REPUBBLICA DEL 4 DICEMBRE 2014
Stefano Mancuso: “Ecco a cosa pensano le piante”
Sono intelligenti e con una capacità di adattamento superiore a quella dell’uomo. Il neurobiologo spiega perché potrebbero salvare il pianeta. Basterebbe solo ascoltarle
di CHIARA VALERIO
STEFANO MANCUSO A SESTO FIORENTINO
Noi non distruggeremo mai la vita del pianeta. Perché la vita non siamo noi… Non mi piacciono i catastrofismi, pensi alla faccenda della sovrappopolazione, come faremo se nel 2050 saremo circa dieci miliardi di persone? Dove prenderemo il cibo e l’acqua? Il primo argomento, contro la paura, dovrebbe essere che nel 2050 avremo quattro miliardi di persone in più che penseranno e dunque avranno un’idea”. Stefano Mancuso è seduto alla sua scrivania nel centro di ricerca di Sesto Fiorentino.
Lo studio dell’uomo che sta mostrando alla comunità scientifica – e a me, oggi – la necessità di un nuovo punto di vista sul regno vegetale, è uno studio come tanti altri. Mancuso, l’uomo che ascolta e sussurra alle piante e forse ci parla, non è verde e non somiglia ai cartoni giapponesi e animisti dove i fiori parlano nella lingua degli umani. Ha un bel paio di occhiali, indossa una camicia Oxford, una giacca e un jeans. In breve, qui, nella facoltà di Agraria dove insegna e dove dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, non ci sono indizi particolari – li cercavo, nel mio scetticismo antropocentrico – se non una normalità spiazzante.
E dunque le piante sono intelligenti?
“Attribuiamo intelligenza in funzione della somiglianza a ciò che siamo noi. L’homo sapiens sapiens è una specie senza razze. A differenza di altri animali, noi siamo identici… Questo non ci aiuta a guardare oltre noi stessi, non trova?”.
Sì, ma il nostro cervello…
“Il cervello è solo una delle soluzioni dell’evoluzione, che non premia il migliore ma il più adatto. Per noi, perché una cosa sia intelligente, deve somigliarci. Il nostro atteggiamento in biologia è preistorico, l’uomo al centro di tutto”.
Sta inseguendo una rivoluzione copernicana?
“La biologia è la più atea delle scienze. Il senso comune è che il fine sia l’uomo, quindi la biologia si ritrova creazionista. E invece siamo quantitativamente ininfluenti”.
Adesso, ininfluenti…
” Ci sembra di essere influenti perché tutto quanto, il tempo e lo spazio, per esempio, è tarato su di noi. Le piante hanno tempi e spazi completamente diversi dai nostri. Ci sono piante che vivono quarantacinquemila anni. Un Pinus Longaeva, guardandoci, potrebbe chiedersi “come fa a essere intelligente se è così veloce?””.
Sì, ma come percepisce il pino?
“Le piante sentono meglio degli animali. Perché gli animali, e noi tra loro, risolvono quasi tutto col movimento. Una pianta invece deve risolvere il problema, non può scappare. E pensi allo scandalo del riso…”.
Lo scandalo del riso?
” Per fare una pianta di riso servono un numero di istruzioni quattro volte superiore a quelle che servono per fare un uomo. La pianta di riso è la Basilica di San Pietro e noi un cubo”.
Il riso è quattro volte più complesso di noi?
” Noi abbiamo una risposta univoca. Consumiamo. Ci spostiamo. Le piante hanno soluzioni diverse per problemi diversi, e queste soluzioni si sono conservate nel genoma”.
Nel genoma del riso ci sono le soluzioni ai problemi risolti dalle… generazioni di riso precedenti?
“È probabile. Noi facciamo cose che somigliano a come siamo fatti. Il nostro centro di comando è il cervello. Invece le piante non hanno evoluto gli organi. Ma gli organi sono una tra le milioni di possibilità per risolvere un problema. Certo, ne creano altri. Se un bruco le perforasse la testa lei ne morirebbe. Le foglie vengono sempre perforate da bruchi, ma le piante non muoiono. Inoltre, tutte le cellule vegetali emettono un impulso elettrico”.
Cioè come i neuroni umani?
” Esatto. Il ” cervello” della pianta è diffuso. Come internet. Aveva lo stesso problema. Se uno dei grandi server veniva colpito, i dati sarebbero stati persi. Dunque meglio diffonderli in una rete, no?”.
E una mimosa pudica? Come fa a capire come sente?
” Dobbiamo sempre immaginare un movimento. E queste sono piante alle quali riconosciamo una strategia. Sa qual è la caratteristica dei fagioli di Lima? “.
Si arrampicano fino al cielo come nelle favole?
” Sì, intorno a un bastone. Se lei mette due piante a poca distanza da un bastone, cercheranno entrambe di raggiungere la pertica e solo il primo che arriva potrà rimanerci. I fagioli sono territoriali”.
Come i cani?
“Terribilmente. Le faccio vedere”.
Il professor Mancuso mi mostra un filmato. Due pianticelle si proiettano verso la pertica con sforzi epici. Stacco. Mia empatia col fagiolo di Lima che non ha raggiunto la pertica.
Le piante usano gli animali?
” Sì. E se pensa che il 70 per cento del carbonio contenuto in un individuo americano viene dal mais… Noi crediamo ancora che l’intelligenza sia una nostra peculiarità e non è così. Comunque il cervello è il punto debole, le piante manipolano gli esseri dotati di cervello, producono droghe”.
Mancuso mi invita poi a riflettere sulle cure parentali: “Noi pensiamo di essere quelli che maggiormente si prendono cura dei propri cuccioli… Si è mai chiesta come fa un seme nella giungla nera a vivere nel sottobosco fino a quando non arriva all’altezza dove può prendere la luce? Ci pensano le piante affini, le piante del clan”.
Mi perdoni… lei è carnivoro?
“Quasi vegetariano. Per un chilo di carne ci vogliono 1600 chili di piante. Eticamente è sempre meglio mangiare le piante”.
Già. Mentre passeggiamo tra le serre vedo una specie di astronave. Trasparente. Sembra arrivata da altri universi. Mi scusi, che cos’è?
“ Jellyfish. Una serra che galleggia. Sull’acqua del mare. I terreni coltivabili sono meno di quanto si creda e Jellyfish non ha bisogno di terreni coltivabili e nemmeno di acqua dolce. Dissala quella del mare. Fa tutto con la luce del sole. Risponde a due seri problemi ambientali. Il primo è ridurre il consumo di acqua dolce, il secondo è la sostenibilità di agricoltura e allevamento intensivi, che producono gas serra”.
Mentre Stefano Mancuso mi sorride penso a Solaris.
“Degli altri mondi non sappiamo che farcene, quello che abbiamo ci basta e ci avanza”.
Esattamente, annuisce, è proprio così. Ha mai pensato a una storia di fantascienza?
“La mia fantascienza è un film in cui riusciamo a capire che c’è già una forma di intelligenza che ci affianca”.
Questo mondo, finora sconosciuto ai più, è affascinante e ci dà speranza.