canto la fine.

 

canzoni contro la guerra

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=64844

 

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Mauro Biani @maurobiani / X – link sotto– 15.56 –31 maggio 2025 — La prima fila del corteo nazionale contro il decreto sicurezza– manca Gino ! ( osservano ), ” per fortuna ne mancano tanti altri “, Mauro

 

Immagine

foto dal suo X

Mauro Biani @maurobiani

 

 

#dissenso #opinione #nonviolenza #libertà
Stop al
#DecretoSicurezza
Corteo nazionale, prima fila.
Oggi per
@repubblica

 

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Paola Caridi- Facebook/ link sotto e Tomaso Montanari – Nella notte della democrazia – GAZA MUORE. 1 GIUGNO 2025 – ILLUMINIAMO LA NOTTE CHE PRECEDE LA FESTA DELLA REPUBBLICA ( 1946 ) DI LUCI IN PIAZZA E DA BALCONI E FINESTRE—

 

 

 

foto di PAOLA CARIDI DAL SUO FACEBOOK

Paola Caridi- Facebook

 

 

 

Tomaso Montanari: L'interventismo fa strage | Left

Tomaso Montanari– foto da Left

 

 

Flashmob a Firenze ‘La libertà come l’aria’. Montanari: “Difendiamo la democrazia”

video, 1.43

 

 

 

SEGUE DA :

 

AMBAMED è un acronimo composto da : Anba = notizie in lingua araba + med per Mediterraneo.

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La “notte della democrazia” illuminata da tante candele e fiaccolate

La mobilitazione nazionale coinvolge molti italiani, in moltissime città piccole e grandi, da Roma, a Milano, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Cesena, Palermo, Catania, Padova, Udine, Casale Monferrato e moltissime altre…

Nella notte precedente alla Festa della Repubblica tanti italiani si mobiliteranno per chiedere al governo di agire coerentemente ai principi sanciti dalla Costituzione e affinché la nazione ottemperi gli impegni assunti aderendo ai trattati internazionali per la tutela dei diritti umani.

Ogni candela esposta a finestre e balconi di case, sedi delle associazioni e municipi, ogni evento svolto nelle piazze e ogni corteo e fiaccolata che sfileranno per le città simboleggerà la consapevolezza dei cittadini italiani memori che la ricorrenza della nascita della repubblica, cioè del referendum del 1946, li coinvolge a rinnovare la fede nella democrazia, la fedeltà allo stato di diritto e la fiducia nelle istituzioni su cui si reggono la convivenza pacifica nella loro società e tra la propria e le altre nazioni.

Molte voci si sono unite al coro di appelli contro il riarmo e per la cessazione delle guerre che devastano i territori in cui vengono combattute, aggravano i conflitti economici e politici che oppongono gli stati l’uno contro l’altro e mietono vittime tra le popolazioni dei paesi belligeranti. Numerose nazioni hanno vigorosamente condannato la carneficina dei palestinesi reclusi nella striscia di Gaza assediata da oltre un anno e mezzo e dove dal marzo scorso l’esercito israeliano ha intensificato l’offensiva e per 11 settimane impedito la consegna di cibo, acqua e medicinali. Il governo italiano invece non ancora e settimana prossima – dopo aver celebrato il 2 giugno con la parata militare ai Fori Imperiali di Roma – dovrà decidere in merito alla proroga della fornitura di equipaggiamenti, tecnologie e servizi militari a Israele, in questi anni incessantemente proseguita nonostante l’esportazione di armi e loro componenti in stati impegnati in conflitti bellici o in situazioni di instabilità politica sia esclusa dall’articolo 11 della Costituzione e vietata dall’articolo 1 della Legge 185/1990.

«Il genocidio del popolo palestinese è la “notte della democrazia”, di tutte le democrazie inerti», proclamano i promotori dell’iniziativa di domenica 1° giugno, gli stessi che hanno indetto le mobilitazioni del 9 e 24 maggio scorsi intitolate “ultimo giorno di Gaza” e “50˙000 sudari”. Con l’accensione delle emblematiche luci di candele, lumini, lanterne e torce, si rivolgono espressamente ai politici e governanti italiani:

«Chiediamo che si agisca per costringere Israele a porre fine all’occupazione illegale dei territori palestinesi e a garantire il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese, che si cooperi con la Corte Penale Internazionale per dare attuazione ai mandati d’arresto contro Netanyahu e Gallant e che siano applicate le sanzioni deliberate dall’Assemblea generale dell’ONU. Chiediamo che il governo italiano decida di interrompere ogni trasferimento di armamenti, componenti per armi e tecnologie e servizi militari e deliberi subito le sanzioni contro lo stato di Israele».  tra cui la giornalista Paola Caridi e il rettore dell’Università per stranieri di Perugia, Tomaso Montanari,

 

 

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ANSA.IT / UMBRIA/ NOTIZIE– 30 MAGGIO 2025– ALUNNI DI UN BORGO UMBRO – TAVERNELLE – STENDONO PER LE VIE UN BUCATO POETICO

 

 

 

 

Barberino Tavarnelle: comune turistico del Chianti con 330mila visitatori

https://toscanadaily.com/

 

 

 

QUALCHE IMMAGINE DI TAVERNELLE BAL DI PESA – IN LUNIGIANA

 

TAVERNELLE
LigaDue – Opera propria

 

IL FIUME NESTORE
LigaDue – Opera propria

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CASTELLO DI MONGIOVINO — VICINO A TAVERNELLE
LigaDue – Opera propria

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PALAZZO DELL’OROLOGIO-TAVERNELLE
LigaDue – Opera propria

WIKIMEDIA.COMMONS.ORG

 

****

 

Tavernelle | Visit Tuscany

 

Il borgo di Tavernelle si trova nel comune di Licciana Nardi, in Lunigiana. Il centro abitato sorge non lontano dal torrente Tavarone, lungo l’antica Via del Sale — detta anche Via di Linari — che partendo dalla Val di Magra conduce fino al valico del Lagastrello, il passo appenninico che segna il confine toscano.
La vicinanza del borgo a questa via di comunicazione ha fatto sì che in origine ci fosse una notevole presenza di botteghe artigiane e taverne, a cui forse deve il nome.

la parte più antica del borgo: si estende lungo un’unica via costeggiata da edifici del Quattrocento e comprende una casa-torre. Si tratta di una tipica abitazione fortificata, simile a quelle che si trovano nel borgo di Ponticello, e un’incisione sul portale comunica che fu fatta costruire nel 1516 ad opera di Alfonso Saffi, probabilmente un commerciante dell’epoca.

Oltre alla casa-torre, si possono ammirare i portici, le gallerie e le strutture in arenaria che caratterizzano Tavernelle, così come la cinquecentesca Chiesa di San Rocco.

A fine luglio, il borgo si anima con il Mercato Medievale.

https://www.visittuscany.com/it/citta-e-borghi/borgo-di-tavernelle-in-lunigiana/

 

Borgo di Tavernelle - Lunigiana World

LUNIGIANA WORLD

 

ANSA.IT / UMBRIA/ NOTIZIE– 30 MAGGIO 2025

https://www.ansa.it/umbria/notizie/2025/05/30/alunni-stendono-un-bucato-poetico-nelle-vie-di-un-borgo-umbro_ce3728e4-bdbd-4df9-bc4e-29476e93b23f.html

 

 

Alunni stendono un ‘bucato poetico’ nelle vie di un borgo umbro

I testi da loro creati appesi nei vicoli di Tavernelle

 

 

- RIPRODUZIONE RISERVATA

fai clic sulla foto e vedi altre foto dell’esposizione

 

Un bucato speciale è stato steso lungo le strade di Tavernelle.

“Profumavano” infatti di poesia i vicoli della piccola frazione del comune di Panicale lunedì e mercoledì scorsi, grazie all’ingegno e alla creatività degli alunni della scuola primaria, che per il “Maggio dei libri”, insieme ai propri docenti, si sono adoperati per far uscire versi e pensieri dalle classi e condividerli con la comunità locale.

Facendolo in maniera originale: i testi sono stati scritti su fogli poi appesi lungo le strade, come appunto un bucato.

A monte di tutto, come spiegano le docenti del plesso in una nota diffusa dalla Provincia di Perugia, c’è la “scrittura collettiva che permea la metodologia di don Milani e che caratterizza la scuola di Tavernelle”.

Ma per portare i bambini ad innamorarsi della lingua scritta e avvicinarli alla poesia, si è andati oltre. Prendendo spunto dal sito “Lo Stendiversomio” che ormai da una decina d’anni propone iniziative per rilanciare il testo poetico e renderlo accessibile a tutti con la poesia di strada, le docenti hanno dunque avviato un lavoro speciale e risultato molto proficuo con gli alunni. Partendo dalla lettura di testi poetici famosi, anche impegnativi, riferiscono, si è lavorato sull’ascolto dei ritmi, creati attraverso la scelta delle parole e la loro disposizione, sull’arricchimento lessicale, andando a ricercare il significato di parole inusuali; sulla metrica, sui sinonimi, le metafore, la personificazione.
La scrittura di poesie è stata una naturale conseguenza di questo lavoro, viene spiegato ancora. Senza rendersene conto i ragazzi hanno fatto parlare attraverso poche parole o testi più lunghi, il loro cuore, la loro mente, hanno giocato con rime per divertire, ma hanno saputo tirare fuori anche le loro paure e i loro turbamenti, mostrando il loro lato più nascosto.
I prodotti di questo percorso sono infine stati mostrati all’esterno. Tutti gli alunni della scuola primaria si sono prima recati presso la piazza e le vie principali di Tavernelle per “stendere il loro bucato poetico” e colorare le strade di poesie. Poi, presso il bar Centrale, quelli della classe terza hanno proposto la lettura di testi poetici e un laboratorio di scrittura per chiunque avesse voglia di cimentarsi.

Slide

sito STENDIVERSONOMIO
https://www.errantemarea.com/tag/stendiversomio

SE PRENDETE HOME, avete un testo del 27 maggio

 

 

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un piccolo video ( 1.10 minuti ) su ERRANTE MA REA — che approfondiremo insieme in seguito

 

 

ERMANNO MA REA

Da una foto di Fabio Speciale durante la performance “A Raso strofa” presso il Kinò Campus di San Felice sul Panaro (MO) nel settembre 2024

 

 

 

video, 8 min. ca— dove pare che il suo lavoro sia il conduttore di autobus, ALMENO NEL 2019

Un documentario di Luca Finotello.

Cortometraggio che descrive alcuni elementi essenziali della quotidianità di un tizio che fa anche il poeta errante. Le riprese sono state girate alla fine del 2019, in tempi pre pandemici.

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SABATO 31 MAGGIO 2025 : MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA :: indetta dalla Rete A Pieno Regime No dl Sicurezza ( chi sono? verso il fondo ) che ha ricevuto moltissime adesioni:: vuole essere ” il corteo più grande di opposizione al governo». 110 bus e 3 treni verso Roma, adesione anche di «Stop Rearm Ue»

 

 

Forum Disuguaglianze Diversità

 

 

L’appuntamento è per sabato 31 maggio alle ore 14 in piazza Vittorio a Roma per la manifestazione indetta dalla rete A Pieno Regime No dl Sicurezza.

segue nel link :
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/dl-sicurezza-forum-disuguaglianze-e-diversita-il-31-maggio-in-piazza-a-roma-il-governo-sfida-la-democrazia-mobilitarsi-e-fondamentale/

 

 

FLCGIL– FEDERAZIONE LAVORATORI DELLA CONOSCENZA

 

 

Il “DL Sicurezza” è un provvedimento che la nostra categoria, insieme alla CGIL, ha più volte denunciato come pericoloso e incostituzionale: restringe gli spazi democratici, criminalizza il dissenso e colpisce le persone più fragili, confermando una deriva repressiva che contrasta con i principi fondanti della nostra Repubblica.

Tante le realtà territoriali e nazionali impegnate in questa battaglia fra sigle sindacali, associazioni ambientaliste, organizzazioni studentesche, movimenti sociali e per la tutela dei diritti dei migranti.

Come lo scorso 14 dicembre 2024, la nostra organizzazione sarà di nuovo in piazza sabato 31 maggio 2025 alla manifestazione nazionale prevista a Roma per ribadire con forza l’opposizione al “DL Sicurezza”.

 

SEGUE

FLCGIL– FEDERAZIONE LAVORATORI DELLA CONOSCENZA

https://www.flcgil.it/attualita/decreto-sicurezza-31-maggio-manifestazione-nazionale-a-roma.flc

 

 

RICORDIAMO ANCHE :

 

 

Referendum 8 e 9 giugno 2025: cinque Sì per cambiare in meglio l’Italia

I quesiti referendari che puntano a migliorare la condizione di vita dei lavoratori e dare cittadinanza a chi ancora non ce l’ha

 

 

SEGUE :

FLCGIL– FEDERAZIONE LAVORATORI DELLA CONOSCENZA

https://www.flcgil.it/attualita/referendum-8-9-giugno-2025-cinque-si-per-cambiare-in-meglio-italia.flc

 

 

***+++++nota: 1. 2.

 

1. IL MANIFESTO – 28 MAGGIO

I No dl allargano il campo. «In piazza contro Meloni»

I No Dl allargano il campo. «In piazza contro Meloni»La conferenza stampa della rete No dl sicurezza A Pieno Regime davanti a Montecitorio – Ansa

 

Giuliano Santoro

L’obiettivo è ambizioso: dare vita alla più grande manifestazione contro il governo da quando a Palazzo Chigi siede Giorgia Meloni. L’idea è che attorno alla battaglia contro il dl sicurezza si stia materializzando l’opposizione sociale alla destra.


Ieri, a presentare il corteo alla stampa, c’era anche Luca Blasi, assessore alla Cultura del municipio III di Roma e portavoce della rete A Pieno Regime colpito al volto dai manganelli della polizia antisommossa due giorni fa, mentre qualche centinaio di attivisti cercava di raggiungere piazza Montecitorio.


La Repubblica- Roma

I NUMERI, in effetti, lasciano intendere che la partecipazione sarà davvero larga. Finora si contano 110 pullman e tre treni di manifestanti. I promotori fanno capire di volere politicizzare il più possibile l’evento: non si tratta solo di portare avanti la, sacrosanta, resistenza al «decreto Ungheria», ma di dare spazio e far convergere tutte le lotte e tutti i settori sociali che dal provvedimento si sentono minacciati. In questo modo, la manifestazione diventa un contenitore di battaglie e rivendicazioni che si rilanciano a vicenda, un moltiplicatore di istanze.

BLASI RIPERCORRE gli eventi di lunedì, quelli che hanno condotto al suo pestaggio. «Avevamo detto chiaramente e pubblicamente quello che sarebbe successo ieri – ha raccontato – Volevamo protestare pacificamente davanti al parlamento.

È ciò che succede in tutti i paesi democratici». Nelle parole di Blasi, il modello della disobbedienza civile si è rivelato impraticabile per via della repressione e del rifiuto di ogni dialettica di piazza. «Avevamo detto che sarebbe stato un corteo autoprotetto con delle figure di riferimento che in maniera pacifica avrebbero cercato di dialogare coi responsabili delle forze dell’ordine – prosegue – Io ero una di quelle. E invece, quando tutto era tranquillo, mi sono trovato di fronte a un’aggressione: alcuni agenti, senza nessun tipo di ordine, mi hanno attaccato e mi hanno causato un trauma alla testa che mi ha compromesso parzialmente la vista. Adesso dovrò fare delle visite oftalmiche per capire se andrà meglio». Per Blasi, la destra ha creato ad arte un clima che alimenta la discrezionalità gli abusi di polizia: «Il governo da anni dice che chiunque manifesta diventa un terrorista e un criminale, anche se lo fa pacificamente sedendosi per terra, facendo scioperi della fame oppure sperimentando forme creative di lotta. E allora è chiaro che qualcuno poi magari dalle parole passa ai fatti». Prova ne è che l’ineffabile sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro ieri abbia sostenuto che quelli che «la sinistra» considera «spazi di libertà» sono «spazi di criminalità».

ARRIVA ANCHE l’adesione del cartello Stop Rearm Europe, che sta costruendo l’altra grande manifestazione nazionale delle prossime settimane: quella del 21 giugno che ha già raccolto oltre 300 adesioni di reti, gruppi, organizzazioni politiche e sociali italiane, arrivando fino ad oltre 1500 sigle in Europa.

«Saremo anche noi in piazza il 31 maggio– affermano Arci, Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia, Attac e Transform Italia.

 

Da : IL MANIFESTO  28 MAGGIO 2025
https://ilmanifesto.it/i-no-dl-allargano-il-campo-in-piazza-contro-meloni

 

******

2.  CHI SONO QUELLI DELLA RETE  A PIENO REGIME. QUANDO SONO NATI ?

 

 

 

segue da :

MICROMEGA.NET–22 NOVEMBRE 2024

https://www.micromega.net/a-pieno-regime-ddl-sicurezza

 

A pieno regime, una chiamata alla lotta contro il Ddl Sicurezza

Il 16 novembre 2024 si è radunata la prima assemblea della rete “A pieno regime”, che ha indetto un corteo nazionale per il 14 dicembre ( vedi al fondo )

author-name

Mosè Vernetti

22 Novembre 2024

A pieno regime, una chiamata alla lotta contro il Ddl Sicurezza

Lo scorso sabato 16 novembre si è riunita nell’aula magna della facoltà di Lettere della Sapienza di Roma la prima assemblea nazionale della rete contro il Ddl Sicurezza “A pieno regime”. Una chiamata alla lotta, più che una semplice assemblea, per “i custodi della Costituzione”, come ha definito Gianna Fracassi – segretaria generale di Flc Cgil – il blocco ampio e unitario contro la legge che costituisce uno sfregio alla Costituzione della nostra Repubblica antifascista.

Sfregio stigmatizzato dal professor Luigi Ferrajoli, che ci ricorda le ragioni che determinano l’urgenza di una mobilitazione di massa contro questo Ddl che, oltre a minacciare alle sue fondamenta la libertà di protesta, “colpisce gravemente la libertà di riunione, il più importante strumento per la manifestazione del pensiero per le persone comuni”.

Sempre secondo Ferrajoli il governo Meloni dimostra “disprezzo per i diritti delle persone, mostrandoci, attraverso la disumanità ostentata a livello istituzionale, la fascistizzazione del senso comune, che ottiene consenso punendo i più deboli. Il Premierato è il punto di arrivo di questo processo che personalizza il sistema politico e lo riduce al semplice voto di un’autocrazia elettiva, subalterna nei confronti dei mercati”.

 

L’ARTICOLO CONTINUA NEL LINK DI MICROMEGA CHE RIPROPONIAMO::

MICROMEGA.NET
https://www.micromega.net/a-pieno-regime-ddl-sicurezza

 

(1)

da:

RADIO ONDA D’URTO

 

 

 

Da tutta Italia a Roma: «Saremo in tanti contro la paura»

Manifestazione contro il Ddl sicurezza – Andrea Sabbadini

Pubblichiamo solo:

OGGI LA MANIFESTAZIONE sarà aperta dallo striscione della rete nazionale «A pieno regime». Subito dopo ci saranno gli studenti e le studentesse, poi l’Arci e lo spezzone della Cgil, che ha mobilitato le sue camere del lavoro. Più indietro, i partiti: hanno aderito Pd, M5S, Avs e Rifondazione. Tra gli ultimi endorsement si nota quello della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà. Lungo il cammino ci saranno azioni simboliche contro il governo e i suoi disegni liberticidi rivendicati ieri dall’ineffabile sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro. Sarà anche un corteo della cura reciproca: sono state diffuse attenzioni di base per consentire a tutti, anche chi si muove in carrozzina, di sentirsi a suo agio. Gli organizzatori invitano a portare in piazza pentole e padelle (per mettere in scena rumorosi cacerolazo, in stile argentino) e fazzoletti rossi. Un pezzo dei movimenti di lotta per la casa di Roma si staccherà dopo la partenza per raggiungere piazza Indipendenza. Ieri sera la facoltà di lettera della Sapienza, nella città universitaria, è stata occupata per fungere da centro di accoglienza e ospitalità per i tanti manifestanti che arriveranno da ogni parte d’Italia.

 

IL MANIFESTO 14 DICEMBRE 2024

https://ilmanifesto.it/da-tutta-italia-a-roma-contro-la-paura-bisogna-essere-tanti

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Roberto Rododendro ci racconta ” un pezzetto della nostra vita giovanile quando in testa e nel cuore ( almeno io ) avevamo Cesare Pavese. ” ( Roberto )

 

 

Son qui per una considerazione o un pezzetto di nostra vita giovanile quando in testa e nel cuore avevamo Cesare Pavese ( almeno io).

 

Quando mi capita una riga o un verso o un romanzo o il diario “lavorare stanca” tanto per dire. Io sono un ragazzo nato nella guerra anche se non la ricordo e con me tanti amici miei ( e alcuni ancora fortunosi vivi) ma ce l’ho nell’anima che a volte penso che ci sia a volte no. Ricordo una sera e poi una notte senza soluzione di continuità, all’Inter bar, via Matteotti _ avevano cambiato da poco il nome della strada da via vittorio emanuele a via Matteotti, un bel salto e sano. All’Inter bar, ricordo che fu Giancarlo a cominciare le prime parole: Pavese e il suo suicidio. non sapevamo darcene una ragione perché le ragioni potevano essere troppe- comunque è un fatto che in quegli anni tra i miei compagni di liceo e no, ci furono un bel pò di tentativi di suicidio e molti furono tentativi riusciti, povere anime, perché in certi casi ci sono. Troppi avvenimenti o cose incombevano su di noi ed eravamo ancora piuttosto fragili, o forse no, chi lo sa? Allora non ci pensavano. E dunque fu una lunga notte, quella all’Inter bar a parlare di Pavese, conosciuto e amato da tutti noi. Il suicidio era di pochi anni addietro e si diceva “per amore “. “verrà la morte e avrà i tuoi occhi” ma no, non era questo. E invece con qualche anno, perchè ci ritornammo, capimmo o pensammo che il peso di una guerra, di sogni anche infranti e sì, anche di un amore non corrisposto, tutto influì, ma noi ragazzi giovani non riuscivamo a capire se fu un atto di coraggio o di paura. Quel periodo, diversamente dai successivi, esempio il ’68, la nostra vita era presa dalla letteratura, dalla filosofia dall’amore, e sì, eravamo anche giovani, e dalla politica, ma per noi esistevamo solo noi, strana famiglia di comunisti individualisti e gli altri, gli ancora tanti fascisti che incontravamo, ovviamente, Sanremo era ( ed è) una piccola città, si conviveva, a volte nascevano perfino amicizie perché una certa gioventù aveva molte esperienze simili e nessuno di noi e di loro visse la parte attiva ed atroce di quel periodo.

 

 

 

Ivan della Mea – ” Sente on po’ Gioan, te se ricordi.. ” — 1966

 

 

 

La prima di una serie di ballate in dialetto milanese scritte da Ivan Della Mea, e dedicate a Gianni Bosio (1923-1971), storico, animatore culturale, fondatore e direttore della rivista “Mondo operaio”, fondatore e direttore delle edizioni “Avanti” poi del “Gallo”, dei “Dischi del sole” e dell’Istituto Ernesto De Martino.

 

1948

 

 

Sent on po’ Gioan, te se ricordet
del quarantott, bei temp de buriana…
Vegniven giò da la Rocca de Bergem
i tosann brasciaà su tutt insema
tutt insema cantaven, cantaven
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet…

Mi s’eri nient, vott ann
e calsetòn e duu oeucc pien de fam per vedè
e mi ho vist, Gioan, e mi ho vist
ind i oecc di tosann brasciaà su insema
la speransa pussee bela, pussee vera
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet…

E quij oeucc mi hoo vist, dopo tri dì,
inscì neger de rabia e de dolor
l’ha vint el pret cont i so beghin
l’ha vint el pret cont i ball e i orazion
Ma ind i oeucc di tosann gh’era la guera
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet
Te se ricordet…

inviata da Bernart Bartleby – 7/6/2017 – 09:00


Traduzione italiana da L’isola mai trovata

 

SENTI UN PO’, GIOVANNI, TI RICORDI

Senti un po’, Giovanni, ti ricordi
del ’48, bei tempi di buriana…
Venivano giù dalla Rocca di Bergamo
le ragazze abbracciate insieme
e tutte insieme cantavano, cantavano
“Bandiera Rossa”, Giovanni, ti ricordi…

Io ero niente, otto anni
e calzettoni e due occhi pieni di fame per vedere
e ho visto, Giovanni, io ho visto negli
occhi delle ragazze abbracciate
insieme la speranza più bella, più vera
“Bandiera Rossa”, Giovanni, ti ricordi…

E quegli occhi li ho visti dopo tre giorni
così neri di rabbia e di dolore
ha vinto il prete con le sue beghine
ha vinto il prete con le sue balle e le preghiere.
Ma negli occhi delle ragazze c’era la guerra
“Bandiera Rossa”, Giovanni, ti ricordi…
Ti ricordi…

 

 

segue da :

Te se ricordet, Gioan, de me fradel

 

 

Te se ricordet, Gioan, de me fradel
de quand rivava al sabet de Milan
e coi cavej an’mò bianch de segadura
del Deposit Legnami Via Cenisio…
Te se ricordet la famm foeura di dent
ch’el gh’aveva e come el mangiava
prima de ‘ndaa a la cà de la cultura.
Quatordes luli, Gioan, del quarantott
e a Togliatti g’han sparà in Parlament;
el me visin, magutt: «A l’è ‘l moment
de ‘ndà giò in piazza», ‘l diseva, e poeu la sira
tacà la radio «Viva Bartali!» el vosava.
«el Gir de Francia l’ha vinciuu, che campion!»,
e i democristi han vinciuu i elezion.
Riva el cinquanta, Gioan, l’Anno Santo
cont la Madona su e giò per l’Italia,
papa Pacelli l’ha fat el Giubileo:
“santa crociata” contra i comunista,
giò acqua santa e l’era on gran pregà…
L’era ‘l cinquanta, Gioan, te se ricordet,
l’era ‘l cinquanta ‘l Pavese ‘l s’è copaa.
Te se ricordet, Gioan, de me fradel,
l’è tornaa a cà ai des or de la sira,
facia gialda e ugiai in fond al nas:
«L’è mort Pavese», l’ha dit, «el s’è copaa»,
e la vos la sonava ciara e dura;
e l’ha mangiaa del grana e una pera
prima de ‘ndà a la cà de la cultura…
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ISOLA DI CURZOLA, DALMAZIA NELLA CROAZIA MERIDIONALE– un po’ di storia e molte immagini dell’isola ” nigra” dalla vegetazione

 

 

Croatia, Dalmatia, Korcula

 

 

 

 

LA DALMAZIA -CROAZIA MERIDIONALE
AUTORE : MacMoreno
basata su: Southern Croatian Adriatic.png

 

 

 

veduta aerea di korcula, croazia - isola di curzola foto e immagini stock

 

 

 

Costa Adriatica, Mare Adriatico, Korcula, Croazia, Europa

IL MARE CON TONALITA’ DI TURCHESE DELL’ISOLA DI CURZOLA

 

 

 

Coastal Life In Korčula, Croatia

NELLA VECCHIA CITTA’ DI CURZOLA

 

 

 

Curzola  (in croato Korčula  ascolta ( apri qui )– in latino Corcyra Nigra a causa dei fitti boschi e in Greco antico Korkyra Melaina, ossia “Corfù nera”, in relazione alla più famosa e meridionale Kerkyra / Corcira, oggi Corfù. ) è un’isola della Dalmazia meridionale, in Croazia. Capoluogo storico e maggior centro dell’isola è la città di Curzola, affacciata sulla costa orientale.

Storia
Presso l’isola si svolse l’8 settembre 1298 la nota battaglia di Curzola tra genovesi e veneziani, in cui Marco Polo rimase prigioniero dei genovesi. Basandosi su questo antefatto, nonché sulla presenza di un ramo della famiglia Depolo in Dalmazia, alcuni storici croati attualmente sostengono che Marco Polo fosse nativo curzolano e ne rivendicano la nazionalità, ma tale versione è stata smentita con delle prove attendibili dallo storico veneziano Alvise Zorzi, il quale osserva inoltre che, se anche per assurdo i natali del grande esploratore fossero avvenuti nel capoluogo dell’isola, ciò non avrebbe per niente significato un’origine croata, in quanto in quel periodo vi abitavano esclusivamente genti veneto-dalmate (e sarà così fino al 1920, anche se solamente nel centro cittadino).

 

View of Korcula's old town

 

 

Fece parte della Repubblica di Venezia dal 1409 al 1797, dopodiché passò sotto dominazione austriaca.

In vista della prima guerra mondiale, l’isola fu promessa al Regno d’Italia nel Trattato di Londra del 1915, in cambio dell’adesione dell’Italia alla guerra al fianco di Regno Unito e Francia. Tuttavia, dopo la guerra, nel 1918 Curzola fu occupata (con il resto della Dalmazia) dello Stato degli Sloveni, Croati e Serbi tra il 29 ottobre ed il 15 novembre. Fu governata dall’Italia dal 15 novembre 1918 al 19 aprile 1921, dopodiché fu incorporata nel Regno dei Serbi, Croati e sloveni. Nel 1939 entrò a far parte del Banato autonomo croato.

 

View of terracotta rooftops, looking down from the top of the tower of Saint Mark's Cathedral, completed in the 15th century, in old town Korcula,...

 

Dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Asse nell’aprile 1941, l’Italia annesse l’isola. Dopo l’armistizio tra l’Italia e le potenze alleate nel settembre 1943, fu brevemente tenuto dai partigiani jugoslavi. Curzola fu poi occupata dalle forze tedesche che controllavano l’isola fino al loro ritiro nel settembre 1944. Con la liberazione della Jugoslavia nel 1945, fece parte della Repubblica popolare federale di Jugoslavia. Dopo il 1991, l’isola è diventata parte della Repubblica indipendente di Croazia.

 

 

edited by M.Minderhoud – own work based on PD map

 

 

Isola di Petrara vicino a quella di Curzola dove si trovavano  gli italiani di origine veneta fino al 1900 ca
https://it.wikipedia.org/wiki/Curzola_(isola)

 

 

ALCUNE FOTO DA GETTY IMAGES  COME ALTRE SOPRA

 

Aerial view of Korcula (Korčula) town on Korcula island, Croatia

 

 

Bay of Pupnatska Luka, Korcula Island

BAIA DI PUPNASKA LUKA

 

 

Bell tower on an evening sky in Korcul Island

CAMPANILE DI SERA

 

 

Coastal Life In Korčula, Croatia

DETTAGLI DELLA CAMPANA DELLA TORRE DELLA CHIESA DI SAN MARCO, XV SECOLO

 

 

Vista aerea superiore di una vecchia città balneare Korcula in Croazia, circondata da acque cristalline

VISTA AEREA DELLA VECCHIA CITTA’ BALNEARE

 

 

Korcula Old Town Lostboymemoirs,High angle view of townscape against sky,Korcula Old Town,Croatia

LA VECCHIA CITTA’

 

 

 

peljesac peninsula from korcula island - isola di curzola foto e immagini stock

IL VERDE ” NIGRO ” DELL’ISOLA

 

 

TROVATE ALTRE FOTO QUASI TUTTE BELLISSIME- ANCHE DELLA CITTA’ VECCHIA – NEL LINK DI GETTY IMAGES:

https://www.gettyimages.it/search/2/image?phrase=isola%20di%20curzola&sort=best&license=rf%2Crm&page=2

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LETTERA APERTA A VLADIMIR PUTIN  di Predrag Matvejevic — + link Doppiozero.com sullo stesso autore

 

 

 

IL  MANIFESTO13/03/2007- ARCHIVIO STORICO

Questo articolo proviene dall’archivio storico del manifesto. I dati disponibili potrebbero essere limitati e, di conseguenza, l’articolo potrebbe risultare incompleto.

https://ilmanifesto.it/archivio/2003106298?pk_vid=fe68c3115942159f17481169335db9f2

 

 

 

LETTERA APERTA A VLADIMIR PUTIN  

 

 

Predrag Matvejevic

 

 

Signor Presidente,
ho scritto gran parte di questa lettera dopo la tragica morte di Anna Stepanovna Politkovskaja, assassinata a colpi di pistola, nell’ascensore della sua abitazione a Mosca in via Lesnaja, nell’ottobre dello scorso anno.
Gliela spedisco durante la sua visita a Roma, dove io vivo e lavoro da oltre dieci anni «fra asilo ed esilio». Ho cominciato a scrivere queste righe e le ho completate prima e dopo molti altri omicidi avvenuti in Russia: quello di Pavel Hlebnikov che si opponeva al «capitalismo dei gangster» e di Viktor Cherpakov, che nella lontana Vladivostok aveva deciso di operare come «difensore dei poveri della Russia»; dopo la morte violenta di donne coraggiose e decise quali furono la deputata del partito Russia Democratica Galina Starovoitova, del difensore delle minoranze Nadezda Ciajkova, della giovane giornalista venticinquenne Nina Jefimova, corrispondente del settimanale liberale Obsciaja gazeta uccisa alla periferia di Grozni.

Sono stati più di quindici le persone assassinate come quelle sopra citate, fra cui tre collaboratori del Novaja gazeta, il giornale per il quale lavorava Anna Stepanovna.

Avevano tutti la stessa «colpa»: nei loro scritti criticavano il regime del quale siete alla testa. A coloro che di questo regime hanno scritto e scrivono bene, non è successo nulla di male, per lo meno non sono stati assassinati. La cosa induce a fare dei raffronti, a tirare conclusioni.

Ma questo non è l’unico motivo per cui Le scrivo. Mi sembra indegno – vorrei aggiungere – il sostegno dato ad alleati politici quali sono lo stalinista Aleksandar Lukashenko o il tiranno Ramzan Kadyrov; riproverevole prendersi gioco della sovranità di paesi confinanti, in particolare dell’Ucraina; ed è sospetta l’ambizione di restituire alla Russia lo status di «grande potenza» con tutto ciò che tale termine sottintende.

Dopo tutte le disgrazie abbattutesi sulla Russia all’epoca dell’Unione Sovietica mi sbalordì la dichiarazione da Lei fatta al Parlamento federale nell’aprile del 2005: disse che «lo sfacelo dell’Urss» era stata «la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo».

Una catastrofe che, Lei sosteneva, aveva portato alla «distruzione dei vecchi ideali, allo scioglimento e alla distruzione improvvisa di molte istituzioni», uno sfacelo nel quale «gruppi di oligarchi hanno conquistato un potere illimitato (…), mentre la miseria di massa è stata accettata come regola e si è giunti alla paralisi della sfera sociale».

Quali sono questi «vecchi ideali» distrutti, se non quelli che lo stalinismo aveva già distrutto nel peggiore dei modi? Tanti di noi hanno condiviso questi ideali…
Quali sono le «istituzioni sciolte» che avrebbero dovuto essere conservate? Erano già logore…
Chi ha permesso ai «gruppi di oligarchi» di prendere spudoratamente il potere nell’economia, permettendo che la «miseria di massa» diventasse ancora più profonda di quanto lo era stata prima?

Coloro i quali cercano di dare una risposta a queste domande oggi in Russia finiscono per avere un tragico destino. Coloro che, invece, hanno prodotto questa situazione o l’hanno favorita se la sono passata meglio, senza correre pericoli.

Chi conosce la Russia e la sua storia, chi ha conosciuto l’Unione Sovietica e la sua realtà non si aspettava certamente che la transizione sarebbe stata rapida e facile, che le trasformazioni sarebbero avvenute senza difficoltà e senza ostacoli. E tuttavia non potevano credere che, dopo tutto, la popolazione della Russia sarebbe piombata in una miseria ancora più nera di quella conosciuta al tempo dell’Unione Sovietica, che la Russia sarebbe arretrata tecnologicamente rispetto ad altre potenze industriali, che la privatizzazione in Russia avrebbe assunto l’aspetto di un saccheggio generalizzato dei beni pubblici e che le disuguaglianze sociali si sarebbero approfondite in proporzioni inammissibili, abissali, che in un paese così immenso e così ricco di risorse naturali, qual è la Russia, la durata media della vita umana sarebbe scesa al di sotto del livello medio di tutti gli altri paesi dell’Europa.

Ci saremmo attesi un graduale affermarsi della democrazia ma non la continuazione della dittatura, che fu dei tempi passati, non soltanto dei tempi sovietici.

La delibera in base alla quale i presidenti e governatori delle repubbliche della Federazione russa non vengono più scelti dai cittadini mediante elezioni, ma vengono nominati dall’alto, con decreti personali del presidente della Federazione, suscita ribrezzo o, come minimo, risatine di scherno.

Molti di noi hanno l’impressione che anche un oligarca della grande finanza qual è Hodorkovski non sia stato rovesciato dal piedistallo e confinato in Siberia per aver accumulato illecitamente troppo denaro – e certamente non è l’unico – ma per aver finanziato e sostenuto i partiti di opposizione qual è «Jabloko», il quale critica i detentori del potere come lo criticavano i giornalisti che sono stati ammazzati.

Non so se i suoi consiglieri l’hanno sufficientemente informata del fatto che nel mondo c’è gente che ama la Russia, ma non chiude gli occhi di fronte a ciò che vi accade, riflette sulla situazione e ne scrive. Non ci è sfuggita la ferocia della repressione in Cecenia, giustificata come risposta al terrorismo islamico, che nel Caucaso è più spesso una conseguenza piuttosto che una causa.

Abbiamo visto come è stato sventato il tentativo dell’Ucraina di attuare delle riforme, e in quale modo sono stati messi a tacere Juschenko e la Timoscenko.

Ho avuto l’occasione di incontrare Gorbaciov in Italia e in Spagna, al World political forum del quale lui è presidente ed io uno dei soci: mi sono accorto che il promotore della glasnost Vi teme ed ha perciò deciso di rinunciare a qualsiasi critica relativa alla situazione attuale, critica che invece la perestrojka permise di lanciare in altre direzioni.

L’autoritarismo non ha portato fortuna alla Russia, Le politiche da grande potenza l’hanno distrutta. Il potere esercitato che tuttora esercita su altri paesi e popoli l’hanno coperta di vergogna. Sono convinto che Lei e i suoi collaboratori sa bene queste cose. Sa quanto sia stata e continua ad essere dura la vita dell’uomo russo, ieri come oggi. Sa quanto sia grande e giustificato il suo desiderio di liberarsi dalla miseria e di conquistare la dignità di uomo libero.

Le scrivo queste righe anche a nome di molti uomini e donne sparsi nel mondo che conoscono bene i grandi sacrifici fatti dalla Russia nella seconda guerra mondiale, contribuendo alla conquista della libertà ed al bene dell’umanità. Conosco molti intellettuali in tutto il mondo che apprezzano la cultura, l’arte e soprattutto la grande letteratura russa; oggi esse sono più un ricordo che una presenza reale.

Rifletta su quanto bisognerebbe fare affinché il domani russo sia diverso, migliore di oggi e di ieri. Mi permetta perciò di concludere con alcuni giudizi della rimpianta Anna Politkovskaja: «Breznev è stato pessimo. Andropov sanguinario sotto una patina di democrazia. Cernenco un idiota. Gorbaciev non piaceva. El’tzin ogni tanto ci costringeva a farci il segno della croce per timore delle conseguenze delle sue decisioni... I movimenti politici nati recentemente da un decreto di Cremlino sono in gran voga in casa nostra, affinché l’Occidente non sospetti che il nostro sia un sistema monopartitico, autoritario e non-pluralistico».

Prima del suo allontanamento dal potere, scrissi al presidente Gorbaciov alcune delle righe che seguono per dirgli come vedevo le alternative del paese da lui guidato. Da lungo tempo ormai ci chiediamo: come sarà la Russia di domani? Tradizionale e conservatrice come un tempo, oppure moderna e liberale? «Santa» o secolare? Ortodossa o scismatica? Sarà più «bianca» che rossa o più «rossa» che bianca? Slavofila o occidentalista? Asiatica oppure europea? Più collettivista che «populista»? Mistica e messianica a modo suo, oppure laica e secolarizzata? Sarà una Russia che «non si può comprendere con l’intelletto» e nella quale «si può soltanto credere» come asseriva il poeta Tjutcev nell’Ottocento, o la Russia dura e «culona» (tolstozadaja) come la esaltava Aleksandar Blok? Una Russia «con Cristo» o «senza la croce»? Una vera democrazia o una semplice «democratura»? Sarà soltanto russa (russkaja) oppure «di tutte le Russie» (rossiskaja)?

Quale che debba essere, dovrà comunque tener conto sia di quanto resta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, sia di ciò che in essa ha forse perduto per sempre.
Con i migliori auguri,

Predrag Matvejevic

 

 

 

PUBBLICO QUESTO LINK DEL MAGNIFICO SITO DOPPIOZERO.COM CON UN ARTICOLO CHE FA CONOSCERE IN UN RACCONTO– LONTANO DA WIKIPEDIA, PIU’ UTILE IMMEDIATAMENTE- L’INTELLETTUALE   Predrag Matvejevic

 

TITOLO :

Mostar, 7 ottobre 1932 – Zagabria, 2 febbraio 2017 / Predrag Matvejević. Un battitore libero attraversato dalle frontiere

6 Febbraio 2017

DOPPIOZERO.COM

https://www.doppiozero.com/predrag-matvejevic-un-battitore-libero-attraversato-dalle-frontiere

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+++ LA 7 — OTTO E MEZZO — 28 MAGGIO 2025 — Ospiti di Lili Gruber : *** Cathy La Torre, ***Massimo Cacciari, Annalisa Cuzzocrea ( Repubblica ), Beppe Severgnini ( Corriere )

 

n. 28 di femminicidi

 

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