ROBERTA ZUNINI, Contro le caste al potere, senza distinzione di età e religione- IL FATTO QUOTIDIANO DEL 31 OTTOBRE 2019 –pp. 18-19

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 31 OTTOBRE 2019 –pp. 18-19

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IN EDICOLA/MONDO

Contro le caste al potere, senza distinzione di età e religione

Contro le caste al potere, senza distinzione di età e religione

 

Il Mare Nostrum è in tempesta. È successo più volte anche nel passato recente e remoto. Ma, a differenza delle crisi precedenti scoppiate nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, questa volta a ribellarsi sono le cittadinanze nella loro interezza. Per la prima volta sono scesi in piazza contro le “caste” al potere i cittadini, senza distinzione di genere, età e religione. La maggior parte dei Paesi bagnati dal Mediterraneo è governata da satrapi interessati solo a mantenere il potere per continuare a depredarne le risorse, incuranti delle diseguaglianze e dei diritti degli elettori. I Paesi più vicini all’Italia sono dilaniati da guerre, è il caso della Libia e della Siria; rivolte, come quella che ha travolto i gerontocrati algerini; instabilità politica, per esempio in Tunisia. Anche il Libano e l’Egitto stanno sperimentando la rabbia della popolazione. Vediamo ora, caso per caso, cosa sta accadendo nelle terre collegate dalle acque mediterranee.

 

Iraq, la strategia in 16 punti di Abadi

Quasi 300 morti dall’inizio delle proteste contro il governo. L’ex primo ministro Hayder al-Abadi, ora all’opposizione, torna in campo proponendo una strategia in 16 punti per uscire dalla crisi; chiede le dimissioni del governo. Al-Abadi ha affermato che in base all’articolo 61 della Costituzione, il Parlamento può ritirare la fiducia all’attuale esecutivo su richiesta del presidente o tramite un’interrogazione parlamentare. Secondo l’ex premier, il nuovo governo andrebbe formato con un numero limitato di ministri e guidato da figure indipendenti per preparare elezioni anticipate da tenersi entro il 2020.

 

Tunisia: governo, l’accordo è lontano

La Tunisia si trova in una situazione di instabilità a causa dell’esito del recente voto per rinnovare il Parlamento da cui sono emersi due dati allarmanti. Il primo riguarda l’estrema frammentazione dell’Assemblea popolare, tanto che sarà necessaria una coalizione almeno tripartitica per costituire il nuovo esecutivo. Il 4 novembre scade il primo mese dalle consultazioni e ancora non si vede all’orizzonte un benché minimo accordo plausibile tra i tanti partiti entrati nell’aula. Il secondo dato è l’astensione record. Il 60 per cento dei tunisini aventi diritto al voto non si è presentato alle urne. Né per eleggere il presidente della Repubblica, né per scegliere i deputati . La gente ha premiato i candidati populisti e coloro che non hanno esperienza politica, dato che chi ne ha non è stato in grado di migliorare l’economia del Paese dove la maggior parte dei giovani è disoccupata. Le sorti della Libia e della Tunisia ci riguardano da vicino, in primis per la questione migranti.

 

In Egitto la sfida per la fine della repressione

Nell’ultimo mese, centinaia di persone hanno sfidato il sanguinario regime di Al Sisi tornando a manifestare in piazza Tahrir, luogo simbolo della caduta di Mubarak. Gli egiziani chiedono la fine della repressione. Il barbaro assassinio di Giulio Regeni ha mostrato il volto disumano e l’arroganza del nuovo regime. Sono centinaia gli egiziani finiti in carcere senza accuse formali e torturati solo per aver osato criticare via social l’ex capo dell’Esercito.

 

Nel Paese dei Cedri la rabbia non conosce fede

Il primo ministro sunnita Saad Hariri, figlio di Rafik – già primo ministro ucciso nel 2005 a Beirut da un’autobomba, nonchè uno degli uomini più ricchi del Medio Oriente – ha dovuto rassegnate le dimissioni. Da quasi due settimane migliaia di libanesi, specialmente le donne, hanno bloccato strade e circondato con tende e presidi il parlamento. Ma è la prima volta che dal nord al sud del Paese dei Cedri, uomini, donne, ragazzi e ragazze appartenenti alle tre confessioni principali (sunnita, sciita e cristiana) si sono uniti nelle piazze di tutte le città per chiedere le dimissioni di “tutti, significa tutti” – lo slogan più scandito – i politici: ministri, parlamentari e persino sindaci. Nonostante il partito armato sciita Hezbollah, longa manus sul Mediterraneo di Teheran, abbia scatenato i suoi miliziani, armati di bastoni, spranghe e armi, per spaventare i manifestanti, pochi hanno lasciato le strade. I libanesi chiedono che i soldi provenienti dal pagamento delle tasse vengano usati per creare infrastrutture, per creare servizi che di fatto, non esistono, e lavoro anzichè per riempire le tasche dei rappresentanti politici. Il 5 novembre sarà il ventesimo anniversario dell’accordo di Taif che chiuse la terribile e lunga guerra civile libanese. L’accordo stabilì per legge la divisione dei poteri dello Stato tra sunniti, sciiti e cristiani, condannando il Paese a coalizioni ciniche e improduttive, oltre al dominio da parte della confinante Siria. Il protettorato de facto siriano è stato smantellato dalla rivoluzione dei Cedri avvenuta nel 2005. Ora vedremo se anche gli accordi di Taif verranno cancellati.

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