…la musica la dobbiamo al famoso ingegnere CLAUDIO NUVOLONI
DALLA RIVISTA “LE SCIENZE”, traduzione italiana di “Scientific American” / articolo di Giorgio Manzi (insegna paleoantropologia presso il Dipartimento di biologia ambientale dell’Università “La Sapienza” di Roma, dove dirige il Museo di antropologia “Giuseppe Sergi”)
Cinquant’anni fa esatti, nell’Encyclopedia of Unified Science della Chicago University Press si pubblicava un volumetto che, sulla carta, non era destinato ad avere un particolare successo. E così all’inizio effettivamente andò. Tuttavia con il tempo le vendite si impennarono, e quel saggio originariamente rivolto ai cultori della materia è diventato un long seller da oltre un milione di copie. Non solo: da quelle pagine è scaturito un lessico che si è diffuso ben oltre i confini della filosofia della scienza, dal momento in cui tutti (o comunque in tanti) ci siamo spesso riempiti la bocca con termini come “paradigma”, “scienza normale”, “rivoluzione scientifica” e così via. L’autore del saggio era Thomas Kuhn, classe 1922 e scomparso nel 1996, fisico di formazione e storico della scienza per professione. Il libro aveva un titolo da pietra miliare – La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) – e tale è diventato davvero, mettendosi in competizione con l’empirismo logico del Circolo di Vienna o con il razionalismo critico di Karl R. Popper.
Thomas Kuhn, 1973, quando insegnava alla Princeton University
La proposta era a prima vista semplice. Secondo Kuhn la storia mostra che il progresso scientifico non procede come una marcia verso la verità, ma piuttosto avanza a salti che possiamo chiamare «slittamenti di paradigma, dove “paradigma” è un sistema coerente di visioni della realtà che, in un certo momento storico, è condiviso dalla comunità scientifica di riferimento e tale rimane fino al paradigma successivo. Dunque, per fare l’esempio forse più banale, dopo Tolomeo il paradigma è stato che la Terra sia al centro dell’universo, mentre dai tempi di Copernico è stato il Sole a prenderne il posto. Nel tempo la ricerca si muove per lo più su un terreno che potremmo dire pianeggiante, dove si indagano le conseguenze del paradigma condiviso, in una fase di relativa stasi denominata da Kuhn “scienza normale”. Fino a quando i conti non tornano più e si attraversa una “fase rivoluzionaria”, conclusa dall’affermazione di un nuovo paradigma che a sua volta precede la successiva fase di scienza normale.
In questo modo viene introdotta nella storia e nella filosofia delle scienze, anche delle cosiddette scienze più “dure”, una quota di relativismo storico-culturale. Come dire che la scienza, lungi dall’essere asettica, è invece profondamente condizionata dal clima culturale della sua epoca e dalla circolazione di idee a cui essa stessa partecipa. Questo taglio storicista non è piaciuto a molti, e credo che sia anche per questa ragione che il contributo epistemologico di Thomas Kuhn è stato criticato da più parti e ancora oggi rimane controverso.
Tranquilli. Non è nelle mie corde (né è il mio mestiere) entrare in questo dibattito, e dunque mi fermo qui. Vorrei piuttosto valutare insieme a voi se e in quale misura i contenuti di fondo della proposta di Kubn possano trovare un’applicazione nel campo della paleoantropologia. Ovvero se la storia della ricerca sulle nostre origini possa essere letta in termini di rivoluzioni, paradigmi e fasi di scienza normale. Per farlo, questa pagina non è sufficiente, visto che lo spazio a mia disposizione per questo mese è quasi finito.
Dobbiamo dunque darci appuntamento fra trenta giorni, per vedere come l’idea ottocentesca di “anello mancante” possa aver portato all’aberrazione della celebre frode di Piltdown, presto smentita dalle prove che si andavano accumulando in Africa a partire dalla scoperta del primo Australopithecus (tutt’altro che un essere umano dal grande cervello con la faccia da scimmia) o come, per mezzo secolo, il paradigma della teoria sintetica dell’evoluzione abbia guidato i ricercatori a credere nell’esistenza (erronea, pensiamo oggi) di una sola specie umana che, gradualmente, avrebbe evoluto caratteristiche moderne a partire da quelle arcaiche.
A presto, dunque.
PS. non bisogna mai scommettere quando non si sa, ma scommetto lo stesso che Donatella ci saprà dire fosse pure qualche balbettìo su tutte queste cose strane che dice l’autore nel suo campo come Pitdown, Australopithecus…anche se ha passato la vita ad insegnare, vi dirò adesso il vero mestiere di Donatella: “curiosare tutto… goccina per goccina del territorio che esplora come fanno i gatti e tanti altri animali”. Insomma, non è un essere umano ed è bene che qualcuno glielo dica!