IL MANIFESTO DEL 5 GIUGNO 2025
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«Sono un detenuto politico di Kiev»
Anticipazione ‘Report’ Parla il sindacalista ucraino Gregory Osovyi
Gregory Osovyi
FOTO DI MANUELE BONACCORSI– REPORT
DA: Mediterraneaonline.eu
Non teme l’accusa di complicità col nemico: su questo ha la coscienza pulita. E dunque la mette così, come nessuno si aspetterebbe in tempo di guerra: «Il motivo della mia detenzione è politico. Attraverso la mia criminalizzazione, attaccano i sindacati, che proteggono i diritti dei lavoratori».
Gregory Osovyi, 76 anni, è il segretario generale dell’Fpu, la confederazione sindacale ucraina, forte di 3 milioni di iscritti.
Dall’8 aprile si trova in arresto. Una notte l’ha passata in galera, poi il giudice gli ha concesso i domiciliari. Il 9 giugno una udienza dovrà decidere se rinnovare la misura cautelare.
È ACCUSATO, insieme ad altri 5 funzionari, di aver venduto alcuni immobili di proprietà dell’organizzazione, di cui però lo Stato rivendica la proprietà (i reati sono associazione a delinquere, appropriazione indebita e riciclaggio: in totale 12 anni di reclusione).
Report – che andrà in onda il 15 giugno con un ampio servizio dedicato all’Ucraina– è riuscito a incontrare Gregory Osovyi a Kyiv il 17 maggio. È la prima volta dopo l’arresto che rilascia una intervista. Non a un media internazionale, ma in generale, perché nella tv unica Ucraina, nata dopo la legge marziale, «i sindacati non hanno voce», attacca il Osovyi.
La polizia ha fermato Osovyi alle 7 del mattino, mentre si trovava in albergo, poco prima di svolgere una riunione, a Lutsk, in Volinia. «Mi hanno sequestrato telefono e tablet, e trasferito in auto a Kiyv». Arrestato perché, sostengono le autorità, stava provando a scappare dall’Ucraina. «Ipotesi assurda – ribatte Osovyi – frequentavo ogni giorno il mio ufficio; al momento del fermo non avevo con me né passaporto né soldi sufficienti per espatriare». Unica possibilità per riacquistare la libertà, pagare la cauzione: «Il giudice l’ha fissata cento milioni di grivnie. Sono oltre due milioni di dollari, ho calcolato che sarebbe il mio stipendio di 200 anni. E con questo voglio mostrare quale pressione è stata esercitata su di me, per intimidirmi. E so bene a cosa mirano: vogliono creare un sindacato favorevole alle riforme della maggioranza».
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QUALI RIFORME?
Per capirlo bisogna tornare a prima della guerra. «Per anni avevamo avuto buoni rapporti con i governi, poi nel 2019 è cambiata la maggioranza e il presidente.– ( Vittoria di Zelensky ) —
Da allora l’esecutivo ha introdotto riforme contro i sindacati e i lavoratori. Ed è iniziato uno scontro duro». Il culmine arriva nel dicembre 2019, quando l’allora primo ministro Goncharuk presenta la legge 2708, chiamata semplicemente Sul lavoro. «Senza alcuna discussione con le parti sociali, in modo autoritario», dice Osovyi, la legge riscrive l’intero corpus giuslavoristico. O, per dirla con le sue parole, «abolisce il codice del lavoro, in contrasto con le convenzioni internazionali e il diritto all’associazione sindacale. Era una riforma sostenuta dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, che già allora lavoravano attivamente nel nostro Paese», accusa il segretario.
IL NUOVO CODICE prevede che il contratto individuale possa derogare quelli collettivi; liberalizza i licenziamenti e pone alti paletti alla presenza in azienda dei sindacati. L’Fpu scende in piazza:Cortei, sit in, scioperi davanti alla sede del Parlamento e della presidenza. La vertenza supera anche i confini nazionali. L’Ilo, organizzazione delle nazioni unite sui diritti dei lavoratori, critica la legge; poi, racconta Osovyi, «nel febbraio del 2021, il Segretario della Confederazione europea dei sindacati si reca in Ucraina, per convincere il governo che quel percorso era sbagliato».
Alla fine, vincono i sindacati. Il governo cade, la legge viene ritirata. È il momento più basso di popolarità per Zelensky, che in quell’epoca si presenta come moralizzatore, contro oligarchi e corruzione, ma in economia ha un taglio fortemente liberista. «Proprio perché avevamo vinto, la deputata Galina Tretyakova, rappresentante di Servitore del popolo e tra le promotrici delle legge appena ritirata, presenta una denuncia in cui accusa il sindacato di non avere un titolo legittimo per le sue proprietà», in gran parte ereditate dall’epoca sovietica, spiega Osovyi.
«Da questo momento siamo finiti sotto la lente delle procure. Forze dell’ordine, Servizi segreti, polizia, ovunque c’erano indagini sulle proprietà del sindacato, con perquisizioni, sequestri, interrogatori». Sotto attacco finisce anche la sede centrale dell’Fpu, che si affaccia su piazza Maidan. L’edificio, durante la Rivoluzione della dignità del 2014, («sostenuta dai sindacati», ci tiene a precisare Osovyi), viene dato alle fiamme. «L’abbiamo ricostruita con fondi del sindacato, eppure il governo vorrebbe sequestrare anche questo immobile».
POI SCOPPIA LA GUERRA, e tutto peggiora. L’organismo istituzionale di concertazione, che si chiama in Ucraina Consiglio economico trilaterale, viene sospeso. «Io ne sarei vicepresidente, ma non si convoca dal 2022», spiega Osovyi. La legge marziale, inoltre, «impedisce lo svolgimento di scioperi e manifestazioni. In questo contesto la maggioranza ha presentato nuove leggi che, ancora una volta, propongono la riduzione degli standard sociali. E ancora una volta siamo diventati scomodi oppositori per il governo», accusa il segretario.
«Quella del governo è una visione influenzata dal Fondo monetario internazionale e dal capitale globale che chiedono riforme liberiste, per attrarre investimenti in Ucraina. Noi non ci opponiamo agli investimenti, ma abbiamo i salari più bassi d’Europa, e chiediamo che le imprese straniere paghino i lavoratori ucraini con salari europei. Questo, evidentemente, non viene ben visto in Ucraina oggi. Ed è molto grave, perché secondo la Costituzione il mio è un Paese democratico».
*Inviato di Report
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Aggiungo un articolo sull’Ucraina del 2019, prima dell’invasione della Russia, che magari ci aiuta a capire un po’ di più:
IL MANIFESTO DEL 23 GIUGNO 2019
Ucraina: Zelensky in tour dai creditori, con il fantasma del default controllato
Kiev. Il programma in 14 mesi di cooperazione con l’Fmi equivale a 3,9 miliardi di dollari. Il Paese è in attesa di ricevere una prima tranche di circa 1,4 miliardi di dollari ma a Washington non si fidano
Volodymir Zelensky a Berlino da Angela Merkel – LaPresse
Yurii Colombo
Si deve ancora scommettere sull’Ucraina? È la domanda che circola con ricorrenza in questi giorni nelle cancellerie occidentali. Questa settimana con un rapido mini-tour europeo Volodymir Zelensky ha voluto presentarsi a suoi creditori e alleati. Prima di tutto è volato a Berlino a far conoscenza con Angela Merkel. La premier tedesca ha garantito il pieno sostegno della Germania alla rivendicazioni territoriali ucraine ma ha misurato la sua distanza con il neo-eletto presidente sia sulla vicenda della pipeline che porterà nuova linfa energetica russa al suo paese attraverso il Baltico, sia sulla necessità di tenere aperto un dialogo costruttivo con Putin.
Il presidente ucraino, incontrando le associazioni imprenditoriali tedesche ha giurato che il suo paese non è interessato al default controllato o alla bancarotta. Zelensky ha anzi affermato che sin da oggi è pronto a preparare un programma di cooperazione con il Fmi e la Bers ( Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo )
Il vicepresidente dell’amministrazione presidenziale, Alexey Goncharuk, in un’intervista a NV. Business, ha sostenuto che «l’Ucraina sta lavorando alla preparazione del lancio alla fine del 2019 di un programma di cooperazione di 3-4 anni con il Fondo monetario internazionale».
L’attuale programma di cooperazione tra Ucraina e Fmi nell’ambito del meccanismo di stand-by è stato approvato il 19 dicembre 2018.
L’ammontare del programma di 14 mesi equivale a 3,9 miliardi di dollari. L’Ucraina è in attesa di ricevere una prima tranche di circa 1,4 miliardi di dollari ma a Washington non si fidano di Kiev, dopo aver gettato al vento ben 11 miliardi di prestiti negli ultimi 5 anni senza aver ottenuto nessuna “riforma”. Perché alle riforme del sistema giudiziario e doganale ucraino in chiave anti-corruzione non crede nessuno dopo essere state sbandierate per anni, e le «lacrime e sangue» alla fine non ci sono mai state. Zenelsky ha promesso che taglierà subito i dipendenti della pubblica amministrazione del 50% ma in tempi di campagna elettorale nessuno ministro si prenderà l’onere di diventare il parafulmine di inevitabili proteste di piazza.
Così la missione del Fmi che era giunta a Kiev il 21 giugno è rientrata subito negli Usa: nessuno ha intenzione di sganciare altri denari senza avere in cambio qualcosa di più delle promesse. «Attenderemo le elezioni di luglio e la formazione del nuovo governo prima di stanziare la quota indicata» è stato il mesto commento del capo delegazione del Fmi Ron van Rooden.
Anche perché nell’entourage di Zelensky qualcuno che pensa al default controllato c’è. Si tratta del businessman e socio in affari con il presidente, Igor Kolomoisky. In una intervista al Financial Times il tycoon del Tridente ha sostenuto che l’Ucraina dovrà rifiutarsi di pagare il debito «se non vuole fare la fine della Grecia al guinzaglio del Fmi».
Secondo Kolomoisky «la vittoria di Zelensky alle elezioni ha dimostrato che gli ucraini non vogliono le riforme economiche richieste dal Fondo». Se il nuovo presidente continua ad «ascoltare l’occidente alla fine diventerà come Poroshenko con il 10-15% dei consensi e non il 73%».
Senza timore di irritare i vertici della politica mondiale, come il bimbo della novella di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, Kolomoisky ha gettato in faccia ai lettori la cruda verità:
«Il gioco è tutto geopolitico. Si è usata l’Ucraina per far male alla Russia ma in realtà a nessuno interessa del nostro paese. Gli Usa e la Ue dovrebbero cancellarci il debito come contropartita per le sofferenze che abbiamo subito per colpire la Russia al posto loro» ha concluso l’uomo d’affari.