Ci siamo acclimatate un poco con tre donne assai speciali : GLORIA ANZALDUA (1942-2004) — PAULA GUNN ALLEN (1939-2008) — E –AUDRE LORDE ( 1934-1992 ) — sono tutte scrittrici-docenti-femministe-attiviste-lesbiche e madre– uno spiraglio piccolo su un mondo che non conosciamo…

 

 

«Non lascerò più che mi si faccia vergognare. Avrò la mia voce: india, spagnola, bianca. Avrò la mia lingua di serpente, la mia voce di donna, la mia voce sensuale»: così parlava di sé l’autrice, di Terre di Confine/La Frontera, considerato uno dei migliori libri del XX secolo.

 

 

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Gloria Anzaldúa era nata il 26 settembre 1942 a Harlingen (Texas). Il padre era figlio di un giudice della corte hidalga ( ” nobile ” ), discendente di famosi esploratori baschi arrivati in America nei primi anni del diciassettesimo secolo. Ha solo undici anni quando inizia a sentire sulla propria pelle gli effetti di quella discriminazione razziale che fu uno dei temi della sua riflessione letteraria.

Donna capace di dare voce alla poesia che le scorreva dentro e ripercorrere la storia della “espropriazione” materiale e culturale – fatta dagli anglos – delle terre Aztlán, luoghi d’origine della cultura azteca appartenute agli indigeni messicani sino al 1848 e sottratte loro (con il trattato di Guadalupe-Hidalgo) dagli Stati Uniti.

Nelle sue opere Gloria Anzaldúa ha recuperato e reinventato alcuni miti femminili nati dal contatto/scontro della civiltà nativa con quella europea: come Malinche, la traduttrice-amante di Cortés a lungo ritenuta dai discendenti degli aztechi una “traditrice”, presentata invece come esempio di una faticosa intermediazione linguistico-culturale.

Non ha trascurato nemmeno la Virgen de Guadalupe, la Madonna messicana frutto della fusione sincretica con la divinità azteca Coatlique. Ha riportato poi la sua esperienza personale di donna lesbica e chicana – ruoli faticosi da far rispettare – e si è soffermata a mettere in luce l’arcobaleno delle lingue variegate  che hanno contraddistinto il panorama linguistico delle borderlands, fra Messico e Stati Uniti, partendo dalle contaminazioni presenti nella sua complessa biografia. «Le parole sono lame d’erba che attraversando gli ostacoli, germogliano sulla pagina; lo spirito delle parole che si muove nel corpo è concreto e palpabile come la carne; la fame di creare è altrettanto materiale quanto le dita e la mano. Guardo le mie dita, vedo crescervi piume. Dalle dita, mie piume, inchiostro nero e rosso cola sulla pagina». (in Terre di confine).

Un vero e proprio inno alla mescolanza: non solo per i temi affrontati ma anche nella struttura dove i confini tra i generi letterari sfumano l’uno nell’altro (saggio teorico e biografia, poesia e storiografia, antropologia e romanzo) come quelli fra i codici linguistici (castigliano, chicano, inglese standard e slang, nahuatl).

Parola e frontiera dunque sono i concetti su cui si è sviluppata tutta la sua poetica: «luogo o stato della coscienza dove tutti possiamo ascoltare e parlarci, dove le divisioni possono essere colmate, forse persino sanate».

Luogo simbolico ma anche di transito. Luogo delle anime in cerca di sé.

Con la frontiera i messicani hanno dovuto fare i conti, e ancora li stanno facendo, costretti a lasciare affetti e casa per adottare una nuova realtà che li avrebbe voluti sempre sottomessi e subalterni.

La capacità della Anzaldua di tramutare il luogo di oppressione coloniale in qualcosa di magico la si avverte nel momento in cui la frontiera viene tracciata e ridefinita quale simbolo di libertà e resistenza.

Se al confine si vogliono  costruire muri e separare culture, escludendole l’una dall’altra, lei ha tentato di costruire ponti per disinnescare il meccanismo di separazione, invitando ad abitare la frontiera per attraversarla mille e mille volte.

È infatti la mescolanza delle culture, del sudore, delle sofferenze che può creare una possibile relazione fra le genti. «There is the queer of me in all races» (C’è la mia “stranezza” in tutte le razze) afferma con orgoglio. Riconoscere questa stranezza aiuta a superare gli steccati che circondano la vita di ognuno di noi, dalle origini alla sessualità, dalla lingua alla religione.

Il concetto di new mestiza sviluppato con la sua scrittura ha avuto come obiettivo  anche quello di spezzare qualsiasi forma di contrapposizione assoluta (filoamericano-amerindio) per cercare di disegnare una cartografia nuova di luoghi fisici ed emotivi.

E’ scomparsa il 15 maggio 2004. Durante la sua esistenza ha cercato sempre di coniugare mondi che, se apparivano ancestralmente differenti, potevano comunque incontrarsi. Anzaldùa è stata una donna capace di ridefinire le frontiere mettendo in luce soprattutto le sorti di un gruppo di esseri umani tre volte penalizzato: le donne di “razza” meticcia e dall’orientamento sessuale non tradizion

 

 

parte scritta sopra::

ww.labottegadelbarbieri.org/gloria-anzaldua-chicana-donna-lesbica/

 

 

 

 

 

 

 

 

Terre di confine / ­La frontera

Terre di confine-La frontera

di Gloria Anzaldúa


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altro libro :: 

Gloria Anzaldúa, Paula Gunn Allen, Audre Lorde

Senza riserve

Geografie del contatto

a cura di Lorena Carbonara
Collana: Culture Segni Comunicazione
Edizione: 2013, pp. 116
ISBN/ISSN: 978-88-6194-166-3

Prezzo: € 16.00

 

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Il libro

Quale è il filo conduttore che lega le geo-bio-grafie di tre figure dissidenti e s-confinanti “colorate”, quali le scrittrici-docenti-femministe-attiviste-lesbiche Audre Lorde, africana-americana, Gloria Anzaldúa, chicana, Paula Gunn Allen, nativa-americana? E quale peso hanno esercitato sul femminismo e la cultura transnazionali?
Questo libro prova a rispondere a questi interrogativi attraverso la lettura-traduzione-interpretazione trasversale di tre saggi inediti in lingua italiana prodotti dalle autrici tra gli anni ’80 e ’90. L’analisi delle loro biografie ed elaborazioni teoriche sollecita il dibattito circa la creazione di una comunità di donne trans-etnica e trans-culturale, in quanto il loro pensiero non normativo spinge a de-ghettizzare le minoranze dalle riserve in cui erano state relegate, fino a s-confinare verso le nostre sponde mediterranee. La riflessione si colloca all’incrocio tra Queer Theory e pensiero radicale femminista “colorato”, sullo sfondo di un’America che l’autrice-traduttrice disegna come “alter-nativa”. 
Il punto d’arrivo, o meglio punto di sosta temporanea, di questo viaggio trans-disciplinare e comparatistico, è la consapevolezza dell’esistenza di margini, frontiere e confini situati all’esterno e all’interno di ogni individuo, soprattutto se “marginalizzato” tre volte: in quanto donna-colorata-lesbica. 
La presa di coscienza della “riserva” che dimora dentro ognuno di noi – fatta di muri che vietano la libera circolazione dei sentimenti, oltre che di corpi ingabbiati in categorie identitarie fisse – porta la curatrice a schierarsi accanto alle voci “colorate” di Lorde, Anzaldúa e Allen e a creare una connessione creativa trans-atlantica e trans-culturale tra mondi in apparenza intraducibili.

 

L’autore

 

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Gloria Anzaldúa (1942-2004): chicana, lesbica, femminista, tejana, scrittrice e critica letteraria. Nata nella Rio Grande Valley, al confine tra Messico e Stati Uniti, si fece portavoce delle scrittrici del terzo mondo, o scrittrici “colorate”, raccogliendo i loro lavori nell’antologia “This Bridge Called My Back” (1981). Delineata la teoria del mestizaje nel celebre “Borderlands/La Frontera” (1987), successivamente elaborò il concetto di nepantla, espresso in forma teorica raffinatissima in “This Bridge We Call Home” (2002).

 

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Paula Gunn Allen (1939-2008): nativo-americana, lesbica, poeta, critica letteraria, attivista. Nata nella multi-etnica Cubero, nel New Mexico, diventò una figura di riferimento nel panorama dei Native American Studies statunitensi ed internazionali. Direttrice dei corsi di Native American e Ethnic Studies all‘università di Berkeley (California), scrisse opere poetiche, romanzi e saggi, tra cui il rinomato “The Sacred Hoop: Recovering the Feminine in American Indian Traditions” (1986) e “Off the Reservation: Reflections on Boundary-Busting Border-Crossing Loose Canons” (1998).

 

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Audre Lorde (1934-1992): nera, lesbica, femminista, guerriera, poeta, madre. Nata a New York in una famiglia di immigrati caraibici, fu autrice prolifica e grande oratrice. Scrisse numerose raccolte di poesia e saggi, tra cui il noto “Sister Outsider” (1984) e l’auto-bio-mito-grafia “Zami. A New Spelling of My Name” (1982). È tuttora considerata una delle massime esponenti del pensiero femminista radicale nero.

 

 

 

foto da :: Cerchi d’acqua– facebook

Il curatore

Lorena Carbonara, laureata in Lingua e letteratura inglese, ha conseguito il Master in Studi culturali, comunicazione e cultura visuale nel 2006 e il Dottorato di ricerca in Teoria e prassi della traduzione presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro nel 2009. Attualmente è assegnista di ricerca in Lingue e letterature anglo-americane presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione della stessa Università, dove insegna anche lingua inglese. Dal 2004 si occupa di Women’s Studies, Native Studies, Translation Studies e Transatlantic American e Mediterranean Studies. È autrice di saggi sull’auto-etno-grafia nativo-americana apparsi su riviste e collettanee nazionali e internazionali.

 

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