ore 22:03 Nell’intervista che segue si nomina BAD GODESBERG–il luogo dove avvenne un famoso congresso della SPD (partito socialdemocratico tedesco) in cui si rinunciò sia al marxismo che alla rivoluzione / se qualcuno è interessato a sapere cosa avvenne in quel lontano 1959…

  • Corriere della Sera

ABIURE DAL 13 AL 15 NOVEMBRE 1959 IN UNA CITTADINA VICINO A BONN LA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA CELEBRO’ IL CONGRESSO DELLA SVOLTA. SU CUI PIOVVERO GLI ANATEMI DELLA SINISTRA ITALIANA

BAD GODESBERG E Marx ando’ in soffitta

Tamburrano: “Reagirono male anche i riformisti” Solo nel ‘ 78 Craxi ripudio’ il marxismo per Proudhon

 

—————————————————————-– ABIURE Dal 13 al 15 novembre 1959 in una cittadina vicino a Bonn la socialdemocrazia tedesca celebro’ il congresso della svolta. Su cui piovvero gli anatemi della sinistra italiana

 

BAD GODESBERG E Marx ando’ in soffitta.

Tamburrano: “Reagirono male anche i riformisti”

Solo nel ‘ 78 Craxi ripudio’ il marxismo per Proudhon “Io sono uno che con il comunismo si e’ bruciato le dita. Dovete credermi quando vi dico che di liberta’ si puo’ parlare solo nella liberta”. Herbert Wehner aveva creduto nella rivoluzione bolscevica, era stato in Russia e portava nel cuore, come un marchio, lo sgomento suscitato dall’ acre deserto stalinista. Le sue parole, dolorose e appassionate, fecero vibrare d’ emozione i trecentoquaranta socialdemocratici tedeschi riuniti nella sala comunale di Bad Godesberg, a un tiro di schioppo da Bonn. Era il novembre del 1959. Per tre giorni, da venerdi’ 13 a domenica 15, i delegati della Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) avevano discusso il superamento del vecchio programma di Heidelberg (1925) e deciso, senza eccessivo travaglio, il licenziamento di Carlo Marx e l’ addio alla rivoluzione. Certo, dubbi e opposizioni non mancavano. E proprio le voci dissidenti venivano enfatizzate dalle cronache dell’ Unita’ , scritte dal corrispondente Giuseppe Conato e permeate dallo sdegno per “la nuova corrente rinunciataria”. Ecco la voce di due delegati di Amburgo, Balchestein e Ruhnau, che raccomandano di “non gettare fuori bordo il marxismo”. Dorsch, delegato di Erlangen, accusa: “Il programma e’ opportunista”. Ma alla fine gli ammonimenti umani e storici di Herbert Wehner, il carisma del segretario Erich Ollenahuer, i ragionamenti di Willy Brandt, allora borgomastro di Berlino Ovest, le teorizzazioni giuridiche di Carlo Schmidt (da non confondersi con il quasi omonimo teorico del decisionismo) e le esposizioni economiche di Karl Schiller (tutte in chiave keynesiana) prevalgono a stragrande maggioranza. Il nuovo programma viene approvato con 324 voti contro 16. Si oppongono i giovani dell’ organizzazione studentesca (la Sds) che due anni dopo saranno espulsi e che poi, sotto la guida di Rudi Dutschke, daranno vita ai moti del ‘ 68. Ma nel novembre del ‘ 59, i dirigenti dell’ Spd erano in tutt’ altre faccende affaccendati. La socialdemocrazia non era piu’ tornata alla guida del Paese dai tempi della Repubblica di Weimar (governo di Hermann Muller, 1928 – ‘ 30). E nella Germania del dopoguerra la Cdu di Konrad Adenauer sembrava non avere rivali. Ma anche la Spd voleva partecipare al “miracolo tedesco” ed ecco l’ impellenza di una profonda revisione ideologica per conquistare i voti cattolici e moderati. Via libera quindi alle novelle enunciazioni: “Il socialismo democratico ha le proprie radici nell’ etica cristiana, nell’ umanesimo e nella filosofia classica”; “il partito socialdemocratico tedesco e’ il partito della liberta’ di spirito”; “i comunisti soffocano in modo radicale la liberta”; “un’ economia coercitiva di tipo totalitario distrugge la liberta’ . Per questo la Spd approva il mercato libero in cui regna sempre una concorrenza effettiva”. “I socialdemocratici di Bonn si trasformano in liberali”, titola causticamente l’ Unita’ a conclusione del congresso: “Il grido di guerra tra capitale e lavoro si e’ spento”. Il giorno dopo un’ editoriale non firmato, e quindi attribuibile al direttore di allora Alfredo Reichlin, parla di “evento grave”. Non basta. Su Rinascita, e’ Mario Alicata, ideologo e organizzatore di cultura del Pci togliattiano, a illudersi di chiudere subito i conti con Bad Godesberg. Dopo aver parlato di “auto da fe” della Spd, “di inconsistenza teorica e fumosa genericita’ che rasenta il grottesco”, Alicata emette la condanna: ” + chiaro che questa rinunzia deve essere considerata come una ulteriore vittoria, e pericolosissima, della vecchia classe dirigente tedesca che dopo essere sopravvissuta al crollo dell’ impero guglielmino e dopo avere distrutto la repubblica di Weimar, e’ ancora una volta risorta intatta dalle ceneri del nazismo”. Il muro di Berlino era ben saldo. E il partito comunista al revisionismo di Bad Godesberg preferiva l’ ortodossia della Germania dell’ Est dove “un’ ala del movimento operaio tedesco, sotto la guida dei comunisti, si e’ gia’ costituita in Stato”. Proprio nei giorni di Bad Godesberg, Palmiro Togliatti, presentando il nono congresso del Pci, annunciava compiaciuto il “processo di democratizzazione” dei Paesi dell’ Est e confermava come obiettivo finale “la societa’ comunista”. Ma a sparare su Bad Godesberg non furono solo i comunisti. Riccardo Lombardi sull’ Avanti! bollo’ “l’ origine servile” della svolta socialdemocratica. E Pietro Nenni, pur segretario di un Psi non piu’ frontista e che si preparava al centrosinistra, ricordo’ severo: “Il movimento operaio e socialista ha il suo obiettivo insostituibile nella soppressione del sistema di classe capitalista”. “In effetti – ricorda Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni – tutta la sinistra italiana reagi’ male alla svolta della Spd. Anche la rivista dei socialisti riformisti, “Critica Sociale”, la piu’ aperta e sensibile alle istanze del revisionismo, giudico’ negativamente, proprio con un mio articolo, Bad Godesberg. E persino Saragat storse il naso: oggi puo’ sembrare strano ma era un marxista ortodosso e si contrapponeva al leninismo giudicandolo un’ aberrazione, un tradimento. Riteneva Marx un pensatore democratico e libertario, la negazione del totalitarismo”. E cosi’ l’ eresia tedesca fini’ nel dimenticatoio. Per quasi vent’ anni non si parlo’ piu’ del pragmatismo socialdemocratico. + interessante rilevare come proprio in Germania, la culla di Karl Marx e Friedrich Engels, e in Gran Bretagna, rifugio dei padri del materialismo storico, il revisionismo abbia fatto passi da gigante, stentando invece ad attecchire in Italia, in Francia, in Spagna. Il germanista Angelo Bolaffi abbozza un’ analisi: “Nei Paesi cattolici predomina l’ elemento anarco – comunista rispetto a quello socialdemocratico riformista del Nord Europa che ha una matrice protestante e un rapporto diverso, piu’ pragmatico, con lo Stato e la politica. In Italia, dove lo Stato e’ piu’ debole di quello francese o spagnolo, le cose per il riformismo sono andate anche peggio”. Quando, nel 1980, lo stesso Bolaffi e Giacomo Marramao pubblicarono su “Rinascita” un articolo dal significativo titolo “Chi ha paura di Bad Godesberg?” furono bacchettati dai dirigenti del Partito comunista italiano. E ancora nel 1988, cioe’ un anno prima della caduta del muro di Berlino e della decisione di cambiare il nome del Pci, Achille Occhetto, nell’ introduzione di un libro di Peter Glotz, vagheggiava il superamento del capitalismo. E il Psi? Nel ‘ 77 Bettino Craxi, neosegretario del Psi, diede alle stampe la sua lunga relazione con il titolo “Costruire il futuro”, nella quale si parlava ancora di estensione del controllo pubblico dell’ economia. Tanto che nella prefazione, come ricorda Giuseppe Tamburrano, Claudio Martelli tenne a precisare: “Chi si aspettava una Bad Godesberg a scoppio ritardato sara’ deluso”. Solo l’ anno successivo, una volta ben in sella, Craxi tirera’ giu’ le carte affossando il marxismo – leninismo con il saggio pubblicato dall’ “Espresso”, nel quale rivalutava la figura di Pierre Joseph Proudhon oppositore di Marx, insieme con Michail Bakunin, nella prima Internazionale. Come ai tempi di Bad Godesberg la vignetta di un giornale tedesco aveva raffigurato i dirigenti della Spd mentre rifacevano il volto di Marx, Eugenio Scalfari scrisse che Craxi aveva tagliato la barba del profeta. Chiosa Bolaffi: “Sbaglio’ il testimonial, doveva scegliere Eduard Bernstein, ma nella prospettiva riformista aveva ragione. Pero’ poi e’ finita come e’ finita”. Gia’ , poi e’ scoppiata Tangentopoli. Ma questa e’ un’ altra storia. di MARCO CIANCA

Cianca Marco

Pagina 33
(13 novembre 1999) – Corriere della Sera

 

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