29 ottobre 2013 ore 07:45 +++++ ANTONIO POLITO QUEL PASSO IN PIU’ CHE RENZI DOVREBBE FARE // LA SUA IDEA DI RIFORMA ELETTORALE

Corriere 28.10.13
Quello che manca alla vera svolta
Quel passo in più che il sindaco dovrebbe fare
di Antonio Polito

Nella linea di Renzi sembra persistere una forma di scaltrezza: l’attualità politica impone delle risposte, ma il problema dei problemi è sempre un altro: «Cambiare l’Italia».
Alla sua terza o quarta discesa in campo, Matteo Renzi è un po’ troppo simile a se stesso. Neanche l’ultima Leopolda da giovane candidato gli ha fornito una matura piattaforma da segretario. Eppure tra poco più di un mese, pur non essendo in Parlamento (come Grillo), avrà il compito di guidare un esercito di più di quattrocento parlamentari. Le sue idee dovranno dunque diventare rapidamente proposte di legge, o appassire; dovranno trasformarsi ogni giorno in emendamenti e voti. Veltroni usò il Lingotto per questo rito di passaggio. Renzi non ha ancora avuto il suo Lingotto. In lui sembra far premio la scaltrezza. A quasi nessuna delle scelte che l’attualità politica impone viene data risposta perché: «Il problema è cambiare l’Italia».

Per farlo davvero, è però giunto il momento di scendere nei dettagli. E su un punto ieri Renzi l’ha fatto. La sua idea di riforma elettorale comincia infatti a precisarsi, soprattutto perché sembra accoppiarsi all’idea di un cambiamento costituzionale che lascia a una sola Camera il voto di fiducia e apre al premierato forte. Dovrebbe dunque assomigliare molto alla soluzione che propongono sia Violante sia D’Alimonte (presente alla Leopolda), nota come «doppio turno di coalizione»: ciò che aveva suggerito ieri su questo giornale Angelo Panebianco. È un’idea che ha margini realistici di trattativa politica, a patto che il governo duri e che il processo di riforme vada avanti. Se Renzi gettasse il peso del suo Pd su questa linea, invece che su un’agitazione pre-elettorale, si tratterebbe certamente di una svolta.
Così come una svolta, questa però con molti meno dettagli, è quella cui Renzi ha alluso in materia di giustizia. Non è infatti facile dire alla sinistra che il sistema giudiziario italiano merita una radicale riforma, anche se lo si dice in nome di Silvio Scaglia invece che di Silvio Berlusconi. Però Renzi l’ha detto, e ha ragione. Resta da chiarire come cambiarlo: limitando i casi di carcerazione preventiva? separando le carriere? modificando il Csm?

Sull’economia, e sull’asfissia del nostro Stato sociale, resta invece una nebbia alquanto fitta. Il posizionamento innovatore di Renzi è chiaro, molto meno sono chiare non dico le soluzioni (difficili da trovare per tutti) ma anche le direzioni di marcia. Anzi, si ha l’impressione che dal vuoto finiscano inevitabilmente per affiorare idee bislacche e pericolose come quella esposta dal finanziere Davide Serra alla Leopolda, secondo cui i pensionati con il retributivo – cioè praticamente tutti i pensionati italiani – sono «persone che rubano».
Si giunge qui a uno dei nodi più delicati del renzismo: il giovane leader è troppo solo. Intorno a lui non è cresciuta in questi anni una squadra di cervelli all’altezza delle ambizioni, né uno staff che sappia organizzarle. Renzi è, anche visivamente, un one-man-show: alla Leopolda faceva il regista, il conduttore e il d.j. Nel precedente storico spesso a lui accostato, l’ascesa di Blair a capo del New Labour, non fu affatto così. Come Renzi, Blair possedeva una dote che mancava disperatamente alla sinistra: era in grado di farla finalmente vincere perché giovane, simpatico, diverso. Dio solo sa se il Pd ne ha bisogno. Ma, a differenza di Renzi, Blair aveva Gordon Brown che preparava le politiche economiche da applicare una volta al governo, Peter Mandelson che ne curava la presentazione, David Miliband che sfornava idee nuove, Philip Gould che studiava l’elettorato, Alastair Campbell che ispirava la stampa, Jonathan Powell che avrebbe venduto il pacchetto alle diplomazie di tutto il mondo, e – si parva licet – Bill Clinton che lo spingeva da Washington e gli insegnava tutto ciò che sapeva.

 

Per quanto capace sia l’animale politico Renzi, e lo è, è difficile che possa far tutto da solo. Inoltre gli spetterà il difficile esercizio di saltare alla guida dell’auto in corsa, mentre cioè il Pd è già al governo, e non potrà dunque nemmeno rimandare le scelte importanti a quando al governo andrà lui. Finora il Pd è stato una storia di insuccesso perché non ha saputo praticare il riformismo con il consenso. Renzi ha finalmente il consenso; avrà anche il riformismo?

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