Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c’è una grossa novità,
l’anno vecchio è finito ormai
ma qualcosa ancora qui non va.
Si esce poco la sera compreso quando è festa
e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane,
e a quelli che hanno niente da dire
del tempo ne rimane.
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,
anche i muti potranno parlare
mentre i sordi già lo fanno.
E si farà l’amore ognuno come gli va,
anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età,
e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età.
Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
e come sono contento
di essere qui in questo momento,
vedi, vedi, vedi, vedi,
vedi caro amico cosa si deve inventare
per poterci ridere sopra,
per continuare a sperare.
E se quest’anno poi passasse in un istante,
vedi amico mio
come diventa importante
che in questo istante ci sia anch’io.
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
io mi sto preparando è questa la novità
“Avremo anche noi dei bei giorni” raccoglie le lettere che Zehra Dogan, giovane giornalista e artista rivoluzionaria, ha spedito, durante i suoi 600 giorni di carcere, a Naz Oke ( vedi in fondo ), che a Parigi anima il sito di informazione Kedistan per la libertà di espressione. Durante questi mesi di detenzione, Zehra non smette un solo giorno di creare, sguarnita di ogni tipo di materiale, fabbrica pennelli con le piume di uccelli, come colori, usa tutto ciò che le capita. Dipinge su pagine di giornali, vestiti, lenzuola. Quando non dipinge, parla con le sue compagne di filosofia, storia, politica. Un racconto luminoso, poetico e duro.
Tutsaklığımın dansı (La danza della mia prigionia) , 2018, curcuma, succo di melograno, caffè, cenere di sigaretta, rossetto, matita da disegno, prospetto di droga, 45 x 70 cm (dal periodo dell’artista nella prigione di Diyarbakır, 2018). Foto: Jef Rabillon. Per gentile concessione dell’artista
Zehra Dogan: i curdi, la prigionia e il caso di Maysoon Majidi.
Incontri Dialogo con la giornalista e artista che ha descritto in un epistolario la sua terribile reclusione in Turchia, nel carcere di Diyarbakir
Cinque anni fa Zehra Dogan è uscita di prigione. Grazie all’epistolario tra lei e la sua amica Naz Oke, pubblicato in Italia da Fandango, il mondo ha potuto conoscere chi era ristretta nel carcere di Diyarbakir nella Turchia sud-orientale: vi si trovavano attiviste curde, strenue oppositrici del governo turco e decine di altre donne costrette a scontare la pena senza mai averne compreso la ragione, con figli stretti al ventre e un orizzonte che aveva preso le sembianze di una lurida finestra incastonata nel cemento. Da allora, la vicenda di Dogan, artista e giornalista curda di 35 anni, condannata dallo Stato turco per un dipinto è diventata racconto, documentario, persino murales di Bansky tra Houston Street e Bowery a Manhattan.
Ez Zehra (I, Zehra) , 2019, piume di uccello cadute durante il cammino, capelli, sangue mestruale, 97 x 140 cm (dal periodo trascorso dall’artista nella prigione di Diyarbakır, conclusosi nella prigione di Tarso, 2019). Per gentile concessione dell’artista
MA LA CONDIVISIONE pubblica della prigionia è cosa delicata e se la memoria delle persone vacilla, la ferita causata dall’oppressore è ostinata e la sua capacità performativa va ben oltre il fine pena. Le pagine che rivelano l’orrore della detenzione sono valorose e rivoluzionarie, ma anche intime, crudeli e a tratti rivoltanti. Per questo Dogan, dopo cinque anni dalla liberazione, ora lontana dal suo paese, si dice stanca. Perché ogni qualvolta qualcuno le chiede conto di quel che è stato, è come se non ne fosse mai veramente uscita. «Capita che cerchi di dimenticarne gli effetti – afferma – ma basta una domanda in più sulla mia detenzione che vengo irrimediabilmente catapultata giù, nelle celle turche. E ci vogliono settimane per uscirne.
Muğdat Ay , 2018 (ritratto di Muğdat Ay, ucciso all’età di dodici anni a Nusaybin, nel febbraio 2016), penna a sfera e tè su asciugamano, 144 x 92 cm (del periodo trascorso dall’artista nella prigione di Diyarbakır, 2018). Foto: Jef Rabillon. Per gentile concessione dell’artista
Per questo motivo tendo a evitare le interviste. Posso trovarmi in una situazione così difficile una volta all’anno, forse due, ma oltre finirei per crollare. So che dovrei testimoniare per il mio popolo ovunque, ma mi sono resa conto che sono anni che non esco di prigione. Penso di averlo fatto, ma ogni volta che ripeto quello che è successo come un pappagallo, ritorno nell’abisso». Eppure, fin troppo consapevole che il suo è un fardello collettivo oltre che privato, Dogan oggi decide di parlare al manifesto in solidarietà con un’altra giovane donna, Maysoon Majidi, detenuta in Italia dallo scorso dicembre con l’accusa di essere una trafficante di esseri umani.
Il Tribunale di Crotone ha rimesso in libertà l’attivista curdo iraniana Maysoon Majdi
ENTRAMBE sono state accusate dai loro rispettivi paesi (Turchia e Iran)di propaganda terroristica per ragioni simili: sono curde, militanti politiche e artiste.
Dogan legge la storia di Majidi all’interno della parabola di un popolo torturato dalla Storia, quello curdo, dove le donne continuano a pagare un prezzo sempre più alto e l’Europa, in questo caso l’Italia, finisce per criminalizzare invece di proteggere.
Ruhumun Sarmaşıkları (Ivies of my soul) , 2016, pittura ad acqua su carta kraft, 62 x 45 cm (del periodo trascorso dall’artista nella prigione di Mardin, 2016). Collezione Editions des Femmes. Foto: Jef Rabillon. Per gentile concessione dell’artista
«Temendo per la sua vita – racconta Dogan – Majidi è fuggita dal regime iraniano e si è recata nella regione autonoma curda. Purtroppo, neanche lì è stata risparmiata da persecuzioni e minacce. Sebbene, infatti, la regione sia stata dichiarata autonoma nella parte meridionale, è purtroppo una neocolonia degli Stati egemoni perché è un punto molto importante in termini di posizione geopolitica e di risorse del sottosuolo. In nome dei cosiddetti interessi della regione autonoma, coloro che la governano sono diventati pedine delle multinazionali americane, dello Stato turco e dello Stato iraniano».
Xêzên Dizî (I disegni nascosti) , 2018–20, graphic novel, 103 carboncino e pennarello su carta da lettere fornita all’artista da un amico, 30 x 21 cm ciascuno. Per gentile concessione di Editions Delcourt
DECINE DI ATTIVISTE, denuncia Dogan, perdono la vita ogni anno in quella regione.
È il caso di Nagihan Akarsel, giornalista e accademica femminista, che nell’ottobre 2022 è stata uccisa per strada da un sicario: dopo essere stato arrestato, l’assassino ha confessato di lavorare per conto dello Stato turco. E lo stesso vale per i militanti curdi che hanno dovuto lasciare l’Iran per motivi politici: arrivano nel Kurdistan meridionale ma vengono uccisi da agenti che lavorano per lo Stato iraniano. «In quei luoghi la vita cammina su una linea sottile, per questo non sorprende che Majidi abbia dubitato della propria sicurezza e sperato di chiedere asilo in Europa». Ma è proprio tramite la sua vicenda – prosegue – che possiamo comprendere la crudeltà di un sistema in cui i paesi occidentali giocano un ruolo di primo piano».
«FINIAMO PER RIMANERE incastrate nell’atmosfera di pace bianca creata nel nostro paese dagli Stati che perseguono i propri interessi, perpetrando guerre e terrore. Per poi essere costrette a dire: ‘Possiamo rifugiarci nel vostro Stato, sicuro e democratico, a causa dell’insopportabile siccità ecologica causata dalle risorse che state succhiando dal nostro paese e dalla guerra in cui ci fate diventare solo pedine da combattere con le armi che vendete?’».
Yağmurun Eseri (The work of the rain) , 2019, trittico, buccia di melograno, muschio, cavolo nero su carta, 21 x 30 cm (dal periodo trascorso dall’artista nella prigione di Tarso, 2019). Foto: Jef Rabillon. Per gentile concessione dell’artista
Nonostante le numerose richieste da parte dei legali, il giudice italiano non ha mai concesso gli arresti domiciliari a Majidi. Il prossimo 18 settembre ci sarà una nuova udienza: la sua detenzione, diversamente da quella di Dogan, è immersa in una lingua straniera. Anche solo da questo elemento, che può sembrare una minuzia, si può comprendere la solitudine in cui versa Majidi. Per questa ragione Dogan insiste sulla portata simbolica della sua prigionia: all’apparenza anonima e senza voce, destinata all’oblio a cui tante persone migranti sono costrette in Europa, è l’immagine eloquente di una contemporaneità che poggia sulla tutela dei diritti umani per poi, come nella storia di Majidi, cederne porzioni in cambio di una flebile percezione di sicurezza.
E ş a Ş ahmeran (Shahmeran’s Pain) , 2016, foulard, pennarello, acrilico, 114 x 151 cm (dal periodo trascorso dall’artista nella prigione di Mardin, 2016). Per gentile concessione dell’artista
Prison No. 5 , una mostra personale di Zehra Doğan, può essere vista al Kiosk, Maxim Gorki Theatre, Berlino, fino ad agosto. La mostra di Doğan Il tempo delle farfalle è in mostra
al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, fino al 19 settembre
Dal numero dell’estate 2021 di ArtReview Asia
ADESSO, CONTINUA L’ARTICOLO DE IL MANFESTO ::
L’ELENCO DI GIORNALISTI e attivisti curdi uccisi continua ad aumentare. Alcuni giorni fa due cronisti curdi dell’emittente Sterk Tv sono stati presi di mira da un drone turco. La loro macchina è saltata in aria nella città di Suleymaniya, nel Kurdistan iracheno. Entrambi erano amici e colleghi di Dogan.
Nûdem Durak è una musicista curda, nata nel 1998, condannata a 19 anni di prigione in Turchia, solo per aver cantato nella sua lingua. È attualmente detenuta a Bayburt.
L’opera di Doğan mostra colonne di fumo sullo sfondo di un paesaggio desolante e deserto, costellato di immagini raffiguranti la bandiera turca in un rosso brillante. Nonostante l’immagine si basasse su una fotografia, le autorità hanno creduto che l’artista fosse legata al Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerato dal governo turco un’organizzazione terrorista. Il caso di Doğan ha destato l’attenzione dei media, dei gruppi di advocacy per i diritti umani, giornalisti e la comunità dell’arte. Banksy ha dedicato un enorme ’dipinto all’artista in prigione lungo l’Houston Bowery Wall lo scorso marzo.
bansky
Il murales, intitolato Free Zehra Doğan, raffigura una serie di segni di conteggio che ricordano le barre della prigione, dietro alle quali compare il ritratto di Zehra. Una di queste barre è in effetti una matita, evidente richiamo all’abolizione turca della libertà d’espressione. Doğan ha ringraziato Banksy mandandogli una lettera illegale dalla prigione di Diyarbakir, nel sud est del Paese, per aver portato alla luce la sua causa, descrivendo le condizioni tremende della sua detenzione. Ovviamente non aveva modo di accedere ai mezzi tradizionali per fare arte, così ha dovuto disegnare sui giornali e le lenzuola, usando del sangue mestruale, riporta il sito turco Bianet.
Spesso non mangiavano.
Una volta trasferita nella prigione di Tarsus, Zehra racconta, spesso non mangiava, sottoposta a condizioni e dinamiche molto pesanti per una donna. Zehra ha descritto. Il suo rilascio, avvenuto lo scorso 24 febbraio, è stato applaudito da molte organizzazioni ed rappresentanti provenienti da tutto il mondo come PEN America, World Citizen, At Risk Artists, Freemuse e Ai Weiwei.
Allo stesso tempo l’artista ha annunciato di voler attirare la stessa attenzione mediatica che ha ricevuto lei sugli altri centinaia di giornalisti e artisti che sono ancora in prigione.
Zehra Doğan
14 aprile 1989, Diyarbakır
Zehra Doğan è un’artista e giornalista curda con cittadinanza turca, nota per essere stata arrestata e condannata per aver pubblicato sui social media un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin dopo gli scontri tra le forze di sicurezza turche e gli insorti curdi.
Giornalista per JINHA, un’agenzia di stampa femminista, Doğan ha dichiarato di essere ancora più determinata di prima a continuare il suo lavoro di giornalista e artista e a lottare. ”Questo dipinto è valso il mio tempo in prigione, perché sono riuscita a mostrare la realtà di Nusaybin.”
Mardin è un importante centro commerciale regionale sulle rotte commerciali est-ovest dell’Anatolia meridionale . È collegato tramite una diramazione alla linea ferroviaria tra Istanbul e Baghdad ed è collegato tramite strada con Gaziantep (ovest), Aleppo (sud-ovest, in Siria ), Nusaybin (sud-est) e Diyarbakır (nord-est).
La provincia di Mardin, confinante a sud con la Siria, è un’area agricola che produce principalmente grano, orzo e sesamo . Le capre d’angora vengono allevate per il mohair e c’è una piccola industria di tessitura di cotone e lana. Oltre ai turchi, la provincia ha una grande popolazione di arabi e curdi.
Rappresentazione artistica della risalita del magma arricchito d’oro (fonte: Nicole Smith, immagine realizzata con Midjourney)
E’ lo zolfo il vero motore che spinge la risalita dell’oro dal mantello alla superficie terrestre, favorendo la formazione di ricchi depositi vicino ai vulcani: lo dimostra il nuovo modello termodinamico sviluppato dal team internazionale di ricerca guidato dalla China University of Geosciences di Pechino.
Lo studio, utile per indirizzare nuove missioni esplorative, è pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).
I depositi d’oro associati ai vulcani si formano nelle cosiddette zone di subduzione nelle quali una placca della crosta terrestre scivola sotto un’altra facilitando la risalita di magma dal mantello sottostante, proprio come accade nella cintura di fuoco nel Pacifico.
“In tutti i continenti attorno all’Oceano Pacifico, dalla Nuova Zelanda all’Indonesia, alle Filippine, al Giappone, alla Russia, all’Alaska, agli Stati Uniti occidentali e al Canada, fino al Cile, abbiamo molti vulcani attivi“, osserva uno degli autori dello studio, Adam Simon dell’Università del Michigan. “Tutti questi vulcani attivi si formano in zone di subduzione. Gli stessi tipi di processi che determinano le eruzioni vulcaniche sono processi che formano depositi d’oro“.
Nelle zone di subduzione in cui la placca del Pacifico scivola sotto le placche continentali vicine, si possono creare particolari condizioni di pressione e temperatura che favoriscono il passaggio di ioni trisolfuro
dalla placca in subduzione al mantello:
qui avviene il legame con l’oro, che dà vita a un complesso molecolare altamente mobile nel magma.
I ricercatori lo hanno dimostrato attraverso un nuovo modello termodinamico basato su esperimenti di laboratorio condotti in condizioni controllate di temperatura e pressione. I risultati “forniscono una robusta comprensione di ciò che porta in certe zone di subduzione alla produzione di depositi minerali molto ricchi di oro“, aggiunge Simon. “Combinare i risultati di questo studio con studi esistenti migliora la nostra comprensione di come si formano i depositi di oro e può avere un impatto positivo sull’esplorazione”.
* blog fondato nel 2006 da Fabrizio Centofanti come blog personale nel 2006, diventa collettivo con il contributo di Antonella Pizzo e soprattutto di Franz Krauspenhaar.
Canto dei morti invano
di Primo Levi
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purché trattiate e contrattiate
Le vite dei nostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L’esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino,
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d’Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl’innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perché siamo i vinti.
Invulnerabili perché già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finché la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
1a edizione:: Garzanti, 1984
altra edizione, Garzanti, 2019
2019 Garzanti
Ad ora incerta raccoglie sessantatré poesie e dieci traduzioni. Le poesie coprono un arco di quarant’anni, dal 1943 (Crescenzago) al 1984, quando Levi usava pubblicarle sulle pagine culturali del quotidiano torinese «La Stampa».
INTRODUZIONE DI PRIMO LEVI
«In tutte le civiltà, anche in quelle ancora senza scrittura, molti, illustri e oscuri, provano il bisogno di esprimersi in versi, e vi soggiacciono: secernono quindi materia poetica, indirizzata a se stessi, al loro prossimo o all’universo, robusta o esangue, eterna o effimera. La poesia è nata certamente prima della prosa. Chi non ha mai scritto versi?
Uomo sono. Anch’io, ad intervalli irregolari, «ad ora incerta», ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico. In alcuni momenti, la poesia mi è sembrata più idonea della prosa per trasmettere un’idea o un’immagine. Non so dire perché, e non me ne sono mai preoccupato: conosco male le teorie della poetica, leggo poca poesia altrui, non credo alla sacertà dell’arte, e neppure credo che questi miei versi siano eccellenti. Posso solo assicurare l’eventuale lettore che in rari istanti (in media, non più di una volta all’anno) singoli stimoli hanno assunto naturaliter una certa forma, che la mia metà razionale continua a considerare innaturale.
Primo Levi»
Introduzione di Primo Levi alla prima edizione Garzanti 1984, collana «Poesie».
- “Noi della Marna e di Montecassino”: con riferimento alla prima (settembre 1914) e seconda (luglio/agosto 1918) battaglia della Marna. Il bilancio complessivo fu di quasi 800.000 perdite tra morti e feriti.
A Montecassino, invece, tra il gennaio ed il maggio del 1944 le forze alleate combatterono diverse battaglie contro quelle nazifasciste. Il bilancio fu anche qui gravissimo, circa 150.000 morti dei quali 90.000 facevano tutti parte della Quinta Armata USA.
- “noi… di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima: con riferimento ad un villaggio a nord est di Varsavia dove i nazisti nel 1942 costruirono uno dei più famigerati campi di sterminio; a Dresda i bombardamenti alleati del 13 e 14 febbraio 1945 causarono tra i 25.000 e i 35.000 morti, la città fu rasa al suolo; quanto a Hiroshima…
- “E saranno con noi i lebbrosi e i tracomatosi”: lebbra e tracoma (entrambe malattie da infezioni batteriche, la prima colpisce la pelle e le terminazioni nervose periferiche, il secondo gli occhi) sono due flagelli tipici delle aree più povere del mondo. Mentre la lebbra è stata combattuta abbastanza efficacemente negli ultimi decenni, il tracoma invece colpisce ancora decine di milioni di persone, soprattutto bambini.
** il titolo deriva da Coleridge, poeta, filosofo, critico letterario inglese:
«Since then, at an uncertain hour
That agony returns:
And till my ghastly tale is told
The Heart within me burns
Da quel momento,
ad un’ora imprecisa
Quell’agonia mi torna;
E fino a che non ho detto la mia storia
di morti, dentro mi brucia il cuore.
Samuel Taylor Coleridge (Ottery St. Mary, Devonshire, 1772 – Highgate, Londra, 1834-) -versi da ” La ballata del vecchio marinaio “– La traduzione dei versi citati è di Beppe Fenoglio, Einaudi, 1964
****
Musica del compositore spagnolo Luis de Pablo Costales, secondo movimento dell’opera per orchestra e coro maschile intitolata “Passio” (2006), basata su testi di Primo Levi e dedicata alla memoria di Antonio José, compositore originario di Burgos, fucilato dai franchisti nel 1936.
Il suo nome proviene da Mesnil ma temps, cioè “casa del maltempo”, ma nel XVI secolomau temps fu storpiato in montant (in italiano “che si inerpica”) per la sua posizione su una collina che sovrasta Parigi
Clément Maurice ( ph ) Paris en plein air, BUC, 1897, Le Marché de Ménilmontant
Rosa Kazanlik ‘Trigintipetala’ (parentela sconosciuta, molto antica)
Si tratta della rosa damascena che viene coltivata in Bulgaria (ma anche in Marocco, in Iran e in Turchia) per l’estrazione dell’olio essenziale.
Oltre ad essere una rosa molto bella per il suo aspetto un pò scomposto e misterioso, è una rosa generosa nella crescita e sana, ma soprattutto ricca di essenza di rosa.
Appartiene alle rose damascene che sono quelle più ricche di profumo
cecile brunner:: il nome della rosa
28 aprile 2024
Iniziano le fioriture
Quella che vi presento oggi è la Cecile Brunner clg, una delle rose rampicanti che preferisco per la sua generosità, salute e dimensione. Fogliame verde intenso con una generosa fioritura primaverile, ma che si ripete più volte durante l’anno. Deriva da una mutazione della sua sorella più piccola la polyantha Cecil brunner (Ducher ante 1880) e fu scoperta da Franz Hosp in California (1894). Rami con poche spine.
In questi giorni i fiori cominciano ad a aprirsi e la piena fioritura sarà fra 4-5 giorni: il bocciolo ha una forma allungata molto elegante e delicata, si apre in modo compatto, profumo dolce persistente.
Le prime 4 foto sono fatte oggi, mentre le altre 4 sono del nostro archivio e risalgono al 9 maggio 2012. La pianta sembra non aver perso il suo vigore nonostante siano passati 12 anni.
Una nota positiva in più: a quanto pare il fiore non è gradito alla Oxythirea funesta e come vedete è perfetto.
Apparentemente marginale, la grafica rappresenta il miglior approccio all’opera del maestro. Da lui considerata disciplina superiore a tutte le altre, la Griffelkunst (arte dello stilo) secondo Klinger è più potente della pittura perchè riesce a mettersi in connessione profonda con l’impulso interiore che spinge alla creazione. Una presa di posizione romantica che nulla toglie al fatto che la produzione grafica dell’artista si mantenga come il punto di osservazione migliore per comprendere il suo percorso sviluppato anche in scultura, pittura e musica.
Max Klinger, Tritone e Nereide (1895; olio su tela, 100 x 185 cm; Firenze, Galleria d’Arte Moderna, in deposito da Villa Romana)
Klinger sceglie di tenere molto alta la linea dell’orizzonte, a poca distanza dal bordo superiore del dipinto, accantonando qualunque tentativo d’equilibrio compositivo, tralasciando qualunque norma accademica, per far risaltare il momento di passione tra le creature marine. Un accenno di cielo nuvoloso in lontananza, e poi la distesa del mare: le due figure emergono tra i flutti, si lasciano trasportare dall’acqua, incuranti dell’impeto delle onde, chiaro rimando all’irruenza travolgente della loro passione. La nereide è immaginata da Klinger come una sirena: sdraiata sul dorso, è colta di lato, e noi ammiriamo i delicati toni rosacei del suo morbido incarnato, indugiamo sul braccio che avvolge il collo di lui, sui capelli rossi bagnati dall’acqua, vediamo la sua coda squamosa che s’attorciglia attorno ai glutei del tritone, dotato di gambe che a loro volta terminano con code di pesce. Il tritone, un adolescente dai capelli corvini e dalla carnagione olivastra, chiude gli occhi dopo aver trovato la bocca della nereide, incolla le sue labbra a quelle di lei, preme il petto contro il seno della ninfa, con la mano sinistra s’appoggia alla sua coda, incurante delle onde, trascinato dalla passione, rovente, vivo, sedotto. Sulle prime, la scena di Klinger appare come un idillio d’amore tra due abitanti del mare, ma l’ambiguità simbolista del dipinto dell’artista tedesco dischiude però ulteriori significati, meno rassicuranti: l’inquietante occhio arrossato della ninfa e lo stesso mare mosso potrebbero alludere alla natura ingannatrice della sirena, ai rischi che corre chiunque si faccia abbracciare da lei, ai pericoli della sua seduzione fatale. Un senso d’angoscioso turbamento che viene amplificato dalla luce cupa del cielo, dalle nuvole che s’addensano sopra l’orizzonte. L’abbraccio allora ci apparirà una morsa energica e indissolubile, la coda ci sembrerà un tentacolo pronto ad avvinghiare la vittima, l’apparente abbandono della ninfa diverrà la posizione della sirena pronta a trascinare negli abissi il suo amante, malgrado lui opponga un tentativo di divincolarsi, provando a spingere sulla coda con la mano sinistra.
“C’è qualcosa di misterioso nelle azioni delle sirene. Ci si possono immaginare tante cose dolci e allo stesso tempo tante cose terribili sotto l’acqua. I pesci, gli unici che possono saperne qualcosa, sono muti. Oppure tacciono per prudenza? Temono una punizione crudele se tradiscono i segreti del tranquillo regno acquatico?” ( Heinrich Heine ). Il quadro di Klinger pare una traduzione iconografica delle parole di Heine, un’immagine che trasmette con efficacia il temperamento oscuro, imperscrutabile, enigmatico delle sirene. Il capolavoro più libero, il dipinto più sensuale, l’invenzione più originale per omaggiare il fondatore della casa per artisti.
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RIPRENDIAMO LE INCISIONI DI MAX KLINGER
Cristo e le donne peccatrici
Un nucleo importante del lavoro di Klinger è il rapporto con l’antico, non solo indirizzato al recupero delle favole e delle figure mitologiche ma – come sottolinea De Chirico – al recupero dello spirito classico.
È il contrario dell’impossibile ritorno alla grandezza del passato che tanto tormentava un preromantico come Füssli, la cui generazione aveva guardato alle rovine con malinconia. Klinger e Böcklin recuperano invece il sentimento panico in tutte le sue implicazioni – erotismo, aggressività, abbandono, sensorialità – con una carica di vitalismo del tutto opposta al senso di perdita. A comprendere questa vena del lavoro è ancora De Chirico che ammira in Klinger la grandezza del suo classicismo inattuale in grado – egli sostiene – di far comprendere alcuni aspetti dell’arte antica.
Il realismo è un’altra sponda del lavoro di Klinger non solo visibile nello stile ma anche nella scelta di testimoniare le sommosse sociali a cui assistette, temi che probabilmente segnarono il favore di un’altra artista e disegnatrice fortemente impegnata come Käthe Kollwitz. Nonostante una grande attenzione al destino delle donne, soprattutto quelle sedotte e abbandonate, non possiamo aspettarci figure libere da pesanti stereotipi: angeli o demoni, prostitute o sante, tutte rimangono segnate da quell’immaginario patriarcale che ha il suo apice immaginativo proprio nel passaggio da un secolo all’altro.
Rapimento, 1878- 1880
Non a caso, Klinger riesce a riscattare una freschezza di sguardo e una libertà immaginativa proprio dove è libero da temi o tesi dimostrative, quando soprattutto si distacca dal moralismo dell’epoca. Alcune delle immagini degli Intermezzi (1881)slegate da narrazioni, o tutta la serie dell’Opus VI. Un guanto (1981) riescono a mantenere una grande leggerezza e incisività di segno che richiama la produzione di un insospettabile come il disegnatore Beardsley.
TESTO DA: di Serena Simoni RAVENNA & DINTORNI –28 Novembre 2018
LA GERMANIA DELL’EST era il nome della Repubblica Democratica Tedesca. Oggi indica una zona geografica che comprende 5 land tedeschi nella parte centro-orientale della Germania: Brandeburgo, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia e la città-stato di Berlino.
LA CITTADELLA VERDE E’ ROSA — CENTRO DI MAGDEBURGO
La cittadella verde
Nel centro di Magdeburgo svetta un edificio dall’eccentrico colore rosa conosciuto come Grüne Zitadelle, la Cittadella Verde. Si tratta di una delle ultime opere di Friedensreich Hundertwasser, il versatile artista austriaco (definito il Gaudì viennese) che ha anticipato alcuni principi della bioarchitettura nelle sue attività sparse in Austria, Germania, Giappone, Stati Uniti, Israele, Svizzera e Nuova Zelanda.
Il complesso residenziale, che occupa circa 5000 metri quadri, è stato realizzato dopo la demolizione di un triste (diciamolo) palazzo della DDR in soli due anni ed è stato inaugurato dopo la morte del suo ideatore.
È caratterizzato dall’assenza di linee geometriche classiche, dall’abbondanza di finestre e da un giardino sul tetto che giustifica il nome di Cittadella Verde. Alla base dell’edificio si trovano tanti negozietti, gallerie d’arte, una caffetteria, un teatro e un ristorante che rendono il luogo un punto di ritrovo di locali e turisti.
Il regalo dell’artista André Heller in onore del suo defunto amico e collega artista Friedensreich Hundertwasser per il suo impegno ecologico è una scultura vegetale con una bocca da cui sgorga l’acqua.
La coltivazione del salice nel parco termale di Bad Blumau è unica nella regione. Una grande cupola interna (22 m di diametro, 8 m di altezza) è incorniciata da tante piccole cupole. È stato realizzato da giovani con l’aiuto dell’architetto di salici di fama internazionale Marcel Kalberer. Rilassatevi all’ombra delle cupole. Senti l’armonia di un edificio imponente con la natura.
La casa principale con la cupola dorata e una sezione della casa in mattoni. Rogner Bad Blumau – Opera propria
Il Kunsthaus di Rogner Bad Blumau è modellato sul Kunsthaus di Vienna, anch’esso progettato da Friedensreich Hundertwasser. Intentionalart – Auto-fotografato
Una delle case a fessura per gli occhi Claus Ableiter – Opera propria
Una delle tre case a fessura che Friedensreich Hundertwasser ha potuto realizzare nel Thermenhotel Rogner Bad Blumau, Bad Blumau, Stiria, Austria. La casa è costruita sulla collina e ricoperta di vegetazione. Ciò corrisponde alla richiesta di Hundertwasser: la verticale appartiene all’uomo, l’orizzontale appartiene alla natura. La forma della facciata ricorda le fessure per gli occhi con cui Friedensreich Hundertwasser dipinse il suo popolo sin dalla sua collaborazione con il suo amico pittore di sempre Réne Bro. Questa forma è particolarmente chiara in questa immagine.
Piscine sportive e formative Josefa Gross – Josefa Groß
Nannarella è un’ ex cantante folk (vero nome Anita Nannunzi)–
(Roma, 22 aprile 1946), è una cantante italiana attiva principalmente negli anni settanta.
‘Con o senza gli americani, noi curde continuiamo a combattere per la democrazia’ Conversazione con Nasrin Abdallah, comandante delle unità femminili di protezione popolare (Ypj) delle Forze democratiche siriane (Fds).
Siria/Italia Migliaia di persone tra Roma, Palermo, Firenze…oggi tocca a Milano. In piazza si chiede di difendere il modello del confederalismo democratico in queste ore di nuovo minacciato dalla Turchia
Uno degli striscioni ieri in piazza a Roma per il Rojava – Enrica Muraglie
Ci sono pochi passi tra l’ambasciata turca a Roma e le centinaia di persone che ieri hanno animato il presidio «in difesa del Rojava», a piazza Indipendenza.
Con la Turchia alle porte di Kobane, la città simbolo della resistenza curda,l’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia (Uiki) ha voluto raccogliere le voci a sostegno del «modello di convivenza pacifica, democrazia diretta e autodeterminazione» che in queste ore è sotto minaccia.
Un modello che evidentemente convince giovani e giovanissimi: «L’esperimento del confederalismo democratico in una zona dilaniata dalla guerra è un esempio di come si possa costruire una società migliore anche in un clima sfavorevole – dice al manifesto uno studente dell’università La Sapienza – nel momento in cui tutto ciò è a rischio, da parte nostra è quasi obbligatorio esserci».
E ci sono state anche le città di Palermo, Bari, Firenze, Torino. Oggi segue Milano.
«FREEDOM for Abdullah Öcalan», lo storico fondatore del Pkk, «Difendiamo il Rojava per una nuova Siria democratica», bandiere che ricordano le Ypg, le unità di protezione popolare che hanno respinto l’assalto dell’Isis alla città di Kobane, nel 2015.
Ma lo slogan più cantato è «Jin, jiyan, azadî» ( DONNA VITA LIBERTA’ ), quelle tre parole che hanno costruito il progetto del confederalismo democratico «basato sul rispetto, il multiculturalismo, la parità di genere e l’organizzazione orizzontale del potere – dice dal palco Non una di meno – ma soprattutto sull’autodeterminazione di popoli assoggettati da troppo tempo agli interessi occidentali».
Anche per Jacopo di Potere al Popolo Roma la «rivoluzione socialista, femminista ed ecologista» è in pericolo, e sollecita la mobilitazione universitaria «per chiedere il boicottaggio e il disinvestimento tanto nei confronti di Israele quanto della Turchia» di Recep Tayyip Erdogan. Solo «l’anti-imperialismo e la giustizia sociale assicurano la pace».
SAID DURSUM
«I curdi non vogliono un’indipendenza dalla Siria, non vogliono dividerla, vogliono essere autonomi» ci racconta Said Dursun del centro socio-culturale Ararat. «Ormai dovrebbe essere evidente, e non dovrebbe essere accettato, l’odio che la Turchia nutre nei nostri confronti. In Turchia molti curdi sono in carcere, ma la nostra lotta ha difeso il mondo dai tagliagole dell’Isis».
Sait, dal Kurdistan a Roma: “Così il legno abbandonato rivive nei miei giocattoli”- La Repubblica, 2019
Che agli stati occidentali faccia comodo una Siria debole e frammentata è l’idea di Erol Aydemir, regista curdo e parte della comunità curda a Roma. «È vero che la Russia e l’Iran non ci sono più, ma il gruppo jihadista Hay’at Tahrir al Sham non ha un progetto per una Siria unita, anche se adesso provano a cambiare faccia». Il progetto è chiaro ed «è contro quello che noi abbiamo costruito ormai da 13 anni, perché lo Stato islamico non può accogliere tutte le minoranze e i popoli che vivono in Siria».
«SOLTANTO a Qamislo convivono sei nazionalità diverse», proprio nella città dove giovedì decine di migliaia di persone hanno manifestato in sostegno delle Forze democratiche siriane e per chiedere la fine della guerra. Per lo Stato islamico «le donne non possono lavorare, le donne non devono “essere”, se non in casa o per mettere al mondo dei bambini». Ma «con il nostro progetto, i popoli siriani possono vivere in pace», conclude Aydemir.
Per gli attivisti di Uiki non si parla abbastanza dei giornalisti e delle giornaliste curdi «uccisi dalla Turchia nella più totale impunità».
Il 19 dicembre Nazım Dastan e Cihan Bilgin sono stati uccisi da un drone nel nord della Siria. Stavano lavorando a un reportage sugli scontri intorno alla diga di Tishreen, presa di mira negli ultimi giorni da parte dell’esercito turco e dall’Esercito nazionale siriano.
NOTA :
La diga di Tishrīn
La diga è stata costruita a 90 chilometri a est di Aleppo tra il 1991 e il 1999. La diga si trova lungo il corso dell’Eufrate ed oltre a quest’ultimo viene alimentata anche dal fiume Sajur. A monte della diga v’è ne un’altra più grande, la diga di Tabqa.
PORTOGRUARO NELLA CITTA’ METROPOLITANA DI VENEZIA IN VENETO.
E’ PARTE DEL VENETO ORIENTALE, ANCHE SE — geograficamente, essendo a est del fiume Livenza — SAREBBE NEL FRIULI OCCIDENTALE– https://it.wikipedia.org/wiki/Livenza
Laveno- Mombello visto dal traghetto di Verbania Torsade de Pointes – Opera propria
mappa di Laveno- Mombello – provincia di Varese, Lombardia / Lago Maggiore
Vonvikken
Luigi Carlo Filippo Russolo (Portogruaro, 1885 – Laveno-Mombello, 1947), pittore, compositore ed inventore di strumenti musicali, è stato uno dei principali esponenti del futurismo: il suo nome compare tra i firmatari del Manifesto della pittura Futurista e del Manifesto tecnico della pittura Futurista. Le sue elaborazioni pittoriche non sono in gran numero, in quanto per un lungo periodo si dedicò esclusivamente alla musica, campo nel quale si cimentava sin da piccolo. Russolo, infatti, proveniva da una famiglia di musicisti, e il suo contributo nel campo della composizione fu decisamente innovativo, introducendo i rumori come elemento musicale e la dodecafonia e realizzando strumenti musicali inediti che chiamòIntonarumori.
I dipinti di Russolo spaziano inizialmente tra il simbolismo e il divisionismo, per poi assimilare i dettami futuristi della scomposizione e della compenetrazione di piani.
Inoltre, Russolo studiò il movimento di persone e macchine, in affinità con le ricerche di Giacomo Balla e di Umberto Boccioni, con il quale instaurò un rapporto confidenziale.Nell’ultima fase della sua pittura, approdò a rappresentazioni paesaggistiche con evidenti influenze filosofiche e spirituali, che aveva abbracciato nella sua vita.
Luigi Russolo
La vita di Luigi Russolo
Luigi Russolo nacque a Portogruaro, nei pressi di Venezia, il 30 aprile 1885. Era il penultimo di cinque fratelli nati dall’unione tra il padre Domenico, un orologiaio, nonché organista del duomo della cittadina e direttore della Schola Cantorum di Latisana, e la madre Elisabetta Michielon. Dopo aver frequentato il liceo ginnasio, nel 1901 Russolo seguì a Milano i due fratelli maggiori, Giovanni e Antonio, entrambi studenti al Conservatorio Giuseppe Verdi. Sin da piccolo Russolo si era interessato alla musica, passione molto diffusa in famiglia, e, una volta cresciuto, si appassionò anche alla pittura.
A Milano seguì alcuni corsi all’Accademia di Brera e lavorò come apprendista durante i restauri delle decorazioni delle sale del Castello Sforzesco e del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Nel 1909 avvennero diversi avvenimenti importanti per la carriera artistica di Russolo. In questo anno produsse le prime opere, partecipò all’annuale Mostra del Bianco e del Nero alla Famiglia Artistica di Milano e grazie a questa occasione conobbe i pittori futuristi Umberto Boccioni e Carlo Carrà. Divennero molto amici e insieme a loro, e ad altri artisti, ebbe l’opportunità di conoscere di persona Filippo Tommaso Marinetti, capostipite del Futurismo, nel febbraio 1910. Così, avvenne ufficialmente il suo ingresso nel movimento e Russolo iniziò ad essere presente in tutte le serate futuriste e a tutte le mostre, sia in Italia che all’estero. Tuttavia, dopo aver dipinto diverse opere futuriste, per un lungo periodo Russolo abbandonò l’arte preferendo dedicarsi completamente alla musica.
Nel 1913 redasse il Manifesto dei rumori, in cui teorizzò l’utilizzo dei rumori a scopo musicale basandosi su alcuni esperimenti a cui era solito dedicarsi, in pieno clima futurista. Il Novecento, del resto, grazie allo sviluppo della società industriale era caratterizzato da un utilizzo sempre più diffuso di macchinari che scandivano le giornate quotidiane con i loro rumori, senza contare poi l’invenzione dell’automobile.
Russolo, nelle prime righe del Manifesto, spiegava proprio come fino a quel momento la vita degli uomini si fosse svolta “in silenzio o per lo più in silenzio” e come invece la musica si fosse adattata alle novità, virando verso la polifonia e ricercando strutture ed accordi sempre più complessi e dissonanti. Peraltro, Russolo inventò nuovi strumenti musicali che costruì di sua mano, a cui diede il nome di Intonarumori: erano macchinari in grado di riprodurre suoni di vario genere (boati, scoppi, risate, fruscii e via discorrendo) e modificarli a piacimento azionando una manovella.
Spesso Russolo organizzava i “concerti rumoristi”, che tuttavia non suscitavano grande apprezzamento nel pubblico, il quale protestava vivacemente anche lanciando oggetti ai musicisti. Fece scalpore il Gran concerto futurista per intonarumori del 1914 al Teatro Dal Verme di Milano, in cui mise insieme un’orchestra per 18 intonarumori, incontrando tuttavia una reazione piuttosto violenta del pubblico tra fischi, urla e tafferugli vari, finché non intervennero le forze dell’ordine. Russolo, ad ogni modo, replicò il concerto a Genova e a Londra, arrivando a conoscere Igor Stravinskij.
Come altri esponenti del Futurismo, tra cui Boccioni, Antonio Sant’Elia e Mario Sironi, Russolo nel 1917 si fece coinvolgere dai fermenti bellici e si arruolò per poter partecipare alla prima guerra mondiale.
Entrò a far parte del battaglione volontari ciclisti lombardi e rimase gravemente ferito a Malga Camerona, sul monte Grappa. Ritornò a casa per curarsi e passò quasi due anni in diversi ospedali, tra Napoli, Genova e Milano, un periodo che trascorse con molti turbamenti interiori. Una volta guarito, l’artista tornò a suonare, a costruire strumenti musicali e a dipingere, partecipando alla Grande esposizione nazionale futurista del 1919, e di nuovo nel 1920.
Quando il Fascismo iniziò a prendere sempre più piede nella vita politica italiana, Russolo decise di non aderirvi e venne così escluso dai Futuristi, con cui tuttavia si riavvicinò in seguito grazie all’intercessione di Enrico Prampolini. Le sue musiche vennero utilizzate per tre film futuristi, in cui comparve anche come protagonista.
Nel 1926, segnato da difficoltà economiche, Russolo iniziò a lavorare come operaio, e nello stesso anno si sposò con una maestra elementare di nome Maria Zanovallo.
Continuò ad esporre le sue opere per tutti gli anni Venti e nel 1930 aderì al collettivo Cercle et Carré. Intorno al 1929, Russolo fece amicizia a Parigi con un italiano cultore di scienze occulte, e grazie a questa frequentazione iniziò ad interessarsi alle filosofie orientali e a praticare lo yoga.
Morì a Laveno Mombello, nei pressi di Varese, il 4 febbraio 1947, tre anni dopo l’amico Marinetti per cui aveva tenuto l’elogio funebre.
Luigi Russolo, Autoritratto con teschi (1909; olio su tela, 67 x 50 cm; Milano, Museo del Novecento)
Luigi Russolo, Profumo (1910; olio su tela, 65,5 X 67,5 cm; Rovereto, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Collezione VAF-Stiftung)
Luigi Russolo, Chioma (1910-1911; olio su tela; Collezione privata)
Luigi Russolo, Periferia-lavoro (1910; olio su tela, 77 x 61 cm; Collezione privata)
Luigi Russolo, Lampi (1910; olio su tela; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Luigi Russolo, La Rivolta (1911; olio su tela, 150,8 x 230,7 cm; L’Aia, Kunstmuseum)
Lo stile e le opere di Luigi Russolo
L’esordio pittorico di Luigi Russolo alla mostra della Famiglia Artistica Milanese del 1909 era costituito da una serie di acqueforti molto influenzate dal simbolismo.
Lo dimostra l’opera Autoritratto con teschi (1909),in cui il pittore è ritratto con un’espressione sconvolta mentre è circondato da una serie di teschi che lo guardano, lasciando intuire la presa di coscienza dell’artista circa la mortalità umana e come la vita sia piena di futilità, che diventano nulla dopo la morte.
Alla mostra era presente Umberto Boccioni, che intuì il talento di Russolo e gli suggerì una riflessione sul proprio stile e sulla ricerca della modernità. Le opere successive, in effetti, riflettono gli spunti emersi dalla frequentazione con Boccioni, e per lo più si tratta di incisioni con figure della madre e della sorella, insieme a paesaggi di periferie industriali.
Il nome di Russolo comparve poco dopo tra i firmatari sia del Manifesto della pittura futurista che del Manifesto tecnico della pittura futurista, redatti ad un giorno di distanza l’uno dall’altro nel 1910, insieme a Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Gino Severini.
I due manifesti, il primo teorico e il secondo contenente i dettami sullo stile e la tecnica da seguire, sono considerati come tappe fondamentali del Futurismo in pittura e alcuni tra i più decisi proclami di modernità nell’arte. Il manifesto si basava, infatti, sui concetti del rifiuto del “passatismo” e sull’esaltazione delle novità moderne. Firmò anche il manifesto Contro Venezia Passatista redatto nello stesso anno da Marinetti. Russolo, da quel momento in poi, partecipò a tutte le Serate Futuriste e alle mostre del movimento, sia in Italia che all’estero.
Proprio nel 1910 Russolo firma una delle opere più famose, Profumo. Il dipinto è l’evidente risultato di un’approfondita ricerca volta a coinvolgere l’osservatore non solo con la vista, ma anche con gli altri sensi. Guardandolo, si ha infatti la sensazione di percepire lo stesso profumo che inebria la protagonista, attraverso l’espediente dell’onda creata con filamenti di colore. Una soluzione che è possibile ritrovare proprio nei primi lavori di Boccioni e di Balla. Un’impostazione molto simile si ritrova in Chioma.Quest’opera deriva da alcune incisioni risalenti al 1906 in cui Russolo aveva ritratto la sorella quindicenne Tina, e nella versione realizzata su tela permeano degli elementi simbolisti, evidenti negli occhi della donna da cui provengono dei fasci di luce, mentre per rendere le onde dei capelli utilizza gli ormai consueti filamenti di colori vivaci. Dello stesso periodo anche Periferia-lavoro (1910), e la serie di tre grandi dipinti Lampi (1910), in cui è protagonista la periferia industriale, con le sue ciminiere fumanti e i lampioni che illuminano la scena in maniera artificiale.
La Rivolta (1911) è un altro dipinto sperimentale di Russolo, in cui l’energia sprigionata da un gruppo di persone che partecipa ad una manifestazione si propaga per tutta la città in forma di linee geometriche che ricordano delle frecce, simbolo di velocità e di forza. Lo stesso modo di esprimere il propagarsi e il diffondersi di un qualcosa di potente si ritrova in La musica (1911). Qui, il suono proveniente da un pianoforte diventa un’onda che raggiunge una serie di volti che ricordano le maschere teatrali, sorridenti ma al tempo stesso quasi inquietanti. Ricorrenti anche in questo quadro le forme tondeggianti e le curve sinuose.
Un’opera decisamente particolare è Ricordo di una notte (1912) in cui Russolo ha inserito sulla tela un collage di immagini e situazioni vissuti durante una nottata, come fossero dei flash oniriciche richiamano alla mente sensazioni ed emozioni che riaffiorano a poco a poco. Si riconoscono persone che passeggiano, lampioni, una folla di persone, profili femminili e persino un cavallo. In quest’ultima opera, come nelle precedenti, lo stile di Russolo è ancora molto influenzato dal simbolismo e del divisionismo.
In Notturno + scintille di Rivolta (1911), iniziano ad emergere le prime sperimentazioni sulla scomposizione dei piani e degli oggetti e la loro ripetizione seriale, che tornano soprattutto inSintesi plastica dei movimenti di una donna (1912-1913).
In quest’opera, il movimento citato nel titolo viene proposto da diverse angolazioni che vengono tutte riportate sulla tela contemporaneamente, in pieno allineamento con le ricerche sullo stesso tema a cui si stava dedicando Balla, studiando la fotografia e le animazioni.
Un’altra opera molto vicina alle ricerche di Balla èSolidità della nebbia (1913), in cui il fenomeno atmosferico è presentato come un corpo solido, in forma di una serie di cerchi concentrici che sono attraversati dalla luce artificiale di una lampada elettrica presente in alto. I cerchi avvolgono i protagonisti, un gruppo di persone che probabilmente sono dei soldati (il primo reca in mano un qualcosa che sembra una bandiera).
Uno dei quadri che racchiude la quasi totalità degli ideali futuristi è certamente Dinamismo di un’automobile (1912-1913). Le automobili erano molto esaltate da Marinetti e dai suoi come simbolo che incarna in pieno l’energia vitale, nonché dell’irrazionalità e della pazzia.
Proprio nel Manifesto futurista si leggeva “… Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia è più bella della Nike di Samotracia”. Russolo enfatizza la velocità della macchina attraverso l’uso di colori molto vivaci (il rosso, il giallo)e le consuete “linee forza”, simili a frecce, che già erano presenti in La Rivolta e che qui sono presenti come più strette a sinistra e più larghe a destra, per rappresentare la vittoria della macchina sulla resistenza dell’aria.
Sempre molto vicino al Futurismo e alla scomposizione analitica delle forme è un’altra opera del 1912, Compenetrazione di case + luce + cieloin cui un paesaggio urbano apparentemente semplice è scomposto in più piani che si succedono uno dopo l’altro, compenetrati da due intensi fasci di luce.
Nel 1919,oltre ad essere sempre presente in diverse esposizioni nazionali ed internazionali, pubblicò il pamphlet Contro tutti i ritorni in pittura, scritto in collaborazione con Leonardo Dudreville, Achille Funi e Mario Sironi, in aperta polemica con il ritorno all’ordine che sempre più di frequente compariva negli ambienti artistici.
Dopo una parentesi in cui abbandonò la pittura, Russolo tornò a dipingere negli anni Venti con Ritratto di fanciulla (1921) in cui il tanto precedentemente vituperato ritorno all’ordine viene in realtà abbracciato,in una sorta di “simbolismo spirituale”, che riflette gli studi e gli approfondimenti filosofici a cui Russolo si era avvicinato. Della stessa tipologia anche La Femme aux Bulles de Savon (1929).
Nel mezzo, ovvero intorno al 1926, un’opera dal titolo Impressioni di Bombardamento, shrapnels e granate che richiama ancora elementi di stampo Futurista come le linee-forza dinamiche e spezzate che riproducono le azioni belliche, in una modalità tuttavia figurativa, rafforzata dalla presenza in basso di un gruppo di soldati che si ripara dietro un muretto.
L’opera del 1938 Aurora Boreale inaugura l’ultima fase della pittura di Russolo, caratterizzata dall’adesione piena alle teorie mistiche e filosofiche, in cui predominano scene di paesaggio costruiti su piani orizzontali e permeati da un senso di calma, rafforzata dall’utilizzo di colori come il verde, il blu, e qualche sprazzo di arancio o giallo per rappresentare la luce, come Riflessi e Notturno, entrambi del 1944. Unica eccezione,Bach e Beethoven, del 1946, in cui torna a citare la sua grande passione per la musica inserendo i ritratti di musicisti all’interno di nuvole che sovrastano paesaggi luminosi e in fiore.
Luigi Russolo, Ricordo di una notte (1912; olio su tela; Collezione privata)
Luigi Russolo, Sintesi plastica dei movimenti di una donna (1912-1913; olio su tela, 86 x 65 cm; Grenoble, Musée de Grenoble)
Luigi Russolo, Solidità della nebbia (1913; olio su tela; Collezione privata)
Luigi Russolo, Dinamismo di un’automobile (1912-1913; olio su tela, 139 x 184 cm; Parigi, Centre Pompidou)
Luigi Russolo, La Femme aux Bulles de Savon (1929; olio su tela; Parigi, Centre Pompidou)
Luigi Russolo, Impressioni di Bombardamento, shrapnels e granate (1926; olio su tela; Portogruaro, Collezioni comunali)
Dove vedere le opere di Luigi Russolo
Le opere di Russolo sono presenti in diversi musei di grande importanza, sia nazionali che internazionali. Nella città natale dell’artista, Portogruaro, si trova il dipinto Impressioni di un bombardamento shrapnels e granate (1926), nella collezione comunale. A Venezia, vicina a Portogruaro, è presente Solidità della nebbia (1912) nella prestigiosa Collezione Peggy Guggenheim. Al MART – Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto è conservato il celebre dipinto Profumo (1910).
La prima opera di Russolo, Autoritratto con teschi (1909) è custodita nel Museo del Novecento di Milano. Nel nostro paese è possibile vedere anche Lampi (1910) nella GNAM – Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.
In Europa, è possibile ammirare due opere di Russolo a Parigi, ovvero Dinamismo di un’automobile (1913) al Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne, e La Femme aux Bulles de Savon (1929), nel Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.
Sempre in Francia, più precisamente al Musée de Grenoble si trova Sintesi plastica dei movimenti di una donna (1912-13). In Svizzera, presso il Kunstmuseum di Basilea, è conservato Compenetrazione, Case+luce+cielo (1912), mentre in Olanda si trova La Rivolta (1911) al Gemeentemuseum de L’Aja. Infine, a Londra nell’Estorick Collection of Modern Italian Art è custodito La musica (1911).
Diverse opere di Russolo sono presenti in collezioni private, tra cui si ricordano Notturno+Scintille di rivolta (1910-11), Chioma (I capelli di Tina) (1910), Ritratto di fanciulla (1921), Aurora Boreale (1938), Riflessi (1944), Notturno (1945), Bach (1946), Beethoven (1946).
LUIGI RUFFOLO — MUSICISTA
LUIGI RUSSOLO– PRECURSORE DELLA MUSICA CONCRETA E DELLA MUSICA ELETTRONICA —-MUSICA FUTURISTA::: LA PIOGGIA – Soprano, piano and Intonarumori
PRECURSORE DELLA MUSICA CONCRETA E DI QUELLA ELETTRONICA
ANTONIO RUFFOLO ( fratello del pittore e musicista ) + LUIGI RUFFOLO – LA PIOGGIA
La rielezione di Donald Trump è uno spartiacque storico: un paese stanco, diviso e disorientato si lascia sedurre dal mito dell’età dell’oro, da recuperare per salvare ciò che resta di un sogno americano consumato da sovraesposizione esterna, diseguaglianze interne e perdita di un ethos condiviso.
Per farlo si affida a un personaggio eversivo, il cui progetto di restaurazione della grandezza perduta passa per la guerra a vasti settori dello Stato e ai vincoli che le loro burocrazie pongono al potere esecutivo. In questa battaglia Trump è affiancato da Elon Musk, la cui ascesa alle stanze del potere incarna plasticamente il momento dell’America: il peso dei nuovi poteri economico-tecnologici, il carattere fortemente plutocratico della politica elettiva, le “utopie distopiche” prodotte dalla rivoluzione informatica e dalle sue onnipresenti ramificazioni.
Queste dinamiche sono destinate a produrre effetti profondi sulla traiettoria geopolitica degli Stati Uniti, sul loro impegno estero, sull’uso del loro temibile strumento militare, sul rapporto con gli alleati – asiatici ed europei – e con gli avversari – su tutti Cina, Iran e Russia.
L’ultimo numero di Limes del 2024 indaga cause e implicazioni, interne ed esterne, di questo terremoto che promette di marcare il crepuscolo del “secolo americano” come lo abbiamo sin qui sperimentato. Lo fa tracciando, come sempre, un bilancio assolutamente provvisorio, ma quantomai necessario. Buona lettura!
Il sommario
Ci incontreremo ancora – Editoriale
Parte 1 – Stelle rosse
Nell’occhio della rivolta – Federico Petroni
Da Ronald a Donald, la parabola del secolo americano – Fabrizio Maronta
La PayPal Mafia diventa deep State – Alessandro Aresu
Nella testa di Elon Musk – Giuseppe De Ruvo
Musk contro America First? – Chris Griswold
Sostituire lo Stato profondo – Giacomo Mariotto
Musk chiuderà la Nasa? – Marcello Spagnulo
Usi e abusi di Tucidide – Luca Iori
La fine dell’America globale – John Florio
Trumpismo, frutto avvelenato del neoliberismo – Giovanni La Torre
BlackRock & Co. Motori immobili d’America – Marco D’Eramo
La solitudine come malattia di classe – Daniel A. Cox e Sam Pressler
A scuola di tribalizzazione – Elio Cirillo
Il Tribunale della storia – Lorenzo Novellini
Parte 2 – I fronti di Trump
La strategia inconsapevole – Scott Smitson
Le Sirie dopo al-Asad – Lorenzo Trombetta
‘Trump e Israele hanno interessi diversi sull’Iran’ – Eldad Shavit
La guerra allargata può dividere Mosca e Teheran – George Friedman
Mosca e le lacrime – Orietta Moscatelli
Come e perché chiudere la guerra d’Ucraina – Dominick Sansone
Manifesto della Nato moderata – Andrew A. Latham
Le Cine giocano Trump – Giorgio Cuscito
‘La Cina tenderà di nuovo la mano a Washington’ – Wang Zichen
Parte 3 – L’occasione
‘Come negoziare con Trump’ – Piero Benassi
L’Italia deve diventare adulta – Germano Dottori
Trieste, porta europea della nuova via dell’oro – Kaush Arha e Carlos Roa
L’America riscopre Trieste, Trieste riscoprirà l’America? – Diego D’Amelio e Giovanni Tomasin
La descrizione di un attimo
le convinzioni che cambiano
e crolla la fortezza del mio debole per te
anche se non sei più sola perché sola non sai stare
e credi che dividersi la vita sia normale
ma la mia memoria scivola
mi ricordo limpida la trasmissione dei pensieri
la sensazione che in un attimo
qualunque cosa pensassimo poteva succedere
E poi cos’è successo
aspettami oppure dimenticami
ci rivediamo adesso
dopo quasi cinque anni
e come sempre sei la descrizione di un attimo per me
e come sempre sei un’emozione fortissima
e come sempre sei bellissima
Mi hanno detto dei tuoi viaggi
mi hanno detto che stai male
che sei diventata pazza
ma io so che sei normale
mi chiedi di partire adesso
perchè i numeri e il futuro non ti fanno preoccupare
vorrei poterti credere
sarebbe molto più facile
rincontrarci nei pensieri
distesi come se fossimo
sospesi ancora nell’attimo in cui poteva succedere
E poi cos’è successo
aspettami oppure dimenticami
ci rivediamo presto
fra almeno altri cinque anni
e come sempre sei la descrizione di un attimo per me
e come sempre sei un’emozione fortissima
e come sempre sei bellissima perchè
come sempre sei la descrizione di un attimo
LIUPRANDO ALLA CORTE BIZANTINA DI COSTANTINO VII PORFIROGENITO
Nel 949, Berengario II lo inviò in una missione di buona volontà come apprendista diplomatico alla corte bizantina di Costantino VII Porfirogenito, con cui strinse amicizia.
Il suo ritorno, tuttavia, si scontrò con Berengario, per il quale Liutprando si vendicò nella sua Antapodosis (“punizione”), e si legò al rivale di Berengario, l’imperatore Ottone I, che divenne re d’Italia alla morte di Lotario nel 950. Con Ottone I tornò in Italia nel 961 e fu investito come vescovo di Cremona l’anno seguente.
Liutprando alla corte di Bisanzio
Siamo nel bel mezzo del Medioevo, in quel secolo X quando, sfaldatosi in Occidente l’impero fondato da Carlo Magno, ha inizio un regno d’Italia conteso senza esclusione di colpi dai potenti delle regioni settentrionali con l’appoggio, o l’ostilità, dei sovrani tedeschi e del papa. Liutprando, rampollo di una famiglia di rilievo, nasce a Pavia – capitale del regno – verso il 920, vi viene educato, entra sin da bambino a corte cantando nel coro, diviene diacono, viene inviato da Berengario in ambasceria a Costantinopoli. Un contrasto violento con il sovrano lo costringe a riparare presso Ottone I, re di Germania e futuro imperatore, del quale sarà spesso emissario importante. Alla corte di questi, nel 956, l’inviato del califfo di Cordova, Recemundo vescovo di Elvira, esorta Liutprando a comporre un’opera di carattere storiografico. Nasce, allora, l’Antapodosis in sei libri: i primi tre narrano vicende delle quali l’autore ha appreso da altri, gli ultimi di eventi dei quali è stato testimone diretto. È la storia intricata dei «fatti degli imperatori e dei re» di mezza Europa, di forti condottieri e di principi «smidollati» ed «effeminati», e s’intitola Antapodosis perché l’autore l’intende come una «ritorsione», una sorta di vendetta, contro Berengario e la moglie Guilla per quel che essi hanno fatto a lui.
Opera storica dichiaratamente di parte, dunque, ma assoluto capolavoro letterario. Impreziosita dal greco e da composizioni in versi, da citazioni di Virgilio, di Boezio e di una miriade di scrittori antichi, l’Antapodosis racconta una quantità immensa di aneddoti tragici, truculenti e comici con una verve straordinaria. Sovrani, baroni e dame di quell’età di ferro vengono colti da Liutprando nei momenti chiave della loro vita, attraverso le loro battute e i loro gesti. Vi si legge dello splendore dorato di Costantinopoli, dei cani che cercano di sbranare l’imperatore cui sono stati inviati in dono, di papa Formoso esumato e, da morto, deposto, di Guilla spogliata in pubblico e perquisita alla ricerca di un balteo d’oro che ella ha nascosto «nelle latebre del corpo». Un fuoco d’artificio dietro l’altro, una sorpresa dopo l’altra: un Medioevo tanto buio e vivace da assomigliare ai nostri giorni.
Giovanni I Zimisce, imperatore bizantino dal 969 al 976, anno della sua morte
Una nuova edizione dell’Antapodosis di Liutprando di Cremona – MONDADORI, 2015
Lo scrittore più importante nell’ambito della letteratura mediolatina in Italia durante il sec. X è comunque, senza alcun dubbio, Liutprando di Cremona. Di famiglia longobarda appartenente alla ricca borghesia mercantile, egli nacque a Pavia intorno al 920. Il padre di Liutprando, fra l’altro, aveva svolto l’incarico di delegato diplomatico al servizio di Ugo di Provenza, re d’Italia (926- 947), e, nel 927, era stato mandato in missione ufficiale presso l’imperatore bizantino Romano I Lecapeno (920-944). Di ritorno da questa ambasceria, ammalatosi, si era rifugiato in un monastero e quindici giorni dopo era morto, lasciando orfano il figlioletto di soli sei o sette anni. Quattro anni più tardi, a circa dieci anni di età, in virtù delle sue sorprendenti doti canore, Liutprando entrò come paggio al servizio di re Ugo di Provenza, probabilmente grazie alla benevola protezione e all’influente appoggio del patrigno, ambasciatore e funzionario di rilievo della medesima corte.
Allorché, nel 946, re Ugo rimpatriò in Provenza, consegnando le sorti del Regno d’Italia nelle mani dell’inetto Lotario II, Berengario marchese d’Ivrea, sleale consigliere e infido collaboratore del neoeletto re, di fatto lo spodestò, governando in sua vece come autentico e assoluto tiranno e assumendo addirittura il titolo ‘ufficiale’ di re Berengario II.
Nel frattempo Liutprando, forzatamente adattatosi alla nuova situazione politica che si era venuta a determinare presso la corte di Pavia, era diventato segretario personale di Berengario, che nel 949 lo inviò come ambasciatore a Costantinopoli presso l’imperatore Costantino VII Porfirogenito. Tornato in patria, i suoi rapporti con Berengario si guastarono progressivamente, fino al punto che egli fu costretto, nel 955, ad abbandonare l’Italia e a trasferirsi in Germania, cercando asilo e protezione presso la reggia di Ottone I di Sassonia, il quale, in seguito al proprio matrimonio con la principessa Adelaide di Borgogna, già vedova di Lotario II e lungamente perseguitata dallo stesso Berengario (come si narra diffusamente, fra l’altro, nei Gesta Ottonis di Rosvita di Gandersheim), aveva fatto della propria corte un luogo di ritrovo di tutti coloro che, in un modo o in un altro, erano entrati in attrito e in contrasto con il nuovo re d’Italia.
A Francoforte, nel 956, Liutprando incontrò Recemondo, vescovo mozarabico di Elvira, ivi inviato dal califfo ’Abd al-Rahman III. che, a quanto pare, lo convinse a comporre la sua opera più importante, l’Antapodosis , in sei libri, una storia d’Europa (cioè, secondo la sua ottica, storia d’Italia, di Germania e di Costantinopoli) dall’888 al 950, per mezzo della quale, fra l’altro, lo scrittore intendeva vendicarsi del volgare e iniquo trattamento subìto alla corte di Pavia.
Nel racconto di Liutprando, la storia d’Italia ha una posizione di assoluto rilievo. Lo scrittore, infatti, ignora quasi completamente le vicende di Francia, della storia bizantina ci narra solo quel tanto che ha potuto attingere alla sua personale esperienza e la storia di Germania viene considerata esclusivamente per quel che riguarda i suoi rapporti con la storia d’Italia.
La concezione storica che trapela dalle pagine dell’Ant. è quella tipica del tempo, nella quale Dio interviene nei fatti e nelle vicende del mondo come supremo giudice, dispensatore di punizioni per i malvagi e di premi per i giusti. L’Ant. è certamente un testo fra i più interessanti del sec. X, per la vivezza delle descrizioni, per il gusto corposo e icastico dell’autore, per la vastità e l’eterogeneità della cultura da lui dimostrata, per l’ironia e il sarcasmo che la pervadono (tant’è vero che Gustavo Vinay ha opportunamente parlato di una sorta di ‘commedia’, in ciò seguito da Massimo Oldoni, che ha, dal suo canto, approfondito il tema delle componenti spiccatamente ‘teatrali’ del testo). L’opera, infatti, pullula di aneddoti, di scenette vivaci e piccanti, di descrizioni di fatti svariati e caratteristici e, soprattutto, di personaggi ispirati a un gusto corposamente comico e ridanciano, con dialoghi altisonanti o plebei, il tutto condito dalla straordinaria cultura di cui lo scrittore si compiace, attraverso ampuie citazioni. Insomma, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio capolavoro del sec. X, degno di stare accanto al Waltharius e all’Ecbasis captivi, ai “dialoghi drammatici” di Rosvita e alle opere di Raterio di Verona.
Nel 961 Ottone I gli assegnò l’episcopato di Cremona, città ricca di mercanti irrequieti e intraprendenti. Nel 962, l’anno stesso dell’incoronazione di Ottone I a imperatore, e, lo scrittore accompagnò in qualità di interprete il suo protettore (che non conosceva il latino) in un lungo viaggio nelle terre dell’Impero, al fine di presentare e di divulgare la sua ideologia e i suoi progetti. Liutprando partecipò quindi a diverse ambascerie.
Dopo quest’ultima data (971 -quando si reca a Bisanzio a prelevare la principessa Teofano, per essere la sposa di Ottone II ) non abbiamo altre notizie di lui. Incerto è anche l’anno della sua morte, a ca 54 anni-
Nel 979 viene nominato il vescovo di Cremona, quindi si ha certezza che prima di quell’anno è morto.
IL TESTO SEGUE ESAMINANDO L’OPERA PRINCIPALE DI LIUTPRANDO,
L’ANTOPODOSI — pp. 619-620
nota: Albrecht Altdorfer (1480 circa – Ratisbona, 12 febbraio 1538) è stato un pittore tedesco, fondatore della Scuola danubiana nel sud della Germania, contemporaneo di Albrecht Dürer. Fu uno dei principali artisti del Rinascimento tedesco, oltre che pittore anche architetto, incisore, scultore, calcografo e disegnatore per xilografie.
Relazione della mia missione a Costantinopoli – Liutprando di Cremona
LIUTPRANDO, vescovo della santa chiesa di Cremona, desidera, auspica e prega che gli Ottoni, gli invincibili imperatori dei Romani, e la gloriosissima Adelaide prosperino, prosperino e trionfino.
IL TESTO E’ IN INGLESE MA SE AVETE LA TRADUZIONE AUTOMATICA SI LEGGE QUA E LA’ VOLENTIERI
Fenesta vascia è una canzone popolare napoletana molto antica, inizialmente creduta risalente al 1500, ovvero alla dominazione spagnola di Napoli, ma che oggi storici e fonologi, a causa dei numerosi siculismi (come picciuotto a posto di guaglione) e dei francesismi, ritengono risalga molto probabilmente al XIV secolo, al periodo Angioino del Regno di Napoli.
La canzone è scritta in dialetto, con metrica di endecasillabo, e l’autore è ignoto.
testo
«Fenesta vascia ‘e padrona crudele Quanta suspire mm’haje fatto jettare Mm’arde stu core, comm’a na cannela Bella, quanno te sento annommenare Oje piglia la ‘sperienza de la neve La neve è fredda e se fa maniare E tu comme si’ tanta aspra e crudele? Muorto mme vide e nun mme vuó’ ajutare? Vorría addeventare no picciuotto Co na langella a ghire vennenn’acqua Pe’ mme ne jí da’ chisti palazzuotte Belli ffemmene meje a chi vó’ acqua Se vota na nennella da llá ‘ncoppa Chi è ‘sto ninno ca va vennenn’acqua? E io responno, co parole accorte Só’ lacreme d’ammore e non è acqua»
traduzione:
Finestra bassa di una padrona crudele,
quanti sospiri mi hai fatto sprecare!…
Questo cuore m’arde come una candela,
bella, quando ti sento nominare!
Sù, prendi ad esempio la neve!
La neve è fredda ma si fa accarezzare…
E tu perché sei così aspra e crudele?!
Mi vedi mezzo morto e non mi vuoi aiutare!?….
Vorrei diventare un bel garzone,
e andare con la brocca a vender l’acqua,
e poter gridar tra questi palazzi
“Donne mie belle, ah! chi vuole l’acqua…”
Si affaccia una ragazza lassù in alto:
“Chi è il bel garzone che vende l’acqua?”
Le risponderei con parole accorte:
“Sono lacrime d’amore, non è acqua!…”
Mogliano Veneto, 27 dicembre 1914 – Roma, 1º novembre 1978
Da quando Flaubert ha detto “Madame Bovary sono io” ognuno capisce che uno scrittore è, sempre, autobiografico. Tuttavia si può dire che lo è un po’ meno quando scrive di sé, cioè quando si propone più scopertamente il tema dell’autobiografia, perché allora il narcisismo da una parte e il gusto del narrare dall’altra possono portarlo ad una addirittura maliziosa deformazione di fatti e di persone. L’autore di questo libro spera che gli sia perdonato il naturale narcisismo, e quanto al gusto del narrare confida che sarà apprezzato anche da coloro che per avventura potessero riconoscersi alla lontana quali personaggi del romanzo.
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La nevrosi è una malattia subdola nel senso che l’ammalato continuamente oscilla tra la disperazione di non guarire mai più e la speranza di guarire miracolosamente da un giorno all’altro, e così non si cura o si cura in modo sbagliato, e arrischia davvero di rimanere involtolato per sempre nel suo male. Comunque la cosa indispensabile perché un nevrotico possa mai tornare ad una vita normale o quasi normale è la volontà di guarire. Io credo di non averla perduta se non nei brevi periodi delle peggiori crisi. Ho scritto infatti, nel decennio della malattia, un diario intitolato Guerra in camicia nera, il dramma L’uomo e la sua morte sulla fine di Salvatore Giuliano, e alcuni racconti. Ma il romanzo, ambizione ultima di un narratore, non voleva uscire. Ne cominciai due e tutti e due si fermarono, il primo perché mi pareva che difettasse dell’idea generale, come direbbe Cechov, e il secondo perché mentre stavo lavorando mi venne una crisi talmente terrificante che mi bloccai al punto dov’ero arrivato. A quel tempo ero quasi certo che non avrei scritto mai più. Poi la disperazione mi portò a tentare, dopo che avevo provato e scartato decine di medici d’ogni scuola e tendenza, la psicoanalisi. Non credevo allora nella psicoanalisi e temo di non crederci neppure adesso, per quanto riconosca che dev’essere vero il principio su cui la psicoanalisi si fonda, ossia l’idea che noi nella nostra primissima infanzia abbiamo amato e odiato in modo incontrollato e spaventoso, abbiamo avuto paure terribili e mostruose, gioie incontenibili, attrazioni e ripulse prepotenti, e tutto questo benché dimenticato è rimasto dentro di noi, depositato nell’inconscio, da dove continua ad influire in misura determinante sulla nostra condotta. Il punto di forza della psicoanalisi, ad ogni modo, non è tanto la dottrina quanto l’analista. Io ebbi la fortuna di trovare un uomo straordinariamente buono, intelligente, comprensivo, attento, amoroso. Egli mi aiutò a uscire senza eccessivo sconforto dalle crisi più brutte del male, mi condusse gradatamente a guardare dentro me stesso senza paura o vergogna di ciò che vi avrei potuto trovare perché qualunque cosa vi avessi trovato sarebbe stato sempre qualcosa di attinente all’uomo, mi portò a mettere ordine nella mia coscienza, coltivò e rinforzò la voglia che avevo di guarire. Sostenuto da lui ricominciai a scrivere come un paralitico che dopo l’attacco di trombosi rieduca a poco a poco gli arti immobilizzati e li riporta a compiere i movimenti: scelsi una ventina dei racconti già scritti e li riscrissi tutti da cima a fondo, rifacendoli anche tre o quattro volte in qualche punto, modificandoli e approfondendoli, arricchendoli di nuovi spunti: ne venne fuori il volume ‘Un po’ di successo’. Ora potevo provarmi a scrivere un nuovo libro. L’analista mi consigliò di non insistere nei due tentativi di romanzo da anni riposti nel mio cassetto, era preferibile che tentassi una storia del tutto nuova, e non dovevo pretendere troppo da me stesso, la cosa essenziale essendo che arrivassi comunque alla fine del lavoro, non dovevo per alcun motivo fermarmi prima della fine.
Così scrissi ‘Il male oscuro’, che è press’a poco il racconto della mia malattia. Lo buttai giù in Calabria, in un luogo isolato che si chiama Capo Vaticano, impiegando poco più di due mesi di tempo, senza gravi difficoltà. Era come se avessi scoperto il bandolo d’un filo che mi usciva dall’ombelico: io tiravo e il filo veniva fuori, quasi ininterrottamente, e faceva un po’ male si capisce, ma anche a lasciarlo dentro faceva male. Ricordavo le parole del Prometeo incatenato che poi ho voluto mettere sul frontespizio del libro: “il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. […]
La Baia di Grotticelle si estende per circa un chilometro lungo la costa che si affaccia in direzione delle Isole Eolie.
Le sue collinette di granito biancastro consentono incantevoli passeggiate tra paesaggi colorati “di natura” più unici che rari.
BAIA DI GROTTICELLE
Nota anche come spiaggia di Riaci, dal suo aspetto caraibico con sabbia bianca e acque azzurre dominata da un grande scoglio di tufo che la rende inconfondibile, la spiaggia si trova a Santa Domenica di Ricadi.
E’ proprio di fronte questa spiaggia, su un fondale di circa 18 metri che risiede una nave mercantile affondata nel 1917. Sono moltissimi i turisti che scelgono di visitare questa località con la priorità di visitare il relitto affondato un secolo fa.
La Baia di Santa Maria è caratterizzata da una spiaggia di sabbia bianca che si estende per qualche chilometro lungo la costa tirrenica. E’ in questa Baia che s’incontrano le Spiaggia Di Capo Vaticano e le Spiagge di Ricadi. La Spiaggia prende il nome dalla chiesetta di Santa Maria situata a poche centinaia di metri.
La Spiaggia Praia i Focu, ovvero la Spiaggia Del Fuoco è situata all’estrema punta di Capo Vaticano, nelle vicinanze del faro. La Praia i Focu è una delle spiagge raggiungibile solo via mare. E’ collocata alla valle di una scogliera rocciosa e a strapiombo che la racchiude abbracciandola completamente. Per questa sua costituzione è ben protetta dai venti, dove non lasciando trapelare corrente la spiaggia mantiene sempre una temperatura molto elevata, proprio da questa sua particolare caratteristica che ne prende il nome Spiaggia di Fuoco, nel dialetto locale Praia i Focu.
Apparso per la prima volta nel 1964, Il male oscuro ottenne subito un grande successo, vincendo nello stesso anno il Premio Viareggio e il Premio Campiello. L’apprezzamento critico che ne seguì, tuttavia, non colse forse pienamente la grandezza di quest’opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento. Come sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l’ora della leggibilità ».Comparato con le opere di quell’epoca caratterizzata da una società in piena espansione, Il male oscuro, come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un’epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un’autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d’animo». Come i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con La coscienza di Zeno di Svevo e La cognizione del dolore di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. Il male oscuro, tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l’epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). Un’assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare «stile psicoanalitico». Una prosa modernissima che, narrando di un male assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi, l’industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna»… la malattia di un’epoca apparentemente felice. «Sono abbastanza sicuro di me stesso mentre scrivo e so di essere moderno». Giuseppe Berto «Ogni volta che aprivo e leggevo venti o trenta pagine de Il male oscuro, avrei voluto che questo libro non avesse a che fare con me, con le mie sofferenze, le mie fobie, le gabbie del mio passato, il mio tempo, avrei voluto che fosse un libro datato, lontano, un reperto del Novecento, e invece ogni volta mi ritrovavo coinvolto dalla sua sincerità senza scampo». Christian Raimo
Giuseppe Berto
1914, Mogliano Veneto
«Sono abbastanza sicuro di me stesso mentre scrivo e so di essere moderno».(Mogliano Veneto, Treviso, 1914 – Roma 1978) scrittore italiano. Ha pubblicato libri di narrativa, in parte ascrivibili al neorealismo (Il cielo è rosso, 1947; Le opere di Dio, 1948; Il brigante, 1951), in parte volti a una inquieta indagine psicologica (Il male oscuro, 1964, premi Viareggio e Campiello; La cosa buffa, 1966). È anche autore di un diario della guerra d’Africa (Guerra in camicia nera, 1955) e di un pamphlet provocatoriamente «conservatore» (Modesta proposta per prevenire, 1971).
Emanuele Trevi
1964, Roma
Emanuele Trevi è uno dei critici più celebri della sua generazione oltre che premiato scrittore. Ha tradotto e curato edizioni di classici italiani e francesi: si ricordano testi dedicati a Leopardi, Salgari, e autori italiani del Novecento. Tra le sue collaborazioni citiamo: il «Manifesto» (Alias) e la trasmissione radiofonica Lucifero di Radio Tre, con una sezione dedicata alla poesia.
Il suo libroIstruzioni per l’uso del lupo ha riscosso un notevole successo. Redattore di «Nuovi Argomenti», ha fatto parte della giuria del premio Calvino nel 2001, e del premio Alice 2002. Nel 2012 esce per Ponte alle Grazie il libro Qualcosa di scritto.
La storia della Calabria ha origine in una lontana antichità, come dimostra anche la Necropoli di Torre Mordillo, sito di grande interesse archeologico che ha restituito importanti corredi dell’età del Ferro conservati oggi nel Museo Archeologico di Cosenza.
Il territorio è stato abitato da diversi popoli antichi: tra i primi gli Aschenazi, gli Ausoni e gli Enotri, quest’ultimi di origine greca stanziatisi in un territorio di gradi dimensioni, l’Enotria, che comprendeva le attuali Campania meridionale, parte della Basilicata e la Calabria. Dalla felice commistione di culture appartenenti a questi popoli nacque la civiltà dei Greci d’Occidente, passata alla storia come Magna Grecia.
Al declino degli Enotri seguì l’avvento dei Bruzi, stabilitisi nell’attuale Calabria che aveva assunto la forma di confederazione di città, ma con la guerra di Pirro dovettero cedere il territorio ai Romani a seguito della sconfitta di Annibale di cui erano alleati.
All’epoca di splendore dell’Impero Romano risalgono le grandi opere infrastrutturali, tra le quali la Via Popilia, edificata su ordine di Publio Popilio Lenate per unire Reggio a Capua.
Con la caduta dell’Impero Romano fu la volta di Bizantini, Normanni e, sotto il regno di Napoli, di Angioini e Aragonesi.
PENTIDATTILO / PENTEDATTILO ( (in greco Pentedáktylos)– sono le cinque dita del Monte Calvario — NOTIZIE IN FONDO
UVA E OLIVE
Sono le “cinque dita” (in greco Pentedáktylos) del monte Calvario, rupe rossastra su cui si arrampica, a dare il nome a Pentedattilo, uno dei borghi più suggestivi della Calabria dal punto di vista paesaggistico. Ci troviamo sul versante ionico della provincia di Reggio Calabria, una striscia tra terra e mare alle pendici dell’Aspromonte, detta Costa dei Gelsomini, nel comune di Melito di Porto Salvo.
Di origine bizantina, il borgo fiorì nei secoli XIII e XIV; più tardi divenne feudo degli Alberti, fino al 1685. Sulla cima del paese sorgono i resti del castello, di origine medievale.
Nel 1783 Pentedattilo fu gravemente colpito dal terremoto della Calabria meridionale e iniziò il suo lento e inesorabile spopolamento. Ex borgo fantasma, recentemente gli abitanti del luogo sono tornati a prendersene cura, sottraendolo all’abbandono e facendo rifiorire turismo e artigianato.
Oltre ad essere bagnata da un mare cristallino e contornato da una veduta sull’Etna, sulla spiaggia del Lungomare dei Mille si trova anche il museo Garibaldino che ha una sua estensione nel mare antistante il museo che ospita nel suo basso fondale il Piroscafo Torino con cui Garibaldi e Bixio sbarcarono a Melito per continuare l’unificazione di Italia. Il Piroscafo Torino capitanato da Nino Bixio rimase incagliato nel fondale anche se tutti i Garibaldini riuscirono ad arrivare a terra supportati dai compagni sul Piroscafo Franklin capitanato da Garibaldi. A 20 metri dalla spiaggia, facendo snorkeling è possibile ammirare lo scafo adagiato sul fondale ad una profondità massima di 7 metri. È possibile ammirare l’ancora, l’albero motore, lo scafo, un cannone, la ciminiera del motore a vapore adagiato su una lu grezza di circa 80m. È un posto molto suggestivo, ricco di una storia che ci appartiene e non molto lontana (1860). Il posto merita sicuramente una visita ed un bagno nelle acque pacifiche e cristalline del posto.
E’ stato un artista russo e lituano noto per i suoi paesaggi urbani che trasmettono la crescita esplosiva e il decadimento della città dell’inizio del XX secolo .
Entra a far parte della Mir Iskusstva, un circolo artistico che idealizzava il XVIII secolo come “l’età dell’eleganza”., ma si distingueva dagli altri miriskusniki per i suoi modi espressionisti e il vivo interesse per i moderni paesaggi urbani industriali . Dipinse spesso scene squallide o tragiche della vita urbana che esprimevano la desolazione e la solitudine da incubo dei tempi moderni. Tra le sue opere c’erano anche vignette umoristiche e schizzi con creature simili a demoni che sembravano incarnare le mostruosità dell’urbanizzazione.
Come altri membri della Mir iskusstva , anche Dobuzhinsky sperimentò con la scenografia . All’inizio ha lavorato per Constantin Stanislavski al Moscow Arts Theatre , ma in seguito ha anche contribuito alle scenografie di diverse produzioni di Diaghilev . Era rinomato come un eccellente insegnante d’arte; tra i suoi giovani allievi c’era Vladimir Nabokov, con il quale mantenne corrispondenza per decenni.
Durante la prima guerra mondiale Dobuzhinsky andò con Eugene Lanceray in prima linea per disegnare.
Nel 1924 Dobuzhinsky seguì il consiglio di Jurgis Baltrusaitis e si ritirò in Lituania . Vi fu naturalizzato nel 1924 e visse a Kaunas fino al 1925.
Tra il 1925 e il 1929 vive a Parigi dove disegna le scenografie per Il pipistrello di Nikita Balieff ( la più celebre operetta di Johann Strauss )-
Tornò in Lituania nel 1929. In Lituania lavorò in un teatro statale come scenografo e creò scenografie per 38 spettacoli, oltre a dirigere una scuola di pittura privata (1930-1933). Poi emigrò in Inghilterra nel 1935 e si trasferì negli Stati Uniti nel 1939 dove rimase per tutta la durata della guerra. Ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita in Europa, tornando occasionalmente a New York per lavori teatrali. Morì a New York il 20 novembre 1957.
Tra i suoi ultimi lavori ci sono serie di illustrazioni magistrali e drammatiche, in particolare per Le notti bianche di Dostoevskij (1923) e Tre uomini grassi di Yuri Olesha (1925). Dobuzhinsky ha contribuito alle scenografie per produzioni teatrali a Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Düsseldorf. Durante la seconda guerra mondiale , Dobuzhinsky dipinse paesaggi immaginari della Leningrado assediata.
*** SwieteniaJacq., 1760 è un genere di alberi della famiglia delle Meliaceae, il cui legno, noto come mogano è stato per secoli tra i più apprezzati in ebanisteria.
Secondo alcuni furono i primi schiavi africani che fecero notare ai conquistatori spagnoli le stupende qualità del m’oganwo (“Re Legname”), i quali lo importarono in Europa. Gli spagnoli lo denominarono col termine indigeno caoba, che per i tainovoleva dire “frutto che non si mangia”, facendo riferimento alla grande capsula legnosa che contiene i semi alati. Gli inglesi, seguendo la pronuncia africana lo chiamarono mahogany, nome con il quale è conosciuto commercialmente ed in varie lingue.
Gli alberi del genere Swietenia possono raggiungere l’altezza di 50 metri (altezza media 30 metri) e un diametro di 2-3 metri.
nota :
I Taíno sono stati tra i primi popoli amerindi a popolare i Caraibi -preceduti dagli Igneri – regione nella quale giunsero dal Sud America. Molti storici ritengono che la scomparsa di questo popolo sia avvenuta a causa del genocidio commesso dagli europei durante la loro conquista e delle malattie infettive arrivate con i colonizzatori.
L’albero di caoba può raggiungere altezze fino a 30 metri, con un tronco diritto e una chioma ampia e tondeggiante. La forma dell’albero è caratterizzata da rami robusti che si sviluppano simmetricamente lungo il tronco.
L’albero di caoba è una specie di grande importanza all’interno dell’ecosistema forestale. La sua presenza contribuisce alla diversità biologica, fornendo habitat e nutrimento a numerose specie animali e vegetali. Inoltre, la caoba svolge un ruolo cruciale nel ciclo del carbonio, assorbendo anidride carbonica dall’atmosfera e rilasciando ossigeno durante il processo di fotosintesi.
La deforestazione, l’urbanizzazione e il commercio illegale del legname sono solo alcune delle principali cause di declino delle popolazioni di caoba
L’albero di caoba (Swietenia mahagoni) è un albero maestoso appartenente alla famiglia. delle Meliacee, originario delle regioni tropicali dell’America centrale e del Sud America.
Il legno della caoba è molto pregiato per le sue caratteristiche di resistenza, durabilità e bellezza estetica. Viene utilizzato per la realizzazione di mobili di alta qualità, strumenti musicali, pannelli decorativi e oggetti d’arte. Tuttavia, a causa della sua crescente richiesta e dell’elevata deforestazione, l’albero di caoba è diventato una specie a rischio di estinzione in molte regioni.
Escritorio de caoba (Museo de Arte de Chazen). Universtà del Wisconsin- Madison, Wisconsin, Usa Daderot – Trabajo propio
El buque español Santísima Trinidad. Conocido como “El Escorial de los mares” fue el único navío en la Batalla de Trafalgar que tenía cuatro puentes y 136 cañones. Fu affondato nella battaglia ( 1805)- autore della foto: sconosciuto
Arte e disabilità, il mosaico più grande d’Europa modello di inclusione.
La maxi opera di Andreina alle porte di Arezzo diventa metodo
Il mosaico che parla
23,75€
Storie di volti e di scoperte
Autore: Andreina Giorgia Carpenito
Il presente volume racconta il progetto, lungo trent’anni, della realizzazione del mosaico più grande d’Europa coniugando l’aspetto artistico a quello sociale e umanitario. La genesi di quest’opera illustra un metodo sia artistico sia educativo-sociale, che è auspicabile replicare anche in altri contesti e nazioni, vista la visibilità internazionale che il progetto ha ottenuto.
Da una tessera, al mondo. O, forse, meglio dire: da una tessera… il mondo. È la sintesi più consona di quanto un’artista in carriera, Andreina Giorgia Carpenito, 27 annifa è riuscita a tirar fuori dall’edificio di una chiesa destinata alla demolizione di un paese periferico della cintura di Arezzo. Scarto, divenuto Centro Polivalente delle Arti, come i materiali usati per la realizzazione di quello che è oggi il Mosaico più grande e importante d’Europa. Scarto, come le persone che questa società mette da parte e che al Mosaico di Andreina diventano il centro di una comunità. Approfondimenti su www.ilmosaicodiandreina.org.
Data di pubblicazione: 2/12/2024
Lingua: Italian
Pagine: 160
Editore: ELLEDICI
Cod: 06924
Codice EAN: 9788801069242
Il mosaico della Chiesa dello Spirito Santo. Indicatore, Arezzo
15 GIORNI INSIEME! Elisa Parrish e Gissel Mclennan da Calgary – Canada, per un’ ESPERIENZA ARTISTICA AL MOSAICO DI ANDREINA ! www.ilmosaicodiandreina.org Associazione Culturale Ezechiele
31 ottobre 2024
Usa le emozioni dell’arte, della libertà di espressione, dell’essere in quanto tale senza distinzioni e barriere, della creatività qualunque essa sia.
Tremila metri quadrati di tessere, tutte provenienti da materiali di scarto, che insegnano a “ghettizzare il bullismo”, ad accogliere, ad educare e a includere.
È ‘Il Mosaico che parla – Storia di volti e scoperte’ che in 170 pagine racconta 27 anni di lavoro di quello che, una volta ultimato, sarà il più grande mosaico d’Europa, e probabilmente del mondo, opera voluta fortemente, ideata e in corso di realizzazione, dell’artista Andreina Giorgia Carpenito, a Indicatore, alle porte di Arezzo, alla Chiesa dello Spirito Santo.
Un’esperienza artistica che è divenuta metodo educativo globale in cui l’arte incontra l’uomo e si fa terapia, come guarigione che parte dall’anima accompagnata da reali percorsi educativi e pratici dedicati anche a giovani e adulti con disabilità.
Il Mosaico è stato infatti pensato e predisposto, già dalla sua origine, come un percorso motorio per le disabilità, “punta di diamante del programma: dalla tartaruga con le sedie apposite del Quadrato Magico ai percorsi psico-motori e sensoriali per le carrozzine e i non vedenti”, si legge nel volume. “Questo approccio – viene spiegato – non permette di sentirsi diversi, bensì diversamente uguali. Tant’è che si ritrovano risposte sorprendenti di collaborazione. Come il caso di una ragazza sorda consigliere dell’associazione (Associazione culturale Ezechiele Aps fondata da Carpenito, ndr.) che sentendosi pienamente parte del progetto, ha deciso di prestarsi come guida per i gruppi sordi mettendo a servizio e in dono la sua conoscenza della Lingua dei segni”.
Il volume, (edizioni Elledici – 25,00 euro), è composto da 5 capitoli e 12 sezioni dedicate alle testimonianze di ogni singolo momento di questa storia con un finale ancora tutto da scrivere. Il testo è in distribuzione nelle librerie di tutta Italia, sulle piattaforme online e sul sito della casa editrice.
“Dai 6 ai 100 anni tutti possono partecipare attivamente al progetto, sia al mosaico sia ai laboratori di musica, pittura, grafica, scultura, e sono aperti a scolaresche italiane e straniere o a singoli artisti. Oppure – spiega Andreina Carpenito – c’è l’esperienza artistica per gruppi di diversamente abili, gruppi di amici, turisti e tutti coloro che vogliono fare una conoscenza totalitaria dell’opera”. Un progetto che dimostra come l’arte “cura e guarisce”, secondo il vicesindaco del Comune di Arezzo, Lucia Tanti che ha annunciato l’impegno dell’amministrazione per la valorizzazione dell’opera.
Un metodo, rileva l’autore delle introduzioni alle diverse sezioni Daniele Conti “da replicare anche in altri contesti e nazioni, vista la visibilità internazionale che il progetto ha ottenuto”. “L’opera creata in questo piccolo paese racconta il miracolo compiuto con l’ingenuità di chi ama e con la tenacia di chi crede nei propri ideali”, sottolinea la fondatrice e Ceo di Italpreziosi, Ivana Ciabatti, che ha sostenuto la pubblicazione, secondo la quale l’opera di Andreina “sintetizza il proprio impegno quotidiano a regalare sorriso e speranza a persone con disabilità, valorizzando innanzitutto l’individuo e la propria dignità”.
L’introduzione è del cardinale Gualtiero Bassetti. “Le tessere che compongono il grande mosaico – scrive – sono esse stesse testimonianza di fede e di rinascita, di diversità sociali e culturali che uniscono”.
Ogni capitolo e ogni sezione de ‘Il Mosaico che parla – Storia di volti e scoperte’ è accompagnato da un’immagine selezionata a seconda dell’argomento trattato. Il volume è anche corredato da foto di Fulvio Fugalli, Gianni Ciccarello, Roberta Soldani, la stessa Andreina Carpenito e Giancarlo Sgrevi, che mostrano il lavoro quotidiano al centro culturale, dove, oltre al mosaico, si fa inclusione attraverso l’insegnamento degli strumenti musicali, con il maestro Massimo Nasorri.
Tra i temi esplorati, ‘L’arte, un bene di rifugio interiore collettivo’; ‘Il mosaico che parla’; Come valorizzare l’inutilità dello spreco’; ‘Dopo il lutto la rinascita’; ‘Ghettizzare il bullismo’; ‘Il rifiuto diventa crescita’; ‘Arte terapia. La guarigione è nell’anima’; ‘Disabilità. Diversamente Uguali’.
” Le prime decorazioni musive risalgono a più di 5.000 anni fa e nacquero dai Sumeri per proteggere la muratura in mattoni crudi, con una urgenza pratica quindi piuttosto che estetica ” .
INTERVISTA DI PATRIZIA BOI AD ANDREINA– aprile 2024
Se tu sentissi dire
da qualche conoscente
tra una chiacchiera e l’altra
com’è d’uso nei salotti
tra un bicchiere di vino
e la tartina al salmone
Se tu sentissi dire
che sono morto…..
– Sarà qualche anno ormai
di incidente d’auto
d’infarto
o qualche strana malattia
certo fu cosa improvvisa
se non proprio imprevista
beveva molto correva troppo
non badava affatto a se stesso –
Se tu sentissi dire
in quel salotto di gente normale
vino bianco coktails caviale
poltroncine traballanti
divani consumati
– s’era lasciato andare
viveva all’incirca gli ultimi tempi
scriveva poesie su fogli sparsi
e le buttava via
Lo incontravi nei bar
spesso trasandato
piuttosto inconsistente –
Se tu sentissi dire
tra risatine smorzate
velate maldicenze
di chi continua a vivere
la vita indifferente
– non voleva invecchiare
non sapeva accettare
il tempo che ci resta
Troppo spesso s’è voltato
a guardare………….
Era questo il suo male –
Se tu sentissi dire
con alzata di spalle
con rassegnazione evidente
– Raccontava d’esser stato tradito
da chi? Da che cosa?
Come tutti d’altronde
come capita sempre –
Se tu sentissi dire
che sono morto
e così stranamente ho vissuto
Tu che di me così poco sai
ormai
perchè come un alito sono passato
e come un sospiro sono rimasto
sfumato e vago nella tua memoria
Tu che anche tu
m’hai tradito incosciente e leggera
tu che di me ti rimane solo
un lontano ricordo
così lontano al punto d’apparire
necessariamente dolce
necessariamente vero
Ti prego
forse anche ti scongiuro
tieni stretto il tuo ricordo
così lontano così diverso
e non parlare
non dire nemmeno una parola
Tu
trattieni per te quel che di me ti resta
perchè è tutto ciò che resterà di me.
Un giorno viaggerò per le strade
di una città dal selciato in rosso
giardini di salici, fontane con acqua che si sente
e panchine colorate
sarà sempre sera
e i lampioni a fiamma non morranno mai.
………………
……………..
Era nell’aria un profumo di clavicembalo
e Chopin suonava i suoi pezzi appena fusi
la verità nasceva dalle pietre lucide
e non c’erano parole.
Utopia Sanremo Marzo 1962
ciao nì!
Stranamente l’altra notte, prima di dormire ( quando mi va bene, le notti prima di dormire m’invento storie che poi dimentico,. Questo fin da bambino, a volte le proseguo giorni e giorni dopo alcune anche anni) .. dicevo l’altra notte mi sono inventato un Amleto, guarda il caso, mi piaceva tanto anche se non ricordo nulla se non che faceva discorsi concentrici nel senso letterale della parola ( immagina cerchi spezzati che poi si riprendono), come per altre volte mi son detto “domani lo scrivo” ma domani avevo dimenticato tutto. Ora leggendo , vaghi ricordi però, anche se non c’entra per nulla, qui ci sono alcuni spezzoni di versi che ho cercato mentre scrivevo ( cosa non facile perché parlo di quello che, si può dire, ho buttato o meglio decisamente accantonato, ma come vedi nulla si perde. Ti abbraccio.
I neofascisti di Brescia e il nuovo raduno-provocazione in piazza della Vittoria. Lo chiamano “Aperitivo tricolore”: è solo un insulto alla città medaglia d’argento per la Resistenza partigiana.
(…) a quali abusi ho sottoposto questo mio cuore che adesso non è più un buon testimone
della nostra capacità di consolarci. Negli ultimi anni, nelle conversazioni con lei
ho accusato così spesso il mio cuore, non cessando di oltraggiarlo, di proclamarlo il più
infimo degli infimi, e ciononostante mi accorgo di essere stato troppo generoso, troppo
accecato dalla speranza. Oggi del mio cuore potrei dire che strabocca d’amarezza, che è
impietrito dal dolore, ma no, la verità è che me lo porto dietro come se contenesse solo una
massa di grumi informi. (…)
Anche se nessuno lo ammette ad alta voce, abbiamo tutti bisogno del conforto,
di quelle grandi, inesauribili consolazioni di cui ho spesso provato la possibilità
nel profondo del mio intimo quasi con terrore nell’accorgermi di quanto fossero
illimitate all’interno di un luogo così angusto. Sì, lo so con certezza: la più divina
delle consolazioni ci è a portata di mano, è custodita nel nostro animo. E d’altronde
del conforto di un Dio sapremmo farcene ben poco; basterebbe invece un occhio appena
un po’ più terso, un orecchio appena più capiente e ricettivo, un sapore appena più intenso
nel mordere un frutto, un naso appena più generoso nel sopportare gli odori, una pelle
che sappia appena essere più presente e memore nel toccare e nel venir toccata, e allora
subito dalle esperienze più prossime potremmo trarre consolazioni più forti, definitive e
vere di qualsiasi dolore che ci possa mai scuotere (…)
suo, Rilke
da:
pp. 45-46
— corsivo del blog, ch.
Leonid Pasternak, “Ritratto di Rainer Maria Rilke” – WikiCommons
Rainer Maria Rilke, nome completo René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Les Planches ( Clinica Val -Mont, sul lago di Montreux ), 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema.
È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge.