22 MARZO 2014 09:55 HO SCELTO QUESTO COME IL MIGLIOR “RACCONTO” DELL’ARTE E DELLA VITA DI FRIDA KAHLO, FORSE PERCHE’ UNICO, CHE CONOSCA, CHE PRENDE IN CONSIDERAZIONE IL BISOGNO DI DIPINGERE METTENDOLO IN RELAZIONE AL SUO “STATO DI DISABILITA'”, ANCHE SE CHIAMARLO COSI’ PARE UN EUFEMISMO– SPERO VI PIACCIA, CHIARA—impo: DOVETE ASSOLUTAMENTE ACCOSTARVI A FRIDA KAHLO COME AD UNA DONNA-CHE PARTENDO DA CONDIZIONI ECCEZIONALMENTE DISPERATE – NONOSTANTE LA GRANDE PASSIONE PER DIEGO RIVERA – DI FRONTE A SCONFITTE COSI’ GRAVI (IL TRADIMENTO DI DIEGO CON LA SORELLA E IL DIVORZIO) HA SAPUTO- POTUTO RIENTRARE IN SE STESSA PER APPOGGIARSI ALL’UNICA “COLONNA PORTANTE” CHE AVEVA (CHE NON DIPENDEVA DA NESSUN ALTRO) E SCOPRIRE FINALMENTE LA VERA LIBERTA’ E FELICITA’: LA SUA CREATIVITA’ CON I SUOI FRUTTI CONCRETI/ PUR MANTENENDO AFFETTI E RAPPORTI /NON SOLO CON ALTRE DONNE, MA VERSO IL MARITO. a mio parere (ultima lettera) comunque: “GRATA” DI COSA AVEVA RICEVUTO lungo tutta la vita—così vede chiara, neanche dire che voi vedete diverso…EVVIVA PER LA DIVERSITA’! VOGLIO AGGIUNGERE CHE QUESTA STORIA E’ PARTICOLARMENTE CARA AL NOSTRO CUORE PERCHE’ SI TRATTA DI UNA DONNA, E IN MESSICO!…MA CI SONO STORIE, CHE SUSCITANO ALTRETTANTO IL NOSTRO “AMORE” (AL PUNTO DA PRENDERCELI A MODELLO): ADESSO MI VIENE IN MENTE SOLO GRAMSCI, MA NE CONOSCO ALTRI CHE CRECHERO’—CERTO FRIDA E’ FRIDA! LA AMIAMO ANCHE PER LA SUA “UNICA UNICITA'”-

 

 

–IL GIORNALE DI ECAD (http://www.ecad.name/presentazione.htm)

apritelo, se siete interessati all’arte e alla filosofia: è pieno di meraviglie!

 

 

 

articolo su frida kahlo, qui proposto, è tratto da:

VOLTAPAGINA

http://www.voltapagina.name/frontespizio%20.jpg

 

SEZIONE:

di silvia cutrero

 

 

Personaggi famosi con disabilità : FRIDA KAHLO

 


Come spesso accade, quando si analizzano i profili di persone famose con disabilità, si tende ad enfatizzare l’aspetto eroico del personaggio e a sottacerne il lato oscuro e difficile. Nel caso di Frida Kahlo, la disabilità, è stata dissimulata dalla sua capacità  di sublimare il dolore personale in opere artistiche che sono apprezzate a prescindere la straordinaria biografia.

La sua vita fu intensa e crudele, caratterizzata da tormenti e forti emozioni che le procurarono depressione, estraniamento,  perdita.  Ma la sua arte  e’ testimonianza di un successo raggiunto che la salva  dall’essere considerata sia una vittima che un’icona con disabilità, a dispetto di una cultura patriarcale, di un marito infedele e di un orribile incidente che avrebbero potuto alimentare il mito di Frida quale eroina tragica.

Era una donna con disabilità e, fin dagli esordi,  affrontò  la sua difficile condizione opponendosi alla sorte avversa, riuscendo a trasformare l’immobilità’ in opportunità artistica e successivamente a trasformare la sofferenza in arte. Il  dolore rappresentato nelle sue tele non e’ mai tragico, casomai sfrontato e vivido: Frida disegna l’intensità e la debolezza del genere umano. I numerosi autoritratti, inusuali e pieni di colore, ci fanno percepire quanto, questo  corpo  di donna ferita, sia stato centrale nella sua arte e nella sua esistenza.

Frida era una donna con una forza speciale, probabilmente necessaria per dover affrontare sia i problemi di salute che quelli più strettamente personali. L’essersi sottoposta a 30 operazioni chirurgiche, alcune non indispensabili da un punto di vista medico, o l’accanimento con cui cercò di portare a termine ben tre gravidanze, senza riuscirvi, mostra la determinazione nel  voler superare la barriera  del suo corpo fragile ritenuto un ostacolo per la sua forte personalità e l’enorme sete di vita.

Anche la relazione con Diego Rivera, che  le causò  più pena che gioia, fa emergere l’intensa passionalità con la quale seppe affrontare le derive frustranti e trasformare  questa ossessione amorosa in un legame quasi mistico. Nelle pagine del suo Diario, tenuto negli ultimi dieci anni di vita, Frida dichiara la sua passione senza riserve nei confronti del marito e, solamente dopo l’amputazione della gamba destra, un anno prima di morire, appare l’ineluttabile sconforto che la fa sentire inadeguata e desiderosa di andare.

 

Frida Kahlo

 

Le due Frida 1939

 

 


Era nata nel 1907 a Cayoaca’n, all’epoca un sobborgo di Citta’ del Messico. La madre aveva origini meticce, il padre, fotografo, era nato a Baden-Baden, i suoi genitori, ebrei ungheresi, erano emigrati in Germania. Il rappoirto con il padfrte era caratterizzato da grande ammirazione e affetto e quando ne dipinse il ritratto aggiunse, sulla parte inferiore del quadro:

 

 

 

“Ho raffigurato mio padre, Wilhelm Kahlo, d’origine ungaro-tedesca, artista e fotografo di professione, di carattere generoso, intelligente, nobile e coraggioso, perché, nonostante abbia sofferto per sessant’anni di epilessia, non smise mai di lavorare e lotto’ contro  Hitler, con ammirazione. Sua figlia Frida Kahlo.”

 


A sei anni Frida si ammalo’ di poliomelite. La  gamba e il piede destro divennero molto esili provocandole un’andatura claudicante che le fece guadagnare il soprannome di “Frida gamba di legno” al quale reagì  diventando molto spericolata, dimostrando di saper compiere vere e proprie acrobazie su biciclette e pattini, arrampicandosi su alberi e scavalcando muretti.

 

dal diario:

“A sei anni ebbi la poliomielite. A partire da allora ricordo tutto molto chiaramente. Passai nove mesi a letto. Tutto comincio’ con un dolore terribile alla gamba destra, dalla coscia in giu’. Mi lavavano la gambina in una bacinella con acqua di noce e panni caldi. La gambina rimase molto magra. A sette anni portavo degli stivaletti. All’inizio pensai che le burle non mi avrebbero toccata, ma poi mi fecero male, e sempre piu’ intensamente.”

 


Fu in quel periodo che, per nascondere il suo lieve difetto fisico, inizio’ a indossare pantaloni e poi lunghe gonne messicane. Nel 1922 dopo aver frequentato il liceo, Frida, volendo diventare medico, fu ammessa al migliore istituto superiore del Messico, la “Escuela Nacional Preparatoria”. Fu l’unica ragazza che fece parte del gruppo studentesco dei “Los Cachuchas”, così chiamati per i loro berretti e che si interessavano di letteratura e sostenevano  le idee socialiste-nazionaliste di Jose’ Vasconcelos da poco nominato Ministro della pubblica istruzione. L’azione politica di Vasconcelos, oltre ad  incentivare l’alfabetizzazione, favoriva il nascente movimento di rinnovamento culturale, il cui scopo era la parificazione sociale della popolazione di origine india e la sua integrazione culturale, nonche’ la riconquista di una cultura nazionale messicana indipendente. Molti artisti, che fino ad allora avevano giudicato degradante la diffusa imitazione di modelli stranieri, iniziarono a esigere un’arte messicana indipendente, lontana dall’accademismo, evidenziando nel loro lavoro le origini messicane e una rivalutazione dell’arte popolare.

In questo contesto trovava spazio l’arte dei Murales (cioè affreschi, si potrebbe dire) una forma artistica usata dai poeti messicani che parteciparono alla rivoluzione di inizio Novecento e che furono elemento fondamentale per la presa di coscienza del popolo e le conseguenti lotte sociali. In seguito a quegli eventi, che resero evidente l’efficacia di questo mezzo di comunicazione, i murales vennero usati come un vero e proprio strumento di propaganda che permetteva di esprimere concetti e sensazioni senza l’ausilio di parole, che erano di difficile comprensione sopratutto per coloro che non sapevano leggere. Uno dei maggiori esponenti di questa forma pittorica fu Diego Rivera incontrato da Frida, nel 1922, mentre preparava il suo primo murale nell’anfiteatro Simon Bolivar della “Escuela Nacional Preparatoria” e che successivamente conobbe e sposo’.

Il 17 settembre 1925 l’autobus, con il quale Frida stava tornando a casa da scuola, si scontro’ con un tram.  Diverse persone morirono sul colpo e Frida rimase gravemente ferita. Frattura della terza e quarta vertebra lombare, tre fratture al bacino, undici fratture al piede destro, lussazione gomito sinistro, la spalla destra  slogata permanentemente, ferita penetrante all’addome prodotta da un corrimano che entro’ nell’anca sinistra per uscire attraverso il sesso, compromessa la possibilita’ della maternita’.

 

“…Salii sull’autobus con Alejandro Go’mez Arias. Io mi sedetti sul bordo, vicino al corrimano, e Alejandro accanto a me. Pochi attimi dopo l’autobus si scontro’ con un tram della linea per Xochimilco. Il tram schiaccio’ l’autobus contro l’angolo della via. Fu un urto strano: non fu violento, ma sordo, e tutti ne uscirono malconci. Io piu’ degli altri. Ricordo che accadde esattamente il 17 settembre del 1925… Eravamo saliti da poco sull’autobus quando ci fu lo scontro. Prima avevamo preso un altro autobus, solo che io avevo perso un ombrellino. Scendemmo a cercarlo e fu così che salimmo su quell’autobus che mi rovino’. L’incidente avvenne su un angolo, di fronte al mercato di San Juan, esattamente di fronte. Il tram procedeva con lentezza, ma il nostro autista  era un ragazzo giovane, molto nervoso. Il tram, nella curva, trascino’ l’autobus contro il muro. Io ero una ragazzina intelligente ma poco pratica, malgrado la liberta’ che avevo conquistato. Forse per questo non valutai bene la situazione ne’ intuii il genere di ferite che avevo….. Non e’ vero che ci si rende conto dell’urto, non e’ vero che si piange. Io non versai una lacrima. L’urto ci spinse in avanti e il corrimano mi trafisse come la spada trafigge un toro. Un uomo si accorse che avevo una tremenda emorragia, mi sollevo’ e mi depose su un tavolo da biliardo finché la Croce rossa non venne a prendermi. Persi la verginita’, avevo un rene leso, non riuscivo a fare la pipì, e la cosa che piu’ mi faceva male era la colonna vertebrale…”

 

L’incidente la costrinse in ospedale per tre mesi  e, successivamente, a causa delle fratture alle vertebre lombari, ad indossare per nove mesi diversi busti di gesso. Fu in questo periodo che, dovendo rimanere sdraiata, per ingannare il tempo, inizio’ a dipingere. Si fece costruire una specie di cavalletto e un baldacchino  sul quale fisso’ uno specchio in modo da potersi vedere e utilizzare la sua immagine come modello.

“Da molti anni mio padre teneva in un angolo del suo piccolo studio fotografico una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza…. Gia’ da bambina mi sentivo attratta dalla scatola dei colori, senza saperne il perché. Nel periodo in cui dovetti rimanere a lungo a letto  approfittai dell’occasione e chiesi a mio padre di darmela. Me la “presto'”, come un bambino a cui si porta via un giocattolo per darlo al fratello malato…”

Trascorrendo molto tempo da sola inizio’  a dipingere gli autoritratti sostenendo di essere il soggetto meglio conosciuto. L’essere sfuggita alla morte le impose una rinascita.  Frida fu costretta a confrontarsi con la sua immagine allo specchio, con il dolore per le sue gravi condizioni di salute, con l’angoscia e la disperazione e  decise con coraggio di ricominciare daccapo, di dipingere le cose come le vedeva, animate da un sentimento positivo e da una esigenza di bellezza che riversava sui soggetti dei suoi dipinti quali la natura, gli animali, i colori, i fiori ed anche i suoi autoritratti.

Verso la fine del 1927 Frida  riprese una vita “normale”, ritrovo’ i suoi compagni che, nel frattempo, frequentavano l’uiversita’, svolgevano attivita’ politica e partecipavano ad incontri con Julio Antonio Mella, comunista cubano in esilio in Messico, compagno della fotografa Tina Modotti. Tramite lei, nei primi mesi del 1928 Frida conobbe Diego Rivera, determinante per la sua vita e per la sua produzione artistica. Lei gli mostro’ le sue tele, lui la sprono’ a continuare a dipingere intuendo  che si trattava di una vera artista. L’irruzione di Rivera nella sua vita aiuto’ Frida ad avere piu’ fiducia in se stessa e a nutrire una sorta di orgoglio di esistere  rappresentato anche nello splendore di alcuni disegni e dipinti. In quell’anno Frida si iscrisse al Partito comunista sostenendo la lotta di classe armata del popolo messicano.

Frida e Diego si sposarono il 21 agosto del 1929, lui aveva 42 anni lei 22. Frida entro’ in contatto con artisti e intellettuali che sostenevano un’arte messicana indipendente e raffiguro’ nei suoi autoritratti abiti, orecchini, collane che testimoniavano gli influssi culturali precolombiani e coloniali.

La situazione politica in Messico tra il 1928 e il 1934, con il nuovo governo, fu caratterizzata dalla repressione nei confronti dei dissidenti politici. Il PCM venne dichiarato fuorilegge e numerosi comunisti vennero incarcerati. Molti si trasferirono negli Stati Uniti e tra questi, nel novembre del 1930, anche Frida Kahlo e Diego Rivera. Rimasero in America quattro anni nei quali per tre volte Frida non riuscì a portare a termine le gravidanze. Il dolore per la perdita del bambino e’ rappresentato in un dipinto a olio Henry Ford Hospital in cui e’ condensata la sua situazione di solitudine e abbandono.

 

 

“La mia pittura porta dentro il messaggio del dolore. Credo che, quanto meno, a qualcuno interessi…La pittura mi riempì la vita. Persi tre figli e un’altra serie di cose che avrebbero dato un senso alla mia vita orribile. Tutto questo fu sostituito dalla pittura. Io credo che il lavoro sia la cosa migliore.”

I

Ricominciare a lavorare non fu semplice. Nel 1935 il rapporto tra Frida e Diego era molto difficile. Diego, che aveva avuto diverse avventure con altre donne, aveva iniziato una relazione con la cognata Cristina Kahlo,  che era stata una sua modella. Profondamente ferita, Frida lascio’ la casa dove abitava e dopo alcuni mesi ando’ per un periodo, con due amiche, a New York. Uno dei dipinti di quell’anno, Qualche colpo di pugnale, raffigura l’omicidio di una donna per gelosia realizzato prendendo spunto da un fatto di cronaca nel quale l’assassino si era difeso davanti al giudice dicendo: “Ma era solo qualche colpo di pugnale!” Il quadro colpisce per la rappresentazione oltremodo sanguinosa della brutale violenza maschile e le ferite inflitte sono, probabilmente, riconducibili  alla sofferenza interiore di Frida.

 

 

 

Qualche piccolo colpo di pugnale, 1935

 


Alla fine dell’anno la relazione tra Diego e Cristina Kahlo si concluse, Frida torno’ a casa anche se Diego non rinuncio’ ad altre avventure extraconiugali, ma da questo momento anche lei comincio’ ad avere rapporti con altri uomini tra cui, uno dei piu’ famosi fu quello con Lev Trotzkij nel 1937 e nei suoi ultimi anni di vita ebbe alcune relazioni anche con donne.

Nell’ottobre del 1938 Frida ritorno’ negli Stati Uniti per allestire la sua prima mostra presso la galleria di Julien Levy a New York. Fu un successo con vasta eco su giornali e riviste e meta’ dei quadri furono venduti. In questa occasione Diego Rivera aveva inviato ad un critico d’arte il seguente biglietto

“Gliela raccomando, non come marito, ma come un ammiratore entusiasta della sua opera, acida e tenera, dura come l’acciaio e delicata e fine come l’ala di una farfalla, adorabile come un bel sorriso e profonda e crudele come l’amarezza della vita”

 

Nel 1939 e’ la volta di Parigi dove Andre’ Breton volle organizzare una mostra dedicata all’arte messicana per la quale la pittrice e la sua opera ottennero commenti positivi sulla stampa ma la minaccia dello scoppio della guerra fece fallire, dal punto di vista finanziario, la mostra.  Qui Frida conobbe e frequento’  Kandinskij, Marcel Duchamp, Pablo Picasso e molti altri artisti.

Il 1939 e’ anche l’anno del divorzio, voluto da Diego Rivera. Per Frida la separazione fu dolorosa, per disperazione bevve molto alcool e per combattere la solitudine lavoro’ molto intensamente. In questo periodo ripresero anche i dolori alla colonna vertebrale e una micosi alla mano destra. Nel settembre del 1940 Frida si reco’ a San Francisco per farsi curare dall’amico medico dott. Eloesser. Anche Diego Rivera si trovava a San Francisco, aveva ricevuto l’incarico di dipingere un affresco murale per la “Golden Gate International Exposition” e in tale occasione le propose di risposarlo, lei fu d’accordo ma ad alcune condizioni: non avrebbe piu’ accettato denaro da lui e non avrebbero avuto piu’ rapporti sessuali. L’8 dicembre del 1940, giorno del compleanno di Diego Rivera, a San Francisco fu celebrato il matrimonio. Nel 1941 tornarono in Messico, il loro rapporto era cambiato, lei era diventata indipendente dal punto di vista economico e sessuale, e una famosa pittrice. Per circa un decennio la sua vita fu tranquilla e ricca di successo artistico e accademico. Fu chiamata ad insegnare in una prestigiosa Accademia d’arte per la pittura e la scultura, a scrivere per alcune riviste, ricevette molti premi, partecipo’ a numerose mostre collettive. Ma tornarono i problemi di salute. Nel 1944 per i continui dolori alla schiena e al piede destro dovette stare a riposo assoluto e indossare un busto d’acciaio. Nell’autoritratto intitolato La colonna rotta la sua spina dorsale e’ rappresentata come una colonna ionica rotta in diversi punti, il busto lacerato, il volto rigato dalle lacrime, decine di chiodi conficcati sul viso e sul corpo, il paesaggio sullo sfondo desolato.  Nonostante tutto questo, il quadro trasmette forza e se ne percepisce uno spirito guerriero.

 

La colonna rotta, 1944

 


Anche nel 1946, dopo aver subito da uno specialista a New York un’operazione per rinforzare la colonna vertebrale, dipinse l’autoritratto Albero della speranza sii solido per l’ingegnere Morillo Safa, suo mecenate e gli racconto’

 

 

 

 

 

“Ho quasi terminato il suo primo quadro; naturalmente non si tratta d’altro che del risultato di questa maledetta operazione: da una parte sono seduta – sull’orlo di un precipizio – con in mano il corsetto di pelle; dietro sono sdraiata su una lettiga, con il viso rivolto verso il paesaggio, con una parte di schiena scoperta, su cui si possono vedere le cicatrici che questi figli di puttana di chirurghi mi hanno fatto.”

Albero della speranza sii solido, 1946

In questo quadro, nonostante il corpo sia raffigurato scoperto, indebolito e ferito, si ritrovano sentimenti di speranza e coraggio confermati nella figura di Frida che regge in mano uno stendardo con il motto “Albero della speranza sii solido”. Ma le aspettative sull’esito dell’operazione furono deluse. Al ritorno in Messico i dolori ricominciarono e cadde in una profonda depressione, nel 1950 venne ricoverata per nove mesi in ospedale e operata sette volte alla colonna vertebrale. Per dipingere fece montare sul letto un cavalletto speciale che le permetteva di lavorare pur rimanendo sdraiata, dipinse così l’Autoritratto con il ritratto del dott. Farill (1951)

 


“Il dott. Farill mi ha salvata, mi ha ridato la gioia di vivere. Sono ancora seduta su una sedia a rotelle e non so se potro’ presto riprendere a camminare. Devo portare un busto di gesso, una pena terribile, ma mi aiuta a reggere meglio la spina dorsale. Non ho dolori, ma sono sempre stanchissima …e, ma questo e’ naturale, spesso sono disperata, in un modo indescrivibile. E tuttavia ho ancora voglia di vivere. Ho gia’ cominciato a dipingere, con tutto il mio affetto, il piccolo quadro che voglio regalare al dottor Farill.”

 

 

Frida faceva fatica a camminare, spesso si muoveva in carrozzina e stava molto tempo in casa. Fatta eccezione per Rivera, frequentava solo donne. Dipingeva a letto e, quando poteva, nello studio o in giardino. Negli ultimi anni dipinse soprattutto nature morte. Dal 1951, a causa dei dolori, ricorreva all’uso di farmaci antidolorifici che resero i suoi lavori meno precisi e accurati in un periodo in cui sentiva piu’ forte il desiderio di esprimere nei suoi dipinti la sua ideologia politica visto che dal 1948 si era nuovamente iscritta al partito comunista

 

“Sono molto preoccupata per quanto riguarda la mia pittura, soprattutto perche’ vorrei farla diventare qualcosa di utile. Finora, infatti, sono riuscita solo a esprimere me stessa, ma cio’ purtroppo non serve al partito. Devo cercare con tutte le mie forze di fare in modo che quel poco di positivo che le mie condizioni fisiche mi permettono ancora di fare serva anche alla rivoluzione, l’unico vero motivo di vivere”

 


 

Nel dipinto Il marxismo guarira’ gli infermi Frida immagina Marx come il salvatore che liberera’ il mondo dal dolore e dalla sofferenza, i malati miracolosamente guariti. Un’utopia realizzabile attraverso la fede politica, propagandata con la sua opera artistica.

 

Il marxismo guarira’ gli infermi, 1954

 

Nella primavera del 1953 fu allestita la prima mostra personale di Frida Kahlo in Messico e fu un enorme successo. La sera dell’inaugurazione Frida stava molto male ma non voleva mancare al vernissage. Si fece trasportare in ambulanza e portare il letto in galleria, partecipo’ alla festa bevendo e cantando insieme al pubblico. La malattia adombro’ questo momento felice, i dolori alla gamba destra non erano piu’ sostenibili. Nel suo Diario un disegno premonitore, come per esorcizzare la sua piu’ grande paura, raffigura due piedi staccati dal corpo, su un piedistallo, statuari, e da un’unica gamba emergono rami spinosi, senza foglie. In epigrafe Piedi, perche li voglio se ho ali per volare:

 

 

Nell’agosto di quell’anno i medici decisero di amputarle la gamba fino al ginocchio.

“Sei mesi fa mi hanno amputato la gamba, mi sembra un secolo di torture e qualche volta sono stata sul punto di perdere la ragione. Ho sempre il desiderio di uccidermi. Solo Diego mi trattiene dal farlo, perché mi sono messa in testa che gli potrei mancare. Me l’ha detto lui e io gli credo. Ma mai nella mia vita ho sofferto tanto.”

 

Frida Kahlo morì la notte del 13/07/1954 a causa di un’embolia polmonare. La sera prima aveva dato a Diego Rivera il regalo per le nozze d’argento che avrebbero festeggiato il 21 agosto.

 

Se soltanto avessi vicino a me la sua carezza

come l’aria accarezza la terra

la realta’ della sua persona, mi farebbe

piu’ felice, mi allontanerebbe

dalla sensazione che mi riempie di grigio.

Nulla dentro di me sarebbepiu’

così profondo, così definitivo.

Ma come gli spiego il mio enorme bisogno di tenerezza!

La mia solitudine di anni.

La mia struttura non conforme per disarmonia, per inadeguatezza.

Io credo che sia meglio andare, andare e non scapare.

Che tutto passi in un momento. Magari.

 

 

Se soltanto avessi vicino a me la sua carezza

come l’aria accarezza la terra

la realta’ della sua persona, mi farebbe

piu’ felice, mi allontanerebbe

dalla sensazione che mi riempie di grigio.

Nulla dentro di me sarebbepiu’

così profondo, così definitivo.

Ma come gli spiego il mio enorme bisogno di tenerezza!

La mia solitudine di anni.

La mia struttura non conforme per disarmonia, per inadeguatezza.

Io credo che sia meglio andare, andare e non scapare.

Che tutto passi in un momento. Magari.

 

 

 

Bibliografia

 

C. Fuentes, S. M. Lowe, Il Diario di Frida Kahlo. Autoritratto intimo Mondadori, Milano, 1995

R. Tibol, Frida Kahlo. Una vita d’arte e di passione, Rizzoli, Milano, 2002

A. Kettenmann,  Frida  Kahlo 1907-1954. Sofferenze e passioni, Taschen, Colonia, 1994

M. Zamora, Lettere appassionate, Abscondita, Milano, 2002

L. Lozano, A. Rorro, Frida Kahlo e le vie maestre dell’arte moderna messicana, SACS Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 2001

 

 

 

 

 


 

 

 


Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

1 risposta a 22 MARZO 2014 09:55 HO SCELTO QUESTO COME IL MIGLIOR “RACCONTO” DELL’ARTE E DELLA VITA DI FRIDA KAHLO, FORSE PERCHE’ UNICO, CHE CONOSCA, CHE PRENDE IN CONSIDERAZIONE IL BISOGNO DI DIPINGERE METTENDOLO IN RELAZIONE AL SUO “STATO DI DISABILITA'”, ANCHE SE CHIAMARLO COSI’ PARE UN EUFEMISMO– SPERO VI PIACCIA, CHIARA—impo: DOVETE ASSOLUTAMENTE ACCOSTARVI A FRIDA KAHLO COME AD UNA DONNA-CHE PARTENDO DA CONDIZIONI ECCEZIONALMENTE DISPERATE – NONOSTANTE LA GRANDE PASSIONE PER DIEGO RIVERA – DI FRONTE A SCONFITTE COSI’ GRAVI (IL TRADIMENTO DI DIEGO CON LA SORELLA E IL DIVORZIO) HA SAPUTO- POTUTO RIENTRARE IN SE STESSA PER APPOGGIARSI ALL’UNICA “COLONNA PORTANTE” CHE AVEVA (CHE NON DIPENDEVA DA NESSUN ALTRO) E SCOPRIRE FINALMENTE LA VERA LIBERTA’ E FELICITA’: LA SUA CREATIVITA’ CON I SUOI FRUTTI CONCRETI/ PUR MANTENENDO AFFETTI E RAPPORTI /NON SOLO CON ALTRE DONNE, MA VERSO IL MARITO. a mio parere (ultima lettera) comunque: “GRATA” DI COSA AVEVA RICEVUTO lungo tutta la vita—così vede chiara, neanche dire che voi vedete diverso…EVVIVA PER LA DIVERSITA’! VOGLIO AGGIUNGERE CHE QUESTA STORIA E’ PARTICOLARMENTE CARA AL NOSTRO CUORE PERCHE’ SI TRATTA DI UNA DONNA, E IN MESSICO!…MA CI SONO STORIE, CHE SUSCITANO ALTRETTANTO IL NOSTRO “AMORE” (AL PUNTO DA PRENDERCELI A MODELLO): ADESSO MI VIENE IN MENTE SOLO GRAMSCI, MA NE CONOSCO ALTRI CHE CRECHERO’—CERTO FRIDA E’ FRIDA! LA AMIAMO ANCHE PER LA SUA “UNICA UNICITA'”-

  1. Donatella D'Imporzano scrive:

    Un’eroina dell’arte, della bellezza e soprattutto della vita! Molto bella anche la biografia, chiara e profonda.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *