MARCELLO DE FILIPPO, PROF. DIRITTO INTERNAZIONALE A PISA, IL FATTO QUOTIDIANO 28 GIUGNO 2018 ::: ” CAMBIARE DUBLINO SI PUO’? ECCO COME “

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 28 GIUGNO 2018

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Cambiare Dublino si può? Ecco come

Il fallimento del “sistema di Dublino” rischia di far collassare l’area Schengen e la stessa Costruzione europea, come enfatizzato da ultimo dal premier Giuseppe Conte al vertice di Bruxelles di domenica scorsa, ove ha presentato un documento intitolato “Strategia europea multilivello per la migrazione”.

A Dublino viene firmata nel 1990 dagli Stati membri della Comunità europea l’omonima Convenzione, cioè un accordo internazionale: l’oggetto è la divisione di compiti tra gli Stati per l’esame delle domande di asilo. Nel 2003 è stata approvata una revisione, da allora condensata in un regolamento Ue, rivisto nel 2013 (“Dublino 3”). Un regolamento Ue in questa materia può essere adottato o modificato senza il consenso di tutti gli Stati membri, proprio perché non è un trattato. E una nuova disciplina può essere approvata solo con il consenso del Parlamento europeo.

Nel 2016 la Commissione europea ha presentato una (pessima) proposta di riforma. Da allora, le discussioni tra governi hanno prodotto pochi risultati e il recente tentativo della presidenza del Consiglio di turno bulgara è subito rientrato. Al contrario, il Parlamento europeo ha condotto un approfondito dibattito, giungendo nel novembre 2017 ad adottare la propria posizione (relazione Wikström) con una maggioranza ampia e trasversale. Da allora il Parlamento attende che il Consiglio si sieda al tavolo.

Il presupposto del sistema di Dublino è che chi chiede asilo in Europa ha solo una chance a disposizione, cioè solo uno Stato a cui indirizzare la propria richiesta di protezione. La regola attuale prevede che ove non siano presenti dei familiari in un certo Paese, è competente lo Stato la cui frontiera è stata attraversata per prima. L’assenza di vie legali fa sì che chi voglia giungere in Europa per chiedere asilo o per avere una vita decente non possa far altro che rivolgersi ai trafficanti. Il paradosso istituzionalizzato mediante il sistema Dublino sta nell’affidare all’Italia e agli altri Stati di prima linea il compito di gestire tutti coloro che sono arrivati sul loro territorio, per conto proprio o dopo un’operazione di soccorso in mare. Non esiste un sistema di ricollocamento permanente con gli altri Stati membri, né è consentito alle persone presenti in Italia di spostarsi in altri Paesi; anzi, questi ultimi hanno il diritto di rinviarli in Italia qualora questo succeda (oggi chiamati ” movimenti secondari, il blog). È chiaro che il governo italiano ha tutto il diritto di chiedere un ripensamento totale, come sottolineato da Conte e prima ancora dall’esecutivo Gentiloni. Per ambire a tanto occorre costruire un consenso diffuso intorno a proposte alternative, che diano vita a un sistema efficace, credibile ed equo (per tutti, non solo per l’Italia).

La via maestra sta nel dare concretezza a un principio fondante dell’Ue (equa condivisione delle responsabilità e solidarietà). Nella relazione Wikström, al Parlamento europeo, è scritta nero su bianco una riforma radicale dell’attuale sistema di Dublino che – pur se non scritta per l’Italia o dall’Italia – si fa carico delle storture spesso segnalate dai nostri governi: 1) eliminazione del criterio dello Stato di primo ingresso, anche per le persone soccorse in mare; 2) adozione di un sistema di quote permanenti, calcolate in base a popolazione e Pil 3) assegnazione ai singoli Paesi di richiedenti asilo che hanno con essi un legame effettivo. Se la linea del Parlamento europeo fosse adottata, sarebbe possibile velocizzare le procedure di asilo, risparmiando sui costi dell’accoglienza; favorire a costo zero (o quasi) l’integrazione; ridurre gli incentivi ai movimenti secondari e le opportunità di business per organizzazioni criminali ed evitare pressioni sul sistema di soccorso in mare.

Nessuno Stato membro sarebbe obbligato ad accettare un numero sproporzionato di richiedenti asilo, e quelli che gli verrebbero assegnati sarebbero più integrabili e supportati da una propria rete di contatti. Gli Stati che facessero i furbi sarebbero sanzionati con una riduzione dei fondi europei, specialmente quelli strutturali. La solidarietà non può essere selettiva e unidirezionale: il messaggio deve giungere forte e chiaro ai Visegrad.

L’unanimità dei 28 Stati membri dell’Ue non è necessaria per approvare una riforma, basta la maggioranza qualificata dei governi e il consenso del Parlamento europeo. Perché non impostare la linea italiana approfittando di un testo tecnicamente avanzato e politicamente favorevole quale la relazione Wikström? Saremmo già a metà dell’opera. Per ottenere la maggioranza nel Consiglio, invece, servono i voti di Stati come Francia, Germania e Spagna, nonché di quelli più sensibili sul tema per posizione geografica (Grecia, Malta, Cipro, Slovenia, Croazia) o per tradizione (Irlanda, Svezia).

In gioco ci sono l’interesse dell’Italia e il futuro dell’Europa.

* Professore di Diritto internazionale (Università di Pisa)

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1 risposta a MARCELLO DE FILIPPO, PROF. DIRITTO INTERNAZIONALE A PISA, IL FATTO QUOTIDIANO 28 GIUGNO 2018 ::: ” CAMBIARE DUBLINO SI PUO’? ECCO COME “

  1. Donatella scrive:

    Mi sembra che la strada approvata dal Parlamento Europeo ( che tra l’altro è la parte realmente eletta direttamente nell’insieme degli organismi europei) sia quella più concreta e credibile, che renderebbe l’immigrazione e soprattutto l’integrazione qualcosa di sicuro e anche produttivo.

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