PSYCHIATRYONLINE.IT
4 OTTOBRE 2012
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4 ottobre, 2012 – 11:56
di Lauro Galzigna
Premessa
Questo contributo cercherà di illustrare alcuni aspetti del problema mente/cervello, identificando un punto focale che riguarda i limitidella mente. I commenti emersi nelle discussioni con Mario Galzigna sono stati importanti per la definizione di alcuni quesiti a cui si è cercato di dare risposta.
L’obiettivo che mi sono prefisso è stato quello di proporre una sorta di provocazione, una base di dibattito su un tema che ha un’importanza centrale per il nostro tempo. Oggi infatti, se è una realtà la chirurgia “computer assisted” e quindi la macchina-calcolatore ha dimostrato l’utilità del programma meccanicista nella riparazione della macchina-uomo – per non parlare della nuova tecnologia dei sistemi di comunicazione cervello-computer e dell’impianto di microchips – comincia anche ad emergere la possibilità di usare il computer come interlocutore del paziente psichiatrico. Questo solleva numerosi problemi epistemologici, a partire dall’identificazione dell’atto medico come esercizio di potere o, quanto meno, dalla possibile definizione di tale atto come machtgeschutze, ovvero protetto dal potere: aggettivo che Thomas Mann usava per descrivere la condizione dell’intellettuale. Un altro problema è quello dell’empatia che dovrebbe essere complemento indispensabile di ogni atto medico e in particolare di quelli psichiatrici. Nell’interazione paziente psichiatrico-computer dove sta il potere? Quale empatia può essere generata da un computer? Che tipo di mente può offrire il computer come surrogato della mente dello psichiatra? L’ultimo quesito, in particolare, si ricollega al problema dei rapporti tra mente e cervello.
Monismo e dualismo
Sull’argomento mente/cervello esiste una vastissima letteratura e le ipotesi avanzate dall’Antichità ai nostri giorni si possono definire sostanzialmente come dualiste o moniste. Nel primo gruppo vi è un ventaglio di posizioni che vanno da estremi di spiritualismo ad atteggiamenti più materialisti riconoscibili anche al momento attuale. Le ipotesi moniste sono prevalentemente di tipo materialista e si possono esprimere con l’affermazione che la mente è semplicemente la manifestazione della funzione cerebrale, mentre quelle dualiste impongono una netta separazione tra l’organo e un’entità extra-materiale definita spirito, anima, mente ecc. Evidenti sono le aberrazioni che possono conseguire ad entrambe le posizioni, capaci di giustificare con il monismo l’appiattimento di un io che desidera, crede, spera, e con il dualismo il ricorso ad ipotesi di trascendenza del tutto arbitrarie, anche se necessarie e vitali per molti.
Plotino, nelle Enneadi, identifica l’uomo con l’anima razionale e l’intelletto che ad essa corrisponde come realtà derivata da qualcosa che sta oltre e sopra all’io; egli sviluppa infatti la concezione platonica per la quale l’anima, essenza individuale indivisibile proviene dall’alto, ma risiede nel cervello. Questa concezione spiritualista, ereditata dal mondo antico, è viva ancor oggi e si contrappone all’idea secondo la quale il cervello, sistema complesso, esprime come funzione altrettanto se non più complessa la mente. Secondo le due concezioni contrapposte l’alternativa quindi è che il mondo platonico emerga dal mondo fisico o che il mondo fisico (cervello compreso) sia del tutto indipendente da quello platonico. Il mondo detto platonico contiene, tra l’altro, i numeri e le idee matematiche e la relazione esistente tra queste e la biologia è stata da me analizzata in altra sede (1).
Secondo un saggio (2) relativamente recente è possibile sostenere contemporaneamente un’ipotesi monista dal lato biologico ed un dualismo conoscitivo, dal momento che occorrono sistemi concettuali diversi per definire rispettivamente cervello e mente. Questo è possibile alla luce della scelta di considerare la mente come qualcosa che dipende dal cervello e al tempo stesso “collabora attivamente con esso”: un’indicazione in questo senso viene dal fatto che il sogno ha contenuti mentali che sembrano talvolta indipendenti dalla realtà neurofisiologica (esempio: il cieco che sogna di vedere), anche se questo discorso trascura il ruolo dei programmi geneticamente determinati, le funzioni della memoria e l’esistenza dell’ideazione fantastica.
Monismo e dualismo vengono peraltro analizzati in un’altra opera (3) che propone la metafora della difesa ad oltranza, da parte dei dualisti, della roccaforte-mente, descritta come un buco nero, quando pensiero e conoscenza sono soltanto, secondo il suo Autore, il prodotto complesso, anche se non ancora compreso, delle attività neuronali.
Ipotesi attuali
Struttura e funzione sono due termini complementari, necessari per definire ogni vivente, oltre che ogni sua parte od organo. La struttura in questo caso determina la funzione, ma la funzione a sua volta influenza la struttura, secondo una circolarità che pregiudica ogni tentativo di stabilire un rapporto deterministico diretto.
Molti organi si possono descrivere in termini riduzionistici e per alcuni tale descrizione è culminata con la costruzione di analoghi meccanici usati in medicina per sopperire temporaneamente ad una insufficienza, come succede con il cuore artificiale, il pancreas artificiale o il rene artificiale. Secondo una definizione coerente con il riduzionismo ontologico il cuore perciò è una pompa, il rene è un apparato di ultrafiltrazione ecc. Per un organo come il cuore, che svolge una funzione prevalentemente meccanica garantita da un muscolo miocardico e da un sistema di valvole quali la mitrale e la tricuspide, è stato possibile allestire delle protesi completamente artificiali capaci di svolgere, anche se con numerose limitazioni, una funzione sostitutiva di quella dell’organo. Per altri organi più complicati, come il pancreas, sono stati realizzati sistemi automatici (ad esempio cartucce a lento rilascio di insulina, sensori di glucosio, ecc.), capaci di sostituire una parte della funzione e cioè quella endocrina relativa alla liberazione di insulina in risposta ad innalzamenti del livello glicemico. Anche per il rene, l’apparecchiatura definita rene artificiale riproduce con un sistema di dialisi solo l’attività di ultrafiltrazione glomerulare, necessaria a rimuovere dal sangue i cataboliti tossici. Si tratta, in entrambi i casi, di una simulazione parziale perché pancreas e rene svolgono molte altre funzioni che per ora non è stato possibile riprodurre.
Il cervello, in virtù della sua particolare funzione di elaboratore d’informazione, ha caratteristiche del tutto particolari rispetto agli altri organi e tale funzione è stata descritta e valutata nei modi più diversi che vanno, come già anticipato, da un riduzionismo estremo ad un antiriduzionismo altrettanto estremo.
Rappresentante del riduzionismo più estremo è Frank Tipler (4), teorico del Principio Antropico e della dipendenza del mondo materiale dai valori delle costanti fisiche fondamentali, il quale afferma senza mezzi termini che come il cuore è una pompa così il cervello è un computer. Per Tipler un cervello umano può essere definito nei termini della complessità di Kolmogorov, e la sua descrizione completa si può ottenere con 1045 bit d’informazione. Il riduzionismo ontologico cui Tipler si ispira sostiene che la natura dell’essere, ovvero la realtà, è completamente definita nei termini delle forze e delle particelle studiate dalla fisica.
Una delle posizioni antiriduzioniste più recenti è quella di Roger Penrose (5), che, sulla base di considerazioni quantomeccaniche relative ai microstati del sistema, in opposizione ai teorici dell’Intelligenza Artificiale (IA), nega che sia possibile emulare meccanicamente con un computer l’attività del cervello umano (6). Curiosamente, Penrose si basa su considerazioni completamente fisiche, come sono quelle da cui parte Tipler, per arrivare a delle conclusioni del tutto opposte. Tipler utilizza infatti il suo riduzionismo per giustificare posizioni in ultima analisi spiritualistico-teiste, mentre l’antiriduzionismo di Penrose lo porta a conclusioni del tutto fisicaliste. Per Penrose, infatti, ai microstati cerebrali si dovrebbe applicare il concetto della “sovrapposizione” quantistica secondo la quale ogni stato avviene e non avviene allo stesso tempo. Il sistema dei microtubuli presenti nei neuroni sarebbe la sede di un’attività quantistica coerente che coinvolgerebbe anche le molecole d’acqua circostanti. Penrose fornisce molte informazioni su strutture subcellulari, come i microtubuli e il citoscheletro dei neuroni, o molecolari come la clatrina, le tubuline e altre proteine associate ai microtubuli per sostenere la sua ipotesi, anche se le conoscenze strutturali attuali di questi sistemi non sono ancora corredate da eguali conoscenze biofunzionali. Il suo modello è perciò altamente ipotetico ed anche i riferimenti al lavoro di Herbert Froehlich sulla superconduttività a basse temperature e a un suo ruolo negli effetti quantistici collettivi dei sistemi biologici non sono di grande aiuto. E’ sempre meglio, chiaramente, avere qualche ipotesi piuttosto che non averne alcuna, ma i biochimici sanno che raramente le grandi ipotesi semplificatrici, enunciate spesso dai fisici con il tono di chi comunica le leggi dall’alto del monte Sinai, hanno avuto un riscontro biologico. Un tipico esempio è la teoria della fase acquosa per spiegare l’azione degli anestetici proposta da Linus Pauling ed a cui io stesso ho dato un contributo nei primi anni ’70 (7). Secondo le concezioni più recenti, l’azione anestetica non coinvolge la fase acquosa dei neuroni e questo indebolisce ulteriormente la tesi di Penrose. Egli ricorda anche i dati relativi al ritardo dell’attività cerebrale rispetto alle decisioni prese dal soggetto: dati che vengono invocati come prova della non identità tra attività cerebrale ed attività mentale, passando sopra, da fisico, alla possibilità che si tratti di un effetto strumentale; le misure, nel campo dei fenomeni biologici, non hanno infatti lo stesso grado di certezza delle misure effettuate per studiare fenomeni fisici. In ogni caso, per Penrose, se c’è una spiegazione della coscienza essa deve essere fisica e questo si contrappone alle posizioni decisamente spiritualiste sostenute per esempio da John Eccles (8).
La riflessione di Penrose si snoda a partire dal teorema di Goedel sull’incompletezza e l’indecidibilità dell’aritmetica arrivando alla conclusione che nessun calcolatore, anche potente come una macchina di Turing, riesca a superare quel test di Turing capace di identificare inequivocabilmente un essere intelligente. Una macchina di Turing è un calcolatore matematicamente idealizzato che non compie mai alcun errore ed ha una memoria illimitata. Il test di Turing invece, ricordiamo, si basa su un algoritmo che stabilisce l’intelligenza di un essere o di una macchina in base alle sue capacità di sostenere una conversazione. Se si ha un individuo in una stanza isolata e un calcolatore in un’altra stanza isolata che comunicano con l’esterno solo attraverso un terminale, il problema di capire in quale stanza si trovi l’uomo o la macchina si affronta ponendo delle domande e analizzando le risposte per un tempo molto lungo. Quando, trascorso tale tempo, non si riesca a distinguere la differenza tra le due risposte è segno che la macchina, con la sua intelligenza artificiale, ha superato il test comportandosi come un essere umano; ma questo, per i critici della IA , non potrà mai avvenire.
Negli anni ’30 Goedel dimostrò che anche nell’aritmetica è possibile riconoscere proposizioni autoreferenziali come quella dell’antico paradosso del cretese Epimenide, che affermando “tutti icretesi sono bugiardi” rendeva impossibile stabilire la verità di questa affermazione. Anche in aritmetica si può affermare “questa proposizione è indimostrabile”, da cui deriva che se essa è vera l’aritmetica è incompleta, se essa è falsa l’aritmetica è logicamente inconsistente. Se quindi l’aritmetica è consistente essa è incompleta e quindi indecidibile. Alle possibilità logiche di vero e di falso occorre così aggiungere anche quella di indeterminato e Goedel ha dimostrato che anche nel mondo platonico della matematica non esiste certezza assoluta, in analogia con quanto Heisenberg aveva fatto per la fisica subatomica qualche anno prima. Conseguenza di questo è che i sistemi astratti e i sistemi materiali, ovvero la mente ed il cervello, hanno lo stesso grado di incertezza e non vi sono possibili “superiorità” dell’una sull’altro. Se l’attività mentale coincide principalmente con la comprensione si può infatti formulare una proposizione autoreferenziale come “la comprensione è incomprensibile” che implicherebbe l’incapacità della mente ad esprimere enunciati relativi a se stessa.
Le limitazioni goedeliane si possono applicare a macchine aritmetiche come i calcolatori, ma, secondo Penrose, la mente umana ha una capacità di comprensione logica che è diversa da quella dei calcolatori. L’intuizione umana infatti non può essere ridotta ad alcun insieme di regole computazionali, mentre pensiero e comportamenti coscienti potrebbero caratterizzare solo strumenti non computazionali. La computazione meccanica si basa sull’iterazione e presuppone regolarità e non fallibilità, laddove una delle componenti dell’ideazione è l’uso dell’errore, cioè la capacità di costruire la comprensione utilizzando anche le computazioni abortite, la mescolanza di significati con non-significati, i salti logici, le deviazioni, gli arbitri procedurali, le irregolarità ecc. Turing ha peraltro notato che se una macchina è infallibile essa non può essere anche intelligente. E’importante rilevare, a questo punto, come spesso i teorici trascurino di considerare, quando discutono dell’attività mentale, il fatto che il cervello non elabora solo informazione, ma anche significati capaci di colorare affettivamente l’informazione stessa: la medesima informazione ha quindi significati diversi per soggetti diversi. Basti pensare ad un qualsiasi esempio di manifestazione artistica di tipo musicale o pittorico:ascoltatori oppure osservatori diversi reagiranno nel modo più diverso alla medesima informazione musicale o pittorica.
Penrose non può accettare l’ipotesi che la mente/programma dell’uomo si sia formata per selezione naturale, anche se non dà alcuna giustificazione di questa affermazione. Il cervello è certamente composto da particelle che obbediscono alle regole quantistiche, ma poiché secondo Penrose tali regole, nella loro attuale formulazione, non permettono di descrivere fenomeni come quello della gravitazione quantistica, esse non permettono neppure di descrivere fenomeni come quello della coscienza: una logica piuttosto strana basata sul presupposto che, poiché l’indimostrabilità è caratteristica comune della gravità quantistica e della coscienza, quando si riuscirà a dimostrare la prima lo stesso succederà anche per la seconda. Quanto affermato da Penrose equivale così a dire che la fisica newtoniana non spiega la coscienza perché non è in grado di spiegare il comportamento degli elettroni. Ma anche la nuova fisica quantomeccanica capace di spiegare i fenomeni subatomici non è per questo capace di spiegare la coscienza. Insomma solo il fatto che entrambi siano ancora dei misteri accomuna la gravità quantistica e la coscienza umana. Quello di Penrose è una sorta di identitismo con riserva, poiché egli ritiene che la mente, anche se oggi non è identificabile con una funzione cerebrale specifica, lo sarà certamente in futuro quando vi saranno nuovi strumenti logico-teorici capaci di definirla.
Una posizione intermedia e più sfumata tra gli estremi riduzionismo/antiriduzionismo è forse quella di Gerald Edelman (9) con il suo modello di funzione neurale che tiene conto del comportamento dinamico del sistema in cui una costante trasformazione strutturale rinnova i componenti. Tale posizione è stata definita dal suo autore come Darwinismo neurale per ricordare la visione dinamica del sistema biologico il cui prodotto è la mente e nel quale associazioni variabili tra neuroni stanno alla base del meccanismo di ricategorizzazione che si esprime come memoria. Secondo Edelman i neuroni sono organizzati in gruppi che subiscono un processo di selezione capace di determinare gli schemi di connessione anatomica e funzionale, ma altri autori (10) hanno notato come la natura di tali gruppi e quella del processo di selezione non sia stata definita in modo soddisfacente. D’altra parte, il fatto che Edelman abbia tentato di implementere il suo modello con un computer implica la sua accettazione della computabilità come caratteristica del sistema.
Come rilevato da molti neurobiologi (11), molto spesso le teorie proposte da fisici dimostrano comunque una scarsa comprensione o forse sensibilità per la realtà biologica. Un esempio è la scelta di strutture neuronali particolari come i microtubuli di cui si è detto, una scelta piuttosto gratuita, vista la grande varietà delle strutture neuronali esistenti e soprattutto visto che i microtubuli sono molto più abbondanti negli astrociti che non nei neuroni.
Sui limiti della mente
Una considerazione importante non sempre esplicitata nella letteratura è tuttavia quella relativa ai limiti del sistema esaminato, anche se Penrose accenna alla possibilità che sia proprio l’ambiente esterno ciò che offre alla mente la sua componente non computazionale o non algoritmica. Si ha così l’impressione che per molti il sistema cervello/mente sia un’entità limitata a quanto è contenuto nella scatola cranica dell’uomo. In realtà si sa bene che nessuna mente è in grado di operare normalmente in condizioni di isolamento assoluto. Questo indica che l’interfaccia con il mondo esterno costituita dagli organi di senso è parte integrante dell’io/mente, mentre i limiti dello stesso “sfumano” nell’informazione circostante e nei rapporti che esso stabilisce con il mondo. Si tratta di una considerazione semplice, ma non semplicistica, che permette di giustificare una prospettiva antiriduzionista senza ricorrere a complicate analisi epistemologiche basate su gatti di Schroedinger vivi e morti al tempo stesso, virtualità e concetti quantomeccanici in genere. Ogni mente individuale è infatti assimilabile ad un oggetto luminoso che non si presenta con caratteri di localizzazione netta ed uniforme come sarebbe quella di una luce laser, ma piuttosto con quelli della fiamma di una candela che diffonde la sua luce fino ad un limite indefinito, sfumato e non facilmente localizzabile.
Occorre poi considerare l’importante questione dell’individualità: parlare di una mente umana media o di un cervello umano medio non ha molto senso se si pongano, come estremi di un intervallo, per esempio Albert Einstein e un deficiente totale (troppi gli esempi di questa categoria per sceglierne uno). Ogni mente non è definibile solo in termini di gioco tra hardware e software, poiché un peso determinante deve avere anche la storia dell’individuo e tutti gli eventi completamente casuali che ne hanno influenzato lo sviluppo. L’interazione hardware/software nel cervello è comunque totalmente diversa da quella che si ha nei computers, perché il software, inteso come esperienza, storia, memoria, nel caso del cervello modifica strutturalmente il hardware. Quando invece si inserisce un nuovo programma (software) in un computer non si modifica la struttura dei suoi circuiti allo stesso modo con cui ciò avviene nel cervello. Il cervello ha infatti una caratteristica plasticità che permette un suo continuo rimodellamento epigenetico, cioè indipendente dalla programmazione stabilita dal genoma. E’vero che anche il computer può modificare i propri programmi per influenza dell’ambiente come succede nei sistemi delle reti neurali capaci di apprendere, seguendo sempre delle regole computazionali, per esempio con meccanismi di retro-propagazione, ma questo avviene senza che il computer stesso alteri i propri circuiti.
Tornando ad Einstein, si può notare che,secondo quanto il grande scienziato ha riconosciuto nella propria Autobiografia , egli è stato quel che è stato “anche” perché aveva avuto uno zio capace di esercitare su di lui un importante stimolo negli anni dell’adolescenza.
Tutto questo per dire che se sarà certamente possibile completare il programma dell’intelligenza artificiale e costruire una macchina concapacità di computazione pari se non superiori a quelle di qualsiasi individuo, resterà sempre un grosso margine di irriducibilità che impedirà di considerare tale macchina,anche se fosse capace di superare il test di Turing,come identica ad un cervello umano. Il test di Turing ha infatti,come condizione irrinunciabile, l’esistenza di un osservatore esterno che “decide” in quale stanza si trovino l’uomo o la macchina. La mente naturale completa, così come una possibile mente artificiale, non sono realtà che possono esistere indipendentemente dall’esistenza di un osservatore esterno.
Irriducibilità oggi
Ricercare oggi un elemento di irriducibilità nella mente umana non significa difendere ancora una volta la roccaforte-mente, né implica necessariamente un atteggiamento dualista per “salvare” l’unicità e il primato dell’uomo nella natura o,peggio ancora, per riproporre posizioni neo-spiritualiste. L’irriducibilità qui sottolineata vuole solo indicare la necessità di un allargamento delle funzioni cerebrali che comprendano anche parte dell’ambiente circostante, inteso come sorgente di informazione e come spazio di comunicazione.
In un grande libro contemporaneo (12) viene formulata abbastanza nettamente la necessità di un legame tra soggetto e mondo con le parole “Il percetto primario è un oggetto mentale il cui grafo e la cui attività sono determinati dall’interazione col mondo esterno. Il grafo neuronico che gli è associato deve la propria esistenza al fatto che è ‘in presa diretta’ con l’oggetto esterno.” Questo anche se lo stesso libro si conclude in una prospettiva dichiaratamente monista e riduzionista, con le parole “L’identità tra stati mentali e stati fisiologici o fisico-chimici del cervello s’impone con piena legittimità”.
Ricorre quest’anno il centenario del Progetto per una Psicologia scientifica di Freud e per l’occasione l’Accademia delle Scienze di New York ha curato una raccolta di saggi (13) sul rapporto tra le neuroscienze attuali e quell’opera del passato che riconosce, secondo il programma delle neuroscienze attuali, l’esigenza di trattare i processi psichici in quanto fenomeni naturali descrivibili in termini quantitativi.
Questo breve scritto non ha certo la pretesa di risolvere il problema mente/cervello che probabilmente è un indecidibile. Alla necessità di un osservatore esterno che condiziona il riconoscimento di un essere intelligente o di una macchina ideale si può aggiungere la considerazione che anche il nostro PC per funzionare come tale richiede un operatore esterno. La differenza tra una mente umana equalsiasi intelligenza artificiale sta comunque nel fatto che il contatto con l’esterno è una condizione di possibilità solo per la prima. Un PC non perturba le sue funzioni per il fatto di restare spento, mentre un individuo sottoposto a deprivazione sensoriale sviluppa allucinazioni (14).
Gregory Bateson (15), considerando i criteri del processo mentale in una prospettiva olista ed antiriduzionista che rinuncia al soprannaturale, invoca le categorie di interazione e dideterminazione circolare condizionata da differenze e soprattutto dalla nozione di contesto. Una vera posizione olista deve necessariamente implicare il superamento della visione degli individui come sistemi isolati, come parti di un tutto prive di interazioni. Nel libro citato Bateson afferma “I confini dell’individuo,ammesso che siano reali, non saranno confini spaziali,ma saranno piuttosto simili ai circoli che rappresentano gli insiemi nei diagrammi della teoria degli insiemi o ai fumetti che escono dalla bocca dei personaggi dei comics”.
Una mente si può così definire, come sanno bene gli psichiatri, solo in base alle relazioni che essa ha con altre menti e con il mondo, cioè con il suo contesto.
Occorre, a questo punto, concludere con un accenno alla posizione personale dello scrivente sulla materia trattata. L’ipotesi proposta in questo scritto relativa ai limiti sfumati della mente comporta infatti l’affermazione della sua irriducibilità, per lo meno con gli attuali strumenti teorici a disposizione,ma questo non implica necessariamente l’accettazione di una posizione globalmente dualista.Come infatti esposto altrove (1), il mondo dei numeriemerge da quello delle strutture materiali; se non vi fossero strutture circolari non esisterebbe il numero p , se non vi fossero strutture disposte secondo la serie di Fibonacci (es. disposizione fogliare della fillotassi) non esisterebbe il numero F (sezione aurea) ecc. Un mondo vuoto di oggetti sarebbe anche vuoto di numeri, poiché ogni sistema astratto si costruisce appunto come conseguenza di un processo di astrazione delle caratteristiche esistenti nelle cose. La fisica relativistica insegna oggi che non esiste uno spazio assoluto newtoniano indipendente dai corpi. Anche se vi sono sistemi astratti di cui non si riesce a ricostruire la genesi, occorre immaginare che essi hanno comunque origine a partire da sistemi concreti e il rapporto tra un sistema astratto come la mente e un sistema concreto come il cervello si può dedurre sulla base di un monismo ontologico che deve coesistere con un dualismo gnoseologico.
E’ cioè evidente l’insufficienza esplicativa di un identitismo riduzionista (16) limitato al privilegiamento di puri e semplici stati neurofisiologici, incapaci di abbracciare tutta l’estensione di un mentale che implica intenzionalità, autocosienza e autotrascendenza. In questo senso – salvo il fatto che ogni pratica di ricerca neurobiologica è metodologicamente riduzionista – è possibile affermare l’irriducibilità della mente e la necessità di descriverne le caratteristiche con strumenti diversi da quelli impiegati per lo studio del cervello. In altre parole, ritengo che una teoria plausibile della mente potrà essere edificata solo combinando i risultati della ricerca neurobiologica con un modello psicologico unitario, capace di operare un’integrazione tra i diversi paradigmi esistenti: una prospettiva ancora utopica, oggi, ma certamente possibile in un futuro forse non troppo lontano.
1. L. Galzigna, Matematica e Biologia. I numeri della vita. Libreria UTET, Torino, 1998
2. A. Civita, Saggio sul cervello e la mente. Guerini, Milano, 1993.Un testo molto documentato, contenente un’importante riflessione sul tema è quello di S.Moravia, L’enigma della mente. Laterza, Bari, 1986
3. P. Calissano, Neuroni. Mente ed evoluzione. Garzanti, Milano, 1992
4. F. Tipler, La fisica dell’immortalità. Mondadori, Milano, 1995
5. R. Penrose, La mente nuova dell’imperatore. Rizzoli, Milano, 1992 e si veda anche, dello stesso autore, Il grande, il piccolo e la mente umana. R. Cortina, Milano, 1998 o Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza. Rizzoli, Milano, 1996
6. Le tesi di Penrose sono state assimilate a quelle del filosofo John Searle che ha proposto la metafora della “stanza cinese” per dimostrare che,nella funzione mentale, la “comprensione” è indipendente dalla computazione.Si veda per esempio il saggio The rediscovery of the mind, MIT Press, Cambridge, 1992 e l’ultimo The mistery of consciousness, Granta Books, London, 1997 in cui Searle sostiene che la qualità della “comprensione” può distinguere un computer da un essere umano e quindi essa non si può ridurre ad un semplice fatto computazionale. Un uomo che non sa il cinese può imitare un computer che simula la comprensione di una storia raccontata in cinese, ma non per questo ha compreso la storia stessa. Per Penrose neppure la simulazione di una comprensione da parte di un computer è possibile e quindi il suo antiriduzionismo è ancora più estremo di quello di Searle.
7. La teoria di Pauling sostiene che gli anestetici generali agiscono bloccando la conduzione nervosa perché capaci di formare microcristalli di idrati con l’acqua cellulare (cf.Science vol. 134, pag.15, 1961). Il mio lavoro (L.Galzigna e J.Méry,Experientia vol.27, pag.626, 1971) ha dimostrato la formazione di idrati tra un anestetico generale e l’acqua in presenza di biomolecole che stabilizzano tali idrati a temperature superiori al punto di fusione del ghiaccio, ma non così alte come la temperatura fisiologica. Per le concezioni più recenti, secondo le quali gli anestetici generali hanno come bersaglio molecolare le proteine piuttosto che i lipidi, si veda N.P. Franks e W.R.Lieb in Nature vol.367, pag.607, 1994
8. J.C.Eccles, Evoluzione del cervello e creazione dell’io. Armando, Roma, 1990
9. G.Edelman, Il presente ricordato.Rizzoli,Milano,1991 e si veda anche, dello stesso autore, Sulla materia della mente. Adelphi, Milano 1993
10. Si veda soprattutto la recensione intitolata “Neuroscience: a new era?” di H.B.Barlow, nel vol.331, pag.571 di Nature, 1988
11. C.U.M. Smith, Elements of molecular neurobiology. J.Wiley & Sons, Chichester, 1996
12. J.P.Changeux, L’uomo neuronale. Feltrinelli, Milano, 1983
l3. R.M.Bilder – F.F.Le Fever, Neurosciences of the mind on the centennial of Freud’s Project for a scientific psychology, Annals of the N.Y.Acad.Sciences, New York, vol.843, 1998
14. Si veda C.Frith e R.J.Dolan in Phil.Trans.R.Soc.London vol. 352, pag. 1221, 1997 oppure S. Tsutsui et alii, Surgery Today, vol.26, pag.292, 1996, oppure, su Internet,widow.artic.edu/^Icshah/airworld.html, per la descrizione dei sistemi sperimentali usati soprattutto in Canada allo scopo di studiare la deprivazione sensoriale e i suoi effetti.
15. G. Bateson, Mente e Natura. Adelphi, Milano 1984
16. F.Crick, The astonishing hypothesis. The scientific search for the soul.S imon & Schuster, London, 1994. In quest’opera rigorosamente identitista si considera il modo in cui il cervello “vede” e la consapevolezza visiva o percettiva, di cui si identifica il correlato neuronale, viene utilizzata come base per proporre una teoria della coscienza.