GESUALDO BUFALINO (1920-1996) — ALCUNE POESIE DA ” L’AMARO MIELE ” (1982) + ALCUNE FOTO E LA VITA–FONDAZIONE G.BUFALINO + ALTRI LINK

 

Con la madre, Comiso, 1924

 

Con i genitori, Comiso, 1922

 

 

Immagine correlata

 

Con Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia, Racalmuto, 1982

 

Con Leonardo Sciascia, Racalmuto, 1982

 

fotografie e vita da::: 

http://www.fondazionebufalino.it/bufalino-opere-poesia.html

 

 

 

Bufalino (2017) in un ritratto di Mario Fresa

 

 

L’ amaro miele

Gesualdo Bufalino

Editore:Einaudi
Anno edizione:  1a edizione (1982) —
questa edizione, 1989
Pagine: 182 p.–12 euro, prezzo pieno

 

 

Gesualdo Bufalino, undici poesie da L’amaro miele (1982)

 

Bestiario

Un gallo facinoroso

è il sole dentro il tuo pugno:

fa subbuglio di piume d’oro.

Ma nella ingannevole acqua

delle tue palpebre piomba

un bruno falco, s’acquatta

un’atterrita colomba.

 

Improvviso d’amore

Losanghe di cieli, cieli di gesso,

vecchio terrore che indosso ogni giorno;

muraglie da cui sempre mi ritorna

questa mia strenua voce d’ossesso;

e libri, voi, paradisi dipinti,

reticolati d’assurdo quaderno,

trionfo e sbarre di carcere eterno,

fughe immobili e nero labirinto:

oh mescetevi, carte, firmamenti,

memorie, fate rissa entro di me,

e inventatevi un nome, un altro viso.

Ora che lei m’ha parlato alla mente,

lei nel suo scialle di sposa di re,

con gli stupori e i corrucci e le risa…

 

Eine kleine Nachtmusik

La musica ci giunge dalle terrazze

lontane, stesi così sulla sabbia,

coi capelli confusi e felici,

fra muraglie di bianco diluvio,

così sorpresi d’esistere in due

sotto la coltre benigna dell’aria,

disincarnati e carnali, perfetti

come due palme nude, unite.

 

Paese

Nel guscio dei tuoi occhi

sverna una stella dura, una gemma eterna.

Ma la tua voce è un mare che si calma

a una foce di antiche conchiglie,

dove s’infiorano mani e la palma

nel cielo si meraviglia.

Sei anche un’erba, un’arancia, una nuvola…

T’amo come un paese.

 

Nascita del peccato

Fu nel fumo, nel rossore d’un orto,

e i cotogni odoravano tutt’intorno

così forte (non bisogna ricordarsene).

in tanti, ognuno sdraiato e smorto,

un’aspide prava, un’aspide storta

ci morsicò l’occipite,

le mani adulte e furenti.

Poi ne parlammo sottovoce a due a due,

tutto quel giorno e l’altro.

 

Preghiera di mezzogiorno

Almeno mi scoppi di grida

la mente nei corridoi

di questa casa da suicida,

piena di corde e di rasoi.

Ma è sempre un altro, è sempre un altro

che si lamenta in vece mia,

e l’angoscia si fa più scaltra,

più volontaria la pazzia.

Datemi un male senza libri,

datemi un pianto senza specchi,

una croce che sopra mi vibri,

fatta solo di vento e di stecchi.

 

Svolta

Venga l’autunno a dirci che siamo vivi,

seduti sull’argine rosso

a guardare l’acqua che se ne va.

E tornino le pezze di turchino ai cancelli,

i casti numi di gesso, le rose sdrucite,

le vesti liete dei fidanzati,

tutto rinnovi il tempo il suo mite apparecchio.

Poiché, mentre l’aria rapisce

nel suo sonno le foglie del sangue,

e così piano mi tenta

quest’esule sole la fronte

è bello qui fermarsi per dirti addio,

mia giovinezza, mia giovinezza.

 

Iniziazione

Nella bella pazzia

così superbo e timido

tento i miei gesti primi

come il bambino a mezzo maggio sporge

il piede bianco nel mare gentile.

 

Esercizio con sentimento

Per l’alto cielo odoroso d’arance

e di camicie nude al davanzale,

come caro lo scroscio che m’assale

di sole tardo la povera guancia.

Oh riaprirsi all’affettuosa lancia,

tornare uccello di giovini ali…

vita, puoi dunque ancora non fa male,

se mi dài questa incredibile mancia.

Ma tu, cuore, detrito di tempeste

inaccadute, che pensi, che dici,

nel girotondo d’arancia celeste?

Sapessi riparlarne con gli amici,

ritrovare una sera le tue feste,

ingenui moti, vanità felici.

 

Inerzie

Con occhi all’aria, orecchie di cere,

impietrito lungo il viale,

c’è un popolo di marionette;

la mosca che volava non vola più.

Peli, unghie, licheni, hanno smesso di germogliare,

dal labbro della statua pende fiacca una goccia,

la meridiana sull’intonaco

scambia mezzogiorno per mezzanotte.

S’è fermato un cuore.

 

Versi scritti sul muro

Più lontano mi sei, più Ti risento

farmiti dentro il cuore

sangue, grido, tumore,

e crescermi sul petto.

Più sei lontano e più Ti sento addosso,

fra l’abito e la carne,

contrabbando cattivo,

volpe rubata che mi mangia il petto.

 

 

http://farapoesia.blogspot.com/2017/10/datemi-unpianto-senza-specchi.html

 

 

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1989

S’io sapessi cantare
come il sole di giugno nel ventre della spiga,
l’obliquo invincibile sole;
s’io sapessi gridare
gridare gridare gridare come il mare
quando s’impenna nel ludibrio d’aquilone;
s’io sapessi, s’io potessi
usurpare il linguaggio della pioggia
che insegna all’erba crudeli dolcezze…
oh allora ogni mattino,
e non con questa roca voce d’uomo,
vorrei dirti che t’amo
e sui muri del mio cieco cammino
scrivere la letizia del tuo nome,
le tre sillabe sante e misteriose,
il mio sigillo di nuova speranza,
il mio pane, il mio vino,
il mio viatico buono.

 

 

da “L’amaro miele”, in “Gesualdo Bufalino, Opere 1981 – 1988”, Bompiani, 2006

La festa abbaglia ancora i tuoi balconi
e il mare, sale una rosa di luce
antica sul tuo viso, ogni bengala
nel giro negro e veloce degli occhi
ti si ripete, e la musica fiera
degli spari: chissà se tu ripensi
il tuo cuore d’altranno, e le parole
che ci gridammo d’amore, sospesi
sui colori violenti della folla,
chissà se tu rammenti la mia voce.

 

da “L’amaro miele”, Einaudi, Torino, 1982

Queste parole di un uomo dal cuore debole,
sorta di macchine o giochi per soffrire di meno,
ad altri uomini dal cuore debole:
coscritti balbuzienti, spretati dagli occhi miopi,
guitti fischiati, collegiali alla gogna,
re in esilio invecchiati a un tavolo di caffè,
che un giorno finalmente un sicario pietoso
aiuta dietro un muro, con un coltello…
Queste parole di un moribondo di provincia
a chiunque abbia scelto di somigliargli,
col viso contro i vetri, fisso a guardare nell’orto
un albero di ciliegio teatralmente morire…
Queste parole scritte senza crederci,
e tuttavia piangendo,
a un me stesso bambino che uccisi o che s’uccise,
ma che talora, una due volte l’anno,
non so come fiocamente rinasce
e torna a recitarsele da solo…
Per poco ancora, per qualche giorno ancora:
finché giunga l’inverno nel suo mantello d’ussar
e il fuoco le consumi e le consegni alla notte.

 

http://poesia.blog.rainews.it/2018/02/gesualdo-bufalino/

 

 

 

 

La vita

Gesualdo Bufalino nasce a Comiso, in provincia di Ragusa, il 15 novembre del 1920. Fin da bambino è affascinato dal mondo della parola scritta e dai libri della piccola biblioteca del padre, Biagio, un fabbro con una grande passione per la lettura.


Frequenta il liceo a Ragusa e a Comiso dove ha come insegnante un valente dantista, Paolo Nicosia. Nel 1939 Bufalino vince per la Sicilia un premio di prosa latina bandito dall’Istituto Nazionale di Studi romani. Sono gli anni degli studi classici, ma anche della scoperta della moderna letteratura europea, in particolare di Baudelaire, e del cinema francese.


Nel 1940 Bufalino si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Catania, ma nel ’42 è costretto ad interrompere gli studi per la chiamata alle armi. All’indomani dell’8 settembre 1943 si trova a Sacile, in Friuli, sbandato, sfugge avventurosamente alla cattura dei tedeschi e si rifugia presso degli amici in Emilia.


Nel gennaio del 1944 si ammala di tisi e si ricovera presso l’ospedale di Scandiano. Qui un medico assai colto gli mette a disposizione un’imponente biblioteca. Nella primavera del ’46 si trasferisce in un sanatorio della Conca d’Oro, vicino Palermo, dove vive le esperienze e le emozioni che, debitamente trasfigurate, ritroveremo nel romanzo Diceria dell’untore. Durante la degenza collabora, su sollecitazione dell’amico Angelo Romanò, alle riviste lombarde “L’Uomo” e “Democrazia”, pubblicando alcune liriche e qualche prosa.


Nel 1947, appena guarito, si laurea in Lettere all’Università di Palermo e rientra a Comiso senza più allontanarsene se non per l’insegnamento, svolto, dapprima, all’Istituto magistrale di Modica e poi, ininterrottamente, in quello di Vittoria.


Scrittore segreto fino al 1978, sarà l’introduzione ad un libro di vecchie fotografie su Comiso a segnalarlo all’attenzione di Leonardo Sciascia e Elvira Sellerio. Sollecitato a pubblicare le sue eventuali composizioni, solo nel 1981 si decide ad estrarre dal cassetto Diceria dell’untore, edita da Sellerio ed insignita, quell’anno, del premio Campiello. Rotti gli indugi, Bufalino inaugura un quindicennio di intensa attività produttiva con editori grandi e piccoli.


Nel 1982 sposa, dopo lungo fidanzamento, Giovanna Leggio. Nel 1988 vince il premio Strega col romanzo Le menzogne della notte, pubblicato da Bompiani. Muore in un incidente d’auto il 14 giugno 1996.


Fra le tante sue opere (di narratore, poeta, saggista, moralista, traduttore), ricordiamo ancora: Museo d’ombre (1982), L’amaro miele (1982), Argo il cieco (1984), Cere perse(1985), L’uomo invaso (1986), Il malpensante (1987), La luce e il lutto (1988), Saldi d’autunno (1990), Qui pro quo (1991), Calende greche (1992), Il Guerrin Meschino(1993), Bluff di parole (1994), Il fiele ibleo (1995), Tommaso e il fotografo cieco (1996). Nel 1992 la Bompiani pubblica il primo volume di Gesualdo Bufalino, Opere 1981-1988, a cura di Maria Corti e Francesca Caputo; nel 2007 , con l’uscita del secondo volume, Opere 1989-1996, a cura di Francesca Caputo, si è completata la pubblicazione della produzione letteraria complessiva dell’Autore.


Le sue opere sono state tradotte in francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, olandese, danese, svedese, greco, sloveno, bulgaro, israeliano, giapponese, coreano.

 

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1 risposta a GESUALDO BUFALINO (1920-1996) — ALCUNE POESIE DA ” L’AMARO MIELE ” (1982) + ALCUNE FOTO E LA VITA–FONDAZIONE G.BUFALINO + ALTRI LINK

  1. Donatella scrive:

    Bellissime poesie!

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