ISPIONLINE.IT / FACT-CHECKING :: I DAZI DI TRUMP–28 GIUGNO 2019
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Ha ragione Donald Trump quando impone dazi a Pechino per mancanza di reciprocità negli scambi? È vero che questi hanno fatto correre di più l’economia statunitense? E quali sono le conseguenze dei dazi americani per l’Unione Europea e per l’Italia in particolare? Nell’attesa di vedere se l’incontro tra il presidente statunitense e il suo omologo cinese Xi Jinping al G20 di Osaka del 28-29 giugno produrrà qualche risultato concreto nella risoluzione della guerra commerciale, ISPI si propone di fare il punto sui motivi, gli effetti e gli aspetti più controversi legati ai dazi di Trump.
Gli USA sono ancora uno dei paesi più aperti al commercio internazionale?
Sì, ma…
Prima della svolta protezionistica di Donald Trump gli Stati Uniti erano uno dei paesi del G20 con i dazi medi più bassi (3,36%). Con l’entrata in vigore dei dazi al 25% su 250 miliardi di import cinese, però, la media salirà al 5,67%. Un incremento, questo, che pone gli Stati Uniti tra i paesi industrializzati con i dazi medi più alti, seppur ancora piuttosto lontani da quelli applicati dai paesi in via di sviluppo membri del G20 come la Cina e l’India (si veda grafico). L’Unione Europea rimane invece, insieme a Canada e Australia, una delle aree più aperte al libero scambio pur applicando dazi piuttosto alti su una vasta gamma di beni come i prodotti agricoli (in media oltre il 15%) e quelli del settore dell’automotive (10%). Dazi che continuano ad attirare diverse critiche, non ultime quelle della stessa amministrazione Trump.
Una trattazione a parte meriterebbero poi le cosiddette misure non tariffarie (ostacoli di natura tecnica, amministrativa, legislativa e fitosanitaria). Più dei dazi sono infatti queste le vere barriere al commercio che continuano a crescere e che colpiscono oltre il 70% del commercio mondiale. Tutti i paesi del G20, compresi gli Stati Uniti prima di Trump, hanno fatto e fanno largo uso di tali barriere a difesa non solo di settori sensibili, ma anche di settori tradizionali come quello agricolo e dell’industria pesante.
È vero, come sostiene Trump, che la Cina viola le regole del WTO?
Sì
La Cina è il paese contro cui sono stati presentati più ricorsi per violazione delle regole commerciali del WTO. Con specifico riferimento agli scambi con gli Stati Uniti, la Relazione del 2018 dello United States Trade Representative Office (USTR) punta il dito soprattutto sui trasferimenti forzosi di tecnologia e proprietà intellettuale. Nonostante le reiterate promesse di Pechino di cambiare strategia, soprattutto a livello locale, le autorità continuano però a vincolare l’approvazione d’investimenti esteri al trasferimento di tecnologia. Ulteriori vincoli agli investimenti stranieri in Cina riguardano l’obbligo di costituire joint ventures in alcuni settori (ad esempio quello farmaceutico, automobilistico o dell’elettronica), e l’imposizione di requisiti amministrativi e concessioni di licenze commerciali non sempre trasparenti. Vanno anche ricordati i sussidi a favore dell’industria locale, peraltro non notificati al WTO. Questa politica ha favorito fenomeni di sovrapproduzione in diversi settori come quello dell’acciaio e dell’alluminio; settori dove la Cina, nonostante non disponga di particolari vantaggi comparati, è riuscita a controllare circa metà della produzione mondiale e a distorcere i prezzi internazionali spesso anche attraverso pratiche di dumping. Infine, notevoli restrizioni si riscontrano anche nel settore dei servizi: dal settore bancario, dove requisiti discriminatori e non trasparenti limitano l’espansione delle banche estere nel paese, a quello delle telecomunicazioni con controlli statali particolarmente intrusivi e obblighi d’ uso di tecnologia cinese.
I dazi USA rispettano le regole del WTO?
No
Gli Stati Uniti non hanno rispettato la procedura del WTO per l’adozione di misure di restrizione al commercio. Il WTO in effetti prevede una procedura ben precisa: quando si ritiene di aver subito un pregiudizio da un altro Stato membro occorre preventivamente richiedere consultazioni amichevoli e solo successivamente si può richiedere la costituzione di un panel all’interno dell’organo di risoluzione delle controversie del WTO (Dispute Settlement Body) che autorizza l’eventuale uso di misure restrittive al commercio. Per quanto riguarda l’imposizione nel marzo 2018 di dazi su acciaio e alluminio, gli Stati Uniti hanno invece proceduto in modo unilaterale senza passare al vaglio del WTO invocando la cd. “national security exception” prevista nell’art. 21 del GATT. Secondo una recente pronuncia del WTO, questo articolo riconosce il diritto di ogni Stato membro a reagire a situazioni di emergenza nazionale nel modo che ritengono necessario ma non preclude, come interpretato invece dall’amministrazione americana, il ruolo dell’Organizzazione nel valutare la legittimità e proporzionalità delle misure intraprese. Per la seconda ondata di dazi – su beni importati dalla Cina per 250 miliardi di dollari – iniziata nel luglio 2018 e proseguita fino a maggio 2019, Trump invece ha fatto ricorso all’art. 20 del GATT che condanna pratiche commerciali sleali, come la violazione dei diritti di proprietà intellettuale e i furti di tecnologia straniera. Gli Stati Uniti avevano avviato il 23 marzo 2018 consultazioni sul tema; non avendo ricevuto risposte giudicate soddisfacenti, hanno richiesto l’istituzione di un panel, che si è effettivamente costituito il 16 gennaio 2019. Anche in questo caso, tuttavia, i dazi sono stati applicati senza consentire al WTO di valutare la legittimità e la ragionevolezza delle contromisure.
Con i dazi il deficit commerciale USA con la Cina si è ridotto?
Sì, ma…
Nei primi quattro mesi del 2019 il disavanzo commerciale degli Stati Uniti verso la Cina è sceso del 10% rispetto allo stesso periodo del 2018. Un dato, questo, che segna un’inversione di tendenza rispetto al deficit crescente registratosi durante tutto il 2018 quando il disavanzo è cresciuto dell’11,75% rispetto all’anno precedente. Va però evidenziato che la recente riduzione del disavanzo è legata alla caduta dell’intero interscambio tra i due paesi. Confrontando i primi quattro mesi del 2018 con i primi quattro mesi del 2019, in pratica, se è vero che le importazioni dalla Cina sono diminuite (-13%) ancor di più si sono ridotte in percentuale le esportazioni americane verso Pechino (-21%), peraltro con effetti negativi sui settori più produttivi e dinamici dell’economia americana come le produzioni ad alto contenuto tecnologico (-36%).
Trump afferma che i suoi dazi hanno accelerato la crescita USA: è vero?
No
Ciò che dall’avvio della presidenza Trump ha contribuito maggiormente alla crescita economica degli USA è stato l’aumento dei consumi e degli investimenti privati (vedi grafico). Aumento a sua volta favorito dalle politiche di riduzione delle tasse e dai bassi tassi d’interesse. Il miglioramento della bilancia commerciale avvenuto nel primo trimestre 2019 ha certamente contribuito – per circa un terzo – alla crescita del Pilnello stesso periodo, ma per motivi ben specifici: nella seconda metà del 2018 le importazioni americane sono aumentate più del previsto perché i dettaglianti, i produttori e i consumatori americani si sono riforniti di prodotti cinesi in vista dell’entrata in vigore dell’ultima tranche di dazi. Questi acquisti si sono ridotti nel primo trimestre 2019 contribuendo così, da un punto di vista contabile alla crescita del Pil. Tuttavia, secondo stime della Federal Reserve, questa spinta dovrebbe ridimensionarsi già a partire dal secondo trimestre 2019. A questo si aggiunga che – secondo stime del FMI – una continuazione della guerra commerciale tra Pechino e Washington potrebbe contribuire nel biennio 2019-2020 a una riduzione della crescita USA tra lo 0,3-0,6% e di quella cinese tra lo 0,5-1,5%.
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GUARDA AVANTI LA DOMANDA E LA RISPOSTA A:
Trump minaccia dazi all’UE: un possibile danno per l’Italia?
Sì
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