DANILO ZOLO ( Fiume, 1936 -Firenze, 2018 ) – SULLA PAURA. Fragilità, aggressività, potere – Feltrinelli, 2011 + Prefazione dell’autore ( trascritta ) +EMIDIO DIODATO, Danilo Zolo, un intellettuale «dalla parte del torto» – IL MANIFESTO 18 AGOSTO 2018

 

 

 

Sulla paura. Fragilità, aggressività, potere - Danilo Zolo - copertina

 

Sulla paura. Fragilità, aggressività, potere

 

Dalla ” Prefazione ” di Danilo Zolo, Sulla paura. Fragilità, aggressività, potere. Feltrinelli, 2011- pp. 11-13- il blog, togliendo solo qualche nome di autori.

 

Provo a spiegare in poche parole perché ho scritto questo libro, così lontano dalle mie presunte competenze culturali. L’ho scritto  perché mi sentivo come un granello di sabbia in balia del vento. Alla mia età, avevo paura di non resistere. Ma prima di cedere volevo capire perché spesso nella mia vita avevo avuto paura.

E volevo capire le ragioni non solo della mia paura, ma anche della paura degli altri. E avrei voluto sapere se la paura era un’emozione soltanto umana o se invece riguardava anche gli altri esseri viventi.  E desideravo infine comprendere perché così spesso la paura mi rendeva aggressivo e perché l’aggressività mia e la prepotenza degli altri erano strettamente intrecciate. Mi domandavo, in sostanza, qual era il rapporto fra la paura, l’aggressività e la violenza scatenata dai miei simili nel corso dei millenni.

Il senso di questo libro è racchiuso in queste semplici righe anche se  le sue pagine sono più di cento e molte sono le citazioni in nota. Frequenti sono soprattuto i riferimenti ad autori che hanno lasciato nella mia memoria una traccia  proofonda della loro saggezza. Penso, fra i molto altri, a Niccolò Machiavelli, Thomas Hobbes, Freidrich Nietzsche, arnold Gehlen, Albert Camus, Norberto Bobbio, René Girard, Tzvetan Todorv. Sono tutti autori europei come lo sono anch’io. Mi hanno aiutato a capire – molto più della letteratura specialistica – che senso può avere oggi, per noi europei  e occidentali, la parola ” paura ”
( Angst, fear, peur, miedo ). E credo di aver capito in qualche modo perché uso sempre più spesso questa parola e perché altrettanto fanno i miei vicini di casa, anche se si tratta, non posso negarlo, di una parola difficilissima da capire.

Forse sono riuscito a cogliere la ragione per cui vocaboli semanticamente affini – timore, insicurezza, angoscia, terrore – ricorrono sempre di più non solo nei miei discorsi, ma anche in quelli degli altri. E forse sono riuscito a intuire perché nel vocabolario della mia vita la paura è crudelmente associata  a parole come malinconia, tristezza, infelictà, solitudine e perché tutto questo non succede solo a me.

Mi pare soprattutto  di aver capito perché è scomparsa nel silenzio la parola che ormai in Occidente quasi nessuno usa più: la morte, la nostra morte. Geheln ha scritto: ” Con grande abilità  abbiamo sospinto la morte al di fuori del nostro campo visivo. La morte gioca dietro porte laccate di bianco “. La sentenza di Gehlen è lucidissima se riferita a noi occidentali. Ma ame sembra che la percezione acuta e dolorosa della morte sia un privilegio che noi occidentali abbiamo concesso ai poveri e ai poverissimi che vivono nei deserti del mondo, dove nessuna porta è laccata di bianco.

Non ci resta dunque che obbedire all’inflessibile matematica che regola il tempo della nostra vita? Dobbiamo avviarci in silenzio verso il nostro destino ? Il nichilismo non è la mia scelta filosofica e morale. Anche un granello di sabbia sollevato dal vento, ha scritto Bobbio, potrebbe bloccare il motore di una macchina, sia pure per una contingenza del tutto fortuita. Un granello di sabbia potrebbe dunque arrestare anche la macchina infernale che produce terremoti, uragani, guerra, terrorismo, stragi di innocenti, malattie letali, la morte per fame, la discriminazione spietata fra ricchi e poveri, tra potenti e deboli, fra noi e gli ” altri “.

E’ dunque probabile che valga la pena di lottare in extremis, di tentare la rivolta, di sfidare il destino. ”

 

 

 

 

La casa editrice  ( Presentazione )

Danilo Zolo per capire dove e quando nasce la paura, se la lotta per l’esistenza comporta sempre e comunque scontro e conflittualità, qual è il posto occupato dalla politica nella gestione della paura e dell’insicurezza degli uomini, e infine il ruolo della paura nel mondo globalizzato, con le sue guerre e la diffusione in ogni angolo della terra di una crescente precarietà e della sopraffazione dei ricchi e potenti sui poveri e deboli. Ma lo sguardo di Zolo non è di rassegnazione, di resa, bensì di “pessimismo attivo”: ci insegna che fino all’ultimo non bisogna rinunciare a lottare contro l’universo sconfinato della follia umana.

 

 

 

 

Addio a Danilo Zolo • Diritti Globali

Danilo Zolo (Fiume20 gennaio 1936 – Firenze15 agosto 2018) è stato un giurista e filosofo del diritto italiano.

 

Danilo Zolo ha insegnato Filosofia del diritto e Filosofia del diritto internazionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. È stato Visiting Fellow in numerose università inglesi e statunitensi e nel 1993 gli è stata assegnata la Jemolo Fellowship presso il Nuffield College di Oxford. Ha tenuto corsi di lezioni in Argentina, Brasile, Messico e Colombia. Nel 2001 ha fondato la rivista elettronica internazionale “Jura Gentium”. Fra i suoi scritti: Reflexive Epistemology (Kluwer, 1989); Democracy and Complexity (Polity Press, 1992); I signori della pace (Carocci, 1998); Invoking Humanity: War, Law and Global Order (Continuum, 2002); Globalizzazione. Una mappa dei problemi (Laterza,); La giustizia dei vincitori (Laterza, 2006). Per Feltrinelli ha pubblicato: Scienza e politica in Otto Neurath (1986); Il principato democratico (1992); Cosmopolis (1995); Lo Stato di diritto (con Pietro Costa; 2002); L’alternativa mediterranea (con Franco Cassano; 2007); L’alito della libertà. Su Bobbio (2008) e Sulla paura (2011).
Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

 

 

 

IL MANIFESTO 18 AGOSTO 2018
https://ilmanifesto.it/danilo-zolo-un-intellettuale-dalla-parte-del-torto

 

Danilo Zolo, un intellettuale «dalla parte del torto»

 

ADII. Addio all’autore di «Il principato democtatico», e altri libri fondamentali per comprendere il presente della politica. Affrontava la realtà girandoci intorno, con l’obiettivo di coglierne la contraddizione

 

Danilo Zolo, un intellettuale «dalla parte del torto»

«L’irruption de la Justice dans les causes imaginaires. Le procès de Satan et de la reine Ratio» (Bibliothèque de l’Arsenal)

prof. di Scienca politica e Politica internazionale presso l’Università per Stranieri di Perugia, dove coordina il progetto “Italy. Il contributo dell’Italia al patrimonio dell’umanità” (www.unistrapg.it/didattica/italy).

 

 

Danilo Zolo è stato uno dei più grandi intellettuali italiani del secondo Novecento. Ha scritto il più importante libro sulla democrazia ancora oggi in circolazione in Italia. Ha inoltre avviato una riflessione critica sulla politica internazionale e il cosiddetto pacifismo giuridico. Senza sbiadire in nulla, la sua analisi continua a porsi autorevolmente all’origine dell’attuale critica internazionale dell’ordine liberale post-Guerra fredda. Un giorno gli dissi che Hardt e Negri in Empire avevano seguito le sue indicazioni. Tacque, come quando dieci anni prima gli avevo detto che mi aveva fatto capire che Kelsen occorreva leggerlo a confronto con Carl Schmitt. Un sorriso compiacente, non compiaciuto. Di chi ti spinge a ricordare, anzitutto, la figura di uomo generoso e affettuoso. «Un affettuoso saluto, Danilo» era la firma della sua email. Sapeva anche irrigidirsi.

 

IN UNA INTERVISTA a Paolo Ermini del Corriere della Sera, Matteo Renzi ha imputato al correlatore prof. Danilo Zolo il suo 109 quale voto di laurea, «per la sua analisi ideologica di La Pira che io contestai». Sembra di vederlo Zolo, sorridente, uno che aveva scelto una vita ascetica con i giovani cattolici della Firenze pacifista, ribellarsi sotto la barba. Lui che del consiglio comunale di Firenze aveva fatto esperienza alla metà degli anni Novanta, maturando lì la convinzione che la democrazia aveva smarrito la capacità di ascolto.
Quando muore un intellettuale corre l’obbligo di collocarlo? Chi è Danilo Zolo, acerrimo nemico scientifico e accademico di Giovanni Sartori, e autore di un libro in ricordo dell’amico e mentore Norberto Bobbio? Storico collaboratore del manifesto, chi è l’autore di Il principato democraticoCosmopolis, ma anche di Scienza e politica in Otto Neurath? Zolo si definiva un realista, ma il suo realismo era quello dell’intellettuale che affronta la realtà girandoci intorno, con l’obiettivo di cogliere qualche elemento di contraddizione, e metterla in scacco. Non solo non c’era alcun compiacente conservatorismo nella sua scelta epistemologica. Soprattutto Zolo si oppose agli incipienti discorsi che, nei primi anni Novanta, iniziarono a stravolgere la realtà in nome della libertà di interpretazione. Zolo detestava chi urlava in televisione, così come oggi detesterebbe coloro che sentenziano sui social.

 

IL SILENZIO sta accompagnando la sua morte, e non c’è dubbio che questa è stata anche la sua scelta. È andato via senza dircelo. Come mi ha scritto un amico dal Brasile, tuttavia, fa male che della sua morte non s’interessi neppure la cronaca cittadina. È forse questo lo specchio fedele di una situazione che dobbiamo dare per definita e a cui occorre solo rassegnarsi? L’assenza di una opinione pubblica e di una passione politica?
In uno dei nostri incontri mi disse che più approfondiva i suoi studi e più smarriva un punto di riferimento. Questo non sembrava turbarlo affatto, al contrario lo divertiva. In quella stessa occasione mi fece un collegamento, ostentatamente buffo e paradossale, tra gli àscari, i soldati eritrei dell’Africa Orientale Italiana, e gli acari della polvere, una sottoclasse di parassiti che in quegli anni stavano favorendo ampiamente la vendita di biancheria anallergica. Capii solo in seguito che stava affrontando un tema nuovo, serissimo, che fu poi anche l’ultimo: quello della paura. E del terrorismo. Zolo era rivolto al Mediterraneo, che a volte osservava come se fosse nel rifugio elbano. Il suo interesse per la causa palestinese lo ha spinto verso dolcissimi tratti di romantica passione. Era di quelli che non hanno paura di «stare sempre dalla parte del torto». La prima volta che lo incontrai mi regalò gli appunti del suo corso in Filosofia del diritto, riprodotti in ciclostile. In copertina c’era l’immagine di un tronco storto, a cui, con robuste funi, si cercava di imporre il diritto. Il suo impegno per l’istruzione nelle carceri era sincero, una responsabilità da vero radicale.
Con la scomparsa di Danilo Zolo si chiude una stagione di impegno per la politica, non solo per la prassi ma anche per la teoria politica. Chi ha creduto che Zolo abbia perso le sue battaglie sulla scienza politica, dovrà tuttavia ricredersi.

 

 

 

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