SHOSTAKOVIC– SINFONIA n. 13, PER BASSO, CORO E ORCHESTRA IN LA BEMOLLE MAGGIORE – ” BABI YAR “—VERSI DI EVGENIJ ENTUSENKO —verso il fondo, testo del poema in italiano–durata della sinfonia intera : 1, 05, 24 minuti

 

 

CANZONI CONTRO LA GUERRA / MUSICA CONTRO LA GUERRA

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=5872&lang=it#

 

 

 

Симфония нp. 13 “Бабий Яр” / Symphony no. 13 “Babi Yar” / Sinfonia n° 13 “Babi Yar”

Dmitrij Dmitrievič Šostakovič / Дмитрий Дмитриевич Шостакович

Lingua: Russo

 

 

[1962]
Sinfonia per basso, coro e orchestra in la bemolle maggiore
Coro: “Ciclo delle poesie di Babi Yar” di Evgenij Evtušenko
A symphony for bass, choir and orchestra in Ab+
Choir: “Cycle of Babi Yar Poems” by Yevgeny Evtushenko

Babi Yar, 29 settembre 1941. Una madre e il suo bambino vengono abbattuti da un soldato tedesco.
Babi Yar, 29 settembre 1941. Una madre e il suo bambino vengono abbattuti da un soldato tedesco.

“Cari amici, vista la vostra recente passione per Shostakovich, vi segnalo la sua 13a sinfonia, con l’avvertenza però che non sono sicurissimo che il testo che vi mando sia quello della sinfonia piuttosto che quello del poema cui si ispira (non trovo la registrazione che dovrei avere da qualche parte, perciò non posso verificare); così come non sono sicuro che il testo sia “contro la guerra” (ma credo di sì). Lascio a voi il compito di controllare e mi scuso in anticipo se il tutto non c’entra niente.” [Renato Stecca]

 

Dmitrij Šostakovič.

 Dmitrij Šostakovič –  San Pietroburgo1906 – Mosca,  1975), è stato un compositore e pianista russo.
Ritenuto tra i più importanti compositori di scuola russa e, più in generale, della musica del Novecento, Šostakovič ebbe un travagliato rapporto con il governo sovietico: subì infatti due denunce ufficiali a causa delle sue composizioni (la prima nel 1936, la seconda nel 1948) e i suoi lavori furono periodicamente censurati.

La prima Sinfonia, eseguita a Mosca nel 1925,  nel 1927 Bruno Walter, a Berlino; nel 1928 Stokowski a Filadelfia e Rodziński a New York; nel 1931 la sinfonia venne più volte eseguita da Toscanini.

Il linguaggio musicale di Šostakovič si rifà alla tradizione e alla cultura russa, mischiandole in una propria e originalissima visione della forma e del contenuto. Dopo un primo periodo di avanguardia, Šostakovič si riallacciò alla musica romantica, ispirandosi a Gustav Mahler, ma anche a Musorgskij. La sua musica spesso comprende acuti contrasti ed elementi grotteschi.

 

Dmitri Shostakovich credit Deutsche Fotothek adjusted.jpg

SHOSTAKOVIC NEL 1950

 

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Evgenij Evtušenko —Zima1932– Tulsa,  2017), è stato un poeta e romanziererusso. Nasce a Zimà (una cittadina della Siberia sudorientale sorta nel XIX secolo intorno a una stazione della linea ferroviaria Transiberiana)– Muore di cancro all’Ospedale di Tusla nello stato dell’Oklaoma, USA

 

L’amico Renato Stecca aveva invece visto più che giusto, proponendo la Sinfonia n° 13 di Šostakovič, il cui coro (quindi il testo diretto) è formato dal celeberrimo ciclo di poesie sul massacro di Babi Yar (o Babij Jar), di Evgenij Evtušenko. Uno dei più terribili stermini di massa (oltre 30.000 vittime) di ebrei, zingari e slavi perpetrati dagli occupanti tedeschi in Ucraina, per altro ben coadiuvati da molti ucraini. E’ stata quindi costruita una pagina adeguata, riprendendo il testo completo russo (in alfabeto originale) del ciclo di poesie evtushenkiane e proponendo l’esteso resoconto sul massacro di Babi Yar proveniente da Wikipedia. [RV].

 

babiyar1BABI YAR

Babi Yar (russo Бабий яр, Ucraino Бабин яр, Babyn Yar) è il nome di un fossato nei pressi della città ucraina di Kiev. Durante la seconda guerra mondiale fra il 29 e il 30 settembre del 1941, nazisti e collaborazionisti ucraini massacrarono 33.731 civili fra ebrei, zingari e slavi.

Prima del massacro

I tedeschi raggiunsero Kiev il 19 settembre 1941. I partigiani e i servizi sovietici del NKVD avevano minato una serie di edifici nel centro della città e li fecero esplodere il 24 settembre provocando centinaia di di vittime fra le truppe tedesche e oltre lasciando altre 50.000 civili senza casa.

Il 28 settembre, vennero affissi per la città manifesti che dicevano: “Tutti gli ebrei che vivono a Kiev e nei dintorni sono convocati a recarsi alle ore 8 di Lunedì 29 Settembre 1941, all’angolo fra le vie Melnikovsky e Dokhturov (vicino al cimitero). Dovranno portare documenti, danaro, valori, vestiti pesanti, biancheria ecc. Tutti gli ebrei non ottemperanti a queste istruzioni e quelli trovati altrove saranno fucilati sul posto. Qualsiasi civile che entri negli appartamenti sgomberati per rubare sarà fucilato sul posto.”

I più, inclusi i 175.000 della comunità ebraica di Kiev, pensarono volesse dire che gli ebrei sarebbero stati deportati. Già il 26 settembre invece, in una riunione fra il comandante militare di Kiev, Generalmajor Eberhardti, l’ufficiale comandate lo Einsatzgruppe C, SS-Brigadeführer Dr Otto Rasch, e l’ufficiale comandate il Sonderkommando 4a, SS-Standartenführer Paul Blobel, si era deciso di ucciderli per rappresaglia agli attentati (ai quali erano estranei).

 

Il fossato di Babi Yar.

 

Il massacro

Gli ebrei di Kiev si radunarono presso il cimitero, aspettando di essere caricati sui treni. La folla era tale che molti degli uomini, donne e bambini non capivano cosa stesse accadendo e quando udirono il rumore delle mitragliatrici, era troppo tardi per fuggire. Vennero condotti in gruppi di dieci attraverso un corridoio di soldati, come descritto da A. Kuznetsov:

«Non c’era modo di schivare o sfuggire. Colpi brutali, subito sanguinanti, cadevano sulle loro teste, schiene e spalle da destra e sinistra. I soldati continuavano a gridare: “Schnell, schnell!” ridendo allegramente, come se stessero guardando un numero da circo; trovavano anche modi di colpire ancora più forte nei punti più vulnerabili, le costole, lo stomaco e l’addome.»

Agli ebrei venne ordinato di spogliarsi, picchiati se resistevano, e quindi veniva loro sparato sull’orlo del fossato. Secondo lo Einsatzbefehl der Einsatzgruppe Nr. 101, almeno 33,771 ebrei da Kiev e dintorni vennero uccisi a Babi Yar fra il 29 e il 30 Settembre 1941: abbattuti sistematicamente con le mitragliatrici. Almeno 60.000 persone, inclusi rom e prigionieri di guerra russi vennero uccisi in seguito in questo sito.

Esecutore del massacro fu lo Einsatzgruppe C, supportato da membri del battaglione Waffen-SS e da unità della polizia ausiliaria ucraina. La partecipazione di collaborazionisti ucraini in questi eventi, oggi documentati e provati, è tema di un pubblico e doloroso dibattito in Ucraina

 

Occultare le prove

All’avvicinarsi dell’Armata Rossa, nell’agosto del 1943 i nazisti cercarono di occultare le prove del massacro. I reparti della Sonderaktion 1005 al comando di Paul Blobel impiegarono 327 prigionieri per esumare e bruciare i corpi. I prigionieri portarono a termine il compito in sei settimane.

babiyar2

Quelli troppo malati o troppo lenti furono fucilati sul posto. Un militare della Schutzpolizei testimoniò:

«Ogni prigioniero fu ammanettato su entrambe le gambe con una catena lunga 2-4 metri… le pile di cadaveri non venivano bruciate a intervalli regolari, ma non appena una o due pile erano pronte, erano coperte con legno e inzuppate con petrolio e benzina e quindi incendiate»

Testimonianze e commemorazioni

Il massacro degli ebrei a Babi Yar ispirò al poeta russo Evgenij Evtušenko un poema pubblicato nel 1961 e messo in musica l’anno seguente da Dmitri Shostakovich nella sua Sinfonia N. 13.

Per ragioni politiche (la partecipazione di elementi ucraini all’eccidio) un monumento ufficiale sul sito non fu costruito fino al 1976 e comunque non vi venivano menzionati gli ebrei. Sono occorsi altri 15 anni perché venisse eretto un nuovo monumento rappresentante la menorah.

(da it.wikipedia)

 

 

LA TREDICESIMA SINFONIA DI ŠOSTAKOVIČ
da agenziastampa.org

Il primo movimento della Tredicesima Sinfonia di Šostakovič è chiamato “Babi yar”, e rappresenta uno degli ultimi capolavori del musicista russo. Per questa Sinfonia, per basso solo, coro maschile e orchestra, Šostakovič si avvalse dell’aiuto dei versi del poeta sovietico Eugenij Evtušenko, nato nel 1933, che scrisse cinque poesie, ciascuna delle quali corrisponde ad un movimento della Sinfonia; i titoli delle poesie sono:

1) “Babi yar” (Adagio)
2) “L’umorismo” (Allegretto)
3) “Al magazzino” (Adagio)
4) “Paure” (Largo)
5) “Una carriera” (Allegretto)

Il primo poema, “Babi yar”, dà il titolo all’intera composizione, e prende il suo nome dal nome di un burrone che si trova nelle vicinanze di Kiev, dove i nazisti tedeschi gettarono i corpi massacrati di più di centomila uomini, donne e bambini, durante una fase della “guerra di annientamento” (operazione Barbarossa), ordinata da Hitler nel 1941.

 

La maggioranza delle vittime di questo massacro erano ebrei, ma il poeta ne parla come se questi fossero la totalità; il testo costituisce una denuncia appassionata contro l’antisemitismo e allude anche ad altre atrocità, come l’affare Dreyfus, la morte di Anna Frank, e la vicenda di un povero ragazzo ebreo morto malmenato e calpestato da un gruppo di delinquenti a Byelostock. Quando la Sinfonia venne eseguita per la prima volta a Mosca, nel 1962, nel teatro regnava un clima di grande tensione, il premier stesso, Kruscev, aveva invitato il musicista a non far eseguire un lavoro del genere; i posti riservati ai rappresentanti del governo rimasero vuoti, e non ebbe luogo nemmeno la prevista ripresa televisiva. Il teatro era circondato dalle forze dell’ordine, mentre all’interno la sala era gremita di gente: nonostante tutto il lavorò riscosse un successo clamoroso, il pubblico tributò una vera ovazione ai due autori, il musicista ed il poeta. A questa “prima” fece seguito una dura ed aspra polemica, le autorità chiesero a Šostakovič di apportare diverse modifiche al testo, in modo che si capisse chiaramente che a Babi Yar non giacevano soltanto ebrei, ma che nella stessa terra riposavano anche vittime russe ed ucraine.

La messa in musica del testo del poema è essenzialmente sillabica, e si ascoltano linee melodiche che ricordano i canti popolari russi: l’inizio è solo strumentale, lento e processionale, pieno di echi dolorosi e funerei che vengono ancor più rafforzati dalla drammaticità del coro che attacca all’unisono.

L’organico orchestrale prevede circa cento esecutori e un coro di sole voci maschili, un apparato imponente, con una sezione delle percussioni molto forte e fornita di strumenti particolari (castagnette, tamburelli baschi, campane), con due arpe obbligatorie, un pianoforte, ed una sezione di archi di non meno di 64 elementi; tuttavia la sonorità del pieno orchestrale è utilizzata raramente, pochi strumenti per volta bastano a delineare efficacemente gli stati d’animo e le emozioni che scaturiscono dalle parole del testo poetico.

Ecco la traduzione della poesia:

“Non c’è segno di ricordo a Babi Yar. Le scogliere a picco sono là come tante pietre tombali, Mi fa paura. Mi sento vecchio, vecchio come il popolo degli Ebrei. Io stesso mi sento un Ebreo. Attraverso a piedi l’antico Egitto. Qui io muoio, inchiodato a una croce, e ancora oggi porto le ferite dei chiodi. Mi sento Dreyfus. I filistei sono sia i delatori che i giudici. Sono imprigionato, perseguitato, calunniato e ricoperto di sputi. Signore che a stento frenano il riso, vestite con incredibili abiti di trine, mi punzecchiano il viso con i loro ombrelli. Poi mi sembra di essere un ragazzo di Byelostock. Il sangue ricopre il pavimento, i brutti ceffi della taverna puzzano di vodka e cipolla. Mi colpiscono al fianco con uno stivale. Invano chiedo un po’ di pietà a questi massacratori. Mi disprezzano e gridano: uccidete gli sporchi Ebrei, salvate la Russia!
Alcuni commercianti di grano danno addosso a mia madre. Oh, il mio popolo russo! Il tuo nome risplende in tutto il mondo. Ma alcuni, con mani empie, troppo spesso hanno trasformato questo nome in un simbolo di malvagità. La mia terra è buona, lo so. Questi antisemiti sono spregevoli: senza esitazione si definiscono Unione del popolo russo! Penso a me come se fossi Anna Frank, traboccante di vita come un ramo all’inizio della primavera… E divento un enorme grido silenzioso che si distende sulle migliaia di morti che giacciono qui. Io sono ogni vecchio che qui è stato ucciso. Io sono ogni bambino che qui è stato ucciso”.

 

“Ho cessato di dare importanza alle mie parole, ma non ho mai scritto una sola nota in cui abbia mentito”: questa è una confidenza di un Shostakovic ormai maturo al poeta e amico Evtuscenko.
La sua musica, sfuggente per natura, sorta di linguaggio cifrato sottilmente sospeso tra un trionfo e una catastrofe, per Stalin, divenne un’arma a doppio taglio.
La tredicesima Sinfonia di Shostakovic, in cui l’impeto morale contro ogni forma di antisemitismo, e insieme l’amore profondo per la patria russa, tocca tutti i registri, dall’angoscia che prende alla gola, alla collera sorda, al furore gridato, alla tenerezza, alla più stridula ironia.
Sono cinque movimenti, come le cinque coraggiose poesie di Evtushenko su cui si basa: il primo dà il nome alla Sinfonia, “Babi Yar”, il luogo vicino a Kiev dove i nazisti assassinarono duecentomila ebrei, una pagina dominata da un senso di opprimente desolazione, un paesaggio di pietra e ferro, con quel timbro indimenticabile del coro maschile (linea unica, nessuna polifonia!) che interferisce con il basso solista; segue uno “scherzo” musicale che stride e sprizza con inesauribile fantasia, intitolato “Yumor”, umorismo, qualità vitale che nessuna forca potrà uccidere, quindi un adagio sommesso, “Magazinye” (Al grande magazzino), omaggio alla pazienza delle donne che fanno la coda nei negozi di alimentari e momento di dolcezza e memoria nel percorso dell’opera.
La poesia che segue, “Strakhi” (paure), era stata chiesta a Evtushenko appositamente dal compositore; definendo “spettrale” la pagina che ne ha ricavato, ogni uso di questa parola altrove sarebbe improprio: il suo tema è la paura stessa, la paura di delazioni anonime, del rumore di passi su per le scale di casa, sostanza astratta che Shostakovic ricordava tuttavia di aver patito come acuta sofferenza fisica, materiale; questa paura era ancora in sospensione negli anni del disgelo kruscioviano quando l’opera fu scritta, tanto che illustri esecutori si tirarono indietro preoccupati (la prima, il 18 dicembre 1962, sarà diretta a Mosca da Kyril Kondrashin); infine “Karyera”, magistrale satira del carrierista e della nomenclatura sovietica, fra toni canzonatori (lo staccato del fagotto, il coro che fa il finto sciocco) che sfumano in un’atmosfera stupefatta, quasi pacificata, forse rassegnata.

Da: Cosenza in rete

 

 

La traduzione italiana di “Babi Yar” (la prima poesia del ciclo) ripresa da questa pagina

BABI YAR

Non c’è un monumento
A Babi Yar
Il burrone ripido
E’ come una lapide
Ho paura
Oggi mi sento vecchio come
Il popolo ebreo
Ora mi sento ebreo
Qui vago nell’antico Egitto
Eccomi, sono in croce e muoio
E porto ancora il segno dei chiodi.
Ora sono Dreyfus
La canaglia borghese mi denuncia
e mi giudica
Sono dietro le sbarre
Mi circondano, mi perseguitano,
mi calunniano, mi schiaffeggiano
E le donne eleganti
Strillano e mi colpiscono
con i loro ombrellini.
Sono un ragazzo a Bielostok.
Il sangue è ovunque sul pavimento
I capobanda nella caverna
Diventano sempre più brutali.
Puzzano di vodka e di cipolle
Con un calcio mi buttano a terra
Non posso far nulla
E invano imploro i persecutori
Sghignazzano “Morte ai Giudei”
“Viva la Russia”
Un mercante di grano
picchia mia madre.
O mio popolo russo
So che in fondo al cuore
Tu sei internazionalista
Ma ci sono stati uomini che con le loro
mani sporche
Hanno abusato del tuo buon nome.
So che il mio paese è buono
Che infamia sentire gli antisemiti che
senza la minima vergogna
Si proclamano.
Sono Anna Frank
Delicata come un germoglio ad Aprile
Sono innamorato e
Non ho bisogno di parole
Ma soltanto che ci guardiamo negli occhi
Abbiamo così poco da sentire
e da vedere
Ci hanno tolto le foglie e il cielo
Ma possiamo fare ancora molto
Possiamo abbracciarci teneramente
Nella stanza buia.
“Arriva qualcuno”
“Non avere paura
Questi sono i suoni della primavera

La primavera sta arrivando
Vieni
Dammi le tue labbra, presto”
“Buttano giù la porta”
“No è il ghiaccio che si rompe”
A Babi Yar il fruscio dell’erba selvaggia
Gli alberi sembrano minacciosi
Come a voler giudicare
Qui tutto in silenzio urla
e scoprendomi la testa
Sento che i miei capelli ingrigiti
sono lentamente
E divento un lungo grido silenzioso qui
Sopra migliaia e migliaia di sepolti
Io sono ogni vecchio
Ucciso qui
Io sono ogni bambino
Ucciso qui
Nulla di me potrà mai dimenticarlo
Che l’ “Internazionale” tuoni
Quando l’ultimo antisemita sulla terra
Sarà alla fine sepolto.
Non c’è sangue ebreo
Nel mio sangue
Ma sento l’odio disgustoso
Di tutti gli antisemiti
come se fossi stato un ebreo
Ed ecco perché sono un vero russo

inviata da adriana – 6/5/2007 – 11:28


Cari amici, sto leggendo un libro molto interessante (non so perché, ma mi ricorda alcuni politici di destra attuali!), nel quale ho trovato una testimonianza che mi ha molto colpito; non resisto alla voglia di farvela conoscere. Vedete voi se vale la pena inserirla, in questa pagina o in un’altra.

«Moennikes e io andammo direttamente alle fosse. Nessuno pensò di impedircelo. A questo punto udii provenire da dietro una collinetta di terra vari colpi di fucile in rapida successione. Le persone scese dai camion, uomini, donne e bambini di ogni età, su comando di un SS, che impugnava una frusta o uno scudiscio, dovettero spogliarsi e deporre i propri effetti in luoghi prestabiliti, le scarpe divise dagli abiti e dalla biancheria. Il mucchio della calzature comprendeva, da quel che ho visto, da ottocento a mille paia, e c’erano grandi mucchi di biancheria e di abiti. I deportati si spogliavano senza pianti né grida, se ne stavano raccolti in gruppi per famiglia, baciandosi e dicendosi addio a vicenda, in attesa del cenno di un altro SS che era sceso nella fossa e impugnava del pari una frusta. Durante il quarto d’ora che sono rimasto accanto alle fosse, non ho udito nessun lamento né implorazione. C’era per esempio una famiglia di forse otto persone… Una vecchia con i capelli candidi reggeva in braccio un bambino di forse un anno, canticchiandogli qualcosa e facendogli il solletico, e il bambino lanciava gridolini di piacere. Il padre e la madre guardavano la scena con gli occhi imperlati di lacrime; l’uomo teneva la mano di un ragazzo sui dodici anni, parlandogli a voce bassa, e il ragazzo faceva del suo meglio per inghiottire le lacrime. Il padre indicava con il dito il cielo, accarezzava la testa del figlio, sembrava spiegargli qualcosa. A questo punto, lo SS che si era calato nella fossa gridò qualcosa al suo camerata; questi isolò dal resto una ventina di persone e ingiunse loro di recarsi dietro la collinetta di terra. Tra queste si trovava la famiglia di cui ho testé parlato. Mi ricordo perfettamente di una ragazza sottile e coi capelli neri che, passandomi accanto, indicò con un cenno sé stessa e disse: «Ventitré anni!». Mi recai a mia volta dietro la collinetta di terra e mi trovai di fronte a un’enorme fossa; in questa le vittime giacevano fittamente ammucchiate l’una sull’altra, tanto che se ne vedevano soltanto le teste, e da tutte il sangue scorreva sulle spalle. Alcuni dei fucilati si muovevano ancora, certuni alzando le braccia e agitando il capo, per mostrare che erano ancora vivi… Volsi lo sguardo all’uomo che provvedeva alle esecuzioni, un SS che se ne stava seduto per terra, sul lato minore della fossa, con le gambe penzoloni in questa, un mitra di traverso sulle ginocchia, intento a fumare una sigaretta. I fucilandi, completamente nudi, scesero nella fossa per una rampa scavata lungo la parete di fango e, inciampando nelle teste dei caduti, raggiunsero il punto indicato loro dalle SS. Si disposero davanti ai morti o feriti, alcuni di loro facendo una carezza a quelli che erano ancora vivi e dicendo loro sottovoce qualcosa. A questo puntò risuonò una salva. Guardai nella fossa, e vidi che alcuni dei corpi erano ancora agitati dalle contrazioni agoniche oppure erano già immobili. Dalle nuche ruscellava il sangue.»

Questo racconto è una parte della deposizione resa dall’ingegner Hermann Friedrich Gräbe in merito a una fucilazione in massa di circa cinquemila ebrei avvenuta il 5 ottobre 1942 a Dubno, in Ucraina, a opera di SS e membri della milizia [fascista] ucraina.

Da Joachim Fest, “Hitler, una biografia” , traduzione a cura di Francesco Saba Sardi, edita da la Repubblica nel 2005 (il libro è però del 1973), alle pagine 968-969, dove c’è anche questa annotazione su cui sarebbe bene riflettere:

«Dei supremi gerarchi del regime, soltanto Heinrich Himmler alla fine di agosto del 1942 assistette, una volta, a un’esecuzione di massa, ma per poco non svenne e fu colto subito dopo da un attacco isterico.»

 

 

La foto, ancora più terribile nella sua interezza, che è diventata il simbolo del genocidio degli ebrei ucraini operato dai nazisti tra il 1941 e il 1944.

Sotto i colpi di fucile dei Sonderkommandos e degli Einsatzkommandos agli ordini di Heinrich Himmler, Hans Adolf Prützmann e Paul Blobel morirono 500.000 ebrei ucraini nel 1941, 700.000 nel 1942 e 200.000 dal 1943 fino al ritiro nazista dall’Ucraina nel 1944. Altre centinaia di migliaia furono deportati e morirono nei campi di sterminio…

 

 

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