Il documentario ricostruisce le esperienze dello scrittore Cesare Pavese a Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria. citando ampiamente alcuni brani delle lettere pubblicate nel libro “Il vizio assurdo”. Alla ricerca di rimandi tra passato e presente, scorrono varie immagini di Brancaleone: la stazione; vari scorci della cittadina; un uomo con lupara che attraversa in bicicletta una stradina tra i fichi d’india; l’albergo Roma in cui Pavese alloggia in un primo momento; la stanzetta che si affaccia sulla ferrovia e sullo Ionio in cui poi egli si trasferisce; treni che passano e gli rafforzano il sentimento di nostalgia.
Brancaleone è un comune italiano di 3 552 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria in Calabria.
È stata definita “città delle tartarughe di mare” perché sulle sue spiagge, così come su quelle dei comuni vicini, depone le uova la tartaruga comune (Caretta caretta), facendo di questo tratto di costa l’area più importante di deposizione in tutta l’Italia. L’associazione Naturalmente Brancaleone, situata nel comune calabrese, si occupa difatti del monitoraggio dei siti di nidificazione e di recupero e cura degli esemplari catturati accidentalmente.
Cesare Pavese a Brancaleone
Il 15 maggio del 1935 lo scrittore Cesare Pavese, in seguito ad altri arresti di intellettuali aderenti a “Giustizia e Libertà”, venne sospettato di frequentare il gruppo di intellettuali a contatto con Leone Ginzburg, e venne trovata, tra le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro.
Giuseppe Taffarel (Vittorio Veneto, 1º marzo 1922 – Vittorio Veneto, 9 aprile 2012) è stato un regista, attore e sceneggiatore italiano.
Già membro della Resistenza durante la seconda guerra mondiale, riservò una particolare attenzione, nella sua produzione documentaristica, al tema della guerra, ma anche alla vita quotidiana, alle tradizioni popolari, e alle problematiche sociali.
Partecipò alla lotta partigiana nella zona di Vittorio Veneto, nella divisione garibaldina “Nino Nannetti”; in questo periodo fece amicizia con altri due combattenti, il futuro sceneggiatore cinematografico bellunese Rodolfo Sonego e il pittore veneziano Emilio Vedova.
Nel 1946 ritornò a Roma e cercò di inserirsi nel mondo del cinema come attore. Partecipò così ad una ventina di film, tra i quali Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani, che parlava della guerra partigiana. Taffarel ne era l’attore co-protagonista, insieme a Giuliano Montaldo e Gina Lollobrigida, con la quale strinse una duratura amicizia.
Collaborò alla direzione di documentari insieme con Glauco Pellegrini (già assistente di Pasinetti), che gli diede la formazione per la regia di questo genere cinematografico. Cominciò così a realizzare svariati documentari, fino agli anni settanta.
Morì nel 2012 nella sua città natale all’età di 90 anni
Taffarel regista
Nel 1960 Giuseppe Taffarel realizzò il suo primo documentario: La Croce. I montanari delle Prealpi trevigiane e bellunesi chiamavano “croce” la pesantissima slitta che dovevano trasportare su per i monti, dove facevano la fienagione.
Sempre sulla dura vita dei montanari fu Fazzoletti di terra, del 1963: una coppia di vecchi coniugi, con l’unico figlio partigiano ucciso dai fascisti, cerca di strappare piccole porzioni di terra coltivabile dal terreno roccioso che sovrasta la Valle del Brenta in comune di Valstagna. Sullo stesso argomento, ma ambientato in Calabria, è Il contadino che viene dal mare, del 1966.
Taffarel aveva raccontato anche le tragiche vicende dei contadini che emigravano per fuggire dalla miseria e finivano nelle miniere del Belgio, da dove ritornavano malati di silicosi, ne Il ritorno di barba Giovanni (1960).
La tragedia della prima guerra mondiale, vista dalla parte degli “ultimi”, rivive ne L’alpino della settima (1969): un figlio cerca i resti del padre morto nelle battaglie delle Dolomiti, tra le tre cime di Lavaredo, il monte Paterno e il monte Piana.
Nel 1972 diresse il documentario Via Crucis, in cui approfondiva il tema della silicosi che ha colpito centinaia di emigranti bellunesi nelle miniere dell’Europa settentrionale. Lo fece grazie alla testimonianza di un bambino che ogni giorno rimaneva per ore sulla tomba del padre di cui non aveva memoria. La poesia del racconto si scontra, volutamente, con la cruda inchiesta sociale riguardante la malattia e il suo decorso, quasi sempre mortale, dei numerosi bellunesi, ex-emigrati, protagonisti del documentario.
Ultimo contadino (1975) e Patriarca d’autunno (1976) celebravano la fine della millenaria civiltà contadina, con le sue miserie ma anche i suoi valori di solidarietà e senso di comunità. Ultimo contadino, in particolare, prende ispirazione dalla vita e il lavoro di una famiglia contadina di Auronzo di Cadore, e dalla figura del grande alpinista Alziro Molin, attraverso l’analisi della drammatica realtà determinata dallo spopolamento della montagna veneta: i piccoli centri sono abbandonati, a causa delle maggiori prospettive economiche offerte dalle città di pianura, con la perdita fatale di una dimensione culturale e sociale e di identità ben definite.
Non potevano mancare i documentari sulla guerra partigiana, alla quale Taffarel aveva partecipato attivamente:
- Montegrappa 1944 ricostruisce le fasi del rastrellamento e della rappresaglia tedesca nella zona del Grappa: 741 partigiani impiccati, fucilati o deportati. Il documentario si sofferma in particolare sui 31 partigiani impiccati a Bassano: mazzi di fiori attaccati a dei cappi penzolano dagli alberi che videro il martirio di quei giovani, mentre sullo schermo scorrono le loro fotografie.
- La Resistenza nella Marca Trevigiana (1975), un film di circa settanta minuti sulla resistenza nel Trevigiano, commissionato dall’Amministrazione provinciale di Treviso per il trentennale della Liberazione.
- Il bosco delle castagne (1972) narra l’impiccagione di alcuni giovani da parte dei nazifascisti nel bosco che sovrasta Belluno, raccontando la vita dei giovani ventenni che diedero la vita nella speranza di un’Italia in cui trionfassero la libertà e la giustizia sociale.
Grazie per svelarci tante cose belle e interessanti della nostra storia.
Pavese non rimase ,come si ricorda anche nel cortometraggio,tre anni a Brancaleone Calabro. Nell’Ottobre del 1936,infatti, fece la domanda di grazia con cui ottenne il condono di due anni.Non seppe resistere,pur con la sua ricca umanità alla solitudine,alla lontananza dalla famiglia,dalla colta e dinamica Torino e poi dai “Paesi” suoi .Non aveva la resistenza fisica e psicologica dei tanti amici antifascisti,condannati dal regime.Egli visse con sofferenza questa diversità anche nei tragici anni della Resistenza quando molti suoi amici vi parteciparono in prima persona e pagarono spesso con la vita.Davide Laiolo ne “Il vizio assurdo”insiste sul rimorso,sul travaglio interiore per essere sopravvissuto ad essi. Questa sopravvivenza con il passare degli anni viene ripensata come una colpa,quindi una sorta tradimento degli amici caduti:il biografo Laiolo,amico di Pavese la considera una delle tante cause che l’hanno portato alla scelta radicale,definitiva.
Sì, ho letto, ma tantissimi anni fa, Davide Lajolo, un bel libro, sono anch’io ( che sono nessuno…) d’accordo con lui che è troppo poco pensare che il suicidio di Pavese sia dovuto all’ultimo amore andato a male ( la ragazza, poi, lo saprai, anche lei si suiciderà, una coincidenza ), questo può essere stata la cosiddetta ” ultima goccia “, quello che gli ha fatto prendere la decisione, ma il senso di impotenza, o, meglio, d’inadeguatezza, a leggere ” il mestiere di vivere “, sembra averlo accompagnato da sempre.
Lui stesso ce lo dice alla fine del Diario:
«Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla».
Con questa immagine di se’ ” nulla “, non si puà proprio soprav-vivere…
Oggi è facile capire questo molto particolare senso di impotenza perché, specie per chi come me è vecchio, voglio dire formatosi in un habitat di tanti anni fa, con il relativo habito mentale, lo senti molto spesso, specie in relazione ai figli e ai loro compagni. Se fossero alunni sarebbe diverso.
ti ringrazio della illuminante precisazione, che non è mai pedanteria, anzi, è occasione per un approfondimento del mondo di Cesare Pavese, ciao, ti faccio un carretto enorme di auguri per il prossimo, anzi per i prossimi anni…già che ci sono ! chiara per il blog
Ringraziamenti:
Grazie a Chiara per questo ritratto di Pavese, il confino e, forse e soprattutto il regista Taffarel che non conoscevo. Fa parte dei tantissimi “personaggi minori” che riempiono la Storia e le danno colore e consistenza.
Grazie anche a Domenico Mattia ( ma, Domenico o Mattia o tutti e due?) per la precisazione non indifferente ed il successivo intervento di Ch. con questo preciso approfondimento sulle possibili cause del suicidio di Cesare Pavese.
A noi diciasett’enni, circa 10 anni dopo il suicidio, al famoso Inter bar di Sanremo, ci trasse in inganno la poesia ( e la omonima raccolta) “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, imputando la causa del suicidio esclusivamente all’amore deluso.
Ho letto anch’io Davide Lajolo ( e ce l’ho da qualche parte), motivo per cui avrei voluto ringraziare
anche me, perchè per una volta non sono intervenuto, ma, in piccola parte, ahimè, l’ho fatto! 🙂
Ormai sono incorreggibile!
MA GIOIA ! INTERVIENI INTERVIENI INTERVIENI —non è solo una preghiera, ma un ordine perché ci dai tantissimo piacere, ciao ” bel fioeu ” !