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«Senza distinzione di sesso». Quattro parole dall’articolo 3 della Costituzione che hanno cambiato la vita delle donne e la storia dei loro diritti. La base giuridica delle norme sulle pari opportunità. I saggi raccolti in Donne della Repubblica, ruotano attorno a queste quattro parole e a quattordici profili di donne che hanno fatto l’Italia Repubblicana.
Pubblichiamo un estratto dal capitolo «La partigiana educatrice: Ada Gobetti». Da leggere il 2 giugno, settantesimo anniversario delle prime elezioni politiche per le quali votarono anche le donne
Paola Cioni, Eliana Di Caro, Elena Doni, Claudia Galimberti, Lia Levi, Maria Serena Palieri, Francesca Sancin, Cristiana di San Marzano, Federica Tagliaventi, Chiara Valentini
Donne della Repubblica
Il Mulino 2016
260 pagine 22 euro
La conosciamo come Ada Gobetti. Ma l’identità e la personalità di Ada Prospero, classe 1902, vanno ben al di là dei cognomi acquisiti, e del resto non fu un caso se l’intellettuale Piero Gobetti se ne innamorò perdutamente. Un amore, ricambiato con la stessa intensità, nato a Torino nel palazzo di via XX Settembre 60, in cui entrambi abitavano, lei figlia unica di una coppia di benestanti commercianti di frutta, lui ambizioso giovane di cultura con la vocazione a sostenere ideali di libertà. Siamo nel 1918, nel clima di generale mobilitazione della fine della Grande guerra, Ada ha 16 anni, lui uno di più. Insieme cominciano un percorso di formazione impegnativo, studiano il russo e traducono.
Si sposano l’11 gennaio 1923. Vanno in viaggio di nozze a Napoli, dove incontrano Benedetto Croce, e Ada nemmeno può immaginare, nel momento in cui il filosofo la «consegna» nelle mani della moglie Adele per parlare in libertà con Piero, quanto un giorno quell’uomo sarà cruciale nella sua vita. Intanto, già dall’anno precedente il giovane Gobetti dirigeva il settimanale di cultura politica «La rivoluzione liberale», cui lei dà un contributo per la parte organizzativa e amministrativa. Parallelamente, le edizioni di casa Gobetti pubblicano autori, nell’ambito della cultura politica, invisi al fascismo come Salvemini e Nitti, Amendola e Sturzo, Einaudi e Salvatorelli, fino a John Stuart Mill, distinguendosi per acume e coraggio nel panorama intellettuale italiano. Non solo: la casa editrice riconosce il valore e la grandezza dei versi di Montale, pubblicando Ossi di seppia. È l’acme nella breve esistenza di Piero, prima che la violenza fascista si abbatta sul suo corpo e sui principi di libertà. Come ricorderà Norberto Bobbio:
Per quante volte mi sia accaduto in questi anni di tornare a riflettere sull’opera di Piero Gobetti, non posso trattenere ogni volta un moto di sorpresa, quasi di incredulità, di fronte alla sua prodigiosa giovinezza. Mi sono domandato spesso se vi siano altri esempi nella nostra storia di tanta ricchezza e varietà e densità di opere in così breve spazio di anni. Non ne ho trovati.
Ada segue con determinazione la propria strada laureandosi nel giugno 1925 – già incinta e a nemmeno 23 anni compiuti, essendo nata il 23 luglio – in Filosofia teoretica con una tesi sul pragmatismo angloamericano. A dicembre mette al mondo Paolo, una gioia che condivide con il marito per pochissimo tempo. Il regime ha intensificato progressivamente la repressione, al punto da ingiungere alla «Rivoluzione liberale» di terminare le pubblicazioni e alla casa editrice di chiudere i battenti. Le condizioni fisiche di Piero sono ormai precarie, gli scompensi cardiaci di cui soffriva si sono via via acuiti per una brutale aggressione di un gruppo di fascisti, che l’aveva picchiato selvaggiamente sulle scale di casa. Rifugiatosi a Parigi, dove spera di riprendere con nuovo vigore l’attività editoriale, Piero non regge alle complicazioni sorte dopo una bronchite e il 16 febbraio 1926 muore. A neanche 25 anni. Ada, rimasta a Torino con il bambino, entra in uno stato di prostrazione di cui parlerà pochissimo. L’amica Bianca Guidetti Serra racconterà che solo nell’inverno 1943-1944, accartocciate nell’oscurità di un carro bestiame, con la paura di essere ammazzate da un momento all’altro dai tedeschi e senza neanche la possibilità di guardare l’una il viso dell’altra, le sussurrò che le era parso di «vivere nel buio» per lungo tempo.
Qui comincia in qualche modo una seconda vita, la vita dopo Piero, perché quella morte segna un prima e un dopo. L’inglese che i suoi genitori, fornitori ufficiali della Real Casa, le avevano sempre fatto coltivare, torna utile: vince un concorso e insegna la lingua prima a Bra, poi a Savigliano, infine a Torino al ginnasio Balbo, lo stesso che aveva frequentato da ragazzina, mentre le lezioni private le consentono di arrotondare le entrate. Dall’estate del 1927 nella sua vita entra in gioco l’amicizia con Croce, che inciderà moltissimo. La timidezza, la sensazione di inadeguatezza provate nell’incontro durante il viaggio di nozze lasciano spazio a un rapporto franco e affettuoso in cui la distanza di età ed esperienze non impedisce scambi e conversazioni gratificanti. Estate dopo estate, a Meana, un paese della Val di Susa dove entrambi trascorrono le vacanze, Croce le offre consigli e appoggio, la incoraggia a tradurre (procurandole importanti contratti con Laterza e Garzanti).
La casa di via Fabro, al 6, a Torino, dove aveva vissuto con Piero e che era stata un punto di riferimento di tanti amici e intellettuali antifascisti, continua a essere il fulcro politico della sua esistenza. All’indomani della morte di Piero, dunque, l’appartamento non cessa di essere una sorta di base per quanti condividevano ideali di opposizione al regime. Ada va a Parigi, dove al Père- Lachaise era sepolto il marito e dove riparavano molti esuli antifascisti, e incontra alcuni militanti, tra cui Carlo Rosselli. Contribuisce così alla formazione del movimento Giustizia e libertà e si spende senza risparmio nella costruzione della rete di rapporti giellina. Nel giugno del 1937 sposa Ettore Marchesini, fratello minore di Maria, Ada e Nella, amiche di lunga data dei coniugi Gobetti, come del resto lo stesso Ettore, tecnico dell’Eiar, l’emittente radio di Stato.
Attività letteraria e dissenso nei confronti della dittatura trovano una perfetta conciliazione nel primo romanzo per bambini di Ada, Storia del gallo Sebastiano, pubblicato nel 1940 da Garzanti con lo pseudonimo Margutte e le illustrazioni di Ettore. È la storia di un gallo nato bruttino e alquanto strano in una famiglia borghese che vive in modo conforme a una società rigida, governata da leggi cui si obbedisce pedissequa- mente anche se insensate. Sebastiano si ribella e, cocciuto, fa il contrario di quello che ci si aspetta che faccia. Una chiara metafora della società fascista priva di libertà e contro la quale ci si dovrebbe rivoltare.
Il 10 giugno 1940, intanto, l’Italia entra in guerra. E qui si avvicina la fase culminante dell’attività politico-militante di Ada, che è tra i fondatori del Partito d’azione e «andrà in guerra» con Paolo nel settembre del 1943. Madre e figlio, partigiani. Per giorni senza sentirsi, senza avere idea se l’uno e l’altra fossero vivi o morti. Quando il figlio – che aveva 17 anni e ne avrebbe compiuti 18 di lì a poco, pronto per essere chiamato al servizio militare – le dice che sarebbe andato in montagna, rispetta la sua decisione, pur sapendo l’ansia che l’avrebbe colta, perché lei per prima avverte l’impellenza di fare altrettanto. I due anni resistenziali sono raccontati in Diario partigiano, scritto ancora una volta su invito di Benedetto Croce, il quale dopo la Liberazione le confessa di non poter capire davvero nel profondo che cos’è stata la Resistenza, e la prega di rendere pubblica la sua testimonianza. Così sarà: il materiale per il Diario, pubblicato da Einaudi nel 1956, non sono solo i ricordi ma le tracce scritte in un inglese cifrato, con il quale molto difficilmente tedeschi o fascisti allora avrebbero potuto raccapezzarsi. Scrive nell’introduzione Goffredo Fofi, intellettuale molto vicino ai Gobetti, che collaborerà al «Giornale dei Genitori» e al futuro centro studi di via Fabro:
Nacque così uno dei più schietti, dei più completi e avvincenti libri sulla Resistenza la cui pulizia e chiarezza lo destinavano anche a un altro scopo e ad altri lettori: e il libro ha finito per trovare i suoi destinatari naturali nei giovani che la Resistenza conoscono in modo distorto, spesso annebbiato dalla retorica delle celebrazioni ufficiali che fanno di vicende difficili, contraddittorie, ma anche esaltanti, una cosa da monumento o da banda.
Ada lascia il segno per come conduce le operazioni da commissaria politica della IV Divisione GL «Stellina» in Val di Susa, per la lucidità nelle azioni più propriamente militari, per la capacità di coinvolgimento della popolazione. Sia la casa di Torino sia quella di Meana diventano punti di incontro e luoghi di rifugio di partigiani e antifascisti (come da tradizione), con la portinaia Espedita Martinoli a vegliare e ad avvertirli nel caso di controlli della polizia. Ettore mette in campo le sue competenze tecniche, costruendo marchingegni per sabotaggi e realizzando potenti apparecchi trasmittenti che collegavano le diverse vallate piemontesi. Il Diario è un resoconto della vita di quella stagione: leggendolo si entra nel flusso della tesa e rivoluzionata quotidianità, fatta di imboscate, torture, lacrime, paura, sospiri per averla scampata. Ada fa vivere al lettore la scoperta del primo giovanissimo cadavere:
No, non era Paolo, anche se non se ne scorgeva il viso, reclino. Ma non provai nessuna reazione di sollievo. Una pena insostenibile mi scosse tutta alla vista di quella giovane carne denudata e straziata, come se fosse stata la mia stessa carne, quella di mio figlio. Mai come in quel momento sentii quanto sia forte l’istintiva profonda solidarietà materna per cui ognuna sente come figlio suo ogni figlio d’ogni altra donna.
Memorabile la descrizione della missione in Francia a fine dicembre 1944, quando con gli sci ai piedi lei, Paolo e altri compagni attraversano il Passo dell’Orso, valico alpino transfrontaliero, rischiando moltissimo, per prendere contatto con gli Alleati. Un’impresa, sotto una tormenta di neve, le tracce delle piste irriconoscibili, la stanchezza e il freddo che si possono immaginare a tremila metri. Al termine della guerra, Ada viene smobilitata con il grado di maggiore (successivamente sarà decorata di medaglia d’argento al valor militare «quale fulgido esempio di suprema dedizione e fervido entusiasmo agli ideali di libertà e di Patria»).
(…) Muore il 14 marzo 1968. Due anni prima un infarto l’aveva colpita e indebolita, e in quei giorni aveva scritto una sorta di testamento spirituale, con cui in qualche modo si era congedata:
Verrà al mio funerale gente per semplice convenienza, per curiosità o anche ozio o per necromania; ma verranno anche quelli che mi hanno voluto bene e a cui ho voluto bene. Ho voluto bene a molti, in modo più o meno intenso, ma posso dire con coscienza che non ho mai avvicinato un essere umano senza sentirmi in qualche modo legata da un senso di solidarietà. Il che non vuol dire che abbia voluto bene indiscriminatamente a tutti. Ho odiato certe persone per le idee che sostenevano o rappresentavano: ho odiato i fascisti e – pur umanamente comprendendo e compatendo gli individui – non ho esitato a lottare contro di essi. Per questo non sono pacifista. Odio tutte le forme di neutralità. Penso che si deve avere un’idea e per questa battersi, non impersonalmente, ma con tutta la passione più viva.