cap. 9, 14
….
C’era, infine, mia mamma, una donna passionale,
che su queste emozioni così totali,
aveva fatto crescere un cervello che sapeva funzionare con razionalità ampia e buon senso.
Lei era donna da comandare e farsi ubbidire, così si erano distribuiti i ruoli tra lei e mio padre fin dall’inizio.
In altro modo, la famiglia e la ditta sarebbero rimasti in mano ad un “ragazzo”, molto intelligente buono generosissimo e gentile, molto esperto del suo mestiere,
ma un ragazzo, che aveva bisogno di un padre che lo proteggesse e lo dirigesse, come aveva sempre avuto fino al matrimonio, quando aveva già 35 anni.
A mia madre che i ruoli stessero così andava bene e, insieme, non andava affatto bene.
Certamente lei aveva la stoffa per adattarsi a questa divisione dei ruoli maschio-femmina
così diversa dal modello che aveva in casa sua
e così diversa
da quella che aveva vissuto con il suo vero innamorato
Vincenzo
lo stesso nome di mio padre.
Ma, per adattarsi ai fatti,
alla situazione,
aveva forzato la sua natura in modo tale che a me
bambina
(bisognosa di tanto affetto)
lei
aveva finito per apparire un mostro.
E lei non era affatto un mostro.
La cosa più assurda è che le liti tra mio padre e mia madre succedevano perché
lei aveva passato la vita cercando di far assumere a mio padre, nel lavoro,
il ruolo di dirigente, cosa che avrebbe dovuto saper fare molto meglio di mia madre avendo sempre visto in famiglia come si fa.
Ma mio padre non lo aveva mai fatto lui di persona e non si sentiva di
assumere questo ruolo, fin dall’inizio non se l era sentito di sostituirsi al padre vivente, prenderne il posto nella famiglia e nella fama: il padre era
per tutti il Rabbi, il Maestro!
Dopo il mercato, mio padre voleva fare il lavoro cui lo aveva abituato suo padre:
si metteva al banco, sceglieva i fiori, faceva dei bellissimi mazzi legandoli con un sottile filo verde mentre roteavano a onde nell’aria, poi li riponeva amorosamente nei cestini di canne dolcemente gialle, tra abbondante carta velina perché stessero morbidi.
Anche da “vecchio” voleva portare i cestini a pesare sulla bilancia: una cosa che gli piaceva particolarmente e lo faceva sentire giovane ragazzo come allora.
Questa cosa, invece, faceva arrabbiare mia mamma: lui era il padrone, non il ragazzo!
Non facendo, mio padre, il dirigente del magazzino, mia madre aveva un doppio lavoro: doveva stare in ufficio, parlare al telefono con i clienti, seguire le segretarie, e, nello stesso tempo, stare fuori, dove gli operai lavoravano, vedere le richieste dei clienti, dividere il lavoro tra gli operai e le operaie e poi dirigere e controllare lo svolgimento del lavoro.
Mia mamma
pur intelligente
non si rassegnava
ad un rapporto con mio padre
per le qualità che aveva di fatto
ma anelando perennemente a quelle
che, secondo lei, avrebbe dovuto avere
non capiva
che mio padre non sarebbe cambiato mai
non avendo alcun strumento per cambiare
né alcuna “voglia”
(il problema era, infatti, di mia madre e non suo):
non poteva cambiare
neanche in funzione di quella pace in casa, agognata da lui come la luce dei suoi occhi.
E questa pace dopo un po’ si rompeva
sempre per mia madre
pur volendosi i due molto bene.
9. 15
A me pare di guardare negli occhi di mia madre e di mio padre come in uno specchio.
Il loro destino è il mio
e me lo vedo svolgere davanti come in un film girato da una vecchia moviola.
Sono sempre stata
e ancor più lo sono adesso:
vecchia –
indebolita
da un eccesso di sensibilità –
– non priva
però
di un mio piccolo
pepe
che mi viene
da tante battaglie
combattute
sul campo.
Ma la parte più debole del rapporto con Mario, mio marito
“più debole – gli dico ultimamente,
un giorno che ho preso coraggio e ancor più parola –
” perché la nostra storia è quella
del lupo e dell’agnello”;
la più emotiva, anche, certamente
quella che ha sofferto di più nel rapporto
che ha pazientato e aspettato
e aspetta ancora pazientando
perché tu sei una persona irrisarcibile dalla culla”
gli dico
E il mio risarcimento a te (quello che la vita non ti darà mai a men che te lo dia tu stesso ) ri-inizia ogni mattina
perché alla notte mentre dormi si evapora nelle stelle.”
Ma per tutto questo mi abbraccio stretta al mio bel innamorato.
Soprattutto negli ultimi anni che
in quella vecchia moviola
mi rivedo
e quasi dall’inizio della mia storia con Mario
– proprio come mia mamma –
mi rivedo fare
quell’incredibile errore di intelligenza.
Raccontarlo – il suo –
di mia madre,
mi è servito a vederlo
lì davanti a me
appunto in un film nitido e chiaro
e a soffrirlo
e a capirlo
come solo si può da persone molto amate.
Capire e fare non è lo stesso
come tutti sanno.