28 MARZO 2014 ORE 08:01 PER CHI VUOL LEGGERE, PIU’ CHE DI BRASSENS (ANCHE SE QUALCOSA C’E’), SI PARLA DI BEPPE CHIERICI, CHE TRA LE TANTE ATTIVITA’ FATTE, HA SCRITTO UN LIBRO SU GERGES BRASSENS E “DEVOTAMENTE” TRADOTTO LE SUE CANZONI—IN TEMPI ALTRI, NANNI SVAMPA LE AVEVA RIPROPOSTE IN DIALETTO MILANESE—QUALCUNO MAI SE LO RICORDA?

NANNI SVAMPA CANTA GEORGES BRASSENS  (1969)

sotto testo milanese e traduzione

https://www.youtube.com/watch?v=EA-Xvpeya0I

LUNEDÌ 10 MARZO 2014

 

Georges Brassens, l’orafo delle parole



Beppe Chierici realizza un omaggio al grande chansonnier francese. Una summa della sua arte tradotta, commentata, interpretata, disegnata e evocata.
Guido Festinese
Georges Brassens, l’orafo delle parole
Ci vuole molto amore, e molto corag­gio, per sfon­dare porte poe­ti­che e let­te­ra­rie che sem­brano aperte, aper­tis­sime, e che invece, osti­na­ta­mente, appena giri l’occhio tor­nano ad essere soc­chiuse, facendo appena intuire cosa c’è den­tro, nella stanza. Pren­dete il can­zo­niere di De André: comun­que lo rigiri, ad aver corag­gio di appro­fon­dire, salta sem­pre fuori qual­cosa di nuovo e sti­mo­lante. Pren­dete il song­book di Frank Zappa: un labi­rinto che si ricom­pone ogni volta in modo diverso, come se le tes­sere del puzzle fosse di pongo. Non si sono usati a caso i due esempi: Faber e Zappa ave­vano, ognuno a suo modo, parec­chio in comune con il Signor Poe­sia di cui qual­cuno, per for­tuna, torna a par­lare. Il Signor Georges  Brassens.
E sì: l’uno, il geno­vese con la voce fonda, su Bras­sens modellò una buona metà della sua car­riera spi­go­losa e dol­cis­sima, assor­ben­done umori liber­tari, arte della chan­son levi­gata e l’amore car­nale ed intel­let­tuale per Signo­rina Anar­chia. L’altro, un oceano di lon­ta­nanza, ebbe una iden­tica atti­tu­dine appa­ren­te­mente disil­lusa e un po’ cinica, e mede­simi impulsi di insof­fe­renza verso la stu­pi­dità auto­ri­ta­ria, fatto salvo il lasciare strug­gi­menti nasco­sti un po’ ovun­que. E aggiun­giamo solo, en pas­sant, che tutti e tre hanno abi­tato la vita ter­rena per ben poco, non vedendo il set­timo decen­nio: muore pre­sto chi è caro agli Dei, oppure, per dirla con George Bras­sens, «Se dio c’è, esa­gera».
Torna a par­lare di Georges Bras­sens, e vera­mente a tutto tondo, uno spe­cia­li­sta dello chan­son­nier per eccel­lenza, con un libro (e due cd acclusi: La Cat­tiva erba e Sto­rie d’amore) che ripro­fi­lano e ride­fi­ni­scono, ancora una volta, i con­torni di un con­ti­nente poe­tico appa­ren­te­mente desti­nato a sfug­gire ad ogni car­to­gra­fia. Il tutto in Bras­sens, la cat­tiva erba (Amici Miei Edi­tore), ad opera di Beppe Chie­rici e di un bella pat­tu­glia di amici mobi­li­tati per ren­dere il tutto una sorta di «summa» dell’arte bras­sen­siana tra­dotta. E com­men­tata, can­tata, dise­gnata, evocata.
Chissà quanti oggi, incro­ciando nelle strade umbre il bel signore con la barba ingri­gita che vive con la moglie ado­rata Mireille e una splen­dida comu­nità di quat­tor­dici gatti, avreb­bero modo di intuire che lì sta pas­sando un pezzo di vita avven­tu­rosa e irri­pe­ti­bile, peren­ne­mente allac­ciata al con­tro­canto delle can­zoni di Bras­sens, faro di rima­sta sag­gezza. Sì, per­ché forse per Beppe Chie­rici l’adorato Bras­sens, il «miscre­dente di Dio» incon­trato ad ogni occa­sione per sot­to­por­gli le tra­du­zioni pos­si­bili dei suoi versi rimati per­fetti e secondo qual­cuno intra­du­ci­bili è stato l’unico punto certo nelle capriole del destino di una vita piena. Che asso­mi­glia a quella di Maq­roll il Gab­biere di Mutis, o una serie di tavole di Corto Maltese.
Vita che comin­cia nella Pro­vin­cia Granda cuneese, quando la cappa oppri­mente demo­cri­stiana intes­seva trama e ordito delle esi­stenze di tutti, pro­se­guita poi in Fran­cia da fac­chino, lava­piatti, mari­naio, ven­di­tore di mac­chine da scri­vere , appro­data poi nel Gabon. Nel cuore del cuore delle fore­ste equa­to­riali, nel «Reame del Tutto Verde» quando si cer­ca­vano il legno pre­giato dell’albero okumé, e si apri­vano strade a colpi di machete. Lì Beppe Chie­rici s’era por­tato un gira­di­schi a pile, lì, nella fore­sta, ron­za­vano grac­chiando loro mal­grado i dischi con la voce dell’ Uomo per male, e Beppe si eser­ci­tava, con un libro di testi in mano, nell’arte di tra­durre e ren­dere in ita­liano quelle strofe mira­bili, metri­ca­mente per­fette. Poi rien­tra in Europa, ed ini­zia una quarta (quinta? Sesta?) vita da attore, Tea­tro della Rin­ghiera di Roma, e dop­pia­tore, È il 1969, la con­te­sta­zione immette mer­cu­rio nella sta­gnante cir­co­la­zione di idee dello Sti­vale, Beppe Chie­rici incide il suo primo 33 giri per la Belldisc.
Bras­sens è il gri­mal­dello che scar­dina cer­tezze e lan­cia sas­sate negli sta­gni dell’ipocrisia, forse anche da lì parte una ricerca paral­lela nella can­zone popo­lare ita­liana e fran­cese da far ri-conoscere alla gente che una gene­ra­zione prima era con­ta­dina. Nell’87 Chie­rici si autoe­si­lia in Fran­cia, e ini­zia una nuova car­riera, nell’adorata lin­gua dell’amico Bras­sens: cinema, tv, un mare di tea­tro. Nel 2008 lo ritro­viamo attore in Ita­lia, in Noi Cre­de­vamo di Mario Mar­tone, ed è anche un anno impor­tante per segnare un’altra tappa della car­to­gra­fia bras­sen­siana: esce Sup­pli­che e cele­bra­zioni, un disco che ha poca for­tuna com­mer­ciale, ma tanto peso estetico.
E matura il germe de La cat­tiva erba, con lo sforzo straor­di­na­rio inse­guito per una vita di riu­scire a ren­dere Bras­sens esat­ta­mente com’è, per­ché Chie­rici dichiara di essere «con­ti­nua­mente osses­sio­nato dalla volontà di non tra­dire l’autore e obnu­bi­lato dal desi­de­rio di esser­gli sem­pre fedele. Nei miei ten­ta­tivi di tra­spo­si­zione let­te­ra­ria e rit­mica ho cer­cato e cerco sem­pre di far rima­nere inte­gra l’immortale ere­dità poe­tica e musi­cale che Bras­sens ci ha lasciato, poi­ché sono inti­ma­mente con­vinto che egli sia, da sem­pre, l’indiscusso mae­stro dei can­tau­tori ita­liani ed europei».
Una fedeltà che signi­fica anche rispetto osses­sivo per le rime, cer­cando di supe­rare l’ostacolo tre­mendo dell’accento sull’ultima sil­laba che carat­te­rizza il fran­cese, e di con­ser­vare asso­nanze interne e metrica esatta del Mae­stro con la pipa: tant’è che Chie­rici pre­cisa, con moti­vato orgo­glio, che le sue ver­sioni in musica da Bras­sens si pos­sono sovrap­porre secondo dopo secondo all’originale, e tempi e metro­nomo incon­trano le mede­sime spa­zia­ture. Il bello è che la gran voce ruvida d’attore s’appoggia su arran­gia­menti par­ti­co­lari che met­tono in conto l’uso di sikus e e ban­do­neon, banjo e man­do­lini, eppure tutto funziona.
È la scelta di Car­los Erne­sto Moscoso Thomp­son, peru­viano, musi­ci­sta e liu­taio: che ha donato aromi lati­noa­me­ri­cani, jazz e coun­try alla chan­son di Bras­sens. Il libro che ha la cura­tela gra­fica di Oli­viero Pia­centi (a simu­lare in pra­tica un grande «blocco d’appunti») vive anche di colori e dise­gni: sono quelli, pre­ziosi, del dise­gna­tore Dario Fag­gella, che offre anche due veri e pro­pri rac­conti su can­zoni di Bras­sens. Qual­cosa della vio­lenta dol­cezza di Andrea Pazienza sem­bra essersi pro­fi­cua­mente inca­gliato nelle sue chine e nei suoi colori: Paz avrebbe apprez­zato. L’ «orafo delle parole» Bras­sens anche.

Il Manifesto – 7 febbraio 2014
PUBBLICATO DA VENTO LARGO A 09:45
ETICHETTE: 
 

Tratte dal sito: http://www.canzon.milan.it
 

Testi

 

 

L’era on bell fior

(Une jolie fleur)

Mì n’hoo mai vist come mì, cara gent

foeura de matt per ona bella tosa

ma gh’hoo de dì che hoo perduu i sentiment

a vardagh tròpp i tett in la camisa

Rit.:

L’era on bell fior in d’ona pell de vacca

l’era ona vacca e la pareva on fior

ona sanguetta che quand la se tacca

la te strepenna e la te strascia el coeur

El ciel el gh’aveva daa tanti ròbb

de brusà i man appenna vun i e tocca

ghe n’era inscì che mì savevi nò

savevi pù indove andà a poggià la bocca

L’era on bell fior ……

On coo de ratt senza sentiment

senza cervell e nanca spiritosa

ma per podè fà l’amor basta nient

gh’è nò bisògn de fà studià ona tosa

L’era on bell fior ……

On dì l’è andada e la m’ha pientaa chì

el coeur consciaa de fà quasi vergògna

tucc i decòtt che m’è toccaa sorbì

hinn nò staa bon de famm passà sta rògna

L’era on bell fior ……

Gh’hoo tiraa adree tanti maledizon

ma adess ormai l’hoo bell e perdonada

anca se la m’ha lassaa sto pover coeur

consciaa e sbattuu come ona ressumada

L’era on bell fior ……

 

 

Era un bel fiore

Non ne ho mai visti come me, cara gente,

impazziti per una bella ragazza

ma devo dire che ho perso i sentimenti

a guardarle troppo il seno sotto la camicetta.

Rit.:

Era un bel fiore in una pelle di vacca

era una vacca e sembrava un fiore

una sanguisuga che quando ti si attacca

ti strapazza e ti straccia il cuore.

Il cielo le aveva dato tante cose

da bruciare le mani appena uno le tocca

c’era talmente tanta roba che non sapevo

non sapevo più dove appoggiare la bocca.

Era un bel fiore ……

Una testa di topo senza senno

senza cervello e nemmeno spiritosa

ma per poter far l’amore basta niente

non c’è bisogno di far studiare una ragazza.

Era un bel fiore ……

Un giorno se ne è andata a mi ha piantato

col cuore mal ridotto da far quasi vergogna

tutti i decotti che ho dovuto sorbire

non sono riusciti a farmi passare questa rogna.

Era un bel fiore ……

Le ho mandato tante maledizioni

ma adesso oramai l’ho perdonata

anche se mi ha lasciato questo povero cuore

conciato e ridotto come un uovo sbattuto.

Era un bel fiore ……

 

 

 

 

L’Erba matta

(La mauvaise herbe)

On dì de gloria l’era ‘rivaa

quand tucc i alter eren partii

mì, domà mì, hoo conossuu

el disonor de restà chì!

Mì sont ‘mè l’erba matta

brava gent, brava gent

l’è inutil mettom l’oli

per condimm in insalata

La mòrt l’ha ciappaa i alter

brava gènt, brava gent

la m’ha faa grazia a mi

l’è minga giusta, ma l’è insci

Tra la la la la la la la

Tra la la la la la la lara

Mì voraria savè’l perchè

ve dà fastidi vedemm in pè

Mì voraria savè’l perchè

ve dà fastidi vedemm in pè.

I donn hinn faa ‘mè disen lor,

per stà settaa e spettà l’amor

mi gh’hoo on donnin che spetta nò

l’è in via Verzee che la va su e giò

Mì sont ‘mè l’erba matta

brava gent, brava gent

l’è inutil mettom l’oli

per condimm in insalata

Lee la se vend ai alter

brava gent, brava gent

la se regala a mì

L’è minga giusta ma l’è inscì

Tra la la la la la la la

Tra la la la la la la lara

Mì me par nò che per fà l’amor

ghe voeura i vergin e i mazz de fior

Mì me par nò che per fà l’amor

ghe voeura i vergin e i mazz de fiór.

I òmen vann in gir per el mond

semper insemma come i cavron

mì inveci nò, stoo in de per mì

mangi de grassa anca ‘l venerdì.

Mì sont ‘mè l’erba matta

brava gent, brava gent

l’è inutil mettom l’oli

per condimm in insalata

mì sont ‘me l’erba matta

brava gent, brava gent

e cressi in libertà

adree ai panchett e in mezz ai praa

Tra la la la la la la la

Tra la la la la la la lara

Me piasaria savè el perchè

vorii schisciamm sòtt ai vòster pè

Me piasaria savè el perchè

vorii schisciamm sòtt ai vòster pè.

 

 

 

La Gramigna

Un giorno di gloria era arrivato

quando tutti gli altri erano partiti

io, solo io, ho conosciuto

il disonore di restar qui

Io sono come la gramigna

brava gente brava gente

è inutile mettermi l’olio

per condirmi in insalata

La morte ha preso gli altri

brava gente brava gente

ha fatto grazia a me

non è giusto ma è così

Tra la la la la la la la

tra la la la la la la lara

e io vorrei sapere perché

vi dà fastidio vedermi in piedi.

e io vorrei sapere perché

vi dà fastidio vedermi in piedi.

Le donne sono fatte, dicono loro,

per restare sedute ad aspettare l’amore

io ho una donnina che non aspetta

è in via Verziere che va su e giù.

lo sono come la gramigna

brava gente brava gente

è inutile mettermi l’olio

per condirmi in insalata

Lei si vende agli altri

brava gente brava gente

si regala a me

non è giusto ma è così

Tra la la la la la la la

tra la la la la la la lara

a me non sembra che per fare l’amore

ci vogliano le vergini e i mazzi di fiori.

a me non sembra che per fare l’amore

ci vogliano le vergini e i mazzi di fiori.

Gli uomini vanno per il mondo

sempre insieme come caproni

io invece no, sto da solo

mangio di grasso anche il venerdì.

lo sono come la gramigna

brava gente brava gente

è inutile mettermi l’olio

per condirmi in insalata

io sono come la gramigna

brava gente brava gente

e cresco in libertà

intorno alle panchine e in mezzo ai prati

Tra la la la la la la la

tra la la la la la la lara

Mi piacerebbe sapere perché

volete schiacciarmi sotto i vostri piedi.

Mi piacerebbe sapere perché

volete schiacciarmi sotto i vostri piedi.

 

 

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