IL FATTO QUOTIDIANO DEL 26 FEBBRAIO 2018
Berlusconi accusa il Fatto: “Io, vera vittima di mafia”
Alla convention milanese di Forza Italia Berlusconi l’ha definita “un’infamia” di questo giornale (chiamandolo “il Falso Quotidiano”) ma che l’uomo di Arcore ha pagato Cosa Nostra per diciotto anni, dal ’74 al ’92, è un dato ormai cristallizzato, come si dice in gergo giudiziario, in una sentenza della Cassazione. In un Paese normale la questione avrebbe dovuto sollevare domande e indagini parlamentari e non solo il rilancio mediatico di una “smentita fake” che ha lo stesso sapore della prescrizione “bufala” spacciata per assoluzione il giorno della sentenza Andreotti. Nel verdetto emesso nel luglio 2014, a conclusione di un’iter giudiziario lungo quasi vent’anni chiuso con la condanna di Marcello Dell’Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, le parole della Suprema Corte non si prestano ad equivoci: Dell’Utri, “assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni” garantiva “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”. Accordo che non cambia per il mutamento nel vertice di Cosa Nostra, con la morte di Stefano Bontade e l’irruzione sulla scena mafiosa dei corleonesi di Totò Riina: “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà – scrive la Cassazione sono morte di Stefano Bontade e l’irruzione sulla scena mafiosa dei corleonesi di Totò Riina: “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà – scrive la Cassazione sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”. Sentenza che aveva confermato il verdetto di appello emesso l’anno prima che era stato, se possibile, ancora più chiaro: “Berlusconi – hanno scritto i giudici – ha sempre accordato una personale preferenza al pagamento di somme come risoluzione preventiva dei problemi posti dalla criminalità”.
Nelle 447 pagine della sentenza i giudici descrivono Berlusconi come un imprenditore “mai sfiorato dal proposito di farsi difendere dai rimedi istituzionali”, ma pronto a rifugiarsi “sotto l’ombrello della protezione mafiosa, assumendo Mangano e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”. E fissano l’inizio dell’accordo in un giorno di maggio del 1974, “tra il 16 e il 29” quando Dell’Utri organizza con il mafioso Gaetano Cinà nel proprio ufficio a Milano un incontro che precede di poco l’assunzione di Vittorio Mangano ad Arcore. Quel giorno, davanti ai boss palermitani Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Francesco Di Carlo, lo sconosciuto Berlusconi, all’epoca imprenditore rampante, sigla un “patto di protezione con Cosa nostra”: un contratto che durerà fino al ’92 in virtù del quale – sostengono i giudici – sia i contraenti che il mediatore conseguono “un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale” dell’ex premier, “mediante l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo versa a Cosa nostra per mezzo di Dell’Utri”. “Finanziava CosaNostra negli anni in cui furono uccise decine di persone delle istituzioni’’ – ha detto il pm della Dna Nino Di Matteo in un’intervista a El Pais – non è una mia opinione ma un verdetto della Corte Suprema”. Non solo, Berlusconi che paga Cosa Nostra è un dato acquisito da Falcone ed ammesso da Riina: il primo, con la sua inequivocabile grafia, aveva appuntato su un bloc notes a quadretti la frase: “Berlusconi dà 20 mln ai Grado (boss trapiantati a Milano, ndr) e anche a Vittorio Mangano”. Il secondo, passeggiando nel carcere di Opera con Alberto Lorusso, dopo avere parlato di “Mubarak” e dei “festini in Sardegna”, gli confidò: “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”. Resta da capire se quei soldi sono il costo della più lunga estorsione della storia o se, invece, parte di un colossale riciclaggio: finora le inchieste sono state archiviate ma l’opacità dei conti è rimasta. “La scarsa trasparenza o l’anomalia di molte delle operazioni finanziarie effettuate dalla Fininvest negli anni 1975-84 – scrisse il Tribunale presieduto da Leonardo Guarnotta – non hanno trovato smentite nelle conclusioni del consulente della difesa”. L’unico a fugare quei dubbi avrebbe potuto essere lui, il Cavaliere, ma a palazzo Chigi, il 26 novembre 2002, davanti il Tribunale scelse il silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Giuseppe Lo Bianco
Cronista giudiziario
Sono cronista di giudiziaria da 27 anni e ho scritto alcuni saggi sul rapporto tra mafia e politica, tra cui ”L’Agenda Rossa di Borsellino” (2007), ”Profondo nero” (2008), e ”L’Agenda nera della Seconda Repubblica” (2010), tutti pubblicati da Chiarelettere. Ho lavorato al ”Diario”, al Giornale di Sicilia, e al giornale ”L’Ora” di Palermo, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Dopo la chiusura de ”L’Ora”, sono stato assunto all’ANSA di Palermo dove ho lavorato come capo servizio aggiunto fino a dicembre del 2009. Ho collaborato inoltre con L’Espresso e con Micromega. Oggi scrivo per il Fatto Quotidiano.